Il dibattito a più voci sugli effetti della trasformazione digitale e del Corona Virus si conclude con un breve saggio dell’ingegner Angelo Piazzolla, già consulente aziendale ed esperto di tecnologie dell’informazione e della comunicazione, oggi imprenditore, che si chiede se quella in atto è “Trasformazione o evoluzione digitale?”. Per Piazzolla non si tratta di Trasformazione. “Penso che sarebbe più opportuno parlare di “Evoluzione Digitale”, perché in questo mondo di bit, scambiati per comprare un biglietto aereo, un abbonamento a un servizio di Video on Demand a pagamento (SVoD) o ad un servizio di musica liquida, ognuno di noi, in funzione della sua classificazione generazionale (Generazione X, Y, Z, eccetera) non farà altro che evolversi verso un nuovo livello relazionale con la tecnologia, come dei novelli Mario Bros (nativo digitale, migrante digitale, eccetera).La Generazione X, ossia di coloro che sono nati tra il 1965 e il 1980, ha vissuto il libro, il vinile, l’audiocassetta, il VHS, il CD, il blue ray, l’mp3; si è passati dal pesare la curiosità (in termini di chilogrammi) alla possibilità di accedervi (in termini di bit). Le attuali generazioni stanno convivendo con l’intelligenza artificiale, i big data, gli analytics, la realtà virtuale e la realtà aumentata, che ci permettono di capire meglio il comportamento nel presente per ottenere un futuro prevedibile”. Piazzola constata che “La pandemia ha modificato indiscriminatamente i comportamenti di ognuno di noi, favorendo l’evoluzione digitale, ovvero il passaggio, come in un ipotetico videogame, dal livello 1 al livello 2, forse 3, quasi per tutti. Si è avuta una crescita importante dell’e-commerce, un aumento della fruizione di contenuti a pagamento in streaming, un aumento dei pagamenti elettronici, una riduzione della paura della tecnologia, un uso intelligente della stessa per poter continuare a lavorare, a comunicare, a vivere. La pandemia inoltre ha reso le diverse generazioni consapevoli del nuovo contesto sociale denominato YOLO (You Only Live Once, ovvero Vivi solo una volta) e ha di fatto modificato i comportamenti sociali di tanti. I modelli di business conseguentemente sono stati rivisti – chiarisce Piazzolla – , in alcuni casi per evolvere, in altri per cercare di ritornare al passato. Il mercato televisivo e quindi i suoi contenuti è uno di quelli che ne ha risentito (in meglio) e che potrebbe rivoluzionare il paradigma. Fino a poco tempo fa (una decina di anni) una trasmissione televisiva veniva guardata solo attraverso il televisore (perché esisteva solo il televisore) dal divano di casa; oggi invece, a livello tolemaico o copernicano, abbiamo necessità di prendere in considerazione il punto di riferimento per capire quale sia il first screen e quale sia il second screen, dove il second screen può essere tutto ciò che non è un televisore (smartphone, tablet, pc), considerando come anno zero la nascita del tablet e i primi esperimenti su second screen (per esempio SKY Go). In entrambi i casi l’evoluzione digitale ha rivoluzionato il modo di fruizione del contenuto”- L’articolo prosegue evidenziando cinque elementi fondamentali de “L’evoluzione dei comportamenti nel consumo generazionale in particolare di eventi sportivi” e altrettanti elementi da prendere in considerazione con lo sviluppo dei social network delle App e delle fruizioni “enhanced”. “Nel futuro prossimo venturo che attende le nostre aziende – conclude Piazzolla – non [c’è] solo Smart Working l’evoluzione digitale (cosciente o forzata, dovuta alla pandemia) del lavoro ci ha permesso di gestire alcune attività aziendali senza viaggi, meeting, stress da traffico (riducendo conseguentemente l’inquinamento, by the way), raggiungendo gli obiettivi predisposti; ci ha fatto capire che ci sono quindi metodi alternativi per arrivare all’obiettivo”.
