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Democrazia Futura. Un risultato scontato. Uno scontro finto. Ora Giorgia Meloni convinca le Cancellerie europee

Bruno Somalvico

Nate da un colpo di mano di palazzo con l’incauto comportamento grillino che ha consentito al centrodestra di governo di scaricare il Presidente del Consiglio Mario Draghi molti mesi prima della scadenza della legislatura, le elezioni politiche del 25 settembre 2022 passeranno alla storia come quelle con il record delle astensioni. La partecipazione è risultata infatti di poco inferiore al 64 per cento con una perdita di nove punti percentuali rispetto alle elezioni politiche precedenti[1].Sin dal momento della composizione delle liste il risultato finale come abbiamo scritto dieci giorni prima della consultazione è apparso del tutto scontato. Tutti i sondaggi o quasi prevedevano una massiccia vittoria della coalizione di centrodestra con al suo interno una grande affermazione di Fratelli d’Italia, un probabile ridimensionamento della Lega e una tenuta di Forza Italia. Il risultato appariva scontato soprattutto dopo la decisione di Carlo Calenda di correre separato dalla coalizione di centrosinistra dando vita al Terzo Polo insieme a Matteo Renzi, e al sensibile ridimensionamento del Movimento 5Stelle, sebbene dato in risalita.

Queste elezioni sono state forse le più noiose della storia dell’Italia repubblicana prive di autentici confronti diretti fra i leader delle principali forze politiche e/o delle coalizioni in nome dell’applicazione delle norme ingessate previste in televisione dalla par condicio risalenti a tre decenni fa, quando ormai i rischi di inquinamento della campagna elettorale passano quasi tutti attraverso i social network.

Con queste premesse, in assenza di programmi politici chiari, e soprattutto di quantificazioni dei costi delle misure annunciate dai principali leader, le elezioni per la Diciannovesima Legislatura potrebbero in ogni caso segnare uno spartiacque e l’avvio di un processo Costituente teso a definire nuove regole del gioco a 75 anni dall’approvazione della nostra Costituzione.

Democrazia futura aveva invitato i cittadini ad andare comunque a votare perché disertare le urne non fa che aggravare la crisi della nostra democrazia. Al limite votando scheda bianca ma recandosi alle urne.

Il forte calo della partecipazione al voto

Su poco meno di 46 milioni e 22 mila elettori,  i votanti sono stati poco più di 29 milioni 355 mila, pari al 63,79 per cento. Tra i votanti le schede nulle sono state oltre 817 mila, le schede bianche oltre 492 mila e quelle contestate 2817. Con 16,666 milioni di astenuti, le elezioni del 25 settembre 2022 segnano il record dell’astensionismo: il calo sensibile dei partecipanti si è fermato tuttavia per fortuna al di sopra della soglia simbolica del 60 percento, al di sotto della quale – scrivevamo nel nostro Vademecum – avremmo dovuto parlare di “vulnus per la democrazia” se non addirittura di “grave ferita al sistema democratico e alla credibilità dei partiti”.

La campagna elettorale: uno scontro finto fra coalizioni ognuna con obiettivi diversi

Possiamo dire che dopo la pubblicazione degli ultimi sondaggi che davano quasi 20 punti di distanza fra le due coalizioni non vi è mai stata una vera partita. Abbiamo de facto assistito ad uno scontro meramente verbale. La campagna elettorale si è ridotta ad uno scontro finto fra coalizioni ognuna con obiettivi diversi.

L’interesse riguardava  l’entità della vittoria della coalizione di centrodestra e dei rapporti di forza al suo interno, nonché il risultato di tutte le altre liste e coalizioni.

Contrariamente alle intenzioni dichiarate dal segretario del Partito Democratico Enrico Letta i risultati emersi non hanno segnato una tendenza alla polarizzazione del voto verso un nuovo bipolarismo, quanto favorito un’ulteriore frammentazione del quadro politico.

Le sorprese sono venute dai grillini e dal cosiddetto terzo polo leggermente sottostimati dai sondaggi.  In effetti, sebbene più che dimezzati, i pentastellati  mantengono un proprio peso oltre lo zoccolo duro dei propri militanti, mentre il cosiddetto Terzo Polo liberaldemocratico costituito intorno a Calenda e a Renzi, non raggiunge l’obiettivo prefissato, ma ottiene un risultato più che lusinghiero che lo pone come quarto polo alternativo ai primi tre.

