Il numero

Democrazia Futura. Presentazione. Questo numero

di Bruno Somalvico, direttore editoriale di Democrazia futura, e Giulio Ferlazzo Ciano, capo-redattore centrale |

Come è costruito l’impianto e cosa offre l’edificio di questo ultimo fascicolo del 2022.

Bruno Somalvico e Giulio Ferlazzo Ciano riassumono i contenuti dell’ottavo fascicolo di Democrazia futura, datato ottobre-dicembre 2022 in una Presentazione contenente in nota i rinvii alle anteprime dei singoli articoli.

__________

Bruno Somalvico

Questo ultimo numero (Otto) di Democrazia Futura datato ottobre-dicembre 2022 che chiudiamo con due mesi di ritardo a fine febbraio 2023) si propone di analizzare in primo luogo i nuovi equilibri mondiali dopo la guerra calda in Ucraina.

In apertura l’editoriale “Democrazia futura. I tre nodi al pettine”[1] cerca di rispondere a tre interrogativi che prendono spunto dall’escalation del conflitto in Ucraina ad un anno dall’invasione russa.

  1. Il nuovo ordine mondiale sarà bipolare intorno a Stati Uniti e Cina o multipolare? 
  2. La disunione europea con la crescita della sfera di influenza del Gruppo di Visegrad proseguirà nel 2023, o superando le attuali divergenze in seno all’asse franco tedesco, assisteremo ad un sussulto dei Paesi fondatori per dare all’Europa un’unica voce in politica estera, una Comunità europea di Difesa, e una politica energetica comune?
  3. Quali prospettive ha Giorgia Meloni non solo di governare per l’intera legislatura ma di riuscire a respingere le tendenze anti europee e filo russe interne alla sua composita maggioranza, compatta solo nel presentarsi unita nelle scadenze elettorali? Reggerà per tutta la legislatura?

Secondo Bruno Somalvico la previsione è che – dopo la felice parentesi al governo di Mario Draghi, che chi dirige questa rivista continua a rimpiangere – anche in questa legislatura ne vedremo “di cotte e di crude“.

Giulio Ferlazzo Ciano

Introduce questo numero di Democrazia Futura per la sezione Accadde Domani una previsione del nuovo anno di Giampiero Gramaglia, giornalista e già direttore responsabile dell’Ansa: “2023, l’anno che non sarà palindromo senza pace e con pochi voti”[2]. Le prospettive per la fine del conflitto in Ucraina non sono infatti rosee, mentre aleggia lo spettro di nuove offensive e controffensive. Sarà un anno, salvo sorprese, anche con relativamente poche tornate elettorali importanti, con alcune eccezioni (Spagna, Cechia, Polonia, Svizzera), ed è altresì certo che Donald Trump punterà alla nomination repubblicana per le elezioni del 2024. Qualsiasi altro evento probabile ma al momento non previsto, in un contesto globale sempre più infiammato, rende il 2023 un anno potenzialmente ricco di incognite.

Parte prima. I nuovi equilibri mondiali durante la guerra calda in Ucraina: le conseguenze dell’invasione russa e della reazione ucraina con il supporto dell’Occidente

Storie di geopolitica: Mondo

Riflessioni su un mondo provato dalla guerra e dalle forze disgregatrici

In apertura troviamo due riflessioni estratte dalle relazioni di un Convegno promosso a Roma dall’Associazione “Il Cenacolo. Tommaso Moro”

Massimo De Angelis, condirettore di Democrazia Futura, mette il dito nella piaga di un liberal-liberismo che sta divorando il “momento democratico” e con esso la democrazia stessa e le sue istituzioni, la società e le sue funzioni, l’educazione e le sue strutture. L’autore ne “Il secondo tramonto dell’Occidente”[3]  prende le mosse da Francis Fukuyama e dalle riflessioni contenute in La fine della storia e l’ultimo uomo (1992) e nel più recente Il liberalismo e i suoi oppositori (2022), argomentando l’emersione di una «ideologia aggressiva dei diritti civili fondata su un’idea dell’autonomia individuale espansa in maniera incontenibile». Tale ideologia aggressiva fondata su un individualismo esasperato privilegia la scelta individualistica (contrabbandata per libertà) come unico valore degno di essere difeso.

Sulla stessa lunghezza d’onda prosegue il dibattito Francesca Izzo, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università Orientale di Napoli. Nel suo contributo “Dal progresso al progressismo. Crisi della democrazia e delle sue culture politiche”, l’autrice ripercorre la storia della crisi dell’Occidente, generatasi a partire dai conflitti interni alla società europea simbolicamente riassumibili nella data del 1968, affiancandola alla crisi dell’idea stessa di progresso come «marcia inarrestabile “verso il meglio”». Infine, tra gli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, l’idea di progresso vira verso un progressismo che abbandona la dimensione universalistica e pone l’individuo come principio e fine della prosperità, del benessere e della libertà. Nel mezzo sta il processo di emancipazione e liberazione delle donne che l’autrice definisce di portata rivoluzionaria: «un rivolgimento parallelo all’erosione della sovranità dello Stato nazionale», producendo quella «rottura del confine tra la sfera privata e la sfera pubblica…che è stato alla base della costruzione dello Stato moderno».

La diplomazia mondiale alla ricerca di una tregua dopo l’escalation del conflitto

Il proseguimento della prima parte inizia con l’analisi del voto di midterm negli Stati Uniti e delle conseguenze della vittoria di Lula da Silva alle elezioni presidenziali in Brasile, prima di ripercorrere le tappe della nuova fase del conflitto apertasi nell’ultimo trimestre del 2022 e di concludersi con una denuncia della repressione intervenuta in Iran contro le donne che scendono in piazza rivendicando la loro volontà di emancipazione e il ripristino delle libertà fondamentali.

Giampiero Gramaglia in “Le sorprese del midterm 2022: repubblicani avanti, democratici tengono”[4] analizza gli effetti del voto di medio termine negli Stati Uniti d’America contemporaneamente all’affluire dei risultati. Risultati che sono stati meno trionfali per i Repubblicani e più ottimistici per i Democratici, al netto della maggioranza persa da quest’ultimi alla Camera dei Rappresentanti. Nei prossimi due anni sarà evidente l’impatto di questo Congresso rinnovato, mentre Donald Trump promette di dare battaglia ai suoi avversari interni al partito.

Una breve intervista di Bruno Somalvico a Dom Serafini, direttore del mensile Video Age International (“A due anni dalle prossime elezioni presidenziali come sta l’America?”[5]) fa dire a quest’ultimo che «gli Stati Uniti si trovano in una condizione molto migliore rispetto a quella in cui si trovavano subito dopo la caduta di Donald Trump, ma un po’ peggio di come vivessero prima dello scoppio nel 2020 della pandemia». Sullo sfondo rimangono i problemi legati alla successione di Joe Biden alle prossime elezioni presidenziali. I democratici, autoaffondato il loro unico candidato potenzialmente vincente, Andrew Cuomo, vedono stagliarsi l’ombra del candidato repubblicano italo-americano Ron DeSantis .

Ancora Giampiero Gramaglia riflette sul “quadro politico statunitense a due anni dalle prossime presidenziali”, come recita l’occhiello dell’articolo dal titolo “Biden in fanfara, Trump in ginocchio allo snodo delle legislature”[6]. Dice bene il New York Times che, per spiegare come facciano i democratici americani a stare sorprendentemente bene, definisce le condizioni di Donald Trump ancora peggiori. In effetti le inchieste giudiziarie lo stanno inseguendo e il cerchio pare stringerglisi attorno, sebbene compromessi politici in vista delle elezioni presidenziali del 2024 possano comportare un allentamento della pressione giudiziaria. Intanto Joe Biden conferma la sua identità di presidente progressista legalizzando a livello federale i matrimoni interrazziali e omossessuali, mentre le sue apparenti debolezze non sembrano nuocere alle probabilità che sia quest’ultimo a essere il candidato democratico nel 2024, ancor più di quanto ne abbia Trump di essere confermato candidato repubblicano.

Rimane nel continente americano la riflessione di Michele Mezza, docente di Epidemiologia sociale dei dati e degli algoritmi all’Università di Napoli, nella sua riflessione “Da Trump a Bolsonaro, una lezione per l’inutile cinismo della geopolitica degli strateghi nella nuova società di joiners”[7], sebbene poi emerga come convitato di pietra il conflitto in Ucraina. Fra le conclusioni dell’articolo emerge l’affermazione – relativa a fenomeni che spaziano dalla grave instabilità politica con accenni di rivolta negli Stati Uniti e Brasile, fino alla net war nell’ex repubblica sovietica – «siamo dunque in un nuovo territorio in cui la politica internazionale, la stessa guerra, si integra con le nuove geometrie del conflitto sociale scomponendo il totem dello Stato e riportando alla luce interessi e culture che su innervavano solidamente nelle comunità civili». Quelle stesse comunità di joiners (secondo una definizione dello storico Arthur M. Schlesinger che si rifà agli scritti di Alexis de Tocqueville sull’America e la sua società civile) che hanno perso i loro riferimenti culturali ed etici in seguito alla comparsa delle reti sociali digitali e che sono indotte a provare cieco e rabbioso risentimento verso fantomatiche aristocrazie intellettuali che si sarebbero imposte al governo del loro Paese.

 Giampiero Gramaglia ripercorre le tappe della nuova fase del conflitto apertasi nell’ultimo trimestre del 2022 in una serie di articoli scritti per varie testate chiedendosi nell’introduzione se nel 2023 si potrà finalmente andare “Verso una tregua dopo l’escalation del conflitto russo-ucraino?”. “Dopo la controffensiva di Kiev, che ha portato alla riconquista di parte del territorio occupato, e la risposta di Mosca, con le annessioni di regioni non interamente controllate e una serie di attacchi aerei, con missili e con droni, su infrastrutture soprattutto energetiche, le notizie dal fronte – scrive Gramaglia a metà ottobre del 2022[8] – si sono fatte quasi improvvisamente più rade, mentre c’è un grande fermento diplomatico. Iniziative che possono preludere a un negoziato, ma anche scambi di accuse che possono preparare un’ulteriore escalation. Il conflitto, ormai nel nono mese, resta imprevedibile nei suoi sviluppi”. Seguono poi una suddivisione interna per temi:

1. “Al G20 di Bali l’escalation delle guerra in Ucraina domina i lavori”[9]: “la notizia delle due vittime polacche dei frammenti di missile caduti in una zona rurale alla frontiera ucraina – osserva il giornalista di Saluzzo – fa salire di molto la tensione e agita lo spettro del ricorso da parte della Nato all’articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord, che mette in moto la solidarietà di tutti i Paesi alleati a favore di quello attaccato”. Pur essendo organizzata a Bali “una riunione d’emergenza dei Paesi del G7 e della Nato presenti al Vertice”, tuttavia – secondo Gramaglia – l’attenzione degli Stati Uniti tenderà sempre più ad appuntarsi sull’oceano Pacifico considerando la Cina il maggiore rivale sistemico;

2. “Un’Unione Europea strabica cerca spiragli di pace a Pechino e Washington”[10] è centrato sugli incontri, tenuti lo stesso giorno, il 1° dicembre 2022, tra Charles Michel e Xi Jinping da un lato, e tra Emmanuel Macron e Joe Biden dall’altro: il primo senza risultati particolari, il secondo teso a ribadire l’apertura su un negoziato di pace possibile con Vladimir Putin;

3. Incontro quello a Washington su cui Gramaglia ritorna in un pezzo “Se la pace è uno specchietto per le allodole”[11] dove, ribadita la linea comune di Biden e Macron e sottolineato il “ramoscello d’olivo offerto dagli Stati Uniti all’Unione europea per sventare ‘guerre’ economico-industriali più che passi avanti verso lo stop al conflitto in Ucraina, l’autore mostra chiaramente i diversi obiettivi che si pongono i governanti di Kiev e di Washington, gli uni pronti a mettere «ogni giorno in guardia Usa e alleati dalla prospettiva di trattare con Mosca», l’altra tentata quanto meno dalla ricerca di un dialogo, mentre paralisi elettriche, buio, freddo e bombardamenti diventano comune denominatore in tutta la martoriata Ucraina;

4 “Il volo di Zelens’kyj a Washington”[12] compara la prima visita di Stato al di fuori dell’Ucraina per il presidente-attore-eroe, accolto con tutti gli onori e congedato con promesse di nuovi aiuti militari e assegni già staccati per un totale di due miliardi di dollari, con il più mediocre risultato ottenuto dall’ex presidente della Federazione Russa Dmitrij Medvedev in visita di Stato a Pechino, dove, ricevuto da Xi Jinping, gli è stata ricordata l’importanza della moderazione e dell’utilizzo di strumenti politici per risolvere la crisi. Moderazione di cui non troviamo nessuna eco nell’incontro del presidente ucraino alla Casa Bianca: Non ne esce una sola parola di speranza di pace, di prospettiva di negoziato: “Voglio vincere, sono sicuro che vinceremo”, proclama Volodymyr Zelens’kyj. “Parlerà con Vladimir Putin dopo averlo sconfitto sul campo di battaglia”, assicura Joe Biden. L’ombra tragica d’una lunga guerra – conclude Gramaglia – grava sul nuovo anno”

A chiusura della prima sezione di questa prima parte dedicata alla geopolitica, il vice direttore della rivista Economia della Cultura Celestino Spada lancia l’appello “Liberare Eva! A fianco delle donne e del popolo iraniano” [13] invitando intellettuali, stampa e opinione pubblica italiani a promuovere – dopo la morte di una ragazza, Mahsa Amini, per mano della “polizia della sicurezza morale”, una campagna a fianco del popolo iraniano. Di fronte al revivalismo religioso di questi ultimi tempi, orfani delle ideologie, ci si può sorprendere come la lezione di eguaglianza tra uomini e donni sancita nel Libro sia tradita proprio da coloro che, in Iran, ne sono anche i custodi. E tutto questo quando in Occidente, a partire dagli anni Settanta si è affermata «una nuova rappresentazione pubblica della donna». Qualcosa nel frattempo deve essere andato storto ed è per questo che oggi, ancor più di ieri, è necessario esortare i governanti della Repubblica Islamica dell’Iran a liberare Eva.

