Per parte sua, Andrea Melodia affronta il tema della luna convivenza fra servizi radiodiffusi e web nel suo pezzo “Tv e video, in rete e via antenna: per capire e decidere”. “Sappiamo tutti che dopo l’abbuffata di televisione del secolo scorso, le nuove generazioni dichiarano il proprio progressivo disinteresse verso la televisione. Tuttavia, l’esperienza quotidiana conferma che hanno conoscenza vasta di quanto la televisione trasmette”. Ma – ricorda Melodia “I telegiornali prima fonte di informazione nella fascia giovanile”. “Le reti televisive – prosegue – si stanno attrezzando per trasmettere sulla rete Internet. Ma in che modo? Una cosa è trasmettere un segnale di flusso, in diretta, destinato a molti, che può raggiungere picchi di molti milioni di utenti in occasioni particolari, che oltretutto non possono essere penalizzate perché sono le più importanti. Altra cosa è trasmettere una registrazione a richiesta, per un solo utente”. Per Melodia non ci sono dubbi:“È evidente che il broadcasting tradizionale è nato per assolvere la prima di queste esigenze. Una volta assorbiti gli investimenti per una rete di torri trasmittenti e di ripetitori, non ci sono costi aggiuntivi se gli utenti aumentano in modo esponenziale per accedere alla trasmissione. Anzi, gli inserti pubblicitari avranno più valore. Se un ente televisivo vuole trasmettere su Internet, sia in diretta sia per volumi di traffico rilevanti on demand, deve invece dotarsi di una infrastruttura i cui costi aumentano in modo esponenziale rispetto al numero degli utenti che vi accedono”. il 5G consente di mettere insieme anche i differenti metodi di trasmissione delle immagini, sia quelle indirizzate a una sola richiesta (unicast) sia quelle richieste da molti (multicast), sia quelle richieste tendenzialmente da tutti nello stesso momento, integrando nel gioco le reti terrestri e anche quelle satellitari. Con queste premesse è possibile “Mantenere in vita broadcasters che offrano contenuti di qualità è dunque utile al benessere sociale, ma anche all’industria della comunicazione”.
Secondo il rapporto Sandvine 2020[1], quasi il 58 percento del traffico Internet a livello globale è costituito da contenuti video. Di questo, quasi la metà è generato da Youtube e Netflix, con una netta tendenza di crescita della prima applicazione e un lieve arretramento della seconda rispetto all’anno precedente.
Vorrei esaminare la questione della trasmissione video in rete soprattutto nell’ottica di un broadcaster, in particolare di servizio pubblico, e spero di riuscire a spiegarmi, come curioso ma non esperto nelle tecnologie, nel rendere comprensibili questioni specialistiche che ritengo abbiamo rilevanza da un punto di vista sia mediologico, sia industriale e economico.
Sappiamo tutti che dopo l’abbuffata di televisione del secolo scorso, le nuove generazioni dichiarano il proprio progressivo disinteresse verso la televisione. Tuttavia, l’esperienza quotidiana conferma che hanno conoscenza vasta di quanto la televisione trasmette.
I telegiornali prima fonte di informazione nella fascia giovanile
In effetti, secondo l’ultimo rapporto CENSIS[2] sui media, nel 2019 i telegiornali sono stati ancora la prima fonte di informazione nella fascia di età 14-29 (40,4%), seguita da Facebook (34,4%) e dai motori di ricerca; e anche questi potrebbero essere stati influenzati o avere usato come fonte primaria la televisione. Se non nel salotto di casa, evidentemente i giovani sono stati raggiunti da registrazioni o estratti sullo schermo del Personal Computer, del tablet o dello smartphone. È possibile supporre che questi dati abbiano subito una variazione in favore della televisione nell’anno della pandemia.
Dunque, quando si parla di progressiva marginalità della televisione, bisognerebbe anzitutto intendersi su cosa sia televisione oggi e cosa non lo sia. Discussione che tralascio: mi basta poter affermare che la produzione televisiva conserva un ruolo sociale del tutto centrale, ben al di là della relativa marginalità industriale dei broadcasters, e non solo per l’informazione; e che al ruolo si deve accompagnare la responsabilità. Questa oggi va esercitata favorendo una risposta al principale danno della comunicazione social, che consistenel favorire bolle di incomunicabilità che ostacolano il dialogo: dunque, lavorando per ricostruire coesione sociale.
Come la Tv si sta adattando al nuovo ambiente di comunicazione in rete
Il ruolo cruciale dell’educazione ai media digitali e ai relativi servizi della pubblica amministrazione
A questo punto occorre addentrarsi in problemi tecnologici. Cosa stanno facendo le reti televisive per adeguarsi alle esigenze del nuovo ambiente di comunicazione, che a partire dai paesi più avanzati è certamente progressivo dominio di Internet?