La facile ma non stravolgente vittoria della coalizione d centro destra

Il Centro destra con un risultato intorno al 44 per cento (il 43,97 per cento alla Camera e il 44,01 per cento al Senato) ottiene una buona affermazione[2],, guadagnando sette punti percentuali rispetto al 2018 ma non sfonda[3], disturbato da liste minori, quali Italexit e altre ancora.

Solo qualora avesse ottenuto un risultato al di sopra del 45 per cento avemmo potuto parlare di grande successo per il centrodestra in quanto abbiamo sostanzialmente assistito ad un forte travaso di voti all’interno della coalizione dalla Lega a Fratelli d’Italia e solo in parte da Forza Italia.

All’interno della coalizione di centro destra, invece, possiamo definire travolgente il successo della destra sovranista rappresentata da Fratelli Italia a scapito delle altre forze siano esse populiste, europeiste o moderate con una Lega che perde fra otto e nove punti percentuali, Forza Italia che perde oltre 6 punti percentuali e un calo dei centristi moderati che questa volta rimangono al di sotto dell’1 per cento dei suffragi.

Giorgia Meloni, confermando perfettamente i sondaggi di questi ultimi mesi, diventa così la candidata naturale a Palazzo Chigi. Senza alleanze quello che dichiarava di essere il suo sfidante Enrico Letta, costretto ad abbandonare il “campo largo” dopo l’ennesima mossa falsa di Giuseppe Conti in virtù della quale si era ricompattato il centrodestra scaricando il Presidente del Consiglio Mario Draghi, il risultato della competizione era scontato, la partita del tutto finta.

Una battaglia impari con un esito scontato in larga parte dei collegi maggioritari

Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia, l’unico partito strutturato in modalità che ricordano quelle della prima repubblica, nonostante la demonizzazione lanciata contro questa formazione tacciata di essere l’erede diretta di formazioni che si richiamavano al fascismo, anzi probabilmente beneficiando della credibilità acquisita dalla propria leader presso gli elettori ex democristiani provenienti dalla Lega nel Nord Est, grazie alle chiare prese di posizioni a fianco dell’Ucraina nel conflitto che la vede impegnata contro le truppe di invasione russe, da poco più del 4,3 per cento ottiene un risultato intorno al 26 per cento[4], ponendosi nettamente come la prima forza politica sia alla Camera dove raccoglie 119 seggi di cui 69 nel proporzionale e 49 nei collegi e 1 all’estero) e al Senato, dove conquista 65 seggi di cui 34 nel proporzionale e 31 nei collegi), candidando legittimamente Giorgia Meloni alla guida del prossimo governo. Dunque possiamo sostenere senza ombra di dubbio che Il successo di Fratelli d’Italia è andato a scapito delle altre forze della coalizione di centro destra.

Ciononostante,  gli alleati di Giorgia Meloni, sebbene largamente sconfitti dalla destra sovranista – grazie al larghissimo successo nei collegi – ottengono un numero di seggi piuttosto cospicuo.

La Lega di Matteo Salvini. Nonostante la débacle[5], La Lega di Salvini con l’8,77 per cento ottiene alla Camera 66 seggi  (il PD con oltre il doppio dei voti della Lega ne conquista 69 solo 3 in più) di cui solo 23 nel proporzionale e ben 42 seggi nei collegi, oltre ad un seggio nella circoscrizione all’estero, e con l’8,85 per cento al Senato, ottiene 30 seggi, di cui 13 alla proporzionale e 17 nei collegi.

Per la Lega nonostante il soccorso decisivo  ricevuto nei collegi maggioritari dagli altri partner della coalizione,  si tratta invece di una sconfitta pesante che rischia di favorire una implosione fra le due anime del Carroccio: quella di lotta con tutto suo retroterra populista e sovente razzista che con Salvini ne facevano l’interlocutore principale di tutte le forze reazionarie, antieuropee e filo-putiniane insieme al Rassemblement National di Marine Le Pen, e quella di governo con i vari Giorgetti e Garavaglia a sostegno del governo Draghi e i suoi Governatori nelle principali regioni dell’Italia settentrionale, per non parlare dei suoi sindaci in tanti comuni soprattutto medio piccoli. La Lega vede praticamente percentualmente dimezzati i suoi voti, scendendo dal 17,35 per cento nel 2018 all’8,80 per cento di oggi, mentre il suo leader Matteo Salvini, dopo essere stato stimato a lungo in testa nei sondaggi, sentendosi minacciato dalla Meloni dichiarava ancora poche settimane fa, di puntare alla conquista di almeno il 20 per cento per la propria formazione.