Storie di geopolitica: Europa

La recente (novembre 2022) pubblicazione da parte dell’editore Feltrinelli del saggio di Lucio Caracciolo La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa ispira due letture del testo da parte di altrettanti collaboratori di Democrazia Futura. Il conflitto a poche ore di volo da Roma, segna davvero  “L’inizio di una nuova storia?”[14] Se Massimo De Angelis concentra la sua attenzione sulla crisi del concetto di “fine della storia”, alla Francis Fukuyama, mettendo in evidenza il pensiero critico sulla costruzione europea finalizzata in realtà a garantire il predominio statunitense sul continente, sfruttando la germanofobia degli europei, Giampiero Gramaglia conclude che, al di là di alcune considerazioni euro-critiche validissime, ci sia una vena forse troppo pessimistica nella visione del processo di integrazione europea da parte dell’autore di La pace è finita, auspicando al contrario che questa fase storica possa preludere ad un rilancio dell’idea federalista. Conclude l’articolo un breve intervento di Giulio Ferlazzo Ciano sui trent’anni di geopolitica narrata nei fascicoli di Limes, il mensile promosso e diretto da Caracciolo, in considerazione anche dei recenti eventi bellici.

L’Europa, la guerra calda, le tensioni a est e a sud fra sovranisti ed europeisti

Ritornando nel nostro spazio europeo, Paolo Ponzano, docente di Governance europea al Collegio europeo di Parma, in “La Conferenza sul futuro dell’Europa: luci e ombre”[15], riassume i risultati dei lavori della summenzionata conferenza, suggerita nel 2019 da Emmanuel Macron con una lettera indirizzata dal presidente francese a tutti i cittadini europei. I lavori della conferenza si sono svolti fra il 2021 e il 2022 coinvolgendo non solo le istituzioni europee, ma anche – e per la prima volta – direttamente i cittadini, quanto meno nella forma di una rappresentanza simbolica estratta a sorte da una società privata di sondaggi. I risultati della discussione hanno prodotto numerose proposte giunte dai cittadini nell’ambito di nove macro tematiche.

Cecilia Clementel-Jones, per parte sua aiuta a districarsi nel labirinto delle politiche energetiche nel vecchio continente: nell’articolo “Le politiche dell’energia in Europa: tetto al prezzo del petrolio russo per mare e tetto alle quotazioni europee del GNL sul polo (hub) olandese di contrattazioni per il Ttl”[16], l’autrice mette ancora una volta il dito nella piaga della piattaforma TTL per le contrattazioni all’ingrosso di gas naturale. Quando in Europa si decise di creare ‘mercati virtuali’ per i futures legati al gas naturale, recidendo il legame con i contratti a lungo termine a prezzo fisso, si posero di fatto le basi per le attuali crisi. Ora anche in questo caso – secondo Cecilia Clementel-Jones – tutti i nodi stanno venendo al pettine: gli errori europei di pianificazione energetica, laddove si è deciso di convertire il più possibile la produzione da fonti rinnovabili (la Germania ha addirittura posto una data, l’anno 2045, per la totale indipendenza dalle fonti non rinnovabili); il protezionismo che avanza sottotraccia a inquinare le relazioni politiche ed economiche europee; la progressiva dipendenza dal gas liquefatto per scansare le importazioni di gas russo (mentre la Russia continua a fare affari estendendo la sua rete di vendita ad altri compratori). La tempesta perfetta potrebbe essere in arrivo e il tetto al prezzo del gas, non risolutivo a detta dell’autrice, potrebbe rappresentare uno dei detonatori.

Pier Virgilio Dastoli, presidente del Movimento Europeo-Italia, in “La via pragmatica del federalismo europeo”[17] paventa che, all’indomani delle elezioni europee del 2024, prevalgano in parlamento maggioranze di centro-destra, predominanti molto probabilmente nello stesso periodo anche in seno al Consiglio, così da spingere l’Unione Europea verso effetti indesiderati per chi auspica un’Europa federale che superi le visioni identitarie nazionali. “I rischi di una progressiva disgregazione dell’Unione europea sarebbero in questo caso più evidenti per l’aumento della conflittualità fra le istituzioni e all’interno delle singole istituzioni proprio nel momento in cui l’Unione europea sarà chiamata a prendere delle decisioni comuni per passare dalla gestione delle emergenze (la pandemia, la guerra in Ucraina, la lotta al cambiamento climatico, la sicurezza informatica, le ingerenze esterne, i flussi migratori…) alla pianificazione del suo futuro per creare politiche interne necessarie alla garanzia di beni pubblici europei finanziati da vere risorse proprie e debito pubblico europei, per avviare politiche esterne necessarie alla sua autonomia strategica e per adottare riforme costituzionali necessarie in vista del suo ampliamento verso i Balcani e l’Europa orientale”.

Sullo scorcio dell’anno appena trascorso si è svolta (29 novembre 2022) la visita ufficiale del Presidente della Repubblica Italiana nella Confederazione Elvetica. L’argomento è trattato da Alberto Leggeri. Ne “Il significato della visita di Stato del Presidente Mattarella in Svizzera”[18], l’autore evoca i temi trattati nel corso dell’incontro fra il nostro Capo dello Stato e il Presidente della Confederazione, l’italofono ticinese Ignazio Cassis [nel frattempo dal 2023 diventato Ministro degli Esteri elvetico n.d.r]. Le questioni sul tavolo sono note: l’eventuale abbandono della tradizionale (dal 1815 anche ufficiale) neutralità svizzera, le relazioni con l’Unione Europea e la possibilità di aderirvi, non ultimo le relazioni con la Nato e i nuovi scenari che si dispiegano in un Europa lambita ancora una volta dalla guerra. Per uno Stato plurinazionale nato per adesione “volontaria”, con una forte componente linguistica e culturale tedesca che tuttavia teme l’influenza della Germania, si tratta di questioni decisive che sono senz’altro oggetto di attenzione da parte delle istituzioni italiane.

Ancora Pier Virgilio Dastoli denuncia quella che definisce come “La disunione militare europea”[19] osservando come la recente guerra russo-ucraina abbia spinto i singoli Paesi membri dell’Unione Europea a tornare a fare investimenti nel campo degli armamenti, programmando spese ingenti a lungo termine  senza coordinarsi fra di loro, ovvero ognuno per conto suo (la Francia, attraverso la “legge di programmazione militare” per il periodo 2024-2030; la Germania, con il piano di riarmo della Bundeswehr da 100 miliardi di euro) a scapito dell’obiettivo di una difesa comune europea.

Italia

Introduce la sezione dedicata al nostro Paese l’intervista concessa alla RAI nel 1985 (dopo aver molto titubato ed essersi lasciato convincere con difficoltà) da Norberto Bobbio. L’illustre accademico, intervistato da Renato Parascandolo, rispose all’interrogativo fondamentale, “Che cos’è la democrazia?”, titolo stesso dell’intervista riproposta a quasi 38 anni di distanza[20]. Tuttavia i temi sono ancora attuali e la nota distinzione che il giurista e filosofo del diritto fa della democrazia (formale e sostanziale) è dispiegata anche in queste righe. La sostanza in questo caso è resa dalla definizione di ‘procedurale’ per quella democrazia minima che, per esistere ed essere tale, deve poter contare su due regole essenziali: la partecipazione di tutti, direttamente o indirettamente, alle decisioni, e la libera discussione che conduce a una decisione presa a maggioranza. Bobbio rintraccia pertanto in questa democrazia procedurale minima una spontanea convergenza fra gli ideali democratici e liberali dell’Ottocento – un tempo separati e contrapposti – di cui la democrazia attuale che conosciamo sarebbe una «naturale prosecuzione», quasi un’armonica evoluzione delle esigenze di bilanciare eguaglianza (giuridica, sociale ed economica), libertà e merito. Per il resto i temi trattati nell’intervista spaziano dal dibattito sull’intervento dello Stato in economia, alla rappresentanza di interessi, dall’essenza riformista a quella conservatrice, non mancando riflessioni sui partiti e sul rischio di degenerazioni clientelari, che Bobbio peraltro riteneva essere una «delle caratteristiche della democrazia […] inevitabile», sebbene da limitare. Qualche considerazione è resa inoltre sui programmi politici a breve o a corto raggio, laddove una lucida riflessione riconosce che il ripiegamento dei partiti sulla contingenza sia un’altra inevitabile conseguenza di ogni sistema democratico che bisogna in qualche misura accettare. Qualche ombra dunque, forse inevitabile, ma anche molte luci che illuminano un percorso da portare tuttavia ancora a termine, all’insegna di una democrazia politica che prima o poi dovrà farsi anche sociale. Affinché essa non sia solo formale ma, giustappunto, sempre più sostanziale.

Una nuova stagione in Italia. I primi passi del governo sovranista di Giorgia Meloni

I primi passi della Diciannovesima legislatura

Si torna al dibattito sulle riforme costituzionali con un articolo di Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica dell’Università di Bologna e socio dell’Accademia dei Lincei, dal titolo significativo: “Semipresidenzialismo con sistema elettorale maggioritario a doppio turno”[21]. Per essere ancora più chiari e non lasciare adito a dubbi, “le ragioni per le quali il sistema francese è più dinamico” è ciò che recita l’occhiello. E le ragioni le fornisce senza indugio nel testo riprodotto in cui, oltre a riassumere il funzionamento del sistema semipresidenziale alla francese, mette in evidenza i passati tentativi di adottarlo anche in Italia, il più noto dei quali è ascritto al piano predisposto da Antonio Maccanico (1996). Quali sarebbero i mali tipici italiani che il semipresidenzialismo e il sistema elettorale maggioritario a doppio turno potrebbero curare? Il sistema partitico multipolare e caotico che diventerebbe bipolare; un Presidente della Repubblica attualmente eletto attraverso il contratto fra i partiti e da esso influenzabile che, eletto direttamente dal popolo, godrebbe di piena autonomia; l’assemblearismo che la facoltà di sciogliere il Parlamento data al Presidente farebbe venir meno. Quali altre alternative? Il presidenzialismo di tipo nordamericano e la formula del “sindaco d’Italia”, ma in entrambi i casi la discussione non è mai andata oltre la mera evocazione, priva tuttavia di progetti ben delineati e redatti da figure competenti in materia.

