Che i partiti avessero deciso di suicidarsi, giuro che non lo avevo capito. Fino all’ultimo ho pensato che avrebbero accettato comunque la sfida di Draghi. Era nel loro interesse – pensavo. Era soprattutto nell’interesse dell’Italia che sta attraversando uno dei periodi più difficili e contraddittori, dalla pandemia che non smette di assillarci, all’inflazione, alla guerra del gas, alla tragedia Ucraina.
Non è stato così. Il 20 luglio al Senato è stata decisa la fine del governo Draghi, l’unico governo – voluto ardentemente dal presidente Mattarella – e che ci garantiva un’immagine internazionale condivisa da tanti alleati europei. Solo formalmente è entrato in crisi il governo, In realtà quel 20 luglio entrerà nei libri di storia come la fine di una intera classe politica. Lei si in crisi. E che crisi! Non certo il governo.
E’ stato scritto: “il Parlamento più populista della nostra storia repubblicana è riuscito nell’impresa insensata e devastante di ignorare le speranze di una larga fetta della società civile, che negli ultimi cinque giorni aveva chiesto con appelli e raccolte di firme di non staccare la spina alla premiership di Draghi.
I Cinquestelle, Forza Italia e più di tutti la Lega di Salvini decidendo di non dare la fiducia a Draghi sono i colpevoli evidenti della crisi in cui precipiterà nelle prossime settimane e mesi il Paese. Ma faremmo un torto a noi stessi se ignorassimo che la crisi dei partiti, la loro ottusità, è cominciata da tempo.
Due fenomeni della globalizzazione – che più condizionano il nostro modo di leggere la realtà – ossia la rivoluzione digitale (che vuol dire fine del sistema delle comunicazioni così come lo avevamo conosciuto) e la rivoluzione finanziaria (che per altro della rivoluzione digitale si alimenta) sono all’origine della crisi di due capisaldi dell’Occidente: gli Stati Nazione e la democrazia. Il che molto banalmente vuol dire che in crisi è la politica così come l’abbiamo praticata finora.
Dovremo rassegnarci all’idea che il sistema politico è un gigantesco flipper andato in tilt? A sentire i tanti e inutili interventi nel dibattito al Senato sembra proprio che non ci sia speranza alcuna di uscire dalle secche nelle quali siamo impantanati.
Ora rischiamo di ingannarci, di non capire, se non ci rendiamo conto che la crisi di oggi nasce dalla fine di un’epoca, quella degli Stati Nazione. Il potere è passato dai governi nazionali alle multinazionali. Il potere dell’economia, per esempio, è nelle mani della finanza internazionale. E la digitalizzazione regge e condiziona tutte le scelte.
La nascita degli Stati Nazione risale alla pace di Vestfalia, a più di 400 anni fa. E quel sistema ha retto alcuni secoli. Non più oggi. Gli accordi di Bretton Woods che hanno sancito il regime dell’ordine monetario e finanziario internazionale dopo la conclusione della Seconda guerra Mondiale, ha dato luogo a un insieme di sistemi multi agente che operano come forze sovranazionali o intergovernative.
Le ICT (information communication technologies) tendono a favorire forme di governo distributive e di coordinazione internazionale globale. Possiamo parlare di quello che comunemente viene definito “Washington Consensus” – dal Dipartimento americano del Tesoro, al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale. L’idea è che un insieme di potenti sistemi multi-agente costituisce oggi la nuova fonte delle politiche nelle società globalizzate dell’informazione. “Delle 100 più consistenti realtà economiche al mondo, 51 sono grandi società, soltanto 49 sono Paesi e questo era già vero nel 2000.
“Oggi sappiamo che i problemi globali – dall’ambiente alla crisi finanziaria dalla giustizia sociale ai fondamentalismi religiosi intolleranti, dalla pace alla salute – non possono fare affidamento su la sovranità dello Stato come unica fonte di risoluzione… Lo Stato non è più l’unico e talora nemmeno il principale agente nell’arena politica in grado di esercitare potere nei confronti degli altri agenti, in particolare nei confronti di gruppi e individui”. Parole di Luciano Floridi nel bel libro “La quarta rivoluzione” ovvero come l’infosfera sta trasformando il mondo.
Ora, forse sarebbe bastato che quei parlamentari, quei leader politici che hanno deciso di affossare il governo Draghi, avessero anche solo letto se non capito il quadro nuovo che emerge dalla fine di un’epoca per rendersi conto che probabilmente proprio Draghi è uno dei pochissimi dirigenti culturalmente preparati ad affrontare la nuova realtà. Circondati come siamo da politici ignoranti, rischiamo di pagare un prezzo alto, troppo alto alla stupidità.
Speriamo nell’ultimo leader illuminato rimasto, Sergio Mattarella.