Forza Italia di Silvio Berlusconi. Sebbene dimezzi in quattro anni i propri voti[6], la stessa Forza Italia, lungi dall’essere emarginata, conquista più del doppio del Terzo Polo di Calenda e Renzi alla Camera e esattamente il doppio al Senato: alla Camera con l’8,11 per cento ottiene 45 seggi (di cui 22 nel proporzionale e 21 nei collegi  e con l’8,27 al Senato 18 seggi, di cui 9 nel proporzionale e 9 nei collegi. Possiamo dunque sostenere che Forza Italia, pur calando dal 14 per cento a poco più dell’8 per cento, ottiene una discreta se non buona affermazione, smentendo le previsioni di chi, dopo la fuoriuscita di alcuni esponenti di spicco della sua ala centrista ed ex socialista, prevedeva una sua rapida implosione. Grazie ad un mix di populismo e filoputinismo frammisto a rassicurazioni e atti di fede atlantisti ed europeistici, Silvio Berlusconi, a differenza di Salvini, da un lato frena la fuoriuscita del suo elettorato verso la destra sovranista, dall’altro riesce ad impedire lo spostamento dell’elettorato che gli è rimesto, verso formazioni liberal socialiste e cattolico democratiche come Azione e Italia Viva.

Noi moderati Deludente invece come già detto il risultato della quarta gamba del centro destra con Noi Moderati che subisce anch’essa una sonora sconfitta[7]. Pur non riuscendo a superare non solo la soglia del 3 per cento necessaria per avere propri rappresentanti nel proporzionale ma nemmeno la barra dell’1 per cento necessaria per sommare i propri voti a quelli delle altre formazioni della coalizione, ottiene 7 seggi nei collegi del maggioritario alla Camera e 2 seggi negli stessi collegi al Senato.

E’ lecito dunque chiedersi alla luce di questi risultati ottenuti dai propri alleati minori, quali effetti essi produrranno sulla compattezza dell’intera coalizione di centro destra e, nella fattispecie, come peseranno sulla formazione del nuovo governo prevista intorno alla metà di ottobre questa grave sconfitta della Lega nonché le esternazioni poco rassicuranti soprattutto in materia di politica estera dal vecchio leader di Forza Italia Silvio Berlusconi

Riuscirà Giorgia Meloni a traghettare il suo partito dal post fascismo verso la tradizione delle grandi formazioni conservatrici europee?

In ogni caso, la coalizione di Centrodestra presentandosi compatta di fronte agli elettori,  ha tratto il massimo vantaggio nel suo insieme dal sistema elettorale vigente, il cosiddetto Rosatellum[8], nonostante la polarizzazione del voto al suo interno a favore di Fratelli d’Italia e lo smacco subito dalla Lega.  Rimane del tutto prematuro tentare di prevedere quali saranno le caratteristiche e le scelte politiche di questo nuovo del tutto inedito esecutivo a guida sovranista, probabilmente il più a destra nella storia d’Italia degli ultimi sessant’anni.  

Nella fattispecie occorrerà capire se l’azione della premier in pectore ricalcherà gli obiettivi “patriottici” delle destre radicali ponendosi in forte contrasto con l’attuale leadership dell’Unione Europea, o se, al contrario, la giovane leader di Fratelli d’Italia traghetterà definitivamente la sua formazione di origine “post fascista” (come la definiscono ancora tecnicamente certi politologi) nell’alveo della tradizione delle grandi formazioni conservatrici europee eredi di personalità come Winston Churchill, Margareth Thatcher, Konrad Adenauer, Helmuth Kohl, o Georges Pompidou e Jacques Chirac. Sotto questo profilo, molto importante sarà non solo la composizione interna del primo Governo Meloni ma anche la scelta della sua prima visita ufficiale all’estero. Un viaggio a Bruxelles rivestirebbe un significato preciso. Del tutto diverso sarebbe un viaggio a Washington.

La brutta sconfitta della coalizione di centro sinistra intorno al Partito Democratico, anch’esso alla ricerca di una nuova fisionomia in grado di costruire dall’opposizione un’alternativa credibile

Il Centro sinistra, attestandosi intorno al 26 per cento, è certamente la coalizione maggiormente sconfitta di questa tornata elettorale confermando le difficoltà che aveva conosciuto nel 2018 quando Liberi e Uguali si presentava al di fuori della coalizione.