Giuseppe Lauri, dottore di ricerca in Giustizia costituzionale e diritti fondamentali, in un mini-saggio intitolato “La disfida, la Stele e la rosa” riflette, come recita l’occhiello del suo articolo, su “l’Italia di fronte alla forma di governo semipresidenziale francese”[22]. Lo studio inizia con una disamina degli studi comuni, tra Francia e Italia, in materia di costituzionalismo, mostrando anche un certo parallelismo fra il dibattito occorso nelle due nazioni a proposito delle reciproche costituzioni e soprattutto all’indomani del varo della costituzione francese di stampo semipresidenziale (1958). Se inizialmente gli studiosi italiani si mostrarono incuriositi da un modello che finirono per riconoscere nuovo e originale (Leopoldo Elia, 1970), altri ne furono intimoriti (Serio Galeotti, 1960), paventando derive autoritarie. Un timore che non ha mai del tutto abbandonato il dibattito in Italia sull’opportunità di superare il parlamentarismo a favore dell’adozione del modello francese. Perché in effetti è francese e semipresidenziale il modello a cui i costituzionalisti italiani guardano, e non presidenziale. Fallite le proposte di riforma costituzionale in senso semipresidenzialista promosse da Antonio Maccanico (1996) e dalla Commissione bicamerale della XIII legislatura (1996-1998), il dibattito riprese tra il 2013 e il 2014 con la creazione di due gruppi di lavoro, uno promosso dalla Presidenza della Repubblica, l’altro dal governo di Enrico Letta. E, nel caso del primo gruppo di lavoro, emerse ancora il timore di un eccessivo accentramento di potere presidenziale, tale pertanto da sconsigliare l’adozione del semipresidenzialismo in Italia, diversamente invece dalle conclusioni a cui giunse il secondo gruppo di lavoro il quale, pur ravvisando rischi, ritenne fossero «affrontabili con adeguati meccanismi di razionalizzazione».

Giulio Ferlazzo Ciano, dottore di ricerca in Storia, prende in considerazione la proposta di autonomia differenziata in “Un regionalismo imperfetto e artificiale non aderente alla storia e alle identità locali”[23], denunciando la debolezza storica e identitaria sulla quale sono state create le regioni. Ad un’introduzione relativa alla futura rubrica Italiæ e ai temi che essa intende trattare, circoscrivendo le visioni identitarie, culturali e territoriali che interessano il nostro Paese, segue una disamina del regionalismo che sempre più entra in profondità nell’universo identitario degli italiani, pur essendo la regione un organismo nato molto di recente e spesso sganciato dalle tradizioni storiche del territorio. Il caso esemplare del Lazio, ma anche quello della Lombardia, vere e proprie regioni costruite a tavolino dopo l’unificazione nazionale con criteri incerti, permettono di mettere in dubbio anche i principi del venetismo. L’identitarismo su base regionale intanto ha iniziato a produrre piccole secessioni regionali, come nel caso di Sappada e del Montefeltro, ed è una delle motivazioni sbandierate per la futura riforma dell’autonomia differenziata. Un veleno che presto entrerà in circolo portando senz’altro futuri sgraditi contraccolpi.

I primi passi della Diciannovesima legislatura

Per poter almeno in parte prevedere le future traiettorie del governo può essere senz’altro utile la lettura de “Il testo integrale del discorso di Meloni alla Camera”[24], che l’attuale Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha pronunciato il 25 ottobre 2022 alla Camera dei Deputati per richiedere il voto di fiducia al governo. L’ambizioso programma della prima donna a capo del Governo italiano prevede in primo piano il mantenimento dell’Italia nel suo sistema di alleanze fermamente ancorate all’Occidente (EU, Nato), auspicando il rilancio di una politica europea dell’Italia sulla base della sua storia e delle sue potenzialità. Meloni ha tranquillizzato i mercati sulla sostenibilità del debito pubblico, promesso le riforme costituzionali in merito al semipresidenzialismo e all’autonomia differenziata, garantito di battersi per la realizzazione di infrastrutture essenziali a connettere uniformemente e agevolmente tutte le parti d’Italia, per assicurare alle imprese meno regole ma più chiare, favorendo «una serrata lotta all’evasione» fiscale affiancata tuttavia da una contradditoria tregua fiscale e dall’estensione della tassa piatta. La lotta alla povertà passerà attraverso il rilancio della scuola e della università, dichiarate «centrali nell’azione di Governo» per fare spazio ai giovani, assicurando inoltre un ancoraggio ai valori dell’ecologismo e il sostegno alla famiglia e alla natalità. Garantendo inoltre che il governo di centro-destra sosterrà sempre i diritti civili, assicurando la maggiore libertà e democrazia, allo stesso tempo promette che «la legalità sarà la stella polare dell’azione di Governo», con una lotta serrata contro la criminalità organizzata e l’immigrazione incontrollata attraverso il Mediterraneo, agendo dove possibile sulle cause che la generano aiutando i Paesi dai quali partono i migranti. Non sarà da trascurare la riforma della giustizia agendo sui fronti della «parità tra accusa e difesa e una durata ragionevole dei processi», puntando a riformare lo stesso ordinamento giudiziario «per mettere fine alle logiche correntizie che minano la credibilità della magistratura». Infine Meloni conclude con un richiamo al pregiudizio negativo nei suoi confronti, che la neo presidente del Consiglio ritiene tuttavia di riuscire a tramutare in stupore una volta che saranno smentiti i pronostici degli osservatori più pessimisti.

Sul governo di centro-destra si interroga Stefano Rolando, professore di Comunicazione pubblica allo IULM, in “Una nuova stagione?”, tracciando, come recita l’occhiello, “le prime impressioni sulla nuova maggioranza e su Giorgia Meloni” in particolare raccoglie due scritti. Nel primo “Dal Centro-destra alla destra. I tre tempi di Giorgia Meloni”[25] ricorda che il pericolo è quello degli annunci «a squarciagola, di provvedimenti dal carattere ‘miracoloso’» senza esserci tuttavia idee concrete in circolazione. Giorgia Meloni, dopo avere dimostrato di essere “una tosta”, dovrà dimostrare di essere anche “una testa”, tuttavia non si può escludere che nel frattempo commetta errori tali da far deragliare l’azione di governo. In particolare su tre fronti, come segnalato dal direttore de La Repubblica Maurizio Molinari: i nodi sociali da affrontare e le diseguaglianze; mantenere la giusta distanza dalle autocrazie e democrature; fare male i conti con la storia e con la memoria sul fascismo. A questi nodi l’autore aggiunge la postura europea. Si spera che all’agenda di continuità con i precedenti governi basata sulle emergenze non segua «un’agenda delle discontinuità, rappresentate dalle ‘ideologie’». Nel secondo scritto, Rolando si chiede se “Il Governo Meloni ci porta avanti o indietro?”[26] rispondendo: “Il giudizio di fondo è netto. Il governo è di destra, di una destra inedita, rispetto alla storia della democrazia repubblicana. Ed è carico di spunti nostalgici, autarchici, nazionalistici, localisti […] Tuttavia – ammonisce Rolando – non cediamo all’immaginazione della ripetizione paro paro della storia della marcia su Roma […]. Nemmeno si dovrebbero rivedere le squadracce devastanti o cose come l’omicidio Matteotti. Poi, su certe chine, si vede che il modello Trump arriva a aizzare la violenza, ma per ora non mi unisco a chi vuole abbaiare senza discutere”.

Il vicedirettore della rivista Economia della Cultura Celestino Spada riflette ulteriormente sulla nuova compagine governativa in “L’avvento di Giorgia Meloni al governo d’Italia”[27]. E lo fa partendo da considerazioni relative alla storia del movimento politico dal quale Meloni ha iniziato il suo percorso di formazione, paradossalmente escluso per decenni dall’arco costituzionale, ridotto poi per anni a condizione servente per fornire appoggio alla “rivoluzione liberale” di Silvio Berlusconi, movimento dal quale è tuttavia scaturita l’attuale guida governativa, per di più donna. Un paradosso che è bene studiare per comprenderlo a fondo. Partendo ad esempio dal patriottismo di Giorgia Meloni, al fine di comprendere se esso sia inclusivo o escludente, per sapere quale sia la modernizzazione auspicata dalla presidente del Consiglio nei suoi scritti e nelle dichiarazioni pubbliche, per fornire risposte agli interrogativi su quel “Piano Mattei per l’Africa” che è senz’altro suggestivo e originale, ma che al momento non è stato ancora illustrato nel dettaglio. Le celebrazioni per il centenario della fondazione del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) offrono lo spunto per riflettere sullo stato della ricerca e dell’innovazione in Italia, non ultimo grazie alle relazioni annuali dello stesso CNR e a un dibattito che coinvolga la stessa classe dirigente politica.

L’ex vicepresidente del Senato Carlo Rognoni analizza in dettaglio le proposte di riforma di questo governo in “Le tre sfide per il 2023. Giustizia, autonomia regionale, aiuti di Stato”[28]. Se il progetto di riforma della giustizia delineato da Carlo Nordio lascia ben sperare, anche in ragione di autorevoli giudizi (Sabino Cassese in primis) che sembrano confermare il punto di vista dell’ex magistrato inteso a scardinare il sistema di «una repubblica fondata sulle procure», allo stesso tempo altrettanti autorevoli giudizi bocciano senza possibilità di appello il piano di riforma del ministro Roberto Calderoli per attuare l’autonomia regionale. I rischi di spaccatura del Paese sono troppi e, se non bastasse il merito, anche il metodo pare confliggere con il portato costituzionale. L’altra questione che andrà considerata riguarda invece la necessità, da parte del governo di Giorgia Meloni, di agire in Europa in favore degli aiuti di Stato. Lo si deve fare perché c’è chi gli aiuti di Stato li sta già usando senza alcun freno: gli Stati Uniti di Joe Biden.

Si tratta di una svolta, quella dell’attuale governo di centro-destra, simile a una sorta di “rivoluzione culturale”? È la domanda che si pone Gianluca Veronesi nel suo articolo “Rivoluzione e controrivoluzione.I messaggi ordinari del nuovo governo”[29], mettendo in evidenza la contrapposizione fra i messaggi ordinari, di stampo ancora draghiano, che provengono dalla compagine ministeriale e il vento nuovo segnalato da un episodio esemplare: il decreto sui rave. “Un rave scalcinato (ma un rave deve esserlo) è passato per una “invasione” (così recita il titolo del decreto legge) forse perché c’erano degli stranieri. Per gli immigrati si ripristinavano i decreti di Salvini, niente di nuovo ma ti accorgevi che in poche ore si erano accumulati migliaia di profughi, quindi che il problema -messo in ombra da emergenze nuove e più drammatiche- era ancora di grande attualità. Così la presidentessa del Consiglio si faceva precedere nella sua visita ai vertici europei (che non poteva che essere amichevole, disponibile ed aperturista) da un messaggio preciso di messa in mora”.

Pier Virgilio Dastoli in “Il disallineamento europeo del governo Meloni. Le inaccettabili posizioni del nostro esecutivo in tema di flussi migratori, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e difesa dello Stato di diritto”[30] si pone come guardiano dei quei «valori comuni su cui si fonda l’Unione europea», messi a repentaglio dalle politiche del governo Meloni, e chiama tali deviazioni dal percorso comune disallineamenti. Soprattutto in tre ambiti: il governo dei flussi migratori, la cui odierna strategia sarebbe impregnata di disinformazione e intossicazione, con l’aggravante di disallinearsi dalle posizioni di Francia, Germania e Spagna, oltre che della Commissione europea, e con il corollario della sciatta comunicazione in merito agli obiettivi del “piano Mattei”; la richiesta di rimodulazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), presto rintuzzata dalla stessa Commissione che ha messo in chiaro che non sarà ammesso alcuno slittamento; infine la difesa dello Stato di diritto, che il governo non pare tenere in considerazione, difendendo invece Polonia e Ungheria minacciate da sanzioni europee.

In “Rileggendo alcune parole di Sergio Mattarella a Capodanno”[31] Stefano Rolando analizza il discorso tenuto agli italiani l’ultima notte del 2022 dal Presidente della Repubblica. Il ‘quarto d’ora di omelia laica’, come definisce l’autore, durante il quale il presidente, a proposito della sempre inquieta politica interna, ha voluto senz’altro rassicurare e probabilmente anche ammonire: l’Europa, affinché le sue istituzioni non si aggrappino a pretesti per speculare sul rischio di democrazia, e il governo Meloni, perché non scivoli su qualche rivendicazione nostalgica che non potrebbe essere giustificata. “Che l’azione del governo abbia […] avuto un andamento duale lo hanno colto gli italiani, i media, il mondo intero. Da un lato un rapido adattamento al quadro dei vincoli che l’Italia ha nel contesto europeo e internazionale. Che colloca Giorgia Meloni più come presidente del gruppo parlamentare conservatore europeo (di cui ha fatto parte anche la democraticissima famiglia dei Tory britannici) che come la fondatrice di una formazione post-fascista che ha rivendicato l’utilizzo dello stesso simbolo del Movimento Sociale in continuità con l’ispirazione sociale del fascismo. Ma al tempo stesso Meloni – che rivendica l’importanza per la democrazia italiana di tornare alla natura politica e non solo tecnica dei governi – deve tener conto del significato di un percorso politico sia di esponenti che di elettori che tornano al governo non più grazie al traino di Berlusconi ma di loro stessi. Così da dare subito riconoscimento agli esponenti più simbolici di questo sentimento (il post-fascista Ignazio La Russa e l’antimodernista Lorenzo Fontana portati alla presidenza di Camera e Senato) e collocando alcuni provvedimenti tra i primi segnali di coerenza con questa impostazione.

