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Democrazia Futura. Ricordo di Bino Olivi (1925-2011)

Bino Olivi

A dieci anni dalla sua scomparsa ricordiamo nella rubrica Memorie nostre la figura di Bino Olivi, fondatore e primo presidente di Infocivica, riprendendo due scritti a caldo usciti il giorno della sua scomparsa nel febbraio 2011. Nel primo il compianto Gerardo Mombelli, già direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Ue e suo successore come Presidente di Infocivica,  nel suo breve “Ricordo di Bino Olivi (1925-2011) traccia a grandi linee – come recita l’occhiello – “Il percorso di un alto funzionario europeo da Treviso a Bruxelles”, sottolineando in conclusione come l’ex Portavoce della Commissione Ue e storico dell’Europa difficile “[…] da militante federalista e da ammiratore di Altiero Spinelli, ha certamente contribuito a superare, a far superare, una concezione dell’europeismo italiano, come dire? puramente sentimentale o prevalentemente dottrinaria”. Per parte sua Bruno Somalvico che è stato con Bino Olivi coautore di due saggi e fondatore dell’Associazione Infocivica – Gruppo di Amalfi in alcuni “Appunti per una biografia politica del fondatore dei Servizi informativi della Commissione europea” dopo aver descritto la complessa personalità di Olivi, definito “uomo di convinzioni, ovvero con solidi principi, quelli di un servitore disinteressato del bene pubblico e della collettività, al servizio delle istituzioni e di quegli strumenti che istituzioni e attori politici si attribuiscono per comunicare con i cittadini ed agire”, ne sottolinea la dimensione di “uomo di sinistra che prova amore per la patria”: Bino – scrive Somalvico – ha sempre amato l’Italia, ha sofferto la cosiddetta stagione della “morte della patria” e condannato una certa vulgata antifascista della resistenza, quella che negava i fondamenti del patriottismo in nome del dogma internazionalista” ricordando “L’impegno politico di un osservatore disincantato per una sinistra europea” prima di soffermarsi sul “[suo] sodalizio con Bino Olivi e le ragioni per le quali [ha] ritenuto opportuno svelare il segreto di Bino”: “Un intellettuale engagé che rifiutava prima di tutto il presentismo e la politica intesa come arte gattopardesca del rimanere a galla all’interno della palude centrista […] Con uno spiccato gusto per la provocazione intellettuale contro le persone troppo allineate con i partiti nella prima repubblica e poi contro le consorterie che hanno dominato la seconda”.


Il percorso di un alto funzionario europeo da Treviso a Bruxelles.
Ricordo di Bino Olivi (1925-2011)

di Gerardo Mombelli, già direttore della Rappresentanza in Italia della Commissione Ue e Presidente di Infocivica

Io sono nato a Treviso nel 1925, da una vecchia famiglia di borghesia cittadina. L’ambiente familiare era quello classico delle famiglie cattoliche moderate del Veneto, abbastanza agiate e strettamente legate alla gerarchia ecclesiastica, con in più una vecchia tradizione di reggimento della cosa pubblica locale, che è una delle caratteristiche salienti dei cosiddetti cattolici liberali del Veneto”.

Con queste parole Bino Olivi, scomparso a Roma il 14 febbraio 2011, inizia a raccontare la propria vita in una lettera a Roberto Ducci, il quale, nel 1964, avrebbe dovuto prefare L’Europa difficile, il primo libro[1] scritto da quello che era allora il Portavoce della Commissione della Comunità Economica Europea. Un titolo felice per un insieme di saggi sui protagonisti dell’iniziativa europea, che l’autore avrebbe mantenuto anche per le successive edizioni della sua opera più significativa, dedicata alla storia dell’integrazione, il primo testo europeo che ricostruisce organicamente le vicende della CEE, pubblicata per i tipi de Il Mulino[2] e tradotta in francese da Gallimard[3].

Olivi – giovane partigiano prima nelle file garibaldine, poi nelle Brigate autonome – entra in magistratura subito dopo la laurea e vi resta per otto anni, nonostante si considerasse “troppo fazioso per essere un buon giudice”.

Nel 1960, chiamato al Gabinetto del Commissario Giuseppe Caron, diventa funzionario comunitario e nel 1961 Portavoce unico della Commissione, funzione che eserciterà per diciassette anni.