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Qualche tempo fa, rimettendo in ordine un’entropica biblioteca di casa, mi sono imbattuto in una triade di saggi che avevo letto molto distrattamente, purtroppo tanti anni fa, ed uno letto recentemente; uno di Nicholas Negroponte, Essere Digitali (1), uno di Jeremy Rifkin, L’era dell’accesso (2), uno di Marshall McLuhan Il ViIlaggio Globale (3) e uno di Alex Ross, Il Resto è Rumore (4). Sfogliandoli, ho ritrovato una serie di considerazioni quanto mai attuali: la fine della proprietà privata intesa come tale ed il crescere del fenomeno del “pay-for-use”, inteso come accesso a servizi e beni che non necessariamente devono essere di proprietà; la perdita dell’immaginazione visiva e della creatività “real time” alimentata dalla lettura di un libro (attraverso il quale devi inventarti ed immaginare il mondo descritto e le sue emozioni), rispetto alla “narrazione multimediale”, già preparata in tutte le sue possibili variazioni (o requisiti funzionali) e pronta ad essere recepita (come in un video game); la riduzione temporale delle distanze, in un mondo quindi sempre più raggiungibile sia fisicamente, grazie all’incremento del traffico aereo, sia “informativamente”, attraverso l’evoluzione esponenziale dei media; l’evoluzione della musica, avvenuta attraverso impercettibili momenti di incontro casuale tra culture lontane, grazie alla possibilità di viaggiare più comodamente (in navi e aerei, a partire dai primi anni del Novecento) e di ascoltare combinazioni di note fuori da un contesto “canonico”, grazie all’evoluzione delle registrazioni discografiche ed il conseguente proliferare dei primi giradischi.
Le tematiche toccate da questi saggi, in effetti, sono quelle che poi la trasformazione digitale (dicitura fastidiosa, ma purtroppo necessaria e oramai inflazionata, seconda solo a “resilienza”) ha ampiamente ed esponenzialmente sviluppato.
Trasformazione digitale o evoluzione digitale?
Ma perché trasformazione? Perché vogliamo parafrasare la Legge di Lavoisier? Penso che sarebbe più opportuno parlare di “Evoluzione Digitale”, perché in questo mondo di bit, scambiati per comprare un biglietto aereo, un abbonamento a un servizio di Video on Demand a pagamento (SVoD) o ad un servizio di musica liquida, ognuno di noi, in funzione della sua classificazione generazionale (Generazione X, Y, Z, eccetera) non farà altro che evolversi verso un nuovo livello relazionale con la tecnologia, come dei novelli Mario Bros (nativo digitale, migrante digitale, eccetera).
La Generazione X, ossia di coloro che sono nati tra il 1965 e il 1980, ha vissuto il libro, il vinile, l’audiocassetta, il VHS, il CD, il blue ray, l’mp3; si è passati dal pesare la curiosità (in termini di chilogrammi) alla possibilità di accedervi (in termini di bit). Le attuali generazioni stanno convivendo con l’intelligenza artificiale, i big data, gli analytics, la realtà virtuale e la realtà aumentata, che ci permettono di capire meglio il comportamento nel presente per ottenere un futuro prevedibile.
Ma c’è sempre un cigno nero all’orizzonte.
Gli effetti del Covid-19 sul consumo televisivo e la crescita del secondo schermo
Nel nostro caso si è chiamato Covid-19, ed ha accelerato alcuni comportamenti che avrebbero avuto un tempo evolutivo leggermente più lungo.
La pandemia ha modificato indiscriminatamente i comportamenti di ognuno di noi, favorendo l’evoluzione digitale, ovvero il passaggio, come in un ipotetico videogame, dal livello 1 al livello 2, forse 3, quasi per tutti. Si è avuta una crescita importante dell’e-commerce, un aumento della fruizione di contenuti a pagamento in streaming, un aumento dei pagamenti elettronici, una riduzione della paura della tecnologia, un uso intelligente della stessa per poter continuare a lavorare, a comunicare, a vivere. La pandemia inoltre ha reso le diverse generazioni consapevoli del nuovo contesto sociale denominato YOLO (You Only Live Once, ovvero Vivi solo una volta) e ha di fatto modificato i comportamenti sociali di tanti.
I modelli di business conseguentemente sono stati rivisti, in alcuni casi per evolvere, in altri per cercare di ritornare al passato. Il mercato televisivo e i suoi contenuti è uno di quelli che ne ha risentito (in meglio) e che potrebbe rivoluzionare il paradigma. Fino a poco tempo fa (una decina di anni) una trasmissione televisiva veniva guardata solo attraverso il televisore (perché esisteva solo il televisore) dal divano di casa; oggi invece, a livello tolemaico o copernicano, abbiamo necessità di prendere in considerazione il punto di riferimento per capire quale sia il first screen e quale sia il second screen, dove il second screen può essere tutto ciò che non è un televisore (smartphone, tablet, pc), considerando come anno zero la nascita del tablet e i primi esperimenti su second screen (per esempio SKY Go). In entrambi i casi l’evoluzione digitale ha rivoluzionato il modo di fruizione del contenuto.
