Il ricordo

Democrazia Futura. Ricordo di don Lorenzo Milani nel centenario della nascita

di Stefano Rolando, insegna Comunicazione pubblica e politica all’Università IULM. Condirettore di Democrazia futura e membro del Comitato direttivo di Mondoperaio |

100 anni di Don Milani, le sue origini da una famiglia complessa e importante con tratti anticlericali.

Stefano Rolando

Stefano Rolando rievoca la formazione del tutto originale e le origini complesse della famiglia nel suo “Ricordo di don Lorenzo Milani nel centenario della nascita” prima di rievocare l’esperienza pedagogica della Scuola di Barbiana promossa dal parroco noto per la sua Lettera a una professoressa e le polemiche che essa scatenò nell’Italia della seconda metà degli anni Sessanta. “Il padre era Albano Milani, imprenditore agricolo ed esponente della classe dirigente toscana del primo Novecento, la madre Alice Weiss, apparteneva ad una famiglia di ebrei boemi trasferiti a Trieste, allieva di James Joyce, cugina di Edoardo Weiss che fu il trait-d’union della psicoanalisi da Sigmund Freud (e la sua rivista Imago di cui era parte) ai fondatori in Italia. I nonni erano Luigi Adriano Milani e Laura Comparetti a sua volta figlia di uno dei maggiori filologi dell’Ottocento, Domenico Comparetti (per cui i cognomi familiari furono mescolati), mentre fratello di Lorenzo era Adriano Milani Comparetti importante neuropsichiatra infantile. Genitori dunque agnostici e con tratti di famiglia anche anticlericali, rispetto a cui – osserva Stefano Rolando – la conversione e la scelta sacerdotale di Lorenzo fu parte di un’evoluzione individuale giovanile che prese le mosse, dopo il liceo classico (al Berchet a Milano, in cui era compagno di classe di Oreste Del Buono che su di lui scrisse varie volte), non facendo l’università a cui lo spingeva la famiglia ma andando verso una vocazione alla pittura a cui si dedicò tra studi a Brera e a Firenze e lavorando anche nello studio di un pittore tedesco”.

Don Milani fu parte di una complessa e importante famiglia.

E’ il centenario di un capitolo rilevante del civismo di scopo sociale del ‘900 e un messaggio per l’agenda politica di oggi sugli irrisolti del sistema dell’educazione, per la centralità sociale della scuola, contro la nuova analfabetizzazione.

Don Lorenzo Milani, parroco di Barbiana, era nato a Firenze il 27 maggio 1923 ed è morto a Firenze il 26 giugno 1967, a soli 44 anni.

Il padre era Albano Milani, imprenditore agricolo ed esponente della classe dirigente toscana del primo Novecento, la madre Alice Weiss, apparteneva ad una famiglia di ebrei boemi trasferiti a Trieste, allieva di James Joyce, cugina di Edoardo Weiss che fu il trait-d’union della psicoanalisi da Sigmund Freud (e la sua rivista Imago di cui era parte) ai fondatori in Italia. I nonni erano Luigi Adriano Milani e Laura Comparetti a sua volta figlia di uno dei maggiori filologi dell’Ottocento, Domenico Comparetti (per cui i cognomi familiari furono mescolati), mentre fratello di Lorenzo era Adriano Milani Comparetti importante neuropsichiatra infantile.

Genitori dunque agnostici e con tratti di famiglia anche anticlericali, rispetto a cui la conversione e la scelta sacerdotale di Lorenzo fu parte di un’evoluzione individuale giovanile che prese le mosse, dopo il liceo classico (al Berchet a Milano, in cui era compagno di classe di Oreste Del Buono che su di lui scrisse varie volte), non facendo l’università a cui lo spingeva la famiglia ma andando verso una vocazione alla pittura a cui si dedicò tra studi a Brera e a Firenze e lavorando anche nello studio di un pittore tedesco. Neera Fallaci – sorella di Oriana e Paola Fallaci – che trattò la biografia di don Lorenzo[1], scrisse che le regole della pittura avevano messo in movimento una parte della sua conversione, così come la stessa mamma di don Lorenzo spiega nella brevissima e asciutta nota introduttiva a Lorenzo Milani, Lettere alla mamma, 1943-1967[2], dicendo che per un lungo tratto si dedicò alla pittura sacra.

