Carlo Rognoni conclude l’approfondimento di questo primo numero di Democrazia futura cercando di rispondere all’interrogativo “come fermare questa guerra?”, sottolineando come diventi “importante, direi indispensabile, trovare qualcuno a livello mondiale che abbia l’autorevolezza, la forza, l’intelligenza, per convincere i protagonisti della guerra a fermarsi”.
_________________
Quando finisce una guerra? Quando uno dice di aver vinto, quando l’altro ammette di aver perso.
Ma se tutti dicono di aver vinto e nessuno ammette di aver perso, che cosa succede? La guerra continua. E’ quello che sta succedendo in Ucraina.
Ma che senso ha continuare ad assistere al bombardamento di città, palazzi, ospedali, scuole, all’uccisione di civili, donne e bambini? Nessun senso. Ecco allora che diventa importante, direi indispensabile, trovare qualcuno a livello mondiale che abbia l’autorevolezza, la forza, l’intelligenza, per convincere i protagonisti della guerra a fermarsi.
Questo “qualcuno” deve aver un fortissimo senso di responsabilità, soprattutto deve avere la consapevolezza che è importante spogliarsi dei pregiudizi, delle proprie storiche convinzioni, e cercare di capire. Dove stanno le ragioni di una parte e dell’altra? Quale deve essere il compromesso che può essere accettato da tutti i belligeranti? Non basta pensare di sapere chi ha ragione e chi ha torto. Se si vuole cimentarsi in una mediazione che convinca le parti in causa a fermarsi, ad accettare che è arrivato il tempo della pace, bisogna saper riconoscere che al di là dei torti e delle ragioni dei singoli protagonisti c’è un interesse superiore.
Nessun cittadino del mondo, nessun capo di Stato può voler correre il rischio di una guerra atomica. Ecco un primo punto dal quale si dovrebbe partire per tentare di costruire una pace futura.
Tutta una serie di domande che potremmo porci partono da una convinzione che dovrebbe essere condivisa: la prospettiva di una terza guerra mondiale atomica sottintenderebbe la fine dell’umanità. E nessun presidente, nessun primo ministro, può seriamente pensare di volerla, di considerarla un’opzione realistica.
E allora, che cosa resta da fare per rilanciare l’idea di un nuovo ordine mondiale che garantisca un futuro di pace a tutte le nazioni? E chi deve farsene carico?
Una volta avrei detto gli Stati Uniti. Economicamente e militarmente il Paese al momento più potente. Ma non mi pare che aiuti il loro desiderio di umiliare la Russia.
Ha scritto Nadia Urbinati: “Gli interessi statunitensi e quelli europei si sono divaricati. Non è nell’interesse nostro che la guerra si cronicizzi per fare dell’Ucraina quello che fu l’Afghanistan per l’Unione Sovietica”.
E allora il terzo grande del Mondo, la Cina, impegnata com’è a costruire la via della seta, a rafforzare gli investimenti e la sfida sulle tecnologie digitali, avevo pensato in un primo momento che avrebbe avuto tutto da guadagnare dal ritorno della pace.
Perché oggi questa ipotesi mi sembra meno convincente? Semplicemente perché la Cina preferisce al momento essere apparentemente e forse anche in pratica una convinta alleata della Russia sia per la ragione del suo sviluppo economico, vista la fame che ha di materie prime, di gas e di petrolio, sia per la sua visione di un ordine mondiale che non si regga su una sola superpotenza – quella americana. Xi Jinping l’ha detto. Preferisce un multilateralismo, più protagonisti disposti a misurarsi sul futuro del mondo.
Senza dimenticare che il rapporto della Cina con gli Stati Uniti non è certo dei migliori.
Il presidente Joe Biden ha voluto approvare un National Defense Authorization Act che mira a “creare una catena ininterrotta di Stati sentinella armati dagli Stati Uniti d’America e che si estende dal Giappone e dalla Corea del Sud nel Pacifico settentrionale fino all’Australia, alle Filippine, alla Tailandia e a Singapore nel Sud e nell’India sul fianco orientale della Cina”.
Insomma c’è in ballo un accordo per accerchiare la Cina, comprendendo anche Taiwan (un dato davvero allarmante).
Non resta che la fragile, debole, povera Europa.
Con quali argomenti potrebbe costringere Vladimir Putin a sedersi a un tavolo? Mi vengono in mente idee che farebbero fatica a imporsi. Anche perché il primo paese al quale dovremmo imporle sono gli Stati Uniti. Eppure! Vogliamo un futuro di pace?
Allora, primo, dobbiamo garantire Mosca che la Nato non attaccherà mai la Russia e davanti a un accordo di pace convincente, ben strutturato, condiviso, garantito, potrebbe perfino prendere in esame la possibilità di sciogliersi – com’è successo al Patto di Varsavia. Un’ipotesi irrealistica e velleitaria? Può darsi. La storia delle due alleanze militari è ben diversa.
Ricordiamoci: sono stati proprio i Paesi dell’Est Europa a non volere più il patto di Varsavia. A preferire l’accordo con gli altri europei della Nato.
Secondo, dovrebbe esserci un impegno affinché le sanzioni possano fermarsi.
Naturalmente a patto che si fermassero anche le velleità dello zar Putin di ricostruire un impero con le repubbliche che hanno conquistato l’indipendenza dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
Naturalmente nell’accordo rientra la prospettiva della neutralità dell’Ucraina.
Insomma bisogna trovare una strada che faccia capire all’Orso russo che è anche nel suo interesse un accordo pacifico con il resto dell’Europa occidentale! A quel possibile tavolo di trattativa dovrebbe esserci anche l’assoluta garanzia che l’Ucraina resti democratica, libera e comunque indipendente. E’ totalmente fuori dalla realtà- secondo voi – l’idea che un assetto federale dell’Ucraina per garantire un certo grado di autonomia anche alla regione del Donbass sia totalmente inaccettabile?
Questa è l’ora della pace
Queste proposte da mettere sul tavolo devono avere come immediato corrispettivo la fine dell’aggressione, la fine della guerra.
A Putin dovrebbe essere chiaro – ha scritto recentemente Noam Chomsky – che oggi dopo la tragica esperienza di più di due mesi di guerra “se la Russia occupasse l’Ucraina la sua esperienza in Afghanistan al confronto sembrerebbe un picnic nel parco”. Possono la Francia di Emmanuel Macron, la Germania di Olof Scholtz e magari anche l’Italia di Mario Draghi – con l’appoggio di Joe Biden – convincere Vladimir Putin che questa è l’ora della pace?
Un primo segnale l’ha lanciato papa Francesco. E se l’aggressività di Putin fosse spiegata con l’avanzata a Est della Nato? Una riflessione del papa che sicuramente è piaciuta a Putin ma che tuttavia non è bastata. Non si riesce a spiegare il perché della decisione di Putin di non dare l’OK a un incontro proprio con papa Francesco, se non si prende in considerazione il fatto dimostrato della forte alleanza di Putin con il patriarca ortodosso di Mosca.
C’è anche chi ormai sostiene che Putin è comunque inattendibile e che non vale la pena provare a convincerlo a fermare la guerra, cioè quella che – scusate! – lui continua a chiamare un’operazione militare.