In tanti anni vissuti a Bruxelles mi ero talmente impregnato d’Europa e dei problemi della sua unificazione, da sentirmi protagonista degli accadimenti […] scriverà nell’introduzione del suo ultimo libro (L’Europa del terzo millennio[4], pubblicato a pochi mesi dalla morte.

E in realtà, attraverso la sua attività di brillante funzionario europeo e di acuto cronista della evoluzione del processo di integrazione, Bino Olivi ha fornito una preziosa testimonianza e un vivace ritratto del significato dell’esperienza comunitaria e della presenza italiana a Bruxelles.

In particolare, da militante federalista e da ammiratore di Altiero Spinelli, ha certamente contribuito a superare, a far superare, una concezione dell’europeismo italiano, come dire? puramente sentimentale o prevalentemente dottrinaria.

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[1] Bino Olivi, L’Europa difficile Introduzione di Roberto Ducci, Milano, Edizioni di Comunità, 1964, 189 p.

[2] Bino Olivi, Europa difficile. Storia politica della Comunità europea Bologna, Il Mulino, 1993, 512 p. Seconda edizione aggiornata: L’Europa difficile. Storia politica dell’integrazione europea, 1948-1998, ivi, 1996, 609 p. Terza edizione aggiornata, 1948-2000, ivi, 2000, 655 p. infine 2001, 679 p.  Questa storia è stata poi compendiata e aggiornata in: Bino Olivi e Roberto Santaniello, Storia dell’integrazione europea. Dalla guerra fredda alla Costituzione dell’Unione, Bologna, Il Mulino, 2005, 347 p. Seconda edizione aggiornata: ivi, 2010, 361 p. Terza edizione: Storia dell’integrazione europea. Dalla guerra fredda ai giorni nostri , ivi, 2015, 378 p.

[3] Bino Olivi, L’Europe difficile. Histoire politique de la Communaute européenne, Paris, Gallimard, 1998, IX-792 p. Seconda edizione:  L’Europe difficile : histoire politique de l’integration europeenne, ivi, 2000, 900 p. Infine rifusa, aggiornata e aumentata in: Bino Olivi, Alessandro Giacone, L’Europe difficile. Histoire politique de la construction européenne, Paris, Gallimard, 2007, VI-546 p.

[4] Bino Olivi, L’Europa del terzo millennio : cronache di otto anni, Roma, Ediesse, 2010, 173 p. Raccolta di articoli scritti per il quotidiano triestino il Piccolo e per altre testate italiane.


Appunti per una biografia politica del fondatore dei Servizi informativi della Commissione europea.
Il segreto di Bino

di Bruno Somalvico, con Bino Olivi coautore di due saggi e fondatore dell’Associazione Infocivica – Gruppo di Amalfi

Riproduco con qualche opportuna integrazione – a dieci anni dalla scomparsa avvenuta nel febbraio 2011 un mese prima delle celebrazioni del Centocinquantenario dell’Unità d’Italia – il ricordo scritto a caldo il giorno della scomparsa di Bino Olivi, di cui mi onoro di essere stato amico da quel novembre 1989 che ha cambiato la nostra storia, quando lo conobbi al settimo piano di Viale Mazzini nell’ufficio di Massimo Fichera, suo grande amico sin dagli anni Sessanta, quando gli fece pubblicare per le Edizioni di Comunità l’edizione originale della sua Europa difficile.

Bino non amava i coccodrilli. Né la retorica. Il pessimismo della ragione e la certezza di vivere tempi difficili gli impedivano ormai da molti anni di assumere quel ruolo diplomatico che per tanti anni aveva esercitato come Portavoce e fondatore dei servizi informativi della Commissione Europea.

Era amato o era odiato. Aveva simpatie e tante antipatie.

Ha mantenuto lucidità e fermezza nelle analisi sino alla fine, anche negli ultimi due brevi editoriali scritti un anno prima della morte per Infocivica[1].

Era, come dicono i francesi, un uomo di convinzioni, ovvero con solidi principi, quelli di un servitore disinteressato del bene pubblico e della collettività, al servizio delle istituzioni e di quegli strumenti che istituzioni e attori politici si attribuiscono per comunicare con i cittadini ed agire.

Amava la storia e la geografia storica.

Conosceva bene tutta l’Europa e la sua storia ma, come molti della sua generazione, temeva il primato della geo-politica, gli ricordava qualcosa di sinistro.

