L'appuntamento

Democrazia Futura. Quando l’urgenza del momento è utile a schivare i problemi di fondo

di Giampiero Gramaglia, giornalista, co-fondatore di Democrazia futura, già corrispondente a Washington e a Bruxelles |

Giampiero Gramaglia illustra per Democrazia Futura i temi difficili del Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2023.

Giampiero Gramaglia

Giampiero Gramaglia analizza “I temi difficili del Consiglio europeo del 14-15 dicembre 2023” in un articolo significativamente intitolato “Quando l’urgenza del momento è utile a schivare i problemi di fondo[1]“. Anziché affrontare il tema delle riforme interne e “dell’abolizione della regola dell’unanimità che equivale – ri orda Gramaglia – a un diritto di veto per ogni Stato […] come spesso accade, al Consiglio europeo i temi contingenti finiranno con il prevalere su quelli di prospettiva”, e si affronteranno quattro problematiche: a) Allargamento versus approfondimento, b) Patto di Stabilità e altre urgenze, c) Ucraina e Medio-Oriente e, infine d) Rapporti con La Cina dopo il vertice a Pechino del 7 dicembre.

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Nelle attese un po’ ingenue degli europeisti superstiti, il Consiglio europeo di giovedì 14 e venerdì 15 dicembre 2023 doveva discutere e decidere se aprire o meno una stagione di approfondimento dell’integrazione, avviando, nel solco delle indicazioni un po’ sconnesse del Parlamento europeo, un percorso di riforme che avesse come stella polare l’abolizione della regola dell’unanimità, che equivale a un diritto di veto per ogni Stato.

Invece, come spesso accade, al Consiglio europeo i temi contingenti finiranno con il prevalere su quelli di prospettiva. Un po’ perché sono urgenti. E molto perché diversi governi, fra cui quello italiano, non hanno nessuno stimolo ad approfondire l’integrazione: al rafforzamento di una sovranità europea, preferiscono l’esaltazione di quelle nazionali.

Allargamento versus approfondimento

Le ultime mosse europee della premier italiana Giorgia Meloni, dalle intese con il premier albanese Edi Rama alla visita a Belgrado il 3 dicembre, hanno il senso di privilegiare un nuovo allargamento dell’Unione europea, ai Balcani occidentali, all’Ucraina e alla Moldavia, rendendo, di fatto, l’approfondimento una chimera, perché più si è meno facile è decidere all’unanimità di rinunciare all’unanimità.

Avvenne qualcosa di analogo all’inizio del XXI Secolo, quando il varo della Costituzione europea doveva accompagnare l’allargamento a Est dell’Unione europea, ma venne accantonato, dopo il no dei francesi nel referendum del 2005. La via d’uscita è tornare ai discorsi dei cerchi concentrici o delle geometrie variabili, come del resto le storie europee di maggiore successo sono sempre state, dalla nascita dell’Unione in poi: vedasi l’euro e Schengen, cioè moneta unica e libera circolazione delle persone.

Patto di Stabilità e altre urgenze

Il Consiglio europeo di Bruxelles non sarà, però, l’occasione per farlo. I capi di Stato e di governo fungeranno da giudici d’appello, anzi di ultima istanza, della revisione del Patto di Stabilità, su cui i ministri delle Finanze non hanno trovato un’intesa in settimana: torneranno a riunirsi solo dopo che i leader avranno loro indicato la via.

Rispetto alle norme in vigore prima della sospensione causa pandemia, l’idea cui si è giunti è di rallentare la discesa del debito, forse all’1 per cento l’anno, per i Paesi il cui debito è superiore al 90 per cento del Pil – l’Italia è fra questi -, ma di ridurre – si dice all’1,5 per cento – il deficit annuo possibile. I valori attuali restano come riferimenti ideali: debito al 60 per cento del Pil e deficit non superiore al 3 per cento.

A rendere un po’ anomala la trattativa, c’è la situazione economica e politica particolare dei Paesi tradizionalmente capifila dei cosiddetti ‘frugali’: la Germania attraversa un momento di difficoltà; l’Olanda è in mezzo al guado politico della formazione di un nuovo governo, dopo che le elezioni del 22 novembre hanno consegnato la maggioranza relativa all’estrema destra anti-Unione europea e anti-Islam, che però fatica a trovare alleati per mettere insieme una maggioranza parlamentare.

E c’è curiosità per il ritorno sulla scena europea di Donald Tusk, ex premier polacco e presidente del Consiglio europeo, proiettato verso la guida del governo dal voto di ottobre: la nuova Polonia potrà forse lavorare d’intesa con Parigi e Berlino, più di quanto non sappia e non voglia fare l’Italia, che era di tradizionale supporto all’asse franco-tedesco.

Il governo Meloni mantiene l’ambiguità sull’adozione, o meno, della riforma del Meccanismo di Stabilità europeo, il Mes, facendone bastone e carota del negoziato sul Patto di Stabilità.

In queste ultime settimane autunnali del semestre di presidenza di turno spagnola del Consiglio dei Ministri, l’Unione europea non è però rimasta passiva: i ministri delle Finanze hanno dato via libera a versioni ‘corrette’ dei Pnrr di tredici Paesi, fra cui l’Italia; e c’è stato il via libera a norme europee sull’Intelligenza artificiale, che, secondo il commissario competente Thierry Breton, consente all’Unione “di guidare la corsa globale all’IA” – così come, nella sua vacuità, la Cop 28 di Dubai sta confermando la leadership europea nel contrasto al riscaldamento climatico -.

