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Democrazia Futura. Presentazione del fascicolo numero dieci (primo tomo)

Bruno Somalvico

Questo decimo fascicolo uscirà a fine settembre con novanta giorni di ritardo. Una fra le ragioni è il rinnovamento della struttura editoriale, se volete anche il menabò di Democrazia futura.
Anche in questa occasione il fascicolo – dato l’elevata numero di contributi (ben ottantasei) si divide in due tomi: il primo tomo, ampiamente dedicato – com’è tradizionalmente la prima parte – alla dimensione geopolitica e contenente due focus di approfondimenti nati da seminari promossi dalla nostra testata insieme a Key4biz; il secondo tomo articolato in tre parti: la seconda sulla comunicazione e l’innovazione tecnologica, la terza, da questo numero dedicata alla storia del presente e alla critica del presentismo nella società, contenente un terzo focus di approfondimento, mentre la consueta Rassegna di varia umanità prosegue nella quarta ed ultima parte insieme alle rubriche finali.
Qui di seguito l’illustrazione di come è costruito e cosa offre questo primo tomo del decimo fascicolo della nostra rivista, il secondo del 2023.

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Giulio Ferlazzo Ciano

Il primo tomo, ampiamente dedicato – com’è tradizionalmente la prima parte di ogni fascicolo – alla dimensione geopolitica, consta di oltre cinquanta contributi anticipati su Key4biz e, fra i suoi focus di approfondimenti, contiene i risultati di due seminari promossi via web dalla nostra testata in stretta collaborazione con Key4biz.

In apertura, l’editoriale di Bruno SomalvicoIL PNRR: un’occasione mancata per la seconda ricostruzione del BelPaese” spiega le ragioni per le quali “Il ritorno di partiti pigliatutti di lotta e di governo cancella l’ipotesi del Partito della Nazione”[1]. Dopo aver elencato gli obiettivi cui avrebbe dovuto ambire questo nuovo Piano Marshall, Somalvico non crede alla possibilità, alla vigilia delle elezioni europee in cui le forze della coalizione si presenteranno in ordine sparso, che il governo sia capace di realizzare una manovra “scontentatutti”, con tagli del tipo “lacrime e sangue” a tutti i ministeri. Anche in questo caso “Gli interessi elettorali della coalizione sembrano pertanto destinati a prevalere come avvenuto con il PNRR: i clienti dei partiti della coalizione di centrodestra e le loro correnti saranno per l’ennesima volta riusciti a spartirsi il bottino del PNRR ma la percezione dei cittadini sarà che tutto è rimasto come prima. Anzi: più di prima!”.

A meno di una settimana dall’avvio delle consultazioni del governo con i rappresentanti delle opposizioni, Gianfranco Pasquino spiega – come recita l’occhiello – “Perché occorra raddrizzare una discussione appena incominciata, abbastanza male indirizzata”[2]. Il noto scienziato politico, dopo aver denunciato “la confusione fra premierato e sindaco d’Italia”, descrivendo i principali casi di premierato ovvero “Il modello Westminster di cabinet government del Regno Unito”, nonché “Il caso del Cancellierato tedesco e della Presidenza del governo spagnola”, chiarisce “Perché va[da] respinta drasticamente la proposta del Sindaco d’Italia, di un (quasi) presidenzialismo”, prima di soffermarsi su “Le differenze importanti fra presidenzialismo statunitense e semi presidenzialismo alla francese” e di motivare la  sua predilezione verso “ll semipresidenzialismo alla francese dotato – a suo parere – di elasticità istituzionale e politica”, sottolineando in conclusione la necessità, qualunque sia il modello prescelto, di “Associare al modello costituzionale una legge elettorale decente”. L’obiettivo dichiarato delle riforme costituzionali di Giorgia Meloni è garantire la stabilità del capo del governo per tutta la durata del mandato chiarisce subito l’Accademico dei Lincei -. Strumento, ma al tempo stesso anche obiettivo di rivendicazione radicata nella storia della destra italiana, è il presidenzialismo (questo sta scritto nel programma elettorale di Fratelli d’Italia), oggi variamente definito come elezione popolare diretta della più alta carica dello Stato e di governo. Una immediata nota di cautela, quasi un impossibile veto, è stata introdotta, in special modo, ma non solo, da Giuseppe Conte, dalla sinistra, dal PD: la Presidenza italiana dovrebbe comunque mantenere il suo ruolo e i suoi poteri di garanzia. Prima di qualsiasi discussione e approfondimento, due precisazioni generali (quelle particolari seguiranno) sono assolutamente necessarie. Prima precisazione: la stabilità nella carica ha valore positivo se intesa come premessa per la produzione di decisioni, ovvero se accompagnata dall’efficienza e efficacia decisionale. Seconda precisazione: è imperativo chiarire quale modello di elezione popolare diretta viene prescelto per essere in grado di valutare quanta stabilità offra, a quale prezzo e con quali conseguenze.  Aggiungo subito che una valutazione più convincente discenderebbe dalla comparazione fra una pluralità di modelli, includendovi anche alcuni modelli parlamentari nei quali non è contemplata nessuna elezione popolare diretta del capo del governo” – Pasquino denuncia La confusione fra premierato e “sindaco d’Italia”. Tecnicamente, premierato dovrebbe significare governo del Premier, del capo di governo in una democrazia parlamentare. Però, in nessuna democrazia parlamentare il capo del governo viene eletto dai cittadini. Dappertutto, il capo del governo viene scelto dal partito di maggioranza o dai partiti che danno vita ad una coalizione in grado di governare. Ha fatto eccezione a questa regola, quasi, come vuole il proverbio, a sua conferma, Israele eleggendo per tre volte, 1996, 1999, 2001, il Primo ministro, poi non avendone tratto benefici né politici né istituzionali, tornando alle negoziazioni parlamentari. Anziché Il modello Westminster di cabinet government lo scienziato politico invita a studiare “Il caso del Cancellierato tedesco e della Presidenza del governo spagnola”: “Le due democrazie parlamentari europee i cui capi di governo sono rimasti solidamente in carica e per lungo tempo sono Germania e Spagna. In nessuna delle due il Cancelliere e il Presidente del governo, come sono rispettivamente chiamati, sono eletti direttamente dal “popolo” – chiarisce Pasquino -. Il meccanismo nient’affatto segreto che li stabilizza e consente loro di essere, se ne hanno la capacità personale e politica, efficaci, si chiama rispettivamente voto di sfiducia costruttivo e mozione di sfiducia costruttiva. Sono le rispettive camere basse a votare in carica il capo del governo e, se lo sfiduciano, ad avere la possibilità di cambiarlo eleggendone un altro, il tutto a maggioranza assoluta. Darei credito al Costituente repubblicano Tommaso Perassi di avere immaginato con il suo giustamente famoso ordine del giorno la formulazione di un meccanismo dello stesso tipo per stabilizzare il governo italiano. Se Elly Schlein propone qualcosa di simile – aggiunge Pasquino – ha scelto la strada giusta, nettamente alternativa ai presidenzialismi finora neppure abbozzati dal destra-centro” […]. Tutt’altra è la storia del semipresidenzialismo alla francese – il modello che il professor Pasquino predilige – il cui finale non è mai scritto in anticipo poiché è un modello dotato di elasticità istituzionale e politica. Anzitutto, il Presidente è eletto direttamente dal popolo con un sistema che, se al primo turno nessun candidato ha ottenuto la maggioranza assoluta, obbliga al ballottaggio. Dunque, agli elettori si offre l’opportunità di valutare con cura le alternative in campo e le loro conseguenze. Dopo la riforma costituzionale del 2002, l’elezione dell’Assemblea Nazionale segue quelle presidenziali che vi esercitano un effetto di trascinamento, cioè, gli elettori sono inclini a consegnare al Presidente appena eletto una maggioranza parlamentare operativa. Qualora non avvenisse così, la coabitazione fra Presidente, capo di una maggioranza, e maggioranza opposta, che esprime il Primo ministro, da un lato, non porrebbe in stallo il sistema poiché il Primo ministro avrebbe i numeri per governare, dall’altro, passato un anno, il Presidente ha il potere di scioglimento dell’Assemblea nel tentativo di ottenere dall’elettorato, che ha seguito gli avvenimenti, una maggioranza a lui favorevole. Infatti, sarà sufficientemente chiaro chi, Presidente o Primo ministro, è responsabile del fatto, non fatto, fatto male. Come abbiamo visto di recente, grazie all’articolo 49 comma tre, in casi eccezionali il Presidente può anche imporre l’attuazione di una legge se la sua maggioranza è restia, fermo restando che su richiesta di un decimo dei parlamentari viene attivato il voto di sfiducia nei confronti del/la Primo ministro. Inoltre, sessanta parlamentari hanno la possibilità di fare direttamente ricorso al Conseil Constitutionnel per bloccare leggi ritenute incostituzionali.