Nella sua biografia vi sono anche tracce di vita amorosa giovanile. Una bella ragazza dai capelli rossi – che era Tiziana Fantini che divenne pittrice di un certo nome a Milano e a Trieste – e poi quella Carla Sborgi che fu “quasi fidanzata”. Ma la scelta del sacerdozio interruppe queste vicende, pur mantenendo le amicizie tanto che nei giorni finali della malattia don Lorenzo volle che Carla Sborgi lo venisse a trovare a Barbiana per poterle far conoscere i suoi ragazzi della scuola.

Lorenzo ebbe la prima comunione nel 1934 a Montespertoli (dove aveva sede la fattoria di famiglia, la “Gigliola”, con oltre 200 ettari di terra coltivata), nel 1943 – in piena guerra – si convertì al cattolicesimo e nel giugno di quell’anno ricevette anche la cresima, sempre seguito dal suo padre spirituale che era don Raffaele Bensi. Nel novembre del 1943 entrava in seminario a Cestello in Oltrarno rimanendovi fino al luglio del 1947 quando, in Duomo a Firenze, fu ordinato sacerdote.

Ma in quegli anni Lorenzo conobbe anche conflitti, disaccordi e tensioni con la Curia fiorentina, avendo già lui imboccato alcune opzioni “di coscienza”, come il contrasto al servizio militare obbligatorio (argomento che da sacerdote gli costò un processo per apologia di reato, che lo vide assolto in primo grado ma con un appello che si complicò anche se la morte arrivò prima della sentenza).

Gli screzi veri con la curia fiorentina vennero soprattutto a metà degli anni Cinquanta, quando fu tolto dalla parrocchia di Calenzano dove era coadiutore – e nel cui ambito aveva scritto il suo testo più significativo Esperienze pastorali[3] – e venne spedito in una frazione piccola e sperduta del Comune di Vicchio, appunto la parrocchia di Barbiana.

Qui – accanto alle funzioni parrocchiali ordinarie – don Lorenzo si dedicò a un progetto di scuola dell’inclusione, che aveva l’obiettivo non di selezionare ma di accompagnare al risultato i bambini delle famiglie contadine che gli venivano affidati, con insegnamento dedicato e personalizzato e intesa come un luogo collettivo in cui chi sapeva insegnava.

Quando tre allievi di Barbiana, presentatisi come privatisti ad una scuola media di Firenze vennero bocciati da un professoressa che non valutò a fondo la particolarità dei loro percorsi di apprendimento, nacque il famoso testo Lettera a una professoressa (che vide la luce nel 1967[4]) provocando un certo scandalo nazionale, collocato in un anno in cui si ampliava il dossier generazionale di conflitto contro aspetti autoritari e non adeguatamente riformati della società e delle istituzioni in Italia, un’onda – già in tensione per storie interne e internazionali – che confluì nel ’68. Il testo denunciava il sistema scolastico classista e la stessa didattica classista. Figura di rilievo nella narrativa era il Pierino del Dottore, che figlio di una famiglia borghese (che poi era la stessa famiglia di don Milani nei cui panni don Lorenzo aveva collocato il nipote, figlio del fratello) era arrivato alle elementari con il grande vantaggio, rispetto a figli di famiglie modeste, di saper già leggere e scrivere.