E, ancora, la ministra delle Finanze spagnola Nadia Calvino sarà a capo della Bei, la Banca europea degli Investimenti, avendo avuto la meglio su Margrethe Vestagger, ‘zar’ della concorrenza nell’Unione europea. Che ci fosse in lizza pure l’ex ministro delle Finanze italiano nel Governo Draghi Daniele Franco non è stato per lo più percepito dai media internazionali.

Ucraina e Medio Oriente

Al Consiglio europeo, la discussione sull’allargamento non potrà essere scissa dalla discussione sull’Ucraina: lo stallo nel conflitto mina determinazione a sostenere Kiev di molti Paesi, a partire dagli Stati Uniti, dove i repubblicani al Congresso subordinano nuovi aiuti a dinamiche politiche interne. Ma neppure l’Unione europea è compatta, anche senza enfatizzare le posizioni del premier ungherese Viktor Orban, il più vicino al presidente russo Vladimir Putin fra i leader europei: l’Ucraina- dice – è “uno dei Paesi più corrotti al Mondo”, motivando la radicale opposizione ad aprire i negoziati sull’adesione.

Il professor Gianni Bonvicini, uno dei maggiori conoscitori italiani dei temi europei, osserva:

“L’allargamento ci porterà alla fine a contare 36 paesi membri. Ciò significa anche decidere l’assetto istituzionale futuro, cosa che né le forze politiche anti-comunitarie né alcuni Paesi come l’Ungheria sono pronti a fare … Già circolano voci sull’eventuale spostamento di questa decisione ad un successivo Consiglio europeo… Una vecchia pratica, quella del rinvio… Ma questa volta l’impatto sarebbe dirompente…”.

Rispetto all’Ucraina, dove l’Unione europea s’è sostanzialmente adagiata sulla linea della Nato, va ancora peggio sul fronte della guerra tra Israele e Hamas, dove l’Unione non ha mai saputo dire nulla d’incisivo.

Nathalie Tocci e Maria Luisa Fantappié, rispettivamente direttrice e ricercatrice dell’Istituto Affari internazionali, scrivono:

“Governi e opinioni pubbliche europee si sono schierati in due visioni diametralmente opposte: il sostegno incondizionato al diritto di Israele a difendersi e la solidarietà con i palestinesi massacrati dall’operazione militare israeliana a Gaza. Con gli Usa, l’Europa dovrebbe reinvestire in un piano politico che miri a incorporare la soluzione dei due Stati nella normalizzazione israelo-araba. La posta in gioco non è solo la stabilità del Medio Oriente, ma il futuro dell’Europa”.

La divisione è particolarmente sensibile a sinistra, nel Mondo e in Europa: i socialisti europei, presi tra condanna del terrorismo e tutela dei diritti umani, sì all’autodifesa e riconoscimento del diritto dei palestinesi a uno Stato, non riescono a formulare una posizione comune.

Dal Consiglio europeo, non c’è da aspettarsi altro che parole.

Meglio con la Cina, nonostante la ‘purga’

L’incontro di von der Leyen e Michel con Xi del 7 dicembre (Fonte: Today)

Va un po’ meglio sul fronte dei rapporti fra Unione europea e Cina, anche per la decisione dell’Italia di non rinnovare il protocollo d’intesa con Pechino sulla Nuova Via della Seta – l’Italia era l’unico dei Grandi dell’Unione ad averlo sottoscritto -. Il Vertice del 7 dicembre 2023 a Pechino, il ventiquattresimo della serie, è stato bino: da una parte, le relazioni bilaterali; dall’altro, le crisi internazionali, dove sia Pechino che Bruxelles non hanno finora inciso, per scelta o per mancanza di strumenti.

I presidenti di Commissione europea, Ursula von der Leyen, e Consiglio europeo, Charles Michel, accompagnati dal capo della diplomazia europea Josep Borrell, hanno incontrato il presidente cinese Xi Jinping e hanno avuto discussioni con il premier Li Qiang. Sull’agenda, relazioni bilaterali, compresi scambi e investimenti, clima, ambiente, digitale con l’Intelligenza Artificiale, diritti umani; e anche governance e sfide globali, con Pechino impegnata a incoraggiare un nuovo ordine mondiale, e questioni internazionali, tra cui l’invasione dell’Ucraina, e la guerra tra Israele e Hamas.

Secondo Politico, il Vertice Unione europea-Cina s’è svolto in un contesto di paranoia: a Pechino, da tempo, personalità di rango nei settori degli Esteri e della Difesa stanno ‘scomparendo’, o almeno uscendo di scena, perché Xi starebbe liberandosi di quanti percepisce come nemici. Una ‘purga’ di cui è difficile percepire i contorni, perché il regime cinese non è trasparente, ma che conferma differenze di valori fra Cina e Unione europea.


[1] Scritto per The Watcher Post, 10 dicembre 2023. Cf.  https://www.giampierogramaglia.eu/2023/12/11/consiglio-europeo-urgenza/.

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