Parte prima L’approfondimento della crisi un anno dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.

Storie di geopolitica. Mondo – Europa – Italia

Mondo. La diplomazia mondiale sempre alla ricerca disperata di una tregua dopo l’escalation del conflitto

La prima parte dedicata alla geopolitica si apre con un collage di sette pezzi di Giampiero Gramaglia dal titolo “Guerra in Ucraina anno secondo. Cronaca di un’escalation e degli incontri per venirne a capo”, scritti fra il 21 maggio e il 27 luglio 2023.

Nel primo articolo[3] Giampiero Gramaglia, analizzando “Le conclusioni del G7 tenutosi a Hiroshima in Giappone dal 19 al 21 maggio 2023” osserva nel titolo due cose a prima vista contraddittorie ovvero che “I Grandi Paesi dell’Occidente [riunitisi nel vecchio formato, si ritrovano] uniti su Ucraina e Cina” e che contemporaneamente “la via della pace sfiora la guerra”: “I leader dei Sette rinnovano la volontà di essere al fianco dell’Ucraina “fin quando sarà necessario”. Ci sono nuove misure per limitare la capacità della Russia di alimentare l’invasione. Dopo mesi di riluttanza, il presidente statunitense Joe Biden attenua le remore alla fornitura a Kiev di F-16 da parte di Paesi Nato e assicura sostegno all’addestramento dei piloti. […].  Mentre promettono armi a Kiev e prospettano sanzioni a Mosca, i Sette invitano l’Iran a smetterla di foraggiare con droni la Russia e ammoniscono la Cina a cessare la militarizzazione nell’area Asia-Pacifico. La tela di fondo del Vertice è proprio la crescente contrapposizione dei Grandi dell’Occidente con Pechino: le democrazie più ricche al Mondo chiedono unite alla Cina un cambio di registro nelle reciproche relazioni, anche se – ammette Gramaglia – gli Stati Uniti d’America smorzano un po’ i toni del confronto”.

Nel secondo pezzo “In Ucraina l’escalation è asimmetrica. Incubi da acqua e nucleare”[4] Giampiero Gramaglia chiarisce come “l’escalation della guerra in Ucraina s’intensifica e si diversifica. Ma non è (ancora?) l’escalation, sempre minacciata e mai realizzata, della controffensiva di Kiev.  È un’escalation fatta di azioni asimmetriche e talora imprevedibili, che alzano il livello di rischio per le popolazioni civili e che hanno paternità incerte; nessuno le rivendica ed entrambe le parti ne scaricano la responsabilità sull’altra. Martedì 6 giugno in mattinata, una grossa diga sul Dnipro, nell’Ucraina meridionale, a Nova Khakovka, a nord-est di Kherson, e la centrale idroelettrica ad essa collegata sono state sabotate, innescando un’evacuazione di massa e creando il timore, alimentato dalle fonti ucraine, di gravi devastazioni […]. La vicenda della diga si interseca con quella della centrale nucleare di Zaporizhzhia, caduta in mano ai russi all’inizio dell’invasione, ma intorno alla quale scaramucce, combattimenti, bombardamenti sono all’ordine del giorno, sempre con un rimpallo di accuse sulle responsabilità. I tecnici dell’Aiea, l’Agenzia dell’Onu per l’Energia atomica, da mesi installati dentro l’impianto, cercano di mantenere la situazione sotto controllo e i responsabili assicurano che “non c’è rischio a breve termine d’esplosione o di fuga di materiale radioattivo”.

Nel terzo pezzo Giampiero Gramaglia chiarisce perché “In Ucraina la controffensiva può determinare l’esito del conflitto[5]. In un senso o nell’altro in caso di successo o di fallimento dell’iniziativa di Zelenskyj”, la controffensiva d’inizio estate 2023 non sarà probabilmente priva di conseguenze sull’esito del conflitto. Riprendendo un’analisi del Washington Post  “la controffensiva ucraina, in corso da alcuni giorni e cominciata quasi in sordina, “può decidere il destino della guerra”: “Se la controffensiva riesce e gli ucraini ricacciano i russi sulle posizioni di partenza, o anche solo nel Donbass, rompendo nel Sud-Est del Paese la continuità territoriale con la Crimea, Mosca si troverà – dopo oltre 500 giorni di guerra e centinaia di migliaia di morti – senza nulla in mano e costretta sulla difensiva – un atteggiamento, del resto, assunto ormai dall’autunno 2022, salvo Bakhmut e poche altre eccezioni –. Il presidente Vladimir Putin potrebbe a quel punto accettare un’intesa al ribasso rispetto agli obiettivi di partenza della sua ‘operazione speciale’. Se, invece, la controffensiva fallisce o ottiene risultati troppo limitati ed evidenzia dei limiti dell’Ucraina nel liberare porzioni di territorio occupate, l’Occidente potrebbe interrogarsi sull’entità degli aiuti militari ed economici e del coinvolgimento necessari per ‘fare vincer È Kiev sul terreno e Zelens’kyj potrebbe ricevere pressioni per accettare un negoziato”.

Nel quarto articolo “Putin e Biden fanno la conta degli alleati, il fronte rimane statico”[6]dedicato a “Il summit virtuale dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO)” Giampiero Gramaglia ricorda come Il leader russo ha ritrovato il presidente cinese Xi Jinping e altri capi di Stato che non condividono analisi e visioni dell’Occidente. Della Sco, fanno parte, con Cina e Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, tutti Paesi dell’ex Urss, e, inoltre, India, Pakistan e, ora, Iran. Si va verso l’inclusione della Bielorussia, il cui presidente Aleksander Lukashenko si è confermato buon alleato del Cremlino contribuendo a fermare la marcia dei Wagner su Mosca il 24 giugno 2023 […] Non tutto, però, fila liscio nell’Organizzazione. La scelta di tenere il Summit in formato virtuale, e non in presenza, è anche funzione dei rapporti tesi tra New Delhi e Pechino. Il leader indiano Narendra Modi, inoltre, intende mantenere una certa distanza dalle scelte russe: è da poco rientrato da una visita negli Stati Uniti, dove il presidente Joe Biden lo ha accolto come un paladino della democrazia asiatica e non vuole guastarsi l’immagine”.                