In un articolo dedicato a quello che definisce come “Il Gran balletto delle opposizioni. Dal PD al Terzo Polo”[32],  Gianluca Veronesi riflette con sottile ironia sulla sconfitta del PD alle elezioni politiche dello scorso settembre 2022, nella prima parte intitolata “Vicolo largo, vicolo stretto, campo largo, campo stretto” ravvisando i soliti errori di gestione della sconfitta (di fatto non affrontata) e rimproverando al segretario uscente Enrico Letta di non essere stato pragmatico e semmai troppo intellettuale e sganciato da una certa realtà, misera come un bazar, ma che pure va affrontata per non sprofondare. Nella seconda parte dell’articolo non risparmia il Terzo Polo intitolandola “Il terzo gode. La complessa convivenza tra Matteo Renzi e Carlo Calenda” l’autore esprime alcune considerazioni sui due leader di Italia viva e di Azione, uniti e scambiatisi nei ruoli: protagonista il primo, comprimario il secondo.

Carlo Rognoni, ex vicepresidente del Senato, seppur molto critico nei confronti del PD, lo invita ad un grande sussulto capace di segnare forte discontinuità con il recente passato. In un pezzo intitolato “Ricostruire il partito democratico: Europa e democrazia”[33], Rognoni lancia due parole d’ordine per il futuro del nostro Paese, che sono giustappunto “Europa” e “democrazia”. Europa e democrazia sono due parole che sicuramente hanno una storia, appartengono anche al passato, ma oggi possono essere declinate come parole nuove … se si torna a fare politica, se si è capaci di capire e di raccogliere la sfida del grande cambiamento in corso, se si impara a declinarle con la logica di una visione contemporanea del domani”. Perseguire obiettivi europei per rafforzare l’Italia e declinare la democrazia in termini di riforme per dare slancio all’economia e garantire così redistribuzione e giustizia sociale. “Parlare di Europa oggi anche in vista delle elezioni del 2024 – secondo l’ex direttore del quotidiano genovese Il Secolo XIX– vuol dire farsi carico di alcune scelte strategiche. L’Europa ha bisogno di difendere l’euro rispetto al dollaro, ha bisogno di investire in una nuova forza militare autonoma rispetto agli Stati Uniti (anche se a fianco degli americani), l’Italia in Europa ha bisogno di coordinarsi con la Francia, con la Spagna e con la Grecia, per conquistarsi un ruolo egemone nel Mediterraneo. L’Europa a cui dovremmo pensare è un continente capace di mettere in campo un piano ambizioso per la ricostruzione dell’Ucraina. È un piano di cui dovremmo prendere la guida trattando con gli Stati Uniti di Joe Biden e con la Cina di Xi Jinping, affinché tutti sentano la responsabilità di ricostruire insieme il mondo di Kiev”.

È stato senz’altro poco pubblicizzato il documento valoriale di Fratelli d’Italia detto delle Tesi di Trieste, in onore del secondo congresso nazionale del partito svoltosi nel capoluogo giuliano tra il 2 e il 3 dicembre 2017. Ne dà conto Stefano Rolando in un’analisi commentata dal titolo “Dalle Tesi di Trieste al Partito Conservatore. Argomento della ‘democrazia futura’”[34]. Innanzi tutto viene premesso che le tesi «non sono un programma di governo». Sono semmai un vademecum della nuova politica della destra e delle sue radici culturali, «un prodotto del gruppo dirigente allargato agli intellettuali della prima ora, che intende esprimere una certa libertà di ricerca delle fonti di ispirazione» al fine di riappropriarsi della memoria risorgimentale, esprimere un sentimento antiglobalista, affermare il principio di un’Europa di nazioni sovranista su modello del gruppo di Visegrád. Tuttavia l’autore si domanda se sia un’operazione per offrire solide basi ideologiche a un partito conservatore o se non invece una carta per riaffermare il ritorno a valori che sembravano essere stati sorpassati dalla svolta impressa da Gianfranco Fini. Tra desideri e realtà, soprattutto adesso che Fratelli d’Italia ha assunto il ruolo di partito guida del governo della destra, è necessario osservare come si comporterà Giorgia Meloni e l’esecutivo di fronte alle sfide che li attendono. Forse le Tesi andranno riviste e in parte riscritte, mentre al tempo stesso il loro contenuto chiama in causa la sinistra, colpevole di aver abbandonato alcuni valori (l’idea di patria, ad esempio) all’uso esclusivo di una destra che non si sa bene come definire: conservatrice o forse, più semplicemente, molto superficiale?

L’umore del Paese: l’Italia e gli Italiani nelle indagini demoscopiche

Sempre Stefano Rolando in “Perdura la crisi reputazionale del sistema pubblico italiano”[35] (invero la trascrizione di un audio pubblicato sulla rivista online Il Mondo Nuovo del 27 dicembre 2022) descrive “i risultati dell’indagine dell’Istituto Demos diretto dal professor Ilvo Diamanti”, ricerca che, a differenza dell’analogo rapporto del Censis, si occupa di analizzare i sentimenti e le attitudini degli italiani verso le istituzioni. Volendo citare direttamente il cappello introduttivo, i risultati di quest’anno mostrano che «il 64 per cento [degli italiani] non si fida dello Stato (e di tanti specifici ambiti istituzionali), apprezzando in maggioranza solo le Forze dell’Ordine, il Presidente della Repubblica, la Scuola e anche il Papa. Per un pelo anche l’assistenza sanitaria. Magistratura, Regioni, persino i Comuni non passano la soglia, per un filo nemmeno l’Unione europea e nemmeno la Chiesa. Non parliamo di Parlamento e Partiti che sono in fondo alla classifica (con maglia nerissima). Brutta pagella anche per l’economia e il lavoro (Sindacati e imprenditori) con un desolante 75 per cento di sfiducia nei confronti delle Banche». Se la “cura Draghi” ha fatto risalire qualche voce, è anche vero che, all’indomani delle elezioni politiche, «guadagna un po’ la valutazione sull’andamento della democrazia in Italia». Nel complesso tuttavia si può dire che ne esce l’immagine di un Paese sfiduciato, se non anche (come da rapporto Censis) malinconico.

Daniele Fichera, ricercatore socioeconomico indipendente e Senior consultant urban innovation, in “Comuni e social media: un rapporto in evoluzione”[36] mette in evidenza la presenza delle pubbliche amministrazioni italiane sui principali media partecipativi (Facebook, YouTube, Twitter e Instagram). Dalle conclusioni emerge che «il rapporto tra amministrazioni locali e social media sia in evoluzione, con scelte più selettive e un utilizzo più ragionato».

Il rapporto Censis per l’anno del 2022 è al centro dell’attenzione di Stefano Rolando che, come per il rapporto dell’istituto Demos, ne ha discusso per Democrazia Futura in “Latenti e malinconici. Gli italiani del 2022 secondo il Censis”[37]. È uno specchio del declino quello che vi si legge, tanto da fare affermare all’autore che «la fotografia di quest’anno mi ha un po’ impressionato». Quattro crisi in tre anni (guerra, pandemia, morsa energetica) precedute da una lunga stagnazione e mancanza di prospettive hanno lasciato il segno: latenza e malinconia, oltre a post-populismo sono giustappunto il segno dei tempi. L’apatia sembra farsi strada indisturbata attraverso la società italiana, sempre più disincantata, soprattutto dalla politica (i non votanti in sedici anni sono più che raddoppiati, fino a raggiungere il 39 per cento degli aventi diritto). Non esistono neppure più le fiammate conflittuali, mentre sotto la cenere cova malcontento e accidiosa (ma giustificata) insoddisfazione per le sperequazioni troppo alte, l’evasione fiscale, i guadagni facili e immeritati. Al tutto si aggiunge l’inquietudine per il futuro e la desolata constatazione di ciò che manca: giovani (peraltro a loro volta senza futuro), medici, margini di guadagno, coesione sociale, cultura, quella vera, fatta con libri e giornali e non con in Internet e le reti sociali. Non mancano invece i reati, ma soprattutto non manca la mai guarita frattura fra due Italie che solo una politica fatta di serie proposte sostenibili potrebbe finalmente sanare.

Parte seconda Comunicazione e guerra. Storie di media e società nell’era del conflitto in Ucraina

In primo piano. Riforma della Rai, buon Governo della nazione ed eccellenti dipartite

Che cos’è un funerale? In verità Guido Barlozzetti, conduttore televisivo, critico cinematografico ed esperto dei media, in “Della mitologia funeraria. Elisabetta II, Pelé e Benedetto XVI[38] non parla di funerali qualsiasi, ma di tre funerali di altrettante persone che hanno avuto risonanza mondiale: in ordine cronologico, per decesso, la regina Elisabetta II d’Inghilterra, il calciatore brasiliano Pelé, il già papa Benedetto XVI. Tre figure conosciutissime, note per essere figure di potere (regale, calcistico, spirituale) e unite nella cerimonia dell’estremo saluto dal fatto di essere figure mediatiche assurte a sostegni collettivi di una fragile umanità bisognosa di figure di riferimento da seguire quotidianamente e far «diventare compagni della nostra quotidianità, venendo a comporre una squadra di numi tutelari». Miti distanti, ma prossimi grazie alla televisione, che li avvicina ai loro fedeli. Ed ecco così che il funerale si trasforma del culmine di tale rapporto di prossima distanza, «cerimonia collettiva che viene celebrata nella cattedrale della televisione», consentendo così a tutti «di elaborare il lutto e dare l’ultimo saluto a chi ci ha accompagnato nelle vicissitudini della vita». Uno strano rapporto fra masse e figure pubbliche appena trapassate che necessità di una lettura psicanalitica, richiamando le teorie di Jacques Lacan sulla mancanza

Marzia Coronati, giornalista radiofonica e audio documentarista, conversa con Giacomo Mazzone, direttore responsabile di Democrazia Futura, nell’articolo-intervista “Il futuro del canone in Italia e nel resto d’Europa”[39], il cui occhiello significativamente recita “Incertezze sulle modalità di riscossione della tassa radiotelevisiva e senso del servizio pubblico”. La promessa di abolire il finanziamento tramite imposta del servizio pubblico radiotelevisivo in Italia è stata ufficializzata da Matteo Salvini durante la campagna elettorale e lo stesso ha promesso Marine Le Pen in Francia se dovesse andare al potere. Ma ha senso farlo? Secondo Mazzone no, considerando che i dati dimostrano incontrovertibilmente una tendenza in atto di progressiva riduzione della raccolta pubblicitaria, cosa che costringerebbe comunque i governi a finanziare le televisioni e radio pubbliche, questa volta però non attraverso una tassa appositamente destinata allo scopo (come peraltro ancora oggi avviene in Gran Bretagna, Francia, Germania, Svezia, per fare qualche esempio), ma attraverso il finanziamento pubblico deciso direttamente dai governi, cosa che di fatto rischierebbe di sacrificare la logica del servizio pubblico a favore del controllo totale politico, come avvenuto negli anni passati in alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico (Polonia e Ungheria). Rimodulare la tassa è lecito farlo, come peraltro già avvenuto in diversi Paesi europei, ma abolirla può fare solo il gioco della più miope politica, con il rischio di mandare a morte la logica inclusiva del servizio pubblico radio-televisivo, vicino ai cittadini ed equidistante dal potere.

Andrea Melodia in un articolo intitolato “Fornire sistemi di raccomandazione di servizio pubblico agli internauti nelle piattaforme della RAI. Una ricerca a cura di Flavia Barca e Alessandra Pratesi per l’ufficio studi di Viale Mazzini[40]. Secondo l’ex manager Rai e Presidente dell’UCSI “in una ottica di servizio pubblico, la raccomandazione non può essere orientata solo a massimizzare il consumo del prodotto. Si ripropongono qui il dualismo e le contraddizioni di cui abbiamo già detto. Occorre anzitutto profilare correttamente il singolo utente, rispettandone la privacy; identificare in modo veloce e sicuro il senso e il valore dei contenuti offerti; e – più di ogni altra cosa – evitare che la segnalazione di contenuti simili a quelli già usufruiti dall’utente esalti il suo isolamento culturale, la sua esperienza “di bolla”, anziché favorire, come il servizio pubblico deve fare, il confronto e la diversificazione delle esperienze. Le due esigenze contrapposte, massificare e diversificare, devono trovare una sintesi” – conclude Melodia.