Ovviamente, si stanno attrezzando per trasmettere sulla rete Internet. Ma in che modo? Una cosa è trasmettere un segnale di flusso, in diretta, destinato a molti, che può raggiungere picchi di molti milioni di utenti in occasioni particolari, che oltretutto non possono essere penalizzate perché sono le più importanti. Altra cosa è trasmettere una registrazione a richiesta, per un solo utente. E in mezzo tra queste due modalità c’è la distribuzione di prodotti registrati, come fanno Netflix o RaiPlay, di cui ogni singolo utente richiede la partenza (ma anche l’arresto e la ripartenza) quando vuole lui, impegnando un server a distanza in questa singola operazione, mentre altre migliaia di utenti accedono allo stesso contenuto con una tempistica diversa.
È evidente che il broadcasting tradizionale è nato per assolvere la prima di queste esigenze. Una volta assorbiti gli investimenti per una rete di torri trasmittenti e di ripetitori, non ci sono costi aggiuntivi se gli utenti aumentano in modo esponenziale per accedere alla trasmissione. Anzi, gli inserti pubblicitari avranno più valore. Se un ente televisivo vuole trasmettere su Internet, sia in diretta sia per volumi di traffico rilevanti on demand, deve invece dotarsi di una infrastruttura i cui costi aumentano in modo esponenziale rispetto al numero degli utenti che vi accedono.
Per fare un esempio Netflix e Youtube si servono di strutture proprietarie, o noleggiate a caro prezzo (CDN, Content Delivery Network) che ottimizzano la distribuzione dei loro contenuti sulla rete Internet territoriale, utilizzando tecniche specifiche. Una rete TV può fare la stessa cosa, per distribuire i suoi prodotti registrati, a costi rilevanti, ma non può permettersi di usare questo sistema sui grandi numeri per le dirette lineari: senza investimenti insostenibili, la prima emergenza o la prima partita della nazionale di calcio manderebbe tutto in tilt per richieste eccessive di accesso. Youtube e Netflix hanno questo problema in modo molto minore. Di conseguenza, le reti televisive non si affidano in prospettiva alla strada del CDN, e cercano soluzioni in tecnologie più avanzate.
Nel frattempo, evolvono sia il broadcasting sia la tecnologia degli apparati riceventi. Il digitale terrestre, nello standard DVB-T, sta entrando nella nuova generazione con il DVB T2, che impone la sostituzione di televisori obsoleti, e spese significative alle trasmittenti per adeguare la propria rete. Le smart tv sono sempre più complesse, interattive, predisposte per utilizzazioni più sofisticate di quelle tradizionali, fino a divenire veri e propri terminali informatici, e anche fino al punto di rendere l’accesso alla tv tradizionale difficile da dominare, almeno da parte dell’utente anziano segnato dal digital divide.
Sarebbe dunque interesse delle reti televisive, anzitutto, una radicale operazione di educazione digitale a favore della popolazione in difficoltà, implementando – soprattutto da parte del servizio pubblico – anche pratiche di educazione all’uso dei servizi della pubblica amministrazione, della sanità, dell’educazione.
L’importanza delle infrastrutture di reti avanzate per la TV in multicasting
Le tecnologie di telefonia mobile, dal GSM 2G al LTE 4G, hanno visto una evoluzione parallela e distinta rispetto a quelle degli standard televisivi per la radiodiffusione digitale DVB. Entrambe, tra l’altro, sono state imposte sostanzialmente a livello globale dall’Europa, che dunque finora non è imputabile di grandi ritardi tecnologici in questo settore.
L’ampia diffusione nel mercato di tablet e smartphone, la disponibilità di aree coperte in tecnologia UMTS 3G e LTE 4G, e la discesa delle tariffe, hanno permesso alla telefonia mobile di veicolare applicazioni multimediali avanzate, che offrono contenuti di tipo televisivo, comprese immagini in diretta. Anche se il televisore domestico è normalmente servito dal digitale terrestre o dal satellite, soprattutto il 4G sarà una alternativa pienamente valida non solo per gli apparati mobili. Di conseguenza, le compagnie di telecomunicazioni, da anni in difficoltà economica per la concorrenza che subiscono a favore dei consumatori, sono interessate a veder crescere il proprio ruolo nella trasmissione di immagini. Mantenere in vita broadcasters che offrano contenuti di qualità è dunque utile al benessere sociale, ma anche all’industria della comunicazione.
A questo punto, si tratta di capire le opportunità del presente e quelle del futuro prossimo. Prescindendo dai diversi modelli di business e di missione, diamo per scontato che i servizi pubblici europei e le emittenti televisive commerciali abbiano pari interesse a interagire con i processi di implementazione delle reti e la gestione delle telecomunicazioni, e che ai servizi pubblici spetti essere trainanti, in questa attività, investendo in ricerca e sperimentazione.