Il quinto pezzo, scritto alla vigilia del vertice Nato a Vilnius in Lituania dell’11 e 12 luglio 2023, si intitola “Bombe a grappolo sulla coesione dell’Alleanza[7]. “Ma non le sgancia il nemico – chiarisce subito G Giampiero Gramaglia -.  È fuoco amico, viene dagli Stati Uniti, che hanno deciso di mandare le munizioni, proibite da una convenzione internazionale, all’Ucraina perché le usi per respingere l’invasione russa – i russi già le impiegano -. Il sì alla fornitura del presidente statunitense Joe Biden suscita malessere fra gli alleati: Francia, Germania, Spagna, Italia, persino la Gran Bretagna, oltre alle Nazioni Unite, che mettono in evidenza i rischi per i civili, esprimono contrarietà. Mosca – aggiunge l’ex direttore dell’Ansa – vi vede un segno di debolezza, un’ammissione del fatto che la controffensiva ucraina non va avanti come previsto e che gli arsenali ucraini sono sprovvisti di munizioni convenzionali. Gli unici soddisfatti sembrano gli ucraini”.

Due giorni dopo nel sesto pezzo, a commento del “Vertice Nato di Vilnius: nessun invito a Kiev, ma armi e promesse placano Zelen’skyj“[8], Giampiero Gramaglia osserva nell’occhiello: “Superato il veto turco all’adesione della Svezia”. Nonostante l’affermazione di Stoltenberg secondo il quale ne esce “Una Nato più forte in un Mondo più pericoloso”, l’ex direttore dell’Ansa si interroga: “Missione compiuta, dunque, per i capi di Stato e/o di governo dei 31 – presto 32 – Paesi alleati?” osservando come “il nodo dell’adesione dell’Ucraina […]  crea fermenti, al di là dell’unanime rinnovato sostegno al Paese aggredito e invaso dalla Russia. Una data d’ingresso non c’è (né poteva esserci, come chiarito alla vigilia del Vertice dal presidente Usa Joe Biden). Il problema – precisa Stoltenberg – non è “se” l’Ucraina entrerà nella Nato, ma quando”.

Infine nel settimo e ultimo contributo dal titolo “Mar Nero nuova prima linea, fermenti diplomatici[9] Giampiero Gramaglia osserva come “Il Mar Nero è la nuova prima linea della guerra russo-ucraina, dopo la fine della ‘pace del grano‘ decisa dalla Russia, che lamentava la parziale attuazione dell’accordo firmato il 22 luglio 2022. E Odessa, il principale scalo portuale ucraino, è la nuova città martire di questo conflitto. Mosca considera obiettivi militari le navi cargo che, dirette verso i porti ucraini, attraversano specchi d’acqua da lei controllati; e attacca, notte dopo notte, i depositi di cereali, colpendo obiettivi civili ed edifici storico-artistici, come la Cattedrale della Trasfigurazione, la cui devastazione suscita commozione – l’Italia s’è subito offerta di finanziare la ricostruzione”.

Giorgio Pacifici spiega in un secondo contributo “Elezioni Presidenziali turche: cronaca di una vittoria annunciata” le ragioni della “vittoria netta del Reis al secondo turno delle elezioni presidenziali in Turchia”[10]. “Per la terza volta Recep Tayyip Erdoğan è stato eletto Presidente della Repubblica turca. Era prevedibile che il Reis -come viene chiamato dai suoi sostenitori- che disponeva di tutti gli apparati dello stato e della stragrande maggioranza dei media, riuscisse a farcela anche stavolta – osserva Pacifici -. Quello che molti analisti politici non si aspettavano, era che i risultati del primo turno avrebbero imposto un ballottaggio tra il presidente uscente e il suo antagonista del Partito Repubblicano Popolare, Kemal Kılıçdaroğlu”. Dopo aver illustrato i risultati del voto sia delle elezioni politiche sia dei due turni delle presidenziali, Pacifici rievoca “Le quattro date-chiave della storia recente della Turchia”, dal tentativo di Colpo di Stato del 2016 all’acquisto di sistemi d’arma antiaerea dalla Russia nel 2017, dalla trasformazione nel luglio 2018 della Turchia in una repubblica presidenziale ai recenti ostacoli posti da Erdoğan all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Pacifici prosegue poi analizzando le sei ideologie presenti: kemalismo, neo-ottomanismo, pan-turanismo, pan-turchismo, islamo-nazionalismo e la cosiddetta “Visione nazionale” dell’alleato di Erdoğan figlio dell’ex premier Necmettin Erbakan, ripercorrendo la carriera di Erdoğan fra “valori, compromessi e rotture”, prima di tentare di delineare le prospettive del terzo mandato presidenziale conferito dagli elettori turchi al nuovo Sultano.

Riccardo Cristiano presenta la situazione ne “Il Medio Oriente dopo la riammissione della Siria nella Lega Araba” evidenziando – come recita l’occhiello – “Le aspirazioni di Mohammad bin Salman di un ruolo da player globale per l’Arabia Saudita” dopo il ristabilimento delle relazioni diplomatiche di Riad con l’Iran”[11].  Bin Salman vuole, o vorrebbe, assurgere a player globale, e seguendo la linea “pragmatica” prescelta da tempo dal più astuto Presidente degli Emirati Arabi Uniti, Mohammed bin Zayed bin Sultan Al Nahyan, ha scelto – chiarisce Cristiano – una linea che sembra evocare il famoso slogan prescelto tanti anni fa da quello che fu il cervello del nuovo corso (di allora) di Recep Tayyip Erdoğan : “zero problemi con i vicini […] Nessuno presume che la Lega Araba conti qualcosa – aggiunge Cristiano –  eppure il passo deciso tra diverse resistenze da Riad non vuol dire poco. Vuol dire anche che il moribondo Libano tornerà nell’orbita siriana? Difficile dirlo oggi, ma è evidente che Riad ha finto di accettare il rientro di Assad in cambio di chiare condizioni – rientro dei profughi e cessazione della produzione siriana della nuova droga, il captagon – che Assad ha respinto esplicitamente, pubblicamente la prima condizione e implicitamente, tacendola, la seconda. Eppure gli Emirati Arabi Uniti, i veri iniziatori della distensione con Assad, appaiano ritenere possibile che Assad dimentichi Teheran in cambio dei loro petrodollari, indispensabili a ricostruire la Siria”.

Segue un secondo “trittico” di articoli di Giampiero Gramaglia dedicati al tema:Le paci difficili della diplomazia vaticana”, scritti tra il 18 maggio e il 19 luglio 2023. Nel primo articolo Zelens’kyj affossa la mediazione dl Papa Francesco, e fa colletta d’armi”[12] “Tra Ucraina e Russia, è evidente il desiderio di Papa Francesco di essere utile e di favorire la pace: non c’è Angelus, non c’è udienza generale in cui il pontefice non inviti a pregare per la pace e non esprima la sua vicinanza al popolo ucraino. Ma i margini di manovra del Vaticano paiono ridotti, anche se, fa fine maggio e inizio aprile, l’escalation delle minacce e dei rischi e la pesantezza del conflitto sui contendenti ha creato spiragli d’apertura al negoziato, dopo che da fine marzo 2022 e per quasi un anno tutti i tavoli erano rimasti chiusi. L’handicap, per il Vaticano, è che la Chiesa cattolica non ha buoni rapporti con la russa ortodossa; e Papa Francesco non ne ha con il patriarca Kirill, da lui definito “chierichetto di Putin”, anche se poi ci sono stati tentativi di riavvicinamento. Ed è pure guardata con diffidenza dalla chiesa ortodossa ucraina e dalla gerarchia cattolica ucraina, perché chiunque parli di pace o di mediazione è immediatamente catalogato dagli ucraini come filo-russo. Un’azione di pace della Santa Sede appare in questo momento aleatoria nei risultati. Quando Francesco ne ha – forse intempestivamente – parlato, sull’aereo che lo riportava a Roma dall’Ungheria, Mosca e Kiev hanno fatto mostra all’unisono di cadere dalle nuvole. Più facile immaginare che il Papa vada a Kiev e a Mosca per celebrare una pace, o almeno una tregua, piuttosto che per annodare una trattativa” -.