“La Tv rimane al centro dei nostri pensieri. La lezione dei microchip per la nuova tv liquida” è il titolo assertivo di Michele Mezza, docente di Epidemiologia sociale dei dati e degli algoritmi all’Università di Napoli, di un articolo uscito inizialmente il 4 dicembre 2022 sul sito Tvmediaweb.it di Marco Mele e Patrizio Rossano[41] Più nello specifico, è al centro dei pensieri «di coloro che in qualche modo vivono di Tv, con la Tv, per la Tv». Il ragionamento che l’autore dipana nelle pagine dell’articolo si conclude prospettando, quale futuro per la televisione, «la separazione strutturale ed organica fra ideazione e sviluppo dei linguaggi, dalla realizzazione e distribuzione». E lo fa partendo dalla pervasività degli algoritmi, sistemi di calcolo che estraggono dalla massa di consumatori singole personalità alle quali proporre temi e programmi pensati appositamente. La profilazione di ogni utente è il fine delle piattaforme digitali che si servono dei programmi quali esche per estrarre i dati dagli spettatori. Non sempre tuttavia (almeno non ancora) riesce il gioco, tuttavia la strada sembra tracciata e, stando anche all’evoluzione dell’informazione su carta stampata, ormai sempre più di natura audiovisiva, c’è da credere che per salvare la Rai e le consorelle dall’irrilevanza sia necessario pensare al futuro della televisione nell’ottica di una separazione delle funzioni.

Pieraugusto Pozzi, ingegnere e segretario generale di Infocivica – Gruppo di Amalfi, riflette, come da occhiello, su “I nuovi riti dei mondiali di calcio invernali in Qatar”, rievocati nell’articolo dal titolo “Au revoir Monsieur Messi, troppi addii: Sinisa, Pelè e Vialli”[42]. E questi riti nuovi sono, di fatto, l’ascolto calcistico per «pochi e minimali […] gruppi d’ascolto e ciascuno a casa sua», secondo il dettato culturale imposto da Covid e streaming. “Covid e streaming hanno cambiato, tra le altre, anche le nostre abitudini di ascolto calcistico: pochi e minimali i gruppi d’ascolto e ciascuno casa sua, come accade ormai con la nostra Serie A – chiarisce Pozzi.Nell’articolo, oltre ad evocare Messi, Pozzi ricorda Sinisa Mihajlović: “da allenatore, ha preferito presentarsi al mondo non con una comunicazione di comodo o garbata, ma come un uomo e un professionista discusso e divisivo. Come nel racconto della guerra di Jugoslavia, invocando sempre la sua sacra amicizia con Arkan o, meno bellicosamente ma indelicatamente, nelle ultime campagne elettorali emiliano-romagnole e bolognesi, quando decise di usare la sua notorietà per appoggiare pubblicamente i candidati di centrodestra. Ma anche l’uomo che con coraggio incredibile e l’inevitabile debolezza fisica, ha insegnato come affrontare pubblicamente una malattia terribile”. si ricorda inoltre il dirigente sportivo e giornalista Mario Sconcerti maestro di cronache e opinioni scritte per i giornali e di parole dette in radio e in televisione. Un mondo broadcast, da “Tutto il calcio minuto per minuto”, nella quale i giornalisti potevano essere dirigenti sportivi (come fu Vittorio Pozzo). Non mancano naturalmente le altre due figure scomparse in questi mesi che hanno segnato un’epoca calcistica: Pelé e Gianluca Vialli. Conclude l’autore che tali dipartite rappresentano «troppi addii per noi, nati in epoche calcistiche remote e romantiche».

Giacomo Mazzone sposta l’attenzione sull’Organizzazione delle Nazioni Unite, illustrando – nell’articolo “Verso il ‘Summit del Futuro’ delle Nazioni Unite. Un incontro decisivo a poche settimane dalle prossime elezioni presidenziali statunitensi”[43]– la sfida lanciata dal Segretario Generale António Guterres ai Paesi sostenitori del controllo statale sulla Rete. Lo sforzo portato avanti da Guterres e dal suo incaricato speciale Amandeep Singh è volto ad assicurare per le date del 23 e 24 settembre 2024, quando si riunirà il ‘Summit del Futuro’ a New York, un piano di azione per confermare gli obiettivi del Global Digital Compact in materia di libertà di accesso ad un Internet globale e non sottoposto a controlli. Finora le posizioni in campo vedono essenzialmente un campo liberal-democratico, tuttavia diviso al suo interno, che dovrebbe contrastare i tentativi russi di influenzare l’opinione del Gruppo dei 77 Paesi che rimangono al momento neutrali sulla questione, tra cui l’India. La neutralità di Pechino è contraddetta dalla Great Chinese Firewall, storica iniziativa ispirata al controllo delle autorità governative sulla rete. Prima che scada il mandato di Guterres (dicembre 2026) sarà essenziale per l’Europa e l’Occidente riuscire a prevalere in questo grande gioco essenziale per i futuri equilibri del pianeta.

Un secolo fa. Uno sguardo sulla nascita della radiofonia in Italia: dall’Uri all’Eiar sino alla Rai

Gabriele Balbi, professore ordinario in Media Studies all’Università della Svizzera Italiana di Lugano, rievoca in un articolo “Dalla nascita del telefono a quella della radio in Italia. Le gestioni contraddittorio del governo regio e la svolta impressa agli inizi dal fascismo”[44] gli antecedenti storici alla nascita nel 1924 della prima emittente radiofonica nazionale, l’URI, della cui fondazione il prossimo anno si celebrerà il centenario. In verità in principio fu il telefono non solo ad anticipare i servizi offerti dalla radio, ma persino ad affiancare e a far da concorrente all’URI ben oltre il 1924. Se inizialmente in Italia la diffusione di una rete telefonica unica nazionale aveva stentato ad affermarsi, dopo il 1907, quando venne nazionalizzato il servizio telefonico, prese forma anche in Italia un sistema definito “telefonia circolare” che prevedeva l’utilizzo di strutture telefoniche ma con un utilizzo differente. Nel 1910 infatti nacque a Roma l’Araldo telefonico, antenato dalla radio per contenuti (segnale orario, notiziari, spettacoli teatrali), ma non per tecnica. Quando, all’indomani del primo conflitto mondiale, si affermò negli ambienti governativi la necessità di sviluppare un’emittente radiofonica nazionale su modello della BBC, si scontrarono diversi interessi, prevalendo infine il cartello “marconista” e anglosassone a scapito del più debole vaso di coccio di “Radio Araldo” che rimase escluso dall’assetto azionario della concessionaria per le radio audizioni.

 

L’importanza del servizio pubblico radiotelevisivo è sottolineata anche dalla storia, che è ripercorsa dal direttore editoriale di Democrazia Futura, Bruno Somalvico, autore di “Cento anni di radiofonia e settant’anni di televisione in Italia. Verso la celebrazione dell’inizio delle trasmissioni radiofoniche. Sono qui ricostruite – nell’ambito della prima stagione caratterizzata dal 1924 al 1954 dalla radiofonia assegnata ad un unico soggetto concessionario in regime di monopolio – le complesse trattative ne “Gli anni di gestazione dell’URI (1924-1927)”[45] che segnano gli albori di quelle che erano definite le radio audizioni circolari. I cento anni decorreranno dal prossimo 27 agosto 2024: lo stesso giorno del 1924, seguendo il modello britannico della BBC, attraverso la fusione di due società a loro volta rappresentative di tanti interessi italiani ed esteri, nasceva l’Unione Radiofonica Italiana (URI), la cui prima diffusione di notizie e l’avvio di quotidiane trasmissioni radiofoniche giunse il 6 ottobre successivo. Tale ricostruzione è preceduta da una lunga premessa relativa alla delicata “questione della periodizzazione” in cui l’autore illustra “La proposta di suddividere la storia radiotelevisiva italiana in quattro stagioni” ognuna delle quali a sua volta andrebbe distinta in tre o quattro fasi: 1) la stagione della radio, ovvero i primi tre decenni dal 1924 al 1954; 2) l’epoca del monopolio televisivo del servizio pubblico dal 1954 al 1974; 3) l’età del sistema radiotelevisivo misto dal 1974 al 2004; 4) l’era della crossmedialità e di formazione di un complesso quanto articolatoecosistema digitale dal 2004 ad oggi. Le conclusioni dell’autore sono volte a sottolineare che, a distanza di un secolo, emerga «sempre di più la consapevolezza della necessità di ridefinire missione, offerta, finanziamento e governance dei media di servizio pubblico su scala europea per fra fronte alla sfide della grande trasformazione digitale». Segue un decalogo di proposte concrete per rendere effettivi tali obiettivi.

Segue la seconda parte dell’intervista realizzata da Bruno Somalvico a Giuseppe Richeri, la cui prima parte è stata pubblicata nel precedente numero doppio (6-7), il cui il professore emerito ed esperto di politica ed economia delle comunicazioni ripercorre un altro pezzo di storia della radio-televisione: “Dalle sentenze della Corte Costituzionale alla formazione di un sistema misto pubblico privato fotografato dalla Legge Mammì (1974-1993)”[46]. In particolare è messo in risalto il ruolo della n.202 del 1976 che a livello locale «apriva alla possibilità di stabilire un certo numero di stazioni via etere che permettesse così la concorrenza», mentre manteneva inalterato il monopolio pubblico nazionale. Una mezza apertura destinata a conseguenze importanti, prima di tutto negli ambiti della raccolta pubblicitaria e dello sviluppo della televisione commerciale. Inizialmente locale, come stabilito dalla Corte, finché non entrerà in campo un tal Silvio Berlusconi.

Sempre con riferimento al centenario della radio, la lettura di “Cento anni dopo John Reith: quello che resta dei servizi pubblici radiotelevisivi nella società digitale”[47] di Pieraugusto Pozzi risponde all’interrogativo che può nascere spontaneo, alla luce degli effetti della grande trasformazione digitale che nel nuovo millennio «ha prodotto l’universo di umani e macchine nel quale la mediazione verticale e unidirezionale dei mass-media […] si confronta con il sesto potere della disintermediazione orizzontale e interattiva delle grandi piattaforme Bigh Tech e dei social-media». Di certo l’intelligenza artificiale (nello specifico: Chatbot-GPT3 di OpenAI) non sembra essere in grado di offrire alcuna risposta. Tocca pertanto all’autore cimentarsi. E lo fa partendo dalla nozione stessa di servizio pubblico radiotelevisivo, dalla sua storia che inizia con la BBC di John Reith, trasformata nel 1927 nel primo servizio pubblico indipendente di radiodiffusione al mondo, all’insegna del motto «informare, educare e intrattenere». A distanza di quasi cent’anni la crescita dell’universo digitale mette a rischio di sopravvivenza lo stesso concetto di servizio pubblico. Quel che resta dei servizi pubblici radiotelevisivi nella società digitale, si potrebbe rispondere, è dunque – conclude Pozzi – saper fare tesoro della lezione appresa da John Reith e dai suoi emuli per normalizzare lo spazio digitale e consolidare così i «principi di costituzionalismo digitale in sovranità culturale e tecnologica».

Internet, i servizi pubblici radiotv, i gestori di telecomunicazioni e l’informazione in tempo di guerra

La tersa sessione di questa seconda parte del fascicolo contiene proposte, analisi e denunce relative ai nodi irrisolti che riguardano la nostra Penisola, le risposte che sta dando l’Unione europea di fronte all’arrivo del Metaverso e all’irrompere dell’intelligenza artificiale, e la necessità di sapere usare la lingua italiana quando si affrontano temi relativa alle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (ICT)

Parafrasando il titolo di un noto film di Francesco Maselli, Giacomo Mazzone, direttore responsabile di Democrazia futura, nella sua “Lettera aperta a un giornale della sera cinquant’anni dopo. Un Appello alla politica per salvare la Rai rilanciandone la missione di servizio pubblico”[48] si chiede se “Finito Sanremo […] la politica troverà finalmente il tempo di occuparsi del Contratto di Servizio della Rai. Un contratto che la politica sembra considerare un inutile orpello, come ne dimostra la storia, visto che le scadenze previste sovente non sono state rispettate”. Sottolineate “Le incertezze sulle risorse che verranno assegnate alla Rai dopo le dichiarazioni di Giancarlo Giorgetti sull’abbandono del canone dalla bolletta elettrica e l’impatto che [tale decisione avrà sul nuovo] Contratto di Servizio”, Mazzone illustra le ragioni che hanno spinto Infocivica, l’Associazione Italiana di Comunicazione Pubblica ed Eurovisioni a promuovere un Appello della società civile e delle professioni sul Contratto di Servizio Rai  aperto alla sottoscrizione di tutti gli stakeholder interessati e di cui viene riprodotto il testo.