Alcuni numeri:
- il 70 per cento della popolazione mondiale è dotata di smartphone di ultima generazione
- il 75 per cento della popolazione americana, quando guarda il first screen (in genere il televisore) fa qualcosa d’altro su second screen (in genere lo smartphone); di questi, il 35 per cento sta navigando alla ricerca di qualcosa da comprare.
L’evoluzione dei comportamenti nel consumo generazionale in particolare di eventi sportivi
Questo significa che l’evoluzione digitale ha modificato il comportamento di fruizione di contenuti delle generazioni (in particolare la generazione Y, nati fra il 1985 e il 1995 e la generazione Z, nati fra il 1995 e il 2010); eppure sembra che questo non preoccupi più di tanto; i diritti sportivi televisivi, ad esempio, premiano ancora il prezzo più alto, meno la capacità di fruizione del contenuto in forma almeno costante nel tempo, così da generare valore stabile. Stop.
Tali valutazioni non tengono conto di almeno cinque elementi fondamentali:
- la riduzione del tempo medio di attenzione della Generazione Y e Z che è sceso a 9 minuti, che non sono i 90 di una partita di calcio, il che significa che i futuri fruitori di servizi televisivi dovrebbero essere catturati in maniera innovativa e creativa, altrimenti si perderanno per strada;
- I cambiamenti comportamentali importanti che il mondo dello sport sta vivendo, alcuni dovuti proprio all’evoluzione digitale;
- l’attivismo sociale degli atleti, dovuto alla consapevolezza che l’atleta, in quanto persona, può portare avanti un messaggio politico real time: l’inginocchiamento per il blacklivesmatter# ha avuto un tempo di propagazione sicuramente più veloce dei pugni alzati a Citta del Messico nel 1968 da Tommie Smith e John Carlos;
- Gli atleti sono ormai a tutti gli effetti creatori di contenuto: un Cristiano Ronaldo potrebbe generare ricavi enormemente più alti attraverso il suo essere influencer sui social, piuttosto che attraverso una classica campagna di advertising;
- La rivoluzione offensiva, per cui l’attenzione dell’utente o dello sportivo è maggiore se, soprattutto nel calcio, la squadra gioca in attacco cercando di segnare in ogni momento; ciò porta conseguentemente a prediligere, in ottica di supporto alla generazioni di ricavi, squadre così predisposte, oppure a sintetizzare i 90 minuti di una partita in highlights costruiti solo sulle azioni più interessanti e sui gol realizzati (ricordando che il tempo di attenzione è sceso a 9 minuti).
A questi cinque elementi vanno altresì aggiunti altri fattori da tenere in considerazione:
- sebbene la raccolta pubblicitaria televisiva abbia avuto un grande successo nel 2020 (tutti hanno superato il budget previsto), ci si sta accorgendo che l’efficacia del messaggio pubblicitario in televisione sta spaventosamente decrescendo, a favore di quella sui social; quindi possiamo sostenere che in termini strategici le emittenti televisive tradizionalmente legate al concetto di raccolta pubblicitaria passiva, stanno reagendo all’evoluzione digitale utilizzando strumenti di mercato ormai obsoleti;
- sono cresciute le fruizioni di contenuti video di breve durata su You Tube (visione per noia, quando non si sa che cosa fare) o su TikTok, così come sono cresciuti i tempi medi di permanenza sui social, oramai stratificati per età (Facebook non è più di moda tra le nuove generazioni ma lo è diventato per le vecchie):
- alcuni format televisivi hanno sperimentato l’affiancamento della fruizione televisiva tradizionale con una fruizione “enhanced”, offrendo agli utenti, attraverso un’App, contenuti aggiuntivi;
- la Generazione X, che è quella a cui appartengo ed è quella alla quale appartiene buona parte del management attuale, è una generazione che è obbligata ad evolvere, a capire cosa le future generazioni faranno o immagineranno, ovvero, se conviene che esse seguano il messaggio di Negroponte, cioè quello di immaginare il futuro, oppure che fruiscano di un futuro che qualcun altro sta preparando per loro, come se tale futuro sia parte di uno dei livelli del videogioco a lui destinato;
- La Generazione X è sicuramente un osservatorio privilegiato, perché permette di contaminarsi, di diventare un primordiale sistema di analytics per fare infinite commutazioni, partendo da contesti vissuti e passati;
- l’evoluzione digitale, a differenza di quella antropologica, è di tipo esponenziale, ovvero in pochi anni è possibile vedere dei cambiamenti evolutivi importanti;
- l’evoluzione digitale, tuttavia, non è solo sociale o culturale; è soprattutto tecnologica, hardware, infrastrutturale, e la combinazione di queste componenti può essere esplosiva.