La coalizione di centrosinistra costruita intorno al Partito Democratico di Enrico Letta, perde la maggior parte degli scontri nei collegi maggioritari largamente a favore del centrodestra e in minima pare anche del Movimento 5 Stelle conquistando complessivamente solo 85 seggi alla Camera dei Deputati, di cui 63 nel proporzionale, 4 nelle circoscrizioni all’estero e solo 13 nei collegi con il sistema maggioritario, e solo 44 seggi al Senato, di cui 34 con la proporzionale, 3 nelle circoscrizioni all’estero e solo 7 nei collegi con il maggioritario. Un bottino magro che potrebbe condannarla a rimanere nel corso di tutta la Diciannovesima legislatura all’opposizione.

Partito Democratico. Il Partito democratico aveva il 18,76 per cento nel 2018 e non guadagna se non qualche decimale attestandosi al 19,07 per cento alla Camera dove ottiene solo 69 seggi di cui 57 con il proporzionale, 4 nelle circoscrizioni estere e solo 8 nei collegi  e a non andando oltre il 18,96 per cento al Senato, dove conquista solo 40 seggi di cui 3 con il proporzionale, 3 seggi nelle circoscrizioni estere e solo 6 sei con il sistema maggioritario nei collegi, scavalcato da Fratelli d’Italia in alcune sue tradizionali roccaforti[9].

Non paga la scelta di far proprio l’obiettivo di non avere nessun nemico alla propria sinistra e di imbarcare anche l’opposizione al governo Draghi di Sinistra italiana. Il Partito Democratico non riesce insomma a realizzare quello che avrebbe dovuto essere il primo obiettivo in questa campagna elettorale ovvero mobilitare l’elettorato indeciso che – dopo la fuoriuscita di Carlo Calenda – capisce che soprattutto negli scontri nei singoli collegi la sconfitta è ormai inevitabile

Non paga nemmeno la campagna di demonizzazione del centro destra né il tentativo mutuato dai pentastellati di promuovere una coalizione “pigliatutti”. Il PD non aiuta + Europa a costituire un blocco più forte alla sua destra dopo la fine dell’intesa con Azione, impedendo alla formazione di Emma Bonino di superare la soglia di sbarramento per entrare in Parlamento, né riesce a recuperare se non in misura minima gli elettori ex democratici che cinque anni fa avevano spostato il proprio voto verso il Movimento 5Stelle.

Sinistra Italiana-Verdi. La lista costruita intorno all’alleanza fra Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli riesce, invece, a salvarsi superando la soglia di sbarramento del 3 per cento. Con il 3,67 per cento dei voti alla Camera, Sinistra Italiana-Verdi ottiene 12 seggi, di cui 11 con il proporzionale e solo 1 seggio in un collegio maggioritario. Con il 3,53 per cento al Senato la formazione più a sinistra della coalizione di centrosinistra ottiene anche 4 seggi al Senato, di cui 3 con il proporzionale e un seggio in un collegio maggioritario. Ciò costituisce un indubbio successo per i due partner[10] consentendo loro di entrare in parlamento a differenza di altre liste minori come l’Unione Popolare dell’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris nonostante il tentativo di personalizzazione attorno alla figura dell’ex-sindaco di Napoli e l’intervento d’appoggio da parte di protagonisti della politica europea come il leader della sinistra populista francese Jean- Luc Mélenchon: l’Unione Popolare si è fermata a quota 402.187 appena sopra alla quota di 372.179 voti che era stata ottenuta dalla lista di Potere al Popolo (comprendente egualmente Rifondazione Comunista) nel 2018. Né ha avuto milio successo la lista rossobruna della Italia Sovrana e Popolare comprendente il comunista sovranista Sergio Rizzo che non è andata oltre i 348 mila voti pari all’1,24 per cento.

Più Europa La formazione di Emma Bonino sfiora la soglia ma non riesce a superare lo sbarramento del 3 per cento ottenendo il 2,83 per cento dei voti alla Camera e il 2,94 per cento al Senato. Riesce ad ottenere due deputati alla Camera che risultano eletti fra i pochi candidati della coalizione di centrosinistra che riescono ad imporsi nei collegi maggioritari.