“Cosa c’è dietro alla decisione di consentire a Donald Trump di riattivare il proprio account su Twitter” recita l’occhiello dell’articolo di Michele Mezza dal titolo “La crisi del mercato digitale: la vecchia talpa scava negli algoritmi”[49]. Invero si tratta di un interrogativo che interessa ultimamente anche gli investitori, alle prese con la flessione in atto dei titoli tecnologici legati all’economia digitale. Stando all’autore l’opera sotterranea della “vecchia talpa” del vocabolario marxista è evidenziata proprio da questo segnale di crisi strutturale dell’economia digitale, alla ricerca del maggiore profitto a breve termine e in grado per questo di scontentare gli investitori avidi di risultati sempre migliori. Un capitalismo delle aspettative che erode il patto sociale che regge (o reggeva) l’economia dei dati delle Bigh Tech, sottoposte ora alle turbolenze innescate da un’emotività del mercato che fino a ieri aveva garantito titanici profitti. La caduta del mercato delle criptovalute è un’altra mina sotterranea che rischia di far crollare l’intera economia fondata sugli algoritmi. Quale che sia l’evoluzione di questa crisi sistemica l’autore riconosce che è paradossale che ciò avvenga «nel momento che sembra più disarmante per una sinistra critica». Insomma, la vecchia talpa dovrà non soltanto produrre crolli nell’economia digitale e nella finanza speculativa (settori che si autoalimentano a vicenda), ma anche scuotere le coscienze assopite delle forze politiche di sinistra.

Marco Mele, esperto e analista dell’industria dei media, oltre che giornalista e saggista, in “Editori televisivi in guerra con la balena Il nuovo standard DVB-T2 deve aspettare: manca il 30 per cento dei televisori”[50] mette in evidenza il ‘pasticciaccio’ del nuovo standard di trasmissione digitale terrestre che avrebbe dovuto essere protagonista di una seconda tappa del processo di transizione del sistema televisivo italiano che si è tuttavia incagliata. Gli scogli, di natura tecnologica (secondo Anitec «sono circa 25 milioni su 45 gli apparecchi o da sostituire o da integrare con un decoder») e politica (i vedi di Confindustria Radio Tv) hanno prodotto squilibri nel mercato delle frequenze, a causa dei rinvii della transizione, che rischiano di avere ripercussioni anche sugli operatori di telefonia e sulla mobilità di Internet.

L’intelligenza artificiale, finora in gestazione, è ora nata. “Si è detto molto sul Generative Pretrained Transformer, o ChatGPT, il prototipo di chatbot basato su intelligenza artificiale e machine learning sviluppato da OpenAI, ma è chiaro che ancora tanto c’è da scoprire sulla sua reale efficacia in termini di elaborazione del linguaggio naturale Natural language peocessing (NLP). Sicuramente è uno dei più potenti strumenti di elaborazione del linguaggio naturale a nostra disposizione che utilizza algoritmi avanzati di apprendimento automatico per generare risposte molto simili a quelle umane, all’interno di un discorso o in fase di interlocuzione”.Ne dà conto Flavio Fabbri, redattore e giornalista pubblicista, esperto di transizione digitale e innovazione. Nell’articolo “ChatGPT, 10 prove per capire cosa sa fare davvero”[51], l’autore descrive il chatbot capace di rispondere a domande complesse e persino di comporre testi scritti come se fossero frutto dell’ingegno umano, come un «bambino che sta scoprendo il mondo, con tutti i suoi limiti e i suoi errori», sorta di robot bambino come nel film “A.I. Artificial Intelligence” (2001) di Steven Spielberg, pronto a recare in serbo, una volta cresciuto e stando agli attuali sorprendenti risultati, sorprese e risorse da impiegare in numerosi settore chiave.

Paolo Anastasio, giornalista specializzato in ICT, Digital Economy e Telecomunicazioni, in “L’Unione Europea lancerà il regolamento globale sul metaverso nel 2023”[52], parla dell’iniziativa Thrive in the Metaverse (Prosperare nel Metaverso), lanciata nel settembre 2022 per «preparare l’Europa all’era delle criptovalute e del web3». Si stanno impegnando sulla questione il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, e la presidente della Commissione dell’Unione Europea Ursula von der Leyen. Secondo Thierry Breton, commissario europeo per il mercato interno, qualsiasi clamore che circonda il mondo virtuale o la connettività sociale immersiva sarà oggetto di esame. Inoltre, Thierry Breton ha detto anche che la Commissione intraprenderà misure per sviluppare standard e aumentare l’interoperabilità nel mercato del metaverso, poiché “nessun singolo attore privato dovrebbe detenere la chiave della piazza pubblica […] l’Unione europea – aggiunge il Commissario europeo francese – adotterà un approccio misto al metaverso e alle comunità virtuali. Offrirà iniziative di supporto per incoraggiare lo sviluppo e le infrastrutture, ma assumerà un ruolo più attivo nel plasmare lo sviluppo del metaverso. È probabile che questo tipo di approccio misto garantisca che le nuove forme di tecnologie immersive non subiscano la stessa crescita mostrata da Facebook””. Di fronte al percorso accidentato ma virtuoso dell’Unione europea gli Stati Uniti nella stessa materia sembrano preferire l’autoregolamentazione, almeno nel breve termine e sulla base di una certa tradizione, da parte delle società tecnologiche.

In “Geni e algoritmi: per una democrazia della ricerca e della scienza. Un programma politico per il Ventunesimo secolo”[53], apparso il su Michele Mezza sprona il mondo politico, di fronte ai più recenti ritrovati nell’ambito dell’intelligenza artificiale (Chat Gpt) e della biotecnologia (progetto Chroma), che pongono con inquietudine l’umanità di fronte alla possibilità concreta di poter rendere nuove future tecniche di intervento genetico «accessibili per sistemi, apparati, addirittura individui, senza particolari dotazioni o dimensioni organizzative», ad affrontare la minaccia incombente con strumenti in grado di «combinare l’accessibilità alle nuove tecniche come forme di democrazia e di benessere con le esigenze di controllo e limitazione dell’uso di queste opportunità al fine di alterare equilibri naturali fondamentali». Il Vaticano e le tre religioni monoteiste si sono già mosse, ma da sole non bastano. E, d’altra parte, fissare paletti e regole di sorveglianza servirebbe a poco in un ambito in cui il ritmo dell’innovazione è così rapido e frenetico da rendere qualsiasi processo di sorveglianza obsoleto. Serve quindi «escogitare forme di contrattazione e controllo che abbiano la stessa agile capacità di adattamento mostrato dalle piste di sviluppo della ricerca». L’irruzione sulla scena di forme globali di conflitto inedite e decentrate, generate dalla pervasività dei social network e che producono modelli politici fino ad oggi sconosciuti, così come sconosciute sono le proteine prodotte con l’uso di intelligenze artificiali, rendono la ricerca di soluzioni più urgente che mai.

L’ingegnere elettronico, già professore all’Università di Torino, Angelo Luvison ha sintetizzato per Democrazia Futura un articolo apparso sulla rivista AEIT (2018) in “Riflessioni sullo scrivere in italiano di ICT”[54]. Il ruolo egemone dell’inglese nel linguaggio tecnologico necessita di essere contrastato con una maggiore attenzione e disciplina per evitare alla lingua italiana un destino di regressione culturale, perché «una lingua nazionale che non parli anche di scienza e tecnoscienza regredisce rapidamente in una lingua di àrcadi, o in un dialetto, cioè segna la propria fine». Il ruolo degli accademici è fondamentale, ma può non bastare. “Il tema della traduzione in italiano dei termini informatici – chiarisce l’autore è spinosissimo per diversi motivi: 1) gli addetti ai lavori sono poco propensi ad accettare traduzioni. Perfino su hard disk = disco rigido riescono a imbastire distinzioni senza fine; 2) di norma, chi si occupa di linguaggio sa poco o niente di informatica, e fa a sua volta fatica a proporre plausibili equivalenti italiani”.  Resta però il fatto che anche linguisti e accademici dovrebbero contribuire attivamente all’evoluzione della lingua italiana – nelle sue risorse culturali e nei suoi strumenti operativi – per trattare concetti e contenuti (non solo il lessico) affatto nuovo, che scienza e tecnologia propongono giorno dopo giorno. Rinunciarvi – conclude Luvison – sarebbe quasi come ammettere che la nostra lingua non possiede risorse culturali adeguate a trattare qualsiasi contenuto tecnico-scientifico proprio di un Paese che guarda al futuro”.

Parte terza. Rassegna di varia umanità. Elzeviri, interviste, analisi, commenti, interpretazioni, ricordi e altre amenità dello spirito, del pensiero e del gusto

Giorgio Inglese, ordinario di Letteratura italiana all’Università di Roma “La Sapienza”[55], ricorda in “Alberto Asor Rosa nella storiografia della letteratura italiana” sottolineando come sia stato un “Vettore di modernizzazione e unificazione della nazione”. Nella commemorazione pronunciata all’università La Sapienza, Inglese, mettendo in evidenza “l’opera di studi di critica letteraria del noto intellettuale, docente e politico recentemente scomparso, non dimentica peraltro la “grande opera” collettiva della Letteratura Italiana Einaudi (1982), a cui Asor Rosa offrì un importante contributo, fino alla sua Storia europea della letteratura italiana (2009) nella quale fu affrontato il nesso fra letteratura e identità nazionale italiana. “La ‘letteratura italiana’ – concludeva [Asor Rosa] secondo quanto rievocato dal suo allievo Inglese – ha vissuto per sette secoli della propria mitizzazione ideologica, in un conflitto continuo e continuamente riassorbito con la singolare forza creativa dei “classici”. Avendo, per un lunghissimo periodo storico, sostituito la politica come vettore di unificazione e modernizzazione nazionale, la “Letteratura” ha largamente trasferito la sua specifica forma di mitizzazione ideologica alla “Nazione italiana” stessa, concorrendo notevolmente (in qualche tragico caso: decisivamente) alle contraddizioni del suo sviluppo dall’Unità a oggi”. 

Gianfranco Noferi, dirigente Rai e scrittore, rievoca il fondatore dell’ENI in “Enrico Mattei, un grande italiano, un grande visionario”[56], prima parte di un trittico dedicato alla figura del partigiano marchigiano. L’occasione è data dalla ricorrenza dei sessant’anni dalla morte dell’imprenditore di Stato, ex partigiano e deputato della Democrazia Cristiana, avvenuta la sera del 27 ottobre 1962 con le ben note modalità che hanno lasciato spazio a ipotesi di sabotaggio. La sua figura è in grado ancora oggi di ispirare progetti governativi (il “Piano Mattei per l’Africa” di Giorgia Meloni, ottobre 2022) e, naturalmente, interrogativi all’insegna del “cosa sarebbe stato se non fosse mancato così presto?”. Grande italiano che ha gettato le basi per il sorprendente slancio economico italiano del secondo dopoguerra, dimostrando, come disse egli stesso a una platea di studenti africani, che gli italiani «hanno le capacità della grande organizzazione industriale». Innovatore nei contratti di ricerca e sfruttamento delle risorse petrolifere, sostenitore della decolonizzazione politica ed economica, sono tutti aspetti evocati dall’autore dell’articolo citando passaggi della lectio magistralis tenuta il 27 ottobre 2022 dal professore Aldo Ferrara. A proposito de “La formula Mattei dell’upstream” Noferi aggiunge: “Sappiamo che Mattei lavorò alla indipendenza energetica italiana e a contrastare e a sfidare quello che allora era il monopolio delle “sette sorelle”. Ricordiamo che l’upstream è la più rischiosa, ma la più redditizia, attività legata al mondo degli idrocarburi. Si articola in quattro fasi, ciascuna con i suoi oneri caratteristici: acquisizione dei titoli minerari e diritti di sfruttamento; esplorazione (ricerca geologica e sismologica, perforazioni); sviluppo (allestimento dei siti estrattivi di riserve provate); produzione (estrazione a fini di commercializzazione).