Il futuro prossimo venturo che attende le nostre aziende: non solo Smart Working
Settori che sono molto attenti ai cambiamenti sociali, utilizzano ancora la tecnologia come uno strumento a supporto dei processi primari, e non integrato negli stessi; sarà necessaria quindi una vera e propria rivoluzione digitale del comportamento organizzativo per far si che questo avvenga. Le organizzazioni aziendali, infatti, sono ancora legate a comportamenti organizzativi tradizionali; il digitale è un’area tecnologica a sé stante, non permeata e fluida all’interno della corporation.
Facciamo un esempio: uno dei topics più sentiti in questo periodo, in tutto il mondo, è se conviene ridurre le ore in Smart Working e far ritornare la gente in ufficio o meno. L’uomo infatti è un animale sociale (ha detto qualcuno), ed è giusto che riprenda ad incontrarsi socialmente; ma è anche un essere digitale, che vive in un villaggio globale ed è dotato di accessi ad infiniti servizi (non a caso i social in alcune multinazionali o nelle pubbliche amministrazioni sono banditi e non sono permessi durante le ore di lavoro). Lo Smart Working, forse, è stato associato spesso alla pandemia e il ritorno alle attività tradizionali, riposizionandolo a efficace attività di disaster recovery, potrebbe essere visto anche come un esorcismo per scongiurare nuovi cigni neri. Eppure l’evoluzione digitale (cosciente o forzata, dovuta alla pandemia) del lavoro ci ha permesso di gestire alcune attività aziendali senza viaggi, meeting, stress da traffico (riducendo conseguentemente l’inquinamento, by the way), raggiungendo gli obiettivi predisposti; ci ha fatto capire che ci sono quindi metodi alternativi per arrivare all’obiettivo.
Ma lo smart working non è che un altro esempio di quello che è successo in questo periodo, da inserire in quel calderone di dati da cui possono nascere nuove forme di comportamento e di cui ho già sinteticamente parlato:
- aumento dell’utilizzo delle piattaforme e-commerce per acquistare beni e servizi
- aumento dell’utilizzo di sistemi di pagamento elettronici
- aumento della fruizione di contenuti televisivi, sia su first screen che su second screen
- aumento dell’utilizzo dei social
- aumento dell’utilizzo di sistemi di video chiamata
- aumento del traffico telefonico
- aumento del traffico internet e conseguente aumento dei contratti di abbonamento ad esso correlati
Sono convinto che, seguendo le orme e la sindrome del Bianconiglio lasciate da questi “aumenti” e vivendo pienamente in questo mondo frenetico, come l’Alice di Lewis Carrol, anche noi potremmo avere accesso a nuove meraviglie.
Il resto è rumore.
Note al testo
(1) Nicholas Negroponte, Essere digitali, Milano, Sperling & Kupfer, 1995. 257 p. Edizione originale: Being Digital, New York, Alfred Knopf,1995, 243 p.
(2) Jeremy Rifkin, L’era dell’accesso. La rivoluzione della new economy, Milano, Mondadori, 405 p. Edizione originale: The age of access: how the shift from ownership to access is trasforming capitalism, London, Penguin Books, 2000, 312 p.
(3) Marshall McLuhan, Bruce R. Powers, Il villaggio globale. 21 Secolo. Trasformazioni nella vita e nei media, Milano Sugarco, 1992, 252 p. Edizione originale: The Global Village: Transformations in World Life and Media in the 21st Century, London- New York, Oxford University Press, 1989, XIII-220 p.
(4) Alex Ross, Il resto è rumore. Ascoltare il XX secolo, Milano, Bompiani, 2009, 892 p. Edizione originale: The rest is noise. Listening to the twentieth century, New York,Farrar, Straus and Giroux, 2007, XIV-624 p.