Nel secondo pezzo “Zuppi, l’inviato del Papa a Mosca. Putin sarà più debole e malleabile?”[13] scritto il 29 giugno 2023, Giampiero Gramaglia osserva come “L’inviato di Papa Francesco, il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana (Cei), giunge a Mosca nell’ora forse più buia per la Russia dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina: l’aura di potere del presidente Vladimir Putin è stata offuscata dalla sfida lanciatagli dal capo dei mercenari del Gruppo Wagner Evgenij Prigožin; e, sul fronte del conflitto, le forze ucraine sfruttano sbandamenti e indecisioni nelle file russe per ottenere successi, fin qui limitati. La risposta russa sono le consuete gragnuole di missili e droni sulle città ucraine, con vittime anche civili. L’auspicio della Santa Sede e dei vescovi italiani, di cui il cardinal è il presidente, è che Zuppi possa riuscire ad avvicinare una “pace giusta”. Sull’agenda del cardinale, c’è in primo piano l’incontro con il Patriarca Kirill, il capo della Chiesa ortodossa russa, un nazionalista vicino a Putin. Ma è dal presidente russo che l’inviato del Papa, che all’inizio di giugno è già stato a Kiev, dove ora c’è l’elemosiniere di Francesco, il cardinale Konrad Krajewski, spera d’ottenere qualche gesto umanitario sollecitato dal presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj come la restituzione di bambini alle famiglie o scambi di prigionieri come ricordato nel primo articolo. I successi di Zuppi sarebbero decisivi per rompere la diffidenza che in Ucraina accompagna lo sforzo di mediazione vaticano e per creare le condizioni di un dialogo tra Mosca e Kiev. Sentendosi vulnerabile, Putin potrebbe mostrarsi più malleabile”.

Infine nel terzo e ultimo pezzo dedicato al tema “Le paci difficili della diplomazia vaticana”, Giampiero Gramaglia riassumendo la settimana diplomatica dopo il vertice di Vilnius in un articolo intitolato “Biden e Zuppi parlano di pace mentre scoppiano le bombe[14] commenta il viaggio del Presidente della CEI oltre Oceano: “Biden ha espresso l’auspicio che il pontefice “prosegua nel suo ministero e nella leadership globale […] Biden e Zuppi hanno discusso degli sforzi della Santa Sede per fornire aiuti umanitari che allevino le sofferenze delle popolazioni ucraine causate dall’invasione russa e dell’impegno del Vaticano per fare tornare alle loro famiglie i bambini ucraini deportati con la forza. Mentre il colloquio si svolgeva, esplosioni scuotevano Kiev e l’area intorno alla capitale ucraina, oltre che Odessa e la vicina Chornomorsk, Zaporizhzhia e Kharkiv. Ovunque, le difese antiaeree sono entrate in azione. Contemporaneamente, l’autostrada russa Tavrida che va dal porto di Kerch sul Mar d’Azov a Sebastopoli in Crimea sul Mar Nero è stata chiusa per un incendio: s’ignora l’origine del rogo. L’autostrada e il ponte che collega la Crimea alla Russia sono già stati oggetto, ripetutamente, di episodi di sabotaggio- […] A Washington, prima di essere ricevuto da Biden, il cardinale Zuppi aveva avuto contatti e colloqui al Congresso. A Kiev, l’inviato di Papa Francesco aveva visto – ricorda l’ex direttore dell’Ansa – il presidente Volodymyr Zelen’skyj. Solo a Mosca il presidente Vladimir Putin gli si era negato, affidandolo a suoi collaboratori”.

La prima sezione si conclude con un testo di Emma FattoriniPace e guerra: i diritti umani. L’aggressione russa all’Ucraina. Una seconda Helsinki?”[15]Si tratta di un estratto dal capitolo ottavo della monografia dedicata dalla storica contemporaneista alla figura di Achille Silvestrini. La diplomazia della speranza (Brescia, Morcelliana, 2023). Nel paragrafo “Pace e guerra. I diritti umani”, Fattorini osserva come “La visione universalistica e globalista di Karol Wojtyła – ricordava sempre il cardinale Achille Silvestrini – piaceva ai comunisti italiani: un nuovo ordine mondiale, un sistema internazionale, in cui anche l’Unione Sovietica si sarebbe inserita, con le riforme della perestrojka, cambiando pelle. Andando addirittura oltre la stessa visione del Papa di uno spazio dall’Atlantico agli Urali, Michail Gorbačëv poneva al centro la costruzione di una casa comune europea”. Aggiungendo: “E questo nel contesto dell’idea, assai profetica, di interdipendenza, cui s’accompagnò l’altro tema-chiave della contaminazione con culture nuove assumenti il linguaggio dei diritti umani. I diritti umani, the last utopia fornirono i nuovi linguaggi del confronto tra i due universalismi: quello avviato dalla Chiesa col cosiddetto effetto Helsinki e quello del gorbaciovismo dopo il crollo del comunismo”.

Focus di approfondimento La pace in Ucraina: a quali condizioni e con quale impatto sugli equilibri politici mondiali: Russia, Cina Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione europea e Italia