Ho scritto due libri con Bino Olivi negli anni Novanta e nei primi anni Duemila, dopo aver collaborato attivamente insieme a lui al lancio del primo canale satellitare della Rai nel 1990, Rai Sat. Erano i primi passi delle televisioni fuori dai confini nazionali che avrebbero assunto, grazie a satelliti come l’Olympus dell’Agenzia Spaziale Europea, una copertura pan-europea.

L’aggettivo pan-europeo lo infastidiva e ci mise molto prima di accettarlo e utilizzarlo nel comunicato stampa e più tardi nei nostri testi.

Lui aveva conosciuto gli orrori del nazismo e le sue folli teorie sulla conquista del Lebensraum. Io per fortuna no.

Nel 1936, undicenne, avendo lo zio presidente del Coni, aveva potuto assistere all’inaugurazione dei Giochi Olimpici di Berlino in presenza di Adolf Hitler. Poi avrebbe imparato il tedesco, dopo aver letto per la prima volta, giovanissimo, un compendio di Karl Marx in francese.

Nell’immediato dopoguerra, fresco di Laurea e grazie alla conoscenza delle tre principali lingue europee, sarebbe diventato uno studioso di diritto comparato, anche per uscire da quell’aria di autarchia culturale in cui era cresciuto nell’Università italiana nei primi anni Quaranta.

Incontrerà poi, nell’immediato dopoguerra, in un convegno internazionale di giovani universitari, Olof Palme, futuro premier svedese, del quale divenne un grande amico, il giovane Bino Olivi rimase folgorato dalla cultura cosmopolita del futuro leader della socialdemocrazia svedese, prendendo coscienza del ritardo culturale e scientifico italiano all’inizio del secondo dopoguerra.

Le speranze di ricostruire una terza forza laico-socialista alternativa ai due partiti dominanti

Bino sin da quell’incontro vuole in qualche modo riscattarsi e lavorare per avvicinare l’Italia al meglio di quanto esprimessero l’Europa e le sue grandi culture.

La sua apertura mentale e ampia conoscenza delle lingue, della storia dei grandi Paesi europei e dei loro ordinamenti, lo spinge quasi naturalmente ad “entrare in Europa”, rinunciando a proseguire la carriera universitaria in Italia, dopo aver maturato nel corso di quasi tutti gli anni Cinquanta un’esperienza nella Magistratura italiana, quando a capo della Procura di Milano vi era il padre di Francesco Saverio Borrelli.

Bino allora è un appassionato lettore de Il Mondo di Mario Pannunzio, un erede disperso della famiglia azionista che si avvicinerà solo molto più tardi al socialismo italiano quando il PSI avrà decisamente rotto con la tradizione filosovietica e antiatlantica.

Come socialdemocratici e laburisti, è un uomo dell’Occidente, amico degli americani, degli inglesi, dei francesi eredi della France Libre e di tutti coloro che hanno liberato l’Italia dall’onta dell’occupazione nazista. Appartiene a una sinistra liberal-democratica che rifiuta, nell’aprile 1948, di votare per il Fronte Popolare, una sinistra che sembra condannata per molti anni a rimanere minoritaria nel nostro Paese o, comunque, terza forza, in fin dei conti irrilevante nonostante i tentativi riformisti nella stagione del Primo Centro-Sinistra dove trova impegnati vecchi amici come Giorgio Ruffolo.

Una sinistra europea, laica, liberale e riformista, che non c’è mai stata, essendo, quella ufficiale, schiacciata fra i due partiti dominanti: sempre a capo del Governo la DC e sempre inutilmente all’Opposizione, il PCI, a causa del fattore K, ben evidenziato dal suo amico Alberto Ronchey.


Un uomo di sinistra che prova amore per la patria

Bino ha sempre amato l’Italia, ha sofferto la cosiddetta stagione della “morte della patria” e condannato una certa vulgata antifascista della resistenza, quella che negava i fondamenti del patriottismo in nome del dogma internazionalista. Ma anche nella sua maturità, quando favorisce in qualche modo lo sdoganamento presso le istituzioni comunitarie dei comunisti italiani: dopo aver assicurato l’accredito alla sala stampa e le relative facilities fornite dalla Commissione al corrispondente de l’Unità, Bino Olivi riceverà, per la prima volta, a Bruxelles alla vigilia delle prime elezioni europee a suffragio universale, un leader del PCI, Giorgio Amendola, con cui manterrà rapporti per il tramite dell’allora “ministro degli esteri” di Botteghe Oscure Giorgio Napolitano.