A questo proposito sembra di poter dire che sia la RAI, attraverso il Centro Ricerche di Torino, sia l’EBU – si veda l’intervento dell’ing. Arcidiacono in questo stesso numero di Democrazia Futura[3] – si muovono con decisione nella direzione corretta.
Per fortuna di tutti, la tecnologia 5G[4], di cui tanto si parla per le innovazioni che rende possibili in settori critici, come il controllo del movimento su strada e in aria, la medicina a distanza, o più semplicemente per la velocità delle nuove connessioni fisse e in mobilità, offre anche per i broadcasters soluzioni pratiche ai problemi fin qui esaminati.
Non mi addentro in approfondimenti tecnici che io stesso non posso dominare. Quello che ho capito è questo: il 5G consente di mettere insieme, attraverso sistemi dinamici di controllo e di adattamento delle diverse reti alle necessità del traffico, anche i differenti metodi di trasmissione delle immagini, sia quelle indirizzate a una sola richiesta (unicast) sia quelle richieste da molti (multicast), sia quelle richieste tendenzialmente da tutti nello stesso momento, integrando nel gioco le reti terrestri e anche quelle satellitari.
Le nuove reti saranno in grado di autogestire il proprio assetto e di ottimizzarsi per svolgere al meglio i diversi servizi. I protocolli ci sono, e vengono sperimentati. Permettono risparmi di potenze impiegate, e dunque hanno riflessi positivi anche nell’ecologia. Per metterli in pratica occorre adeguare gli apparati, compresi quelli riceventi, e affrontare dunque uno stadio di evoluzione tecnologica avanzato rispetto a quello attuale.
Ciò mi fa dubitare – ma su questo attendo conferme – che siano giustificati gli attuali livelli di investimento previsti per introdurre una tecnologia, quella del DVB T2, che potrebbe, se non essere superata, almeno non richiedere un livello di distribuzione territoriale capillare simile a quello esistente, nei territori che si possono raggiungere più facilmente dal satellite.
Seguire l’esempio del GSM e fare delle reti di prossima generazione un successo per l’Europa grazie ad una collaborazione attiva fra tutti gli attori
Per ottenere questi risultati, c’è una condizione fondamentale, seguita poi da una conseguenza altrettanto fondamentale.
La condizione è che la guida politica, la ricerca tecnologica, e soprattutto i settori industriali abituati a considerarsi sostanzialmente diversi, se non separati o ostili (penso soprattutto ai broadcasters e alle telco) si convincano che è loro interesse cooperare per sviluppare il modo migliore di restare sul mercato nazionale ed europeo, senza darla completamente vinta ai grandi gruppi sovranazionali.
Credo che questa collaborazione sia essenziale anche per valorizzare davvero i giacimenti della produzione culturale e artistica italiana. Mi sembra, in particolare, che le esigenze dei broadcaster abbiano grande bisogno di maturazione e di visibilità: per esempio, in Italia la RAI fa buona ricerca ma non mi pare dichiari correttamente i suoi interessi e le sue potenzialità nel dibattito pubblico sull’avvenire della rete, e sulla utilizzazione degli investimenti pubblici resi possibili nell’ambito di Next Generation EU. Invece questo è un giro di boa sostanziale per l’Europa, nel quale non sono ammessi errori, sottovalutazioni, timidezze di alcun tipo.
La conseguenza possibile, e non da sottovalutare, è che si può e si deve tornare a parlare di servizio universale della comunicazione. Quello che è nato come diritto di tutti, all’inizio ricevere una lettera o una cartolina, e poi un segnale televisivo, raggiunto quasi al 99 percento prima del satellite e poi al 100 percento, ora deve essere esteso alla rete onnicomprensiva, fissa e in mobilità. È un diritto per il quale devono essere definite regole, costi, livelli tecnologici di garanzia.
È anche il primo punto del programma ONU sul digitale: raggiungere la connettività universale entro il 2030. Quello del servizio universale è un punto di vista che non può essere trascurato, nel quale i servizi pubblici, non più solo broadcasters radiotelevisivi, non più soltanto media companies, hanno un ruolo da giocare in Europa e nel mondo.
[1]Il Rapporto Global Internet Phenomena risalente al maggio 2020 è scaricabile online previa iscrizione al sito: https://www.sandvine.com/phenomena
[2]Censis, 54 Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2020, Milano, Franco Angeli, 2020, 536 p. Si veda il capitolo “Comunicazione e media” riassunto in un comunicato stampa https://www.censis.it/comunicazione/il-capitolo-%C2%ABcomunicazione-e-media%C2%BB-del-54%C2%B0-rapporto-censis-sulla-situazione-sociale.
[3] Antonio Arcidiacono, “Media e Teleco: una nuova opportunità per innovare insieme”. Vedilo alle pp. xx-xx-
[4] Più precisamente definita 5th Generation Wireless Systems.