Molto ci sarebbe da commentare su quelle vicende e sulle polemiche che insorsero. La sua linea pedagogica era contro le punizioni corporali, per un insegnamento amico in cui il sapere, la cultura, contano più dell’apprendimento delle tecniche. Ciò generò contrarietà ma anche entusiasmo e solidarietà. Don Milani fu il primo ad adottare il motto inglese “I Care”, cioè mi importa, mi interessa, inteso come motto antagonista del me ne frego fascista. Espressione che Walter Veltroni fece campeggiare sul congresso di fondazione del Partito Democratico, rendendo poi a don Milani l’omaggio di un primo evento una volta assunta la responsabilità della guida di quel partito.

Come detto la morte precoce, causata da un linfoma di Hodgkin non curabile, spezzò un percorso esperienziale che avrebbe prodotto molte evoluzioni. Tra chi attaccò – dalle colonne del Corriere della Sera – il modello di scuola che don Milani aveva tratteggiato a Barbaiana vi fu Indro Montanelli che reagiva a difesa della borghesia che quel modello additava come privilegiata. Ma alla fine Montanelli – toscano di Fucecchio – scrisse una lettera personale a don Lorenzo dicendogli: “per metà io sto con voi, ma per l’altra metà sto con il Sant’Uffizio”.

La prima edizione nel 1967 della Lettera a una professoressa

Dall’altra parte Pier Paolo Pasolini, parlando a Milano, alla Casa della Cultura, a ottobre dell’anno in cui don Milani era morto, pur criticando la sua scrittura come “neo-pascoliana”, si dichiarava entusiasta dei contenuti della sua esperienza in particolare rintracciando nella professoressa della famosa “Lettera” i tratti piccolo-borghesi che Pasolini vedeva come un offuscamento dei valori della tradizione contadina italiana.

Dovranno comunque passare molti anni per una rimeditazione dei conflitti tra la Chiesa di quel tempo e la figura sociale di don Lorenzo, fino a quando Papa Francesco – nel 2017 – si recò sulla tomba a Barbiana con un discorso di ampio riconoscimento seguito poi da un messaggio per la presentazione dell’opera omnia di don Milani, nel quale ebbe l’intuizione di quella scuola come “ospedale da campo per recuperare gli emarginati”.

Ecco, pur a fronte di tanti altri elementi di una vita, di opere e di dispute politiche e culturali attorno alla figura di don Lorenzo Milani, credo di avere fatto sintesi degli elementi cruciali.

Tuttavia tengo a farvi ascoltare la voce di suo nipote, il prof. Andrea Milani Comparetti, appunto il “Pierino del Dottore” della Lettera a una professoressa, mio compagno di scuola e mio sincero amico, con cui facevamo insieme i giornali studenteschi del nostro liceo – il Carducci a Milano – e con cui all’inizio dell’università eravamo insieme nella redazione della rivista Il Mulino a Bologna, che ordinario di Matematica celeste all’Università di Pisa, noto esperto di corpi celesti e di asteroidi, insignito di molti premi della comunità scientifica, tra cui anche l’intestazione di un asteroide che viaggia nel cielo con il suo nome, è morto prematuramente nel 2018.

Nel mio contatto con i suoi congiunti è nato il desidero di riprendere, con i ricordi, le testimonianze e le sue carte, un certo lavoro di valorizzazione biografica in cui c’è posto per la sua grande famiglia e per i rapporti con suo zio don Lorenzo, che restarono nella vita affettuosi e di stima pur nella distinzione tra l’importanza strategica di lavorare per un scuola dell’uguaglianza e un certo massimalismo di quegli anni che spingeva ad un “volere tutto” di cui poi gli anni Settanta hanno mostrato il rischio estremistico.


[1] Neera Fallaci. Dalla parte dell’ultimo. Vita del prete don Lorenzo Milani, Milano, Rizzoli, 1974, 549 p.

[2] Lorenzo Milani, Lettere alla mamma, 1943-1967, Milano, Mondadori, 1973, 218 p.

[3]Lorenzo Milani, Esperienze pastorali, Prefazione di Giuseppe D’Avack, Firenze, Libreria editrice fiorentina, 1958, 477 p.

[4] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria editrice fiorentina,1974, 166 p.

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