Impegno Civico. La formazione di Luigi Di Maio non va oltre lo 0,60 per cento dei voti alla Camera e lo 0,56 al Senato, riuscendo peraltro ad eleggere alla Camera un proprio rappresentante in un collegio maggioritario. La scissione non ha pagato ma per l’ex leader del Movimento 5Stelle si apre forse la possibilità di mantenere un cespuglio simile a quello dell’ex democristiano Clemente Mastella.

Alla coalizione di centrosinistra appartengono anche due deputati eletti al Senato in due collegi nl Trentino Alto Adige. Quanto alla formazione espressione della comunità sudtirolese di lingua tedesca la SVP, conquista 3 seggi alla Camera di cui 2 nei collegi maggioritari e 1 con il proporzionale, e 2 seggi ni colli maggioritari al Senato

Al di là della penalizzazione subita con la legge elettorale che ha premiato nei collegi maggioritari le liste capaci di coalizzarsi il più largamente possibile, possiamo affermare in definitiva che quel che resta del centrosinistra (un tempo dotato di una maggior capacità di coalizzarsi: basti pensare all’Ulivo e poi all’Unione sotto la leadership di Romano Prodi) viene probabilmente anch’esso penalizzato dalla crescita sensibile dell’astensionismo fra i suoi elettori provenienti dai ceti più bassi qualificandosi sempre più come coalizione fra partiti rappresentanti dei ceti medi nei grandi centri urbani, pur subendo su quest’ultimo fronte questa volta gli effetti della concorrenza del cosiddetto terzo polo di Carlo Calenda e Matteo Renzi.

Bene ha fatto il segretario del Partito Democratico Enrico Letta ad annunciare di fronte ad una così netta sconfitta la propria intenzione di non ricandidarsi alla guida del partito presentandosi dimissionario dopo aver traghettato il partito da segretario sino al prossimo congresso. Dove certamente la questione delle alleanze sarà al centro del dibattito fra chi vuole ritrovare un’intesa a sinistra con il nuovo corso impresso al Movimento 5Stelle da Giuseppe Conte, e chi invece, punta a ritrovare un’intesa alla propria destra con Azione e con Italia Libera

L’insperato recupero grillino dopo la sterzata a sinistra impressa dall’avvocato del popolo

Quanto al Movimento 5Stelle pur vedendo dimezzati come Forza Italia i propri consensi (nel 2018 i grillini raccoglievano ben il 32,68 per cento dei voti) e nonostante le numerose fuoriuscite e scissioni da ultima quella del suo ex leader Luigi Di Maio che subisce uno smacco non andando oltre lo 0,6 per cento per la sua neoformazione Impegno Civico coalizzatasi con il centro-sinistra,  sotto la guida dell’avvocato del Popolo Giuseppe Conte, ottiene nelle condizioni attuali quel che può essere considerato un grande successo elettorale[11], in particolare diventando la principale forza di opposizione nei grandi centri urbani dell’Italia meridionale.

Da partito pigliatutti un po’ dappertutto a difensore dei ceti popolari nel meridione e nuovo punto di riferimento del cattolicesimo ultrapacifista, questo nuovo grillismo assume sempre di più le sembianze di un ircocervo che ricorda da un lato il peronismo, e dall’altro in politica estera le solite posizioni anti atlantiste mascherate da nobili argomentazioni per la pace.

Con il 15,43 per cento di voti alla Camera la formazione di Giuseppe Conte ottiene 52 seggi di cui 41 nel proporzionale e un seggio nelle circoscrizioni estere, ma anche 10 seggi nei collegi con il maggioritario. Con il 15,55 per cento, al Senato i pentastellati conquistano 28 seggi di cui 23 con il proporzionale e 5 nei collegi con il maggioritario