Giulio Ferlazzo Ciano,  ne “La minaccia dell’autonomia differenziata all’arte e al paesaggio italiani”[57] mette in guardia dai rischi insiti nell’attuazione delle norme previste dalla revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione che permetterebbero alle regioni di farsi carico della tutela dei beni culturali e architettonici e del paesaggio. Un problema peraltro che viene da lontano, considerando che è da un decennio almeno che la stessa classe politica nazionale ha demonizzato il ruolo dello Stato quale tutore del patrimonio storico, artistico e paesistico, ruolo assunto grazie alla lungimirante adozione dell’articolo 9 della Costituzione repubblicana, per decenni baluardo (non senza pecche e clamorosi fallimenti, ma comunque un baluardo) contro la speculazione e il degrado del patrimonio artistico, architettonico e paesistico nazionale. Tutela che viene da lontano, dagli albori dell’unificazione nazionale, per avere infine un riconoscimento formale nella legislazione del 1939 e, dal 1948, nella stessa Costituzione. I rischi del trasferimento alle regioni del compito di tutelare il bene più prezioso dell’Italia fu già messo in evidenza nel dibattito dei costituenti e alcune lasche legislazioni in materia già adottate sul territorio nazionale da enti a statuto speciale (come nel caso della legge provinciale di Bolzano del 2018) lasciano trasparire quale potrebbe essere il destino che attenderebbe l’Italia e il suo millenario e stratificato paesaggio urbano e rurale, una volta che fosse sottoposto alle pressioni economiche, non più arginate e forse persino incoraggiate, di uno dei settori trainanti dell’economia: l’edilizia.

Un ritorno indietro nel tempo agli albori della letteratura europea è proposto da Vittorio Macioce, editorialista de Il Giornale, attraverso l’articolo “Sordello da Goito, quando la poesia abbandona il latino e sceglie il volgare”[58]. “È una stella della lirica provenzale -ricorda Macioce -. Non è un trovatore come tanti. È uno che gira l’Europa e raccoglie successi. Sono lì le origini della letteratura europea e occidentale, quando le corti medievali mettono un vestito pop e la poesia abbandona il latino e sceglie il volgare, la lingua parlata e bastarda di un mondo in cerca di identità, con le parole che cercano il ritmo nella musica e le storie sono lunghe canzoni dove si parla di amori, di seduzione, di gesta eroiche e satire politiche, di belle donne e cavalieri, di servi corrotti e sovrani meschini”. Come si sa Sordello è anche il personaggio incontrato da Dante nel canto VI del Purgatorio, alla cui vista il sommo poeta pronuncia la celebre invettiva sull’Italia. Da questo avvenimento letterario l’autore dipana un breve affresco che si snoda dal dibattito politico sulla Firenze a cavallo fra Duecento e Trecento fino alla piaga del conflitto fra patriziato urbano, camuffato da blandi travestimenti ideologici.

Parte quarta. Rubriche

La quarta e ultima parte di Democrazia Futura si occupa di vari temi e approfondimenti divisi per gruppi.

Per la rubrica Maxima moralia, Massimo De Angelis in “Il breve ma intenso confronto tra Joseph Ratzinger e Jürgen Habermas. L’attualità di un dibattito antico su etica e religione”[59] rievoca il dialogo fra l’ex pontefice e il filosofo tedesco pubblicato nel volume Etica, religione e Stato liberale (2008). Il dibattito verteva sul confronto tra etica, religione e secolarismo. Habermas sosteneva che l’etica doveva rimanere indipendente dalla religione pur giovandosi del suo aiuto; Ratzinger si interrogava «sull’obiezione di altre culture circa un limite, dal quale emendarsi, da parte del razionalismo (e secolarismo) occidentale». L’autore ci domanda a questo punto: «chi dei due aveva meglio intravisto i temi di oggi?».

A poche settimane dalla scomparsa della celebre interprete di Pane, amore e fantasia, Italo Moscati in un breve contributo, rievoca nella rubrica Visto da vicino le rivalità intercorse fra due grandi dive del cinema italiano come Gina Lollobrigida e Sofia Loren soffermandosi su un “pizzico” celebre avvenuto nell’ambito di un’edizione del Festival di Cannes. Moscati osserva come “Nell’epoca di palloni-spia, una delle due, Sophia, ha cancellato quello scontro, anzi ha ricordato con commozione e spirito di qualità la Collega, le sue Qualità, nella Situazione. Una sorta di complimento ma anche di auto-assoluzione”. Di qui il titolo dato dallo stesso Moscati: “Le grandi Signore hanno vinto … Gina e Sophia”.[60]

Per Tiro a segno, Stefano Rolando recensisce Romanzo radicale, il docufilm trasmesso da Rai 3 sulla vita di Marco Pannella in “2,2 per cento di ascolto, forse andava concepito più ‘alla grande’”[61]. Di certo, al di là del giudizio sul suo valore, il prodotto mostrato in televisione non ha superato quella soglia minima di ascolti in grado di decretare un pur modesto successo, soglia che l’autore ritiene avrebbe dovuto essere almeno il doppio di quel 2,2 per cento raggiunto. Le critiche feroci giunte da autorevoli conoscitori dell’uomo politico e qualche mancanza della sceneggiatura hanno fatto di questo prodotto qualcosa di non pienamente riuscito.

Sempre per Tiro a segno, “Esterno notte di Marco Bellocchio tra cinema e tv”[62] è l’articolo-recensione di Guido Barlozzetti, dedicato al serie televisiva andata in onda su Rai Uno dedicata ai tre mesi che separano il rapimento dall’uccisione di Aldo Moro. L’autore conclude l’articolo con una constatazione: «Esterno notte mi pare vada preso come un esperimento», «indica una strada e, al tempo stesso, segnala una soglia su cui si toccano cinema e televisione». In effetti la serie, andata in onda su Rai1 divisa in quattro puntate, è nata come se fosse un’opera cinematografica, tanto da essere stata presentata a Cannes, per volontà dello stesso regista, prima di sbarcare in televisione. Al di là dei risultati degli ascolti (per alcuni deludente) e le critiche per la inadeguata ricostruzione storica, resta un racconto che, osservato da quattro angolature diverse, sfida le convenzioni con la «forza provocatoria della cultura», costringendo il Paese a continuare a interrogarsi sull’enigma che è ancora oggi la vicenda tragica di Aldo Moro, figura che l’autore non esita a definire «un Convitato di pietra della politica e della storia italiana». Interrogativo autoriale, da parte di un protagonista del cinema autoriale, che permette di immaginare futuri sviluppi strategici per la fiction italiana sulla tv generalista che, pur senza voler «recuperare impostazioni pedagogiche da epoca del monopolio», dovrà senz’altro affrontare il nodo del rapporto fra palinsesto generalista e qualità della produzione.

Per Un certain regard, Claudio Sestieri, regista cinematografico e televisivo, in “Calcata, un’idea”[63] registra con l’obiettivo fotografico “l’inverno del borgo in quattordici istantanee”, a pochi passi da un angolo di paesaggio naturale lungo il corso del Treja, nel cuore della Tuscia, che «è stato a lungo il quartier generale del cinema di genere italiano, rifugio segreto di perfide regine, sensuali ancelle e nerboruti eroi».

Per Passato prossimo non venturo, una rievocazione di scenario naturale è offerta da Lucio Saya, regista e sceneggiatore, in “Tende alla Guitgia”, con riferimento alla cala lampedusana nella quale si situa un’evocazione risalente “Lampedusa sessant’anni fa”[64]. “Messo piede a terra – ricorda Saya – ci avvicinammo alle prime case; c’era poca gente, qualche giovane. Forse il mio stupore fu eccessivo, ma ho anche il vissuto e studiato in Sicilia, ne ho conosciuto buona parte e conoscevo le caratteristiche fisiche e la statura dei siciliani, quindi mi ero aspettato di vedere i lampedusani più bassi e con capelli e occhi ancora più scuri. Invece alcuni di quei giovani, e altri che vidi in seguito, erano alti, avevano capelli più o meno biondi gli occhi verdi.”

Per I contorni del caso, Filippo Pogliani, che si definisce filosofo manager e poeta, in “Il ‘fare filosofico’ di Fulvio Papi (1930-2022)”[65] ricorda la figura del docente di Filosofia teoretica ed Epistemologia presso l’Università di Pavia, fondatore di una vera e propria scuola filosofica nell’ateneo ticinese che introdusse percorsi impegnativi e per quei tempi (anni Sessanta e Settanta del ‘900) innovativi. Un docente dotato di umanità e gentilezza, rievocate con una citazione finale tratta dalla prefazione a un libro pubblicato dallo stesso Pogliani nel 1985.

Per la rubrica Riletture, Venceslav Soroczynski pseudonimo di un critico letterario e cinematografico che vive nel nord-est, propone la rilettura di tre opere letterarie

In “La destra, l’aborto e il Nobel. A proposito de L’evento (2000) il testo più noto in Italia della vincitrice del prestigioso premio, Annie Ernaux”[66], riprendendo una frase del compianto Daniele Del Giudice, Soroczynski definisce quest’opera della scrittrice francese come un libro in cui «s’incontrano il saper essere e il saper scrivere». La storia de L’evento è scarna eppure ricca di significato, vi si racconta «l’interruzione volontaria di gravidanza che una studentessa universitaria si procura nella Parigi degli anni Settanta. Senza troppo romanzare, senza addolcire, senza farne battaglia politica». Ed è in questa onestà definita «quasi noiosa» che sta secondo l’autore il valore del romanzo. Un libro scarno, di appena “cento paginette”, eppure in grado di dire molto di più di quanto altri scrittori non sono in grado di affrontare in mille pagine.

Il medesimo autore rilegge ne “Siamo tutti dei piccoli marchesi de Sade. Dove sono demonio e inferno nel terzo millennio: la narrazione della razza umana ne La filosofia nel boudoir[67], rilegge questo celebre testo di Donatien Alphonse François de Sade, scritta nel 1795, laddove ormai tutto ciò che di scandaloso si andava dicendo dell’opera del marchese, appare invece oggi come «un edificio di vapore”, dalla perversione “finta” e “quasi inutile”. Eppure se «il sesso in de Sade è una falsa pista», quasi un pretesto per parlare d’altro, fare filosofia e forse anche un po’ di psicologia spiccia («de Sade non è un sadico, è qualcosa che sta a metà fra uno psicologo senza laurea e uno storico senza cattedra»), è pur vero che l’opera interroga noi stessi sulle cause del male mostrandoci che a nostro modo, come dice l’autore, possiamo tutti essere dei piccoli de Sade, soltanto con meno talento letterario e meno giustificazioni.

Con un salto temporale in avanti di un secolo e mezzo e un altro salto all’indietro di due millenni, Soroczynski rievoca la grande scrittrice francese Marguerite Yourcenar nel suo pezzo “La voce di un imperatore. Rileggere le Memorie di Adriano (1951) la storia con la “s” minuscola”[68], mettendo in guardia i lettori: «se state ragionando sul leggere o meno questo libro, non fate l’errore di pensare a Roma, al suo impero, alle trame, alle congiure, agli assassinii, alle guerre, alle invasioni, alle conquiste. Non pensate solo alla storia con la ‘s’ maiuscola. Qui, la storia è solo un mezzo per raccontare non una vita, ma la vita». Qualsiasi altra parola da parte nostra sarebbe fuori luogo.

Per Quarta di copertina, la giovane storica campana Sara Carbone nel suo articolo “’A passo di gambero’. Un percorso ideale a ritroso”[69], recensisce il saggio di Mario Avagliano e Marco Palmieri, Il dissenso al fascismo. Gli italiano che si opposero a Mussolini, 1925-1943 (Bologna, Il Mulino, 2022). L’autrice analizza l’ultimo volume – come recita il sottotitolo “Gli italiani che si opposero a Mussolini” – a conclusione di un lungo percorso storiografico di opere per la casa editrice di Bologna. Tenendo conto, in primis, delle loro precedenti pubblicazioni volte alla divulgazione della storia italiana del Novecento, Il dissenso al fascismo conclude quasi un percorso ideale a ritroso: 1948. Gli italiani nell’anno della svolta (2018), Dopoguerra (2019), Paisà, sciuscià e segnorine (2021), e, appunto, Il dissenso al fascismo (2022) rappresentano, in un certo senso, un itinerario “a passo di gambero” che i due storici compiono, dal 1948, anno dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, risalendo sino al celebre discorso alla Camera di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925 dopo l’omicidio perpetrato contro Giacomo Matteotti.