Da allora Bino non perde l’occasione per evidenziare in un bel saggio, Carter e l’Italia, limiti e virtù della loro svolta eurocomunista[2].

Certo, continua a rimpiangere l’assenza di una forza di sinistra chiaramente dalla parte dell’occidente come l’SPD di Willy Brandt, il PS di François Mitterrand e lo stesso PSOE di Felipe Gonzalez, grandi leader a capo di forze politiche di sinistra che, senza rimanere in mezzo al guado, tendono ad assumere vocazione maggioritaria, non solo in paesi come il Regno Unito, di consolidata tradizione liberale, ma anche in quelli allora a sovranità limitata come la Germania Occidentale della fine degli anni Sessanta e dell’inizio degli anni Settanta, o in paesi appena transitati verso la democrazia come la Spagna post franchista dei primi anni Ottanta.

Inizialmente con grande speranza, poi con sempre maggior disincanto, guarderà all’esperienza socialista craxiana, prima del suo tragico epilogo, così come alle successive avventure di una sinistra sempre meno capace di interpretare i bisogni della società negli anni dell’infinita transizione verso una seconda Repubblica mai nata, salvando solo le manovre di rigore compiute dal primo governo di Giuliano Amato e poi da quello di Carlo Azeglio Ciampi.

L’impegno politico di un osservatore disincantato per una sinistra europea

Dopo la maledizione dello scioglimento del Partito d’Azione e la diaspora dell’azionismo, di fronte al dominio incontrastato, sino al 1956, del frontismo socialcomunista e denunciando la subalternità, socialdemocratica prima e socialista poi, nei confronti della Democrazia Cristiana, sia nei governi centristi che in quelli di centrosinistra, Bino aspira ad una sinistra davvero europea.
Con questo spirito negli anni Settanta si presenta – più come antipatizzante compagno di strada che come convinto militante – candidato nelle file socialiste nel suo nord-est alle europee del 1979, rifiutando peraltro una, all’epoca quasi matematicamente sicura, elezione come indipendente nelle più disciplinate file comuniste, con le quali viene invece eletto a Strasburgo l’amico ex Commissario Altiero Spinelli, che avrebbe voluto designarlo come suo successore alla Commissione a Bruxelles.
Con lo stesso disincanto, ma sempre con grande spirito di servizio, dichiara ad Antonio Maccanico la sua disponibilità ad occuparsi degli affari europei in occasione del suo tentativo, all’inizio del 1996, di formare un nuovo governo per salvare la legislatura iniziata con il primo Governo guidato da Silvio Berlusconi.
Ma, fatte salve queste due brevi parentesi, Bino in questi anni mantiene soprattutto l’occhio critico dell’osservatore, del docente a contratto, del saggista e del consulente per un’azienda come la Rai.
Gli ultimi due decenni Bino li dedicherà ad aggiornare la sua celebre Europa difficile, la cui prima uscita risale alle edizioni di Comunità, per le quali ricevette nel 1961 il Premio Olivetti – scherzosamente da lui ribattezzato “Premio Fichera”, perché propiziato dall’amico di una vita Massimo Fichera, all’epoca segretario della Fondazione Olivetti, e che ritroverà poi in Rai, quando, finalmente libero da impegni istituzionali, inizia a scrivere puntualmente articoli e commenti sugli affari europei, su giornali e in televisione commentandoli su Rai News 24.

Avvia in parallelo un ruolo sempre più intenso di consulente per la Rai sulle questioni europee, partecipando attivamente nel 1997 – in veste di Consulente della Direzione Affari Internazionali – all’estensione del Protocollo sui servizi pubblici annesso al Trattato di Amsterdam, anno nel quale ho avuto la fortuna di poter pubblicare insieme a lui, preso il Mulino, il nostro primo saggio su La Fine della Commissione di Massa[3].