La buona affermazione del Quarto polo di Calenda e Renzi

L’alleanza tra Azione e Italia Viva presentandosi come Terzo Polo intendeva collocarsi al centro dello schieramento politico con il deliberato proposito di svolgere una funzione definita da Franco Astengo come “interditrice” al riguardo dei due schieramenti ritenuti principali, ovvero il centrodestra e il centrosinistra, sottovalutando invece il recupero del Movimento 5Stelle che alla fine riuscirà a raccogliere più del doppio della formazione neocentrista. In ogni caso la coalizione fra Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi andando oltre il 7,5 per cento ottiene una buona affermazione raggranellando poco meno che 2,2 milioni di voti pur mancando l’obiettivo che si era dato di andare oltre il 10 per cento e di riuscire come Emmanuel Macron in Francia a acquisire una consistente fascia di elettorato proveniente dal centro destra. Quello che voleva essere Terzo Polo, sarà de facto nel nuovo Parlamento un Quarto Polo. Senza ottenere lo stesso risultato ottenuto nel 2013 da Scelta Civica di Mario Monti[12], l’alleanza Calenda-Renzi ha indubbiamente concorso all’insuccesso del PD e al mancato superamento della soglia del 3 percento da parte di + Europa, sottraendo sostanzialmente voti alla coalizione di centrosinistra. Sino a impedire la vittoria dell’ex alleata Emma Bonino, opponendole lo stesso Calenda in un collegio maggioritario a Roma che alla fine della fiera è stato conquistato dalla candidata del centrodestra Con il 7,79 per cento alla Camera e il 7,73 per cento al Senato la lista di Azione e Italia Viva ha conquistato con il proporzionale rispettivamente 21 seggi all Camera alta e 9 seggi alla Camera Bassa, senza peraltro riuscire a vincere in nessun collegio maggioritario nonostante il grande successo ottenuto in alcune aree del Nord Itali e nella fattispecie a Milano[13]. Per il futuro di questa alleanza neocentrista decisive saranno le scelte che riuscirà a fare stando all’opposizione. Riannodando un’intesa o comunque un confronto con il centrosinistra e cercando di impedire a loro volta in questo modo la ripresa del dialogo fra il Partito Democratico e i neopopulisti di sinistra, ovvero quello che è diventato il vero nuovo terzo polo alternativo al centrodestra e all’attuale centrosinistra, costituitosi intorno ai grillini sotto la guida di Giuseppe Conte. Lo stesso “avvocato del popolo” – per parte sua . non può rimanere alla finestra ad osservare gli altri isolandosi e pontificando dall’alto da una montagna come il profeta Zarathustra su quello che sarà l’evoluzione di questo Paese.

Da segnalare infine la buona affermazione non solo alle elezioni regionali siciliane di Sud chiama nord che riesce a conquistare un seggio nei collegi maggioritari sia alla Camera sia al Senato. Nella stessa condizione il Maie che vede due suoi rappresentanti eletti uno alla Camera e uno al Senato nelle circoscrizioni estere

Conclusioni

Per ora Giorgia Meloni può stare tranquilla. Non sarà certo da un’opposizione divisa in tre tronconi molto diversi che dovrà proteggersi. Quanto dai rischi provenienti dall’interno della propria formazione politica dove un successo così netto potrebbe crearle le maggiori difficoltà. Si protegga invece soprattutto dal desiderio di rivincita del proprio “alleato” Salvini o dalle richieste di un posto nell’Olimpo che potrebbero provenire da Forza Italia.

Ma soprattutto la prossima inquilina di Palazzo Chigi dovrà evitare di fare passi falsi a Bruxelles. Le principali Cancellerie europee sono pronte con il fucile in mano a sparare contro sue eventuali dichiarazioni verbali simili a quelle profferite al comizio di Vox l formazione dell’ultradestra spagnola.

Si faccia aiutare da Draghi e dalla sua esperienza nelle istituzioni internazionali, impari davvero a muoversi con cautela. Solo così l’Italia potrà continuare a farsi valere a Bruxelles e nel resto del mondo come avvenuto in questi ultimi 18 mesi al nostro Premier uscente.

Riesca la nostra prima premier donna della storia d’Italia a scegliersi come le ha suggerito Draghi come partner principali i due paesi guida dell’Unione europea, ovvero la Francia e la Germania. Potrà così pesare di più e sciogliere tutti i dubbi espressi in queste ore dalle Cancellerie europee. Ovvero farsi rispettare evitando alcuni tristi episodi di un passato neppure così tanto lontano.    


[1] Riprendo qui di seguito in nota alcune osservazioni scritte a caldo da un intelligente analista dei flussi elettorali. Osserva Franco Astengo: “In realtà si è creata una vera e propria voragine che peserà sull’intera capacità di tenuta del sistema. Nel 2018 ci furono 32. 841.705 voti validi, adesso siamo a 28.037.116 con un calo di 4.804. 589 unità.