Una nota redazionale[16] introduce il Focus riassumendo l’intervento del moderatore Giampiero Gramaglia in apertura dei lavori del webinar promosso da Democrazia futura in collaborazione con Key4biz e con l’Associazione Infocivica. Nella sua breve introduzione Giampiero Gramaglia osserva come dal punto di vista del conflitto si sta assistendo all’inizio della controffensiva ucraina il cui esito rimane difficile da prevedere. Se dovesse avere un pieno successo con il recupero dei territori occupati dalla Russia dopo il 24 febbraio 2022 si aprirebbe una prospettiva di fine del conflitto. Se non dovesse avere successo, si aprirebbe un’altra controffensiva, questa volta di carattere diplomatico e di segno opposto, cioè di pressioni sull’Ucraina, perché, avvicinandosi le elezioni presidenziali statunitensi USA 2024, riveda il suo atteggiamento, ma che potrebbe anch’essa preludere alla fine del conflitto e quindi, in ogni caso, essere determinante. Nella sua relazione introduttiva al webinar Lucio Caracciolo, Direttore Limes, sottolinea comeper capire meglio la portata di questa guerra dobbiamo ricordare dove si svolge, cioè si svolge in quella parte d’Europa che è sempre stata la parte più insanguinata del nostro continente, almeno nello scorso secolo, a partire dalla guerra civile russa, dalle guerre ucraino-polacche, dalla seconda guerra mondiale, lo sterminio degli ebrei. Insomma è un’area – per così dire – sfortunata, in cui esiste all’incirca da un centinaio di anni un conflitto a volte latente, altre volte purtroppo esplicito, tra l’Impero russo nelle sue varie denominazioni e la nazione ucraina anch’essa nelle sue varie denominazioni”. L’obiettivo più realistico a parere di Caracciolo rimane quello di una “tregua rafforzata” ma non certamente una pace. In parole povere “una tregua sotto forma di compromesso per consentire ad entrambi i contendenti di salvare la faccia ed evitare guai più gravi”. Il direttore di Limes prosegue elencando le tappe di questi sedici mesi di conflitto. Ne individua fondamentalmente quattro: l’invasione russa nel febbraio 2022, l’accordo per il cessate-il-fuoco del marzo 2022, la decisione degli Stati Uniti e della Gran Bretagna di intervenire a sostegno dell’Ucraina e la fase attuale (estate 2023) di contro-offensiva dell’Ucraina con tutte le sue incognite. Il timore è che si accentuino ulteriormente da un lato “la divaricazione strategica fra Stati Uniti e la parte più ostile alla Russia dell’Alleanza occidentale” con “non solo Ucraina, ma anche Polonia, Paesi baltici – più in generale la parte più antirussa della nostra alleanza – che non vuole che questa guerra finisca semplicemente con una sconfitta della Russia, ma vuole che finisca con la fine della Russia”, dall’altro “La caduta, anzi la precipitazione della collaborazione della Russia con la Cina”: “il grado di collaborazione tra russi e cinesi, e soprattutto il grado di fiducia reciproca – secondo il direttore di Limes – sta precipitando: un paio di esempi tra l’altro sono quelli dei russi che hanno perso il controllo economico del porto di Vladivostok a favore dei cinesi, mentre i cinesi stanno penetrando in Asia centrale molto efficacemente […].  “Trovare un punto di compromesso che permetta ad entrambi di salvare la faccia – conclude Caracciolo – non sarà facile: penso che il punto di compromesso alla fine verrà molto più tardi di quanto noi speriamo, solo per esaurimento delle forze, o di entrambi o di almeno uno dei due, talmente netta da costringere in qualche modo entrambi o almeno uno dei due ad accettare delle condizioni di cessate il fuoco. Dopo di che si tira una riga – dicono gli americani – si fa una Corea del Sud e una Corea del Nord, che è un modo abbastanza cinico di concludere questa guerra […]. La soluzione sul terreno – quello strettamente russo e ucraino – [è] in qualche modo scritta nelle carte, e cioè che la Crimea resta alla Russia, due dei quattro oblast, ovvero Zaporižžja e Cherson, entrano di nuovo nello spazio ucraino e sugli altri due si decide di non decidere”.

Bruno Somalvico, ripropone poi “Alcuni interrogativi legittimi sui nuovi equilibri geopolitici mondiali”[17] sottolineando come recita l’occhiello “I dubbi in merito ai rischi di un allargarsi del conflitto e di scoppio di una III guerra mondiale”. Per Somalvico “Solo un sapiente impegno diplomatico di tutte le cancellerie mondiali può garantire il ritorno ad un confronto e a trattative vere che consentano alle parti di raggiungere una tregua in previsione del perseguimento di un accordo che preluda alla stipula di un trattato di pace fra Russia e Ucraina. Per fare questo è urgente un cambio di paradigma”, sottolinea Somalvico, aggiungendo: “Un cambio di paradigma capace di riprendere lo spirito di confronto fra Oriente e Occidente perseguito negli anni di disgelo dopo la lunga stagione della guerra fredda nel secondo Novecento. Un cambio di paradigma che oggi appare davvero molto lontano nel tempo e che naturalmente dovrebbe contenere profonde novità coinvolgendo fortemente l’India, il Brasile, il Sudafrica e più in generale quelli che un tempo venivano chiamati Paesi in via di sviluppo […]. A quasi cinquant’anni dalla Conferenza di Helsinki i principi approvati dopo un lungo periodo di confronto diplomatico possono essere il punto di partenza per una nuova Conferenza in grado non solo di fotografare i nuovi equilibri geopolitici mondiali ma soprattutto di assicurare il ritorno ad una stagione di distensione.

Per parte loro, Antonio Armellini, Massimo De Angelis, Giulio Ferlazzo Ciano, Giampiero Gramaglia e Michele Mezza rispondono a otto quesiti e ad “Alcuni interrogativi legittimi sulla pace in Ucraina e sui nuovi equilibri geopolitici mondiali.  I dubbi in merito ai rischi di scoppio di una terza guerra mondiale” [18]posti da Bruno Somalvico in occasione del seminario con Lucio Caracciolo.

Giulio Ferlazzo Ciano, rispondendo alla prima domanda in merito all’iniziativa di pace del presidente cinese Xi Jinping, osserva come “un’eventuale svolta nella ricerca di una soluzione negoziale si potrebbe avere presumibilmente solo se le due potenze trovassero un accordo provvisorio nel teatro del Pacifico, per stabilire un modus vivendi che valga almeno per qualche anno, utile ad entrambi a prendere tempo e a rinviare eventuali rese dei conti. A quel punto, forse, chi comanda a Pechino potrebbe far pesare più efficacemente la sua volontà di pace anche presso chi comanda (se ancora comanda) a Mosca”.

Secondo Giampiero Gramaglia, nel rispondere alla seconda domanda sulle intenzioni reali di Xi Jinping di porre fine al conflitto costringendo Russia e Usa, Ucraina e Unione Europea “a più miti consigli”, “La Cina è sicuramente preoccupata dei rischi che il conflitto in Ucraina pone alla stabilità internazionale, che le sta a cuore se non altro perché è funzionale alla sua crescita economica. E la Cina è sicuramente interessata ad acquisire, se possibile, crediti diplomatici presso i suoi interlocutori. Ma lo scenario pacifico è per lei prioritario, rispetto a quello europeo. Quando si proclama alfiere dell’integrità territoriale, Pechino parla dell’Ucraina, di cui – del resto – non precisa mai quali siano i confini intangibili, ma ha in mente Taiwan, che – a suo avviso – è parte integrante del territorio cinese”.

Massimo De Angelis, nel rispondere alla quarta domanda sui margini della missione di pace del cardinale Zuppi, crede che oltre agli “importanti profili umanitari […]quella missione può promuovere una purificazione intellettuale: sgombrare il campo da quel teorema della divisione tra Bene e Male che è il cuore della posizione dell’Occidente e che rende di per sé impossibile la pace. Non è un caso che la freddezza americana occidentale verso l’iniziativa vaticana sia stata grande e persino sorprendente. E non mi stupirei se questa accelerasse la diffusione già in corso da tempo, di una cristianofobia in Occidente e specie in Europa, che si associa, questo il fatto nuovo, non si contrappone all’islamofobia e a una ripresa dell’antisemitismo in nome di un sovranismo individualistico a sfondo nichilista”.

L’ambasciatore Antonio Armellini, rispondendo alla sesta domanda sulle eventuali conseguenze di un successo diplomatico per la Cina negli equilibri europei, osserva: “Se la Cina si rivelasse un mediatore autorevole e convinto, sarebbe un fatto positivo; non potrebbe certamente farlo da sola e, agendo in concerto con altri – in primis americani – darebbe segno di voler essere un protagonista cooperativo di assetti di sicurezza da definire insieme. All’Europa converrebbe assecondare una evoluzione del genere, anche perché quando il conflitto finirà bisognerà capire quale sarà il ruolo della Russia nel nuovo contesto politico e di sicurezza europeo che si dovrà delineare. E nel quale ci dovrebbe essere un interesse europeo – ma soprattutto italiano – ad avere con la Russia una relazione di convivenza civile, anche se non di condivisione degli ideali di democrazia e diritto che con Helsinki si era pensato divenissero terreno comune e condiviso. Ma una Russia non democratica ed europea sarebbe largamente meglio per noi di una Russia infeudata alla Cina”.