“La qualità dei servizi sulla rete Internet: i limiti attuali e come migliorarla” è un articolo firmato da Stefano Rolando per la rubrica Fresco di stampa, ove si riflette sul saggio di Michele Mezza Net-War. Ucraina: come il giornalismo sta cambiando la guerra (2022) in “Net-War. Il digitale come algoritmo e come arma”[70], che potrebbe avere come sottotitolo «il giornalismo cambia la guerra ma, altrettanto, la guerra cambia i giornalisti». In quello che l’autore definisce «un breviario delle trasformazioni in atto» emergono tuttavia più interrogativi che certezze, tanto più che Net-War non è e non vuole essere un manuale. Tali domande conducono a immaginare una “nuova dimensione strategica” in cui, alle armi convenzionali e ai tradizionali strumenti di comunicazione e propaganda, si affiancano le più moderne infrastrutture digitali (siti web, piattaforme social, sistemi di geolocalizzazione, droni) che inducono al «superamento della netta separazione (filiere accademiche, filiere professionali, filiere industriali) tra informazione […] e comunicazione». Questa nuova dimensione strategica si confonde e trascolora in una infoguerra che non esclude l’uso dell’algoritmo e dei loro programmatori, tanto da domandarsi se in futuro la crescente importanza di questo fattore non potrà avere il vantaggio di «diventare un deterrente più forte dell’atomica».

Sempre per Fresco di stampa Sara Carbone in “Un metodo italiano condiviso per far fronte al terrorismo internazionale. A proposito del cosiddetto “Lodo Moro” e della ragion di Stato nel saggio di Valentine Lomellini[71] analizza questo saggio che ricostruisce l’atteggiamento dell’Italia di fronte agli attentati palestinesi dal 1969 al 1986: “i fatti e i comportamenti assunti dalla classe politica italiana nell’ottobre del 1985, all’indomani del dirottamento dell’Achille Lauro, sono utili – chiarisce l’autrice nel sintetizzare la tesi della Lomellini – a realizzare che il “lodo” non è stata una prerogativa esclusiva della politica dello statista democristiano Aldo Moro assassinato nel 1978 dalle Brigate Rosse, né della corrente cosiddetta morotea che lo aveva sostenuto e neppure strumento privilegiato dell’intero partito della Democrazia Cristiana. Giulio Andreotti, convinto sostenitore della linea della fermezza in politica interna, non mancò, difatti, sul finire del 1985, di fare un «gioco di sponda concordato» con l’allora Presidente del Consiglio, il socialista Bettino Craxi riuscendo, in tal modo, sia a neutralizzare gli Stati Uniti di Ronald Reagan, che chiedevano giustizia per un concittadino ucciso sulla nave, sia ad assicurarsi la prosecuzione del dialogo con i governi sponsor dei terroristi”.

Infine per la rubrica Memorie nostre, Mihaela Gavrila docente di Entertainment and Television Studies all’Università di Roma La Sapienza ricorda “Il manager Professore e il futuro del mainstream. In memoria di Francesco De Domenico (1943-2023)”[72] “Storico manager della RAI, chiamato da tutti, anche all’interno dell’azienda, “il Professore”. Questo appellativo non è casuale: primo titolare della cattedra di Sociologia della Comunicazione alla Sapienza, nel corso di laurea in Sociologia degli anni Settanta e Ottanta, Francesco De Domenico è stato tra gli ispiratori della futura Facoltà di Scienze della Comunicazione. Quindici anni dedicati all’insegnamento, tra il 1972 e il 1986, a cui segue una lunga e importante carriera in RAI, dove ha contributo alla crescita culturale del Paese e dell’azienda ricoprendo molti ruoli strategici”.

In copertina e nelle pagine interne di questo ottavo fascicolo                                                                   

Roberto Cresti, Ricercatore e docente di storia delle arti del Novecento all’Università di Macerata, presenta la figura di chi illustra con la riproduzione delle sue opere la copertina e le pagine interne di questo ottavo fascicolo. Anche in questo caso la scelta è ricaduta su un esponente del Gruppo della Metacosa: di “Lino Mannocci artista critico (1945-2021)”[73], Cresti evidenzia come “radicatosi col tempo sempre più nel milieu culturale anglo-americano, [Mannocci] ha teorizzato e praticato l’idea dell’“artista come critico”, dando comunque prova costante della sua sensibilità in qualsiasi contesto di lavoro: dalla tela alla lastra, all’allestimento di mostre, alla stampa minutamente curata”


[1] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-i-tre-nodi-al-pettine/435994/.

[2] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-accadde-domani-lanno-che-non-sara-palindromo-senza-pace-e-con-pochi-voti/430005/.

[3]https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dal-progresso-al-progressismo/428535/.

[4] https://www.giampierogramaglia.eu/2022/11/09/midterm-2022-repubblicani-avanti-democratici-tengono/

[5] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-a-due-anni-dalle-prossime-elezioni-presidenziali-come-sta-lamerica/433436/.

[6] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-biden-in-fanfara-trump-in-ginocchio-allo-snodo-delle-legislature/430340/

[7] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-da-trump-a-bolsonaro-una-lezione-per-linutile-cinismo-della-geopolitica-degli-strateghi-nella-nuova-societa-di-joiners/432937/

[8] https://www.giampierogramaglia.eu/2022/10/13/ucraina-punto-escalation-guerra-spiragli-pace/

[9] https://www.giampierogramaglia.eu/2022/11/17/g20-escalation-guerra-ucraina-domina-lavori/

[10] https://www.giampierogramaglia.eu/2022/12/03/ucraina-ue-strabica-cerca-spiragli-pace/.

[11] https://www.giampierogramaglia.eu/2022/12/08/ucraina-punto-pace-specchietto-allodole/

[12] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-volo-di-zelenskyj-a-washington/429510/.

[13] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-liberare-eva/428744/

[14] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-come-ricomincia-la-storia-in-europa/432267/

[15] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-conferenza-sul-futuro-delleuropa-luci-e-ombre/426599/

[16]https://www.key4biz.it/democrazia-futura-le-politiche-dellenergia-in-europa/430115/.

[17] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-via-pragmatica-del-federalismo-europeo/430909/

[18] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-significato-della-visita-di-stato-del-presidente-mattarella-in-svizzera/431395/

[19] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-disunione-militare-europea/432093/

[20] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-che-cose-la-democrazia-intervista-a-norberto-bobbio/428974/

[21] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-semipresidenzialismo-con-sistema-elettorale-maggioritario-a-doppio-turno/424335/

[22] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-disfida-la-stele-e-la-rosa/435241/.

[23] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-un-regionalismo-imperfetto-e-artificiale-non-aderente-alla-storia-e-alle-identita-locali/433251/.

[24] https://formiche.net/2022/10/discorso-completo-giorgia-meloni-camera/.

[25] “Dal centro-destra alla destra. I tre tempi di Giorgia Meloni”, l’Indro, 24 ottobre 2022 https://lindro.it/dal-centro-destra-alla-destra-i-tre-tempi-di-giorgia-meloni/.

[26] Podcast n. 15 per Ilmondonuovo.club, 24 ottobre 2022. Lo si può ascoltare al seguente link https://ilmondonuovo.club/avanti-o-indietro/.

[27] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lavvento-di-giorgia-meloni-al-governo-ditalia/428148/.

[28] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-le-tre-sfide-per-il-2023-giustizia-autonomia-regionale-aiuti-di-stato/429645/.

[29]https://www.key4biz.it/democrazia-futura-rivoluzione-e-controrivoluzione/436343/.

[30] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-disallineamento-europeo-del-governo-meloni/427529/

[31] Podcast per mondonuovo.club, 2 gennaio 2023. Cf.  https://www.ilmondonuovo.club/rileggendo-le-parole-di-mattarella/.

[32] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dal-pd-al-terzo-polo-il-gran-balletto-delle-opposizioni/436439/.

[33] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-ricostruire-il-partito-democratico-europa-e-democrazia/431845/.

[34] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dalle-tesi-di-trieste-al-partito-conservatore/431218/.

[35] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-perdura-la-crisi-reputazionale-del-sistema-pubblico-italiano/429782/.

[36] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-comuni-e-social-media-un-rapporto-in-evoluzione/427236/

[37] Podcast per mondonuovo.club, 5 dicembre 2022. Può essere ascoltato cf. https://www.ilmondonuovo.club/latenti-e-malinconici-gli-italiani-questanno-secondo-il-censis/.

[38] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-della-mitologia-funeraria-da-elisabetta-ii-a-pele-e-benedetto-xvi/431524/.

[39] Il tascabile, 4 novembre 2022. Cf. https://www.iltascabile.com/societa/il-futuro-del-canone/.

[40] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-fornire-sistemi-di-raccomandazione-di-servizio-pubblico-agli-internauti-nelle-piattaforme-della-rai/433515/.

[41]Tvmediaweb.it, 4 dicembre 2022. Cf. Cf. http://www.tvmediaweb.it/media

[42] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-au-revoir-monsieur-messi-addio-sinisa/428871/

[43] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-verso-il-summit-del-futuro-delle-nazioni-unite/432404/.

[44] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dalla-nascita-del-telefono-a-quella-della-radiofonia-in-italia/432655/.

[45] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-cento-anni-di-radiofonia-e-settantanni-di-televisione-in-italia/435797/.

[46] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dalle-sentenze-della-corte-costituzionale-alla-formazione-di-un-sistema-misto-pubblico-privato-1974-1985/434291/.

[47] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-cento-anni-dopo-john-reith-quello-che-resta-dei-servizi-pubblici-radiotelevisivi-nella-societa-digitale/429342/.

[48] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lettera-aperta-a-un-giornale-della-sera-cinquantanni-dopo/435580/.

[49] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-crisi-del-mercato-digitale-la-vecchia-talpa-scava-negli-algoritmi/426980/

[50] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dvb-t2-editori-televisivi-in-guerra-con-la-balena/432488/.

[51] https://www.key4biz.it/chatgpt-10-prove-per-capire-cosa-sa-fare-per-davvero/431005/.

[52] Key4biz il 9 dicembre 2022 Cf. https://www.key4biz.it/la-ue-lancera-il-regolamento-globale-sul-metaverso-nel-2023-e-gli-usa/427845/

[53]Terzogiornale.it, 16 gennaio 2023. Cf.   https://www.terzogiornale.it/2023/01/16/geni-e-algoritmi-per-una-democrazia-della-ricerca-e-della-scienza/.

[54] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-riflessioni-sullo-scrivere-in-italiano-di-ict/433959/.

[55] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-alberto-asor-rosa-nella-storiografia-della-letteratura-italiana/434161/.

[56] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-enrico-mattei-un-grande-italiano-un-grande-visionario/434496/.

[57] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-minaccia-dellautonomia-differenziata-allarte-e-al-paesaggio-italiani/433777/.

[58] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-sordello-da-goito-quando-la-poesia-abbandona-il-latino-e-sceglie-il-volgare/435027/.

[59] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-ratzinger-habermas-lattualita-di-un-dibattito-antico-su-etica-e-religione/430284/.

[60] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-le-grandi-signore-hanno-vinto-gina-e-sophia/434865/.

[61] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-romanzo-radicale-22-per-cento-di-ascolto-forse-andava-concepito-piu-alla-grande/426874/

[62] Tvmediaweb.it, 7 dicembre 2012. Il Sito in lavorazione non risultava accessibile il 24 febbraio 2023

[63] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-calcata-unidea/430651/.

[64] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lampedusa-e-le-tende-alla-guitgia/434297/.

[65] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-fare-filosofico-di-fulvio-papi-1930-2022/430788/.

[66] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-annie-ernaux-la-destra-laborto-e-il-nobel/429279/.

[67] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-dove-sono-demonio-e-inferno-nel-terzo-millennio/427738/.

[68] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-rileggere-ne-le-memorie-di-adriano-la-storia-con-la-s-minuscola/427422/

[69] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-a-passo-di-gambero-un-percorso-ideale-a-ritroso-dal-1948-al-1925/433433/.

[70] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-net-war-il-digitale-come-algoritmo-e-come-arma/428297/

[71] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-un-metodo-italiano-condiviso-per-far-fronte-al-terrorismo-internazionale/431705/.

[72] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-manager-professore-e-il-futuro-del-mainstream/434174/.

[73] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lino-mannocci-artista-critico/435401/

Leggi le altre notizie sull’home page di Key4biz