[2]“ Il dato dell’astensione si riflette naturalmente sul totale dei voti delle singole liste. Dal punto di vista della maggioranza relativa Fratelli d’Italia ottiene circa 7,3 milioni di voti, in netto calo rispetto alla quota realizzata dal Movimento 5 stelle nel 2018 che era di 10,7 milioni (ovvero oltre 3,4 milioni in meno). In sostanza su di un corpo di poco più di 46, 1 elettrici ed elettori il partito di maggioranza relativa rappresenta il 15,81 per cento mentre nel 2018 il M5S su un totale di 46,5 milioni rappresentava il 23,07 per cento, ovvero 7,26 punti in più rispetto a quanto appena realizzato da Fratelli d’Italia.

[3] Non si può affermare semplicisticamente che ci si trovi di fronte a uno “spostamento” a destra che pure c’è stato, bensì sarebbe più corretto scrivere di “ridefinizione” del profilo della destra. Complessivamente il centro – destra ha raccolto il 25 settembre 12.285.587 voti una quota in lievissima ascesa rispetto al 2018 quando i suffragi furono 12.152.345 (circa 130 mila in meno). Deve essere ricordato come dal punto di vista della raccolta di consensi il centro destra avesse toccato il proprio massimo storico nel 2008, quando l’alleanza tra il Popolo della Libertà (che comprendeva già i post-fascisti che poi avrebbero dato vita a Fratelli d’Italia) e la Lega Nord ottenne 17.064.506 voti (quasi 5 milioni di voti in più rispetto al risultato attuale: in quel momento il centro – destra rappresentava il 36,27 per cento degli aventi diritto al voto, oltre 10 punti in più rispetto ad oggi)”.

[4]“La ridefinizione identitaria del centro-destra porta il segno della crescita di Fratelli d’Italia saliti da 1.429.550 suffragi nel 2018 a 7.292.742 nel 2022. Si tratta di un fenomeno da analizzare con attenzione nel quadro di una crescente volatilità del voto in Italia, con un elettorato mobile costantemente alla ricerca del “nuovo”. Abbiamo già visto il fenomeno del 2008 quando il Popolo delle Libertà conseguì la maggioranza relativa con 13.629.434 voti; successivamente toccò al PD targato Matteo Renzi in occasione delle elezioni Europee 2014 con 11.172.861, poi al Movimento 5 stelle nelle politiche 2018 con 10.732.066 e ancora con le Europee 2019 alla Lega con 9.153.638 voti e adesso a Fratelli d’Italia con i già menzionati 7.292.742 voti ottenuti il 25 settembre 2022: un cambio vorticoso di partito di maggioranza relativa dentro a un costante calo di consensi”.

[5] “Tra il 2019 e il 2022 la Lega ha praticamente dimezzato i consensi passando da 5.698.687 a 2.461.627, perdendo voti anche nelle roccaforti dell’antica Lega Nord, senza riuscire ad insediarsi stabilmente nel resto d’Italia”.

[6] “Tra il 2019 e il 2022 Forza Italia è scesa da 4.596.956 a 2.275.948 voti per le proprie liste”

[7] “Nello stesso tempo sono arretrati anche i cosiddetti “centristi” del centro-destra: l’UDC nel 2018 aveva ottenuto 427.152 voti mentre adesso la lista di Noi Moderati (nonostante il sostegno di personaggi come il presidente della Regione Liguria Toti e il sindaco di Venezia Brugnaro) si è fermata a quota 255.270”.

[8] Come scrive Franco Astengo “L’elemento di porre in rilievo è quello della distorsione sul meccanismo di traduzione del voto in seggi parlamentari dovuta all’applicazione della formula elettorale vigente (legge n.165 del 3 novembre 2017) che non prevede, oltre a mantenere le liste bloccate, la possibilità del voto disgiunto tra parte uninominale e parte plurinominale della scheda. A questo punto entra in gioco la capacità di coalizione della forze politiche: essendosi prodotta, in questo senso, nell’occasione delle elezioni del 25 settembre 2022 una forte asimmetria tra la tradizionale alleanza di centro-destra e la coalizione raccolta attorno al PD si è verificato il caso che il centro-destra raccolto il 43,82 per cento sul totale dei voti validi (in realtà 12.285.587 su 46.127.514 pari al 26,6 per cento dell’intero corpo elettorale) abbia totalizzato l’83,44 per cento dei collegi uninominali in palio per la Camera dei Deputati (un effetto distorcente del 40 per cento). In sostanza il centro destra ha pagato i suoi collegi uninominali 102.160 voti l’uno, mentre il centro sinistra li ha pagati 610.101 voti e il M5S 422.143 (sfruttando la maggiore concentrazione territoriale)”.