Per Michele Mezza “La Cina è un pianeta dove sono in atto profondi processi di riorganizzazione socio economica. Il cambio di direzione e velocità delle tendenze alla globalizzazione pongono problemi seri alla leadership cinese che deve ritrovare un dinamismo che rischia di perdere per il raffreddarsi del rapporto con le diverse realtà occidentali. Accanto alla Cina, protesa a risolvere il nodo di Taiwan, crescono nuove potenze come l’India, grande centro tecnologico e principale variabile nell’eco sostenibilità del pianeta, oppure gli Stati corsari arabi, come l’Arabia Saudita e i produttori di petrolio che devono allocare ingenti capitali. Non mi pare che in questo scenario Pechino possa giocare a fare la grande potenza che sposta equilibri e riorganizza da sola le gerarchie internazionali”.

Giorgio Pacifici presenta alcune “Considerazioni preliminari sull’attuale conflitto e sulle ipotesi in campo”[19] per approdare ad una sua risoluzione” presentate in forma scritta al webinar e richiamate da Caracciolo nella sua relazione introduttiva “Per definizione – scrive Pacifici – chi si propone di mediare deve essere percepito come “equidistante” o almeno “non troppo vicino” a una delle parti. Deve essere indubbiamente autorevole ma non così “pesante” che il suo ruolo divenga incombente sulle parti in conflitto. A meno che… A meno che – aggiunge Pacifici – non ci sia un bilanciamento tra diversi mediatori possibili, all’interno di un “gruppo di possibile mediazione”. Per la creazione di un gruppo di questo genere deve esserci l’esplicito consenso delle parti in conflitto”. Da qui le tre ipotesi formulate dal sociologo, ovvero sconfitta della Russia, sconfitta dell’Ucraina, e una terza ipotesi di un esito del conflitto non negoziato dagli Stati Uniti: un esito siffatto “con una pace diversa da quella desiderata potrebbe voler dire rassegnarsi ad essere inevitabilmente la seconda potenza mondiale. Dietro a una Cina sempre più aggressiva su tutti gli scacchieri internazionali”.

Analizzando gli sforzi diplomatici della Santa Sede e il recente viaggio a Mosca del cardinale Zuppi, Riccardo Cristiano spiega “Perché sostenere Francesco nel suo sforzo negoziale con la Russia non vuol dire tradire Kiev”[20]. Il mandato esplorativo conferitogli da papa Francesco mira a “superare il conflitto [salendo] a un livello superiore tra autodifesa e non violenza” ovvero “superare ogni schematismo” e quindi respingere visioni manichee del tipo ‘bianco o nero’.  “Nel caso ucraino – chiarisce Cristiano – questo vuol dire non fermarsi al piano territoriale, dove c’è un aggressore e un aggredito, ma allargare l’azione alla sicurezza continentale e di tutti, che quindi vede altre esigenze e prefigura un governo multipolare del mondo”. Il Papa della fratellanza respinge la dottrina del mondo russo con Mosca che si ritiene contropotere cristiano, ovvero “la terza Roma” chiamata a sconfiggere il male occidentale, perverso e corrotto e pronto a corrompere anche l’Ucraina. Francesco non propugna la “ricostruzione di una società” che risulta cristiana perché guidata da un potere clericale; anzi, proclama che la cristianità è irrimediabilmente finita. Insiste dunque con la moral suasion umanitaria nel suo sforzo negoziale con la Russia: il che non vuol dire che tradisca Kiev ma si propone di aiutare il nemico a cambiare, a uscire dai suoi parametri zaristi e medievali. E anche, guardando dall’altra parte, a evitare di diventare come lui”.

Democrazia futura raccoglie poi cinque contributi scritti da Giampiero Gramaglia in “Una settimana di fuoco (19-26 giugno 2023). La guerra fra propositi di contro-offensive, tentativi di mediazione e di marce su Mosca”.

Nel primo articolo, scritto martedì 20 giugno Giampiero Gramaglia osserva come “In Ucraina la guerra si trascina, mentre Cina e Stati Uniti dialogano”[21]. “Reciprocamente, ucraini e russi dichiarano pesanti perdite inflitte al nemico, scrive l’ex direttore dell’Ansa. Gli Stati Uniti prendono sul serio la minaccia costituita dalle testate nucleari tattiche che la Russia avrebbe trasferito in Bielorussia. Il presidente Aleksandr Lukashenko afferma di avere ricevuto armamenti “tre volte più potenti delle bombe atomiche sganciate dagli Stati Uniti su Hiroshima e Nagasaki nel 1945”. Ma il segretario alla Difesa degli Stati Uniti d’America, Lloyd Austin, è fiducioso sulle potenzialità del contrattacco ucraino: “Le forze di Kiev mostrano capacità e professionalità…  È una maratona, non uno sprint”. Il leader dei mercenari del Gruppo Wagner, Evghenij Prigožin, si fa beffa degli ucraini e dei loro alleati occidentali, piazzando finte commesse per F-35 e fucili, mitragliatori e lanciagranate ‘made in Usa’, mentre Politico scopre che centinaia di migliaia di munizioni di produzione occidentale sono finite ai militari russi. Le autorità russe ammettono carenze negli approvvigionamenti ed errori nella programmazione della cosiddetta ‘operazione militare speciale’. E il Pentagono si accorge d’avere, a sua volta, sopravvalutato gli aiuti militari dati all’Ucraina: sei miliardi di dollari in più negli ultimi due anni, l’eccedenza verrà ora utilizzata per ulteriori forniture.

Nel secondo pezzo, sempre datato martedì 20 giugno, Giampiero Gramaglia analizza la visita del segretario di Stato americano a Pechino: “Cina – Usa: Blinken a Pechino, prove di disgelo, ma nodi irrisolti”[22]. “Cina e Stati Uniti d’America avviano prove di disgelo e di dialogo, se non ancora di intesa e di cooperazione, mesi dopo che la crisi del pallone sonda – o spia – cinese intercettato nei cieli dell’America del Nord all’inizio di febbraio 2023 aveva provocato una sorta di paralisi nei rapporti fra le Super-Potenze del XXI Secolo. La visita a Pechino del segretario di Stato statunitense Antony Blinken non ha risolto nessuno dei problemi sul tavolo, ma potrebbe rivelarsi un passo cruciale nel ripristinare relazioni corrette fra Washington e Pechino” – osserva il giornalista di Saluzzo. Alla vigilia della visita di Antony Blinken, il cui esito non era scontato – l’incontro con Xi Jinping non era neppure stato annunciato -, sia Washington che Pechino avevano smorzato le attese di passi avanti decisivi […] Lo sforzo di allentare le tensioni e di “stabilizzare” le relazioni è comunque evidente; così come l’incertezza sull’esito del tentativo. Blinken era stato accolto dai media cinesi con espressioni di mancanza di fiducia verso gli Stati Uniti, accusati di essere gli unici responsabili del peggioramento dei rapporti bilaterali. Una schiarita sull’orizzonte Usa-Cina – conclude Gramaglia – può anche essere utile a Joe Biden in vista della campagna elettorale del 2024: i vantaggi di potenziali cooperazioni su temi globali, come il riscaldamento del clima, sono evidenti.