Il mio sodalizio con Bino Olivi e le ragioni per le quali ho ritenuto opportuno svelare il segreto di Bino

Inizia un sodalizio che, a partire dal settembre 2000 con l’incontro di Amalfi, ci vede impegnati nel lancio della nostra associazione Infocivica. Ci accomunava il provenire da due famiglie ultracattoliche e l’idiosincrasia contro un certo conformismo clericale che si respirava soprattutto in provincia, l’amore per il Risorgimento e la lotta contro le ingiustizie e per la realizzazione di una società aperta. Non aveva mai accettato la morte della madre morta dopo ben dodici gravidanze alle quali era stata costretta da un padre eletto fra i cattolici nel Listone alle ultime elezioni del Regno d’Italia. Nipote materno del Rabbino capo di Modena, Bino non si percepiva come ebreo, ma è stato come tanti di noi, profondamente marcato da alcune grandi personalità di origine ebraica come Carlo Rosselli o Hannah Arendt. A casa sua si respirava sempre, insieme all’amore per la patria, uno spirito internazionalista ovvero l’attenzione al comune destino dell’umanità che non doveva più subire la barbarie delle dittature fasciste e dei totalitarismi del secolo scorso.

Un intellettuale engagé che rifiutava prima di tutto il presentismo e la politica intesa come arte gattopardesca del rimanere a galla all’interno della palude centrista come la chiamava un grande politologo come Maurice Duverger.

Bino guardava sempre al futuro quando parlava di politica ed esaminava gli eventi diplomatici e i conflitti sulla scena internazionale.

Attendo osservatore anche della politica interna dei grandi paesi europei a cominciare dall’amata Francia che rappresentava la terza dimora di Bino nel cuore del Quartiere Latino a Saint Germain-des-Prés e dei cui leader politici conosceva pregi e vizi, forse ancor meglio di quelli dei politici italiani. Insieme alle analisi sapienti che insegnava in vari corsi sulla storia dell’integrazione europea, Bino era una grande conversatore, divertente retroscenista diremmo oggi, ricco di aneddoti e di ricordi di un passato che studiava e approfondiva soprattutto per capire il futuro. Con uno spiccato gusto per la provocazione intellettuali contro le persone troppo allineate con i partiti nella prima repubblica e poi contro le consorterie che hanno dominato la seconda.

Nato sotto il fascismo non voleva “morire democristiano” ma nemmeno morire berlusconiano né prodiano. Pur frequentando Romano Prodi negli ambienti intorno alla casa editrice Il Mulino di cui non mancava le Lecture annuali e a Bruxelles nel periodo in cui era Presidente della Commissione non lesinava certo le critiche al suo operato e a quello del suo portavoce.

In taluni casi cercava addirittura la bagarre con alcune celebri gaffe quasi sempre premeditate, provocando l’ilarità ma anche un certo imbarazzo fra gli astanti. Soprattutto negli ambienti diplomatici. Caratteristiche che gli hanno impedito certamente – come mi diceva – di fare carriera politica.

Attento osservatore dei media, dell’informazione e dell’innovazione tecnologica mi chiedeva sempre di aggiornarlo su temi come l’alta definizione, le nuove offerte multicanali che daranno vita alle prime piattaforme digitali, le bolle speculative che si abbattevano su quella che allora si chiamava Network Society e, in età avanzata, aveva voluto ostinatamente imparare ad usare il computer e la posta elettronica anche se preferiva poi correggere le bozze dei nostri testi su fogli stampati a mano, non senza aggiungere imprecazioni e bestemmie di fronte alle mie “sbrodolature” prolisse. Mettendo a nudo anche le mie scarse conoscenze geografiche soprattutto dell’altra Europa centrale e orientale che invece lui come Erodoto conosceva a menadito. La geografia se da un lato nel passato è servita a fare la guerra, nel futuro avrebbe dovuto favorire la pace come avvenuto con l’inizio della difficile costruzione di un’Europa politica – che non avrebbe dovuto comportare nessuna esclusione ma nemmeno nessuna forzatura di sorta rispettando il sacro principio dell’autodeterminazione dei popoli – dopo la riconciliazione franco-tedesca nel secondo dopoguerra.

Varie volte lo avevo invitato a scrivere la sua autobiografia e, soprattutto, a raccontare i “formidabili” anni della sua formazione a Treviso e del suo impegno nella Resistenza. Ci provai invano. Come Ignazio Silone, anche Bino ha tenuto fede all’impegno di non svelare il suo segreto.