[9] Scrive Astengo: “il voto al PD preso per sé stesso non è pessimo: nel 2018 (fatto salvo che in quell’occasione la perdita rispetto al 2013 era stata di circa 2.000.000 di voti) il PD aveva ottenuto 6.161.896 voti scesi in questa occasione a 5.346.826 voti (con una finta crescita percentuale dovuta alla diminuzione nei voti validi): 815.070 voti in meno. Si segnala però l’assoluta assenza di consenso raccolto da alleati inseriti in lista (fra i quali 2 ex-ministri della Sanità). Il problema principale per il PD sarà quello della segreteria e quello della crisi di astinenza da governo in un partito fondato su correnti e sulla logica del potere in centro e in periferia”.

[10] “[La] lista Alleanza Sinistra – Verdi che, praticamente, con un 1.017.652 voti raccoglie l’intero bottino di Leu nel 2018 che ammontava a 1.114.799 voti. Si tratta di un dato che, oltre alla presenza parlamentare, sarà da verificare se potrà essere considerato punto di partenza per una necessaria ricostruzione a sinistra dopo le tante battute d’arresto fatte registrare almeno dalla vicenda della Lista Arcobaleno nel 2008 in avanti”.

[11] “Particolare attenzione merita il voto ottenuto dal M5S. Tutti conoscono -scrive Astengo – il travagliato iter che il Movimento ha percorso nella XVIII legislatura: scissioni e micro scissioni mentre rimaneva costante la presenza al Governo con tre diverse formule: alleanza con la Lega, alleanza con il PD, governo tecnico sostenuto da “larghe intese”. Nel frattempo i sondaggi davano il M5S in costante discesa, addirittura al di sotto della soglia psicologica del 10 per cento. Alla fine, dopo un mutamento di direzione politica e una campagna elettorale fortemente orientata soprattutto alla difesa della misura-simbolo del reddito di cittadinanza, sono arrivati 4.325.977 voti pari al 15,42 per cento sul totale dei voti validi (pari al 9.29 per cento del totale degli aventi diritto). Occorre molta chiarezza su questi dati, accolti con una sorta di velato e ingiustificato trionfalismo. Nei cinque anni trascorsi al governo dopo aver conseguito la maggioranza relativa il M5S ha lasciato sul campo 6.406.089 voti nella massima parte finiti nell’astensione (che nessun partito è mai stato in gradi di frenare considerato che la percentuale dei partecipanti al voto è in costante calo da decenni). D’altro canto i transfughi del Movimento, in particolare l’ormai ex-ministro degli Esteri Luigi Di Maio, hanno tentato nuove avventure politiche risultando del tutto irrilevanti. Naturalmente il calo del M5S ha aperto, nella quota uninominale, una vera e propria autostrada per il successo del centro – destra ma questo è un elemento che chiama in causa la capacità coalizionale del PD, il suo asse strategico di riferimento e – ovviamente – gli elementi distorsivi anti-democratici presenti nella vigente formula elettorale che evidenzia aspetti di sicura incostituzionalità. Rimane il dato di fondo degli oltre 6 milioni di voti perduti”.

[12] “Monti, nel 2013, riuscì a comporre una coalizione che ottenne 3.591.451 voti, oltre un milione e mezzo di voti in più rispetto all’operazione di oggi, e anche la sua lista con 2.823.841 voti (le altre componenti dell’alleanza erano rappresentate dell’UDC e dall’effimera Futuro e Libertà per l’Italia FLI di Gianfranco Fini) raggiunse una quota superiore a quella del duo Renzi- Calenda di oggi”.

[13] “Alla fine sono arrivati 2.183.170 voti pari al 7,78% del totale di voti validi: varranno un pugno di deputati considerata la non competitività della lista nella parte uninominale. In realtà la raccolta di voti del duo Calenda – Renzi (assolutamente sovraesposto mediaticamente) è risultato di molto inferiore alle attese dei due imprenditori politici di riferimento: rimasti alla fine le vittime più illustri dell’impopolarità dell’agenda Draghi(nonostante l’apparente consenso di cui sembrava godere il suo apparente estensore)”- nota Astengo.

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