Nel terzo pezzo di venerdì 23 giugno Giampiero Gramaglia considera la “Controffensiva ucraina a rilento, [e gli] sforzi di pace in stallo”[23]soffermandosi su “La preparazione del Vertice della Nato a Vilnius l’11 e 12 luglio” “L’Unione europea adotta l’undicesimo pacchetto di sanzioni anti-Russia dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, uno ogni sette settimane in media. E il Pentagono scopre, nelle pieghe del bilancio, un tesoretto di sei miliardi di dollari che possono ancora essere spesi in aiuti militari – in pratica, avevano calcolato il valore delle armi mandate a Kiev come se fossero nuove e non usate. A Londra si torna a parlare di ricostruzione – il grande business prossimo venturo -, ma sì è ancora nella fase della distruzione, Il premier ucraino Denys Shmyhal osserva che mancano circa 6 miliardi “per coprire i bisogni immediati”, esclusi gli aiuti militari: Kiev necessita di oltre 14 miliardi; 3,3 sono già messi a bilancio; 4,3 sono stati promessi dai partner internazionali; il segretario di Stato Statunitense Antony Blinken ne offre 1,3 in più; il resto va ancora trovato. E intanto – scrive Gramaglia – il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj mette in guardia contro un “attacco terroristico” russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, che è sotto controllo russo dall’inizio dell’invasione, dopo il sabotaggio della diga di Kakhovka. Missili ucraini di fabbricazione britannica colpiscono e danneggiano il ponte di Chongar, che collega la regione di Kherson, occupata dai russi, alla Crimea e che viene utilizzato dai russi per trasportare armamenti pesanti verso Zaporizhzhia e Melitopol. Ma il dato saliente dell’ultima settimana è che la controffensiva ucraina “non soddisfa le aspettative su nessun fronte”, almeno nelle fasi iniziali, riferiscono alla Cnn fonti militari statunitensi. Le forze russe, che hanno avuto vari mesi per fortificare le proprie posizioni, oppongono una resistenza maggiore del previsto; e il presidente russo Vladimir Putin annuncia lo schieramento di missili Sarmat, che hanno capacità nucleare. Parlando a Londra, Zelens’kyj ammette che la controffensiva non sta dando risultati immediati ed è più lenta delle attese. E Shmyhal conferma che la riconquista dei territori occupati è lenta e “richiederà tempo”, anche perché l’esercito è rallentato dai campi minati e dai trinceramenti predisposti dai russi […]. È nei cieli che lo squilibrio di forze è più evidente. In attesa, se mai arriveranno, dei caccia Nato, l’aeronautica ucraina dispone di Su-25 di era sovietica, che risalgono agli anni Ottanta e che sono regolarmente sopraffatti dagli Su-35 russi, dotati di una tecnologia più moderna. Fin quando Mosca ha la superiorità aerea – conclude Gramaglia – è difficile per Kiev avanzare. Su questo sfondo strategico-tattico s’intrecciano le diplomazie di pace e la preparazione del Vertice della Nato a Vilnius, l’11 e 12 luglio”, in occasione del quale “si parlerà dell’adesione dell’Ucraina all’Alleanza atlantica, tema controverso e che, in ogni caso, presuppone la fine del conflitto, perché, finché è in guerra, sia pure per difendersi da un’aggressione, l’Ucraina non può entrare nella Nato”.

Poi, nel quarto pezzo scritto nella tarda mattinata di lunedì 26 giugno, Giampiero Gramaglia commenta a meno di 48 ore dal tentato putsch della brigata Wagner su Mosca, “Le 36 ore che potevano cambiare la Russia (e forse l’hanno cambiata)”[24].  “Ma ancora non lo sappiamo. Anzi, per il momento – avverte l’ex direttore dell’Ansa – fatichiamo a capire che cos’è davvero successo”.  Per Gramaglia “ci perdono tutti: Prigozhin, alla macchia, capitano di ventura senza più esercito; e pure Putin, la cui autorità e la cui aura sono state intaccate dalla insubordinazione d’un suo sodale e dal sostegno popolare che una parte della popolazione di Rostov sul Don ha dato agli ‘ammutinati’”.  Insomma secondo l’autore “Le 36 ore trascorse tra venerdì 23 e sabato 24 giugno 2023 sono state fra le più convulse della Russia moderna, un po’ come il putsch di agosto del 1991, quando i carri che avevano occupato Mosca furono neutralizzati dal coraggio di un vigoroso Boris Eltsin salito su di essi a parlare con i soldati nelle torrette”. Lo stesso accordo raggiunto rimane “difficile da interpretare [e] dalle conseguenze imprevedibili con scenari fantasiosi”. Una cosa è però certa: una Russia destabilizzata, secondo Gramaglia, suscita “Le preoccupazioni dell’intelligence statunitense [anche a causa dell’imprevedibile comportamento” del Presidente russo con un Paese “Sull’orlo della guerra civile dopo l’occupazione dei miliziani di Rostov e la reazione di Putin”. “Di certo, l’Occidente misurava in quelle ore – conclude Gramaglia – i rischi connessi all’instabilità russa, mentre Zelens’kyj poteva gongolare per la debolezza della struttura di potere a Mosca. Il presidente americano Joe Biden consultava telefonicamente i maggiori alleati (fra di essi, non l’Italia)”.

Giampiero Gramaglia torna infine tre giorni dopo il 29 giugno su questa “settimana di fuoco” in un quinto pezzo in cui analizza Le reazioni di Putin e Prigozhin al putsch fallito e le sorti dei golpisti”[25]. “Gli eventi che hanno scosso la Russia tra venerdì 23 giugno e sabato 24 giugno 2023 sollevano interrogativi sulle loro ricadute politiche sul potere a Mosca e sulla guerra in Ucraina. I commentatori filo-atlantici più oltranzisti hanno ‘fatto il tifo’ per la rivolta di Prigožin, ipotizzando la fine di Putin. Ma gli analisti più attenti sono tutti concordi nel dire che il dominio dello ‘Zar del Cremlino’ non scomparirà così facilmente, anche se è indubbiamente entrato in una fase diversa. Putin l’ha scampata bella (per ora); e, in fondo, noi con lui.  Ma se la minaccia Prigožin è svanita, ammesso che fosse reale e che sia davvero svanita, quanti altri Tigellino nutriti d’ambizione e rancore albergano nei corridoi del Cremlino? Dai tempi di Nerone, Tigellino è per antonomasia l’uomo di fiducia rozzo e crudele che tradisce e “pugnala alle spalle” – l’espressione è di Putin, sabato 24 giugno, quando la Russia pareva sull’orlo di una guerra civile – il capo che ha ciecamente servito fino ad un attimo prima. Sono state 36 ore che potevano cambiare la Russia; e che, forse, l’hanno cambiata. E che potevano anche cambiare i destini della guerra in Ucraina e i contorni della sicurezza internazionale; e, forse, li hanno cambiati. Ma ancora non lo sappiamo. Anzi, continuiamo a faticare a capire che cos’è davvero successo, in un intreccio di notizie non verificate e di supposizioni presentate come notizie. L’Occidente ha misurato in quelle 36 ore tutti i rischi connessi all’instabilità russa, mentre, a Kiev, il presidente Zelens’kyj e il suo staff studiavano come approfittare sul terreno dell’indebolimento della struttura di potere a Mosca.