Prima di impegnarsi nelle ultime settimane in montagna con le brigate di Giustizia e Libertà, come lo stesso Silone e Altiero Spinelli, Bino Olivi è stato inizialmente un partigiano comunista. Sino al tragico eccidio di Porzus perpetrato dai comunisti filo-titini ai danni dei partigiani cattolici e laico-socialisti della Brigata Osoppo, quando poco meno che ventenne rifiuta di partecipare ai massacri rompendo definitivamente con il Partito Comunista. Gli viene risparmiata la giovane vita in cambio del giuramento a mantenere un silenzio assoluto, sino alla morte, sulla strage di cui è stato testimone.

Ricordo bene la circostanza in cui mi raccontò questo episodio in un ristorante a Fiumicino dopo essere andato a prenderlo all’aeroporto in uno dei suoi generalmente mensili soggiorni romani. E mi auguro che chi ha osato mettere in dubbio quanto scrivo possa ricredersi.

In un’occasione successiva tentai di convincerlo nuovamente a scrivere le sue memorie e di soffermarsi su quell’episodio giovanile. Mi guardò male. Minacciando di rompere qualsiasi rapporto

Cercai subito di placarne l’ira, sapendo anticipatamente che si trattava di una missione impossibile come sanno tutti coloro che l’hanno conosciuto bene. Ma presi coraggio e mi venne spontaneo ricordargli che la stessa storiografia di matrice comunista è diventata in qualche modo, dopo la stagione apripista di Renzo De Felice, revisionista a modo suo. Persino uno storico di matrice comunista come Claudio Pavone da anni aveva riconosciuto che si trattò di una guerra civile. “E’ finito il Secolo breve” non c’è più ragione di mantenere il silenzio su quella vicenda tanto più dopo l’uscita nel 1997 del film Porzus di Renzo Martinelli. “In ogni caso – insistetti – una Tua testimonianza, a mio parere, sarebbe ancora preziosa per scandagliare quella tragica macchia interna alla guerra partigiana”. Ma lui testardamente mi guardò negli occhi, rifiutando e minacciando di mandarmi definitivamente a quel Paese. “Un giuramento è un giuramento!” – rispose imprecando. Non insistetti ulteriormente perché non avrei avuto una via di scampo. Pacta servanda sunt!

“Il segreto di Bino può essere svelato solo ora che riposa con le sue ceneri nella sua amata Treviso” pensai e lo scrissi il 17 febbraio 2011 a conclusione di questo mio ricordo a caldo di Bino Olivi. 

Post Scriptum.

Con Gerardo Mombelli, subentrato a Bino come Presidente di Infocivica, nelle ultime settimane di vita eravamo andati a trovarlo in una casa di riposo per anziani sulla via Cassia. Ricordo sul comodino a fianco del letto e su una sedia accatastate alcune copie “vissute” di Le Monde e la splendida copertina di Bella e perduta. L’Italia del Risorgimento, un saggio di Lucio Villari uscito da Laterza in previsione delle celebrazioni del Centocinquantenario dello Stato unitario. Lo rividi qualche giorno dopo con l’esposizione della salma nella sede a Roma della Commissione europea in via Quattro novembre. Lo sguardo era come al solito beffardo e spiccava sempre l’immancabile cravattino che regolarmente esibiva come segno distintivo, e non solo nelle grandi occasioni.

Passati dieci anni mi auguro che la storiografia italiana gli dedichi una biografia documentata suffragata non solo dai miei ricordi personali ma anche da nuovi documenti e da altre solide testimonianze.  

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[1] Bino Olivi, “Considerazioni sulla situazione attuale dell’Unione Europea”, Infocivica.it., 1 marzo 2010.

Cfr. http://www.infocivica.it/infocivica.eu/editoriali_di_bino_olivi_01.htm

Bino Olivi “Considerazioni sulla situazione attuale della crisi”, Infocivica.it., 20 aprile 2010.

Cfr. http://www.infocivica.it/infocivica.eu/editoriali_di_bino_olivi_02.htm.

[2] Bino Olivi, Carter e l’Italia. La politica estera americana, l’Europa e i comunisti italiani. Presentazione di Antonio Gambino, Milano, Longanesi, 1978, VIII-244 p. 

[3] Bino Olivi, Bruno Somalvico, La fine della comunicazione di massa. Dal Villaggio globale alla nuova Babele elettronica, Bologna, Il Mulino, 1996, 446 p. Poi parzialmente rifuso in un secondo saggio: Bino Olivi, Bruno Somalvico, La nuova Babele elettronica. La tv dalla globalizzazione delle comunicazioni alla società dell’informazione, Bologna, Il Mulino, 2003, 337 p.

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