Il Focus di approfondimento si conclude con un “parere in dissenso” di Cecilia Clementel dal titolo “Il gatto di Alice alla ricerca della pace in Europa. Critica dei nuovi conservatori occidentali allineati su Joe Biden”[26]. “Eminenti storici e politologi americani ‘realisti’ hanno spiegato meglio di quanto non possa fare io, che la costante avanzata della Nato verso est (testate atomiche comprese) a partire dagli anni novanta, una manovra a tenaglia attorno ai confini della Federazione Russa era inaccettabile per il Cremlino (come Putin spiegò nel noto discorso di Monaco nel 2007) e (a detta di William Burns, allora ambasciatore a Mosca ed oggi capo della CIA) avrebbe portato ad una reazione militare. I realisti non sono affatto pacifisti ma argomentano che si sta perdendo tempo e materiale bellico in Europa invece di affrontare lo sfidante del XXI secolo: la Cina, Obama fu d’accordo”. L’autrice rimanda alle analisi di John Mersheimer (uno storico ‘realista’) e al libro di Benjamin Abelow: Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, edito da Fazi nel 2023. “Contributi in linea con quel che scrivo – aggiunge la Clementel – stanno apparendo anche su influenti siti o think tanks americani ‘realisti’. La cricca neoconservatrice che con Bill e Hilary Clinton, oggi con Biden, ha prevalso alla Casa Bianca pensa invece di ‘tirare diritto’: la Russia sarebbe un patetico rudere, un’economia che si reggeva a stento, con un PIL a livello di quello italiano e sarebbe crollata di fronte alle sanzioni economiche che il G7 stava per mettere in atto già prima dell’inizio dell’invasione. Oggi è evidente che non solo non è crollata ma si è rafforzata, il PIL russo cresce in misura superiore a quello dei paesi europei che, Germania e Gran Bretagna in testa, scivolano in recessione con inflazione, la produzione del complesso militare-industriale russo è modernizzata e moltiplicata, le sanzioni vengono agevolmente aggirate con l’aiuto di Paesi amici (e anche di Paesi in teoria ostili). Il morale del paese è migliorato, vi sono volontari per l’esercito, sia lo stato maggiore che il governo si mostrano più fiduciosi nel futuro”.                           

Europa

Riflessioni su un mondo sempre più provato dalla guerra, dal razzismo dall’intolleranza e dalle forze disgregatrici. Come affrontare i fenomeni migratori oggi

In apertura il Presidente del Movimento europeo Italia Pier Virgilio Dastoli, nel suo pezzo “Mobilità delle persone e crescita europea. Come affrontare le politiche migratorie favorendo l’integrazione delle persone”[27]  denuncia come “Progressivamente, la grande maggioranza dei governi nazionali nell’Unione europea ha condiviso la campagna di disinformazione che individua negli “extracomunitari” uno dei mali delle nostre società: l’aumento delle violenze e della criminalità, l’evaporazione dei nostri valori definiti nelle nostre supposte origini giudaico-cristiane, i costi della loro accoglienza, la sottrazione dei posti di lavoro ai disoccupati europei. Spinti da queste campagne populiste o essendo loro stessi all’origine di queste campagne per aumentare il proprio consenso elettorale, i governi hanno abbandonato l’approccio olistico – che era stato posto al centro delle politiche migratorie e il principio della persona umana che era stato posto a fondamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizie nel Trattato di Amsterdam a maggio 1999 e poi nel programma di Tampere a novembre dello stesso anno – per mettere l’accento sui temi della sicurezza interna ed esterna e dare la priorità alla ‘gestione dei flussi migratori’ che si traduce nella difesa delle nostre frontiere esterne ma anche nel controllo delle frontiere interne con la sospensione delle regole dello spazio di Schengen”.

Giulio Ferlazzo Ciano prosegue il dibattito sulle politiche migratorie con un intervento fuori linea, in cui denuncia i rischi connessi a quelle che qualifica come “Le nuove invasioni barbariche”[28].  Riuscirà il nostro continente a sostenere sul lungo periodo la sempre più massiccia presenza di immigrati e loro discendenti, estranei per cultura ed etnia alle loro patrie adottive? Secondo Ferlazzo Ciano la rivolta in Francia nelle banlieues è un campanello d’allarme da non sottovalutare. “Il realista – scrive Ferlazzo Ciano – dovrebbe pertanto interrogarsi se questi eventi, uniti ad altri esempi di evidente ostilità contro il Paese ospitante (dalla più semplice e apparentemente innocua lamentela circa lo sfruttamento passato e presente degli europei ai danni dell’Africa, del Medio Oriente e di tutti i Paesi ex coloniali, fino all’adesione a movimenti estremisti o terroristici, come nel caso dei cosiddetti foreign fighters inquadrati nell’ISIS-Daesh) non siano dei segnali di uno scollamento profondo e difficilmente ricomponibile tra le seconde e terze generazioni di immigrati e la maggioranza nativa europea in lento ma costante declino demografico (e che tale è percepita dalle seconde e terze generazioni che vedono molto a lungo termine la possibilità di un rovesciamento degli equilibri etnici), oltre che spaesata a livello identitario. Tale è la condizione di quegli europei, prevalentemente fra le generazioni più giovani, che sembrano provare vergogna per il passato dell’Europa e dell’Occidente, mirando con costanti e spesso persino ingenerose autocritiche a ottenere l’approvazione e la simpatia della popolazione immigrata o dei loro discendenti. In ogni caso la debolezza demografica e morale degli europei è senz’altro percepita e la rivolta è un mezzo che contribuisce a rafforzare la coesione delle masse immigrate, anche se di origini etniche diverse. Come ulteriore effetto collaterale ha persino la capacità di spaccare l’opinione pubblica europea, tra i fautori di una linea dura e i sostenitori del dialogo”.

L’Europa, la guerra calda, le tensioni a est e a sud fra sovranisti ed europeisti

Pier Virgilio Dastoli presenta “Quattro modeste proposte rivolte agli innovatori europei”[29], ovvero accantonare il metodo inefficace degli Spitzenkandidaten, unificare le presidenze di Commissione e del Consiglio europeo e altre idee per favorire il miglioramento delle istituzioni europee e limitare i pesanti vincoli che continuano ad esercitare gli Stati nazionali. “i governi hanno già fatto sapere che è loro intenzione – ricorda il Presidente del Movimento europeo Italia – ignorare le proposte del Parlamento europeo sulla composizione della prossima assemblea, sulle liste transnazionali, sul diritto di elettorato attivo esteso ai sedicenni, sul rispetto dell’equilibrio di genere e su un accordo interistituzionale relativo al metodo per la scelta del candidato alla presidenza della Commissione europea (Spitzenkandidat) che fu suggerito dall’allora presidente del Parlamento europeo Martin Schulz nella errata convinzione che il Partito Socialista Europeo (PSE) sarebbe stato nel 2014 il partito europeo di maggioranza relativa. Qua e là tuttavia si sono già avviate delle discussioni sulle eventuali alleanze elettorali, come è apparso recentemente nella fine del cosiddetto Terzo Polo in Italia, discussioni iniziate con gli incontri romani del capo gruppo del Partito Popolare Europeo (PPE) al Parlamento europeo e presidente del partito Manfred Weber e la leader del Partito europeo dei conservatori Giorgia Meloni sull’ipotesi di una coalizione di centro-destra sul modello dei governi italiano e svedese che indichi come Spitzenkandidatin Roberta Metsola – un modello che potrebbe essere replicato in Finlandia dopo le recenti elezioni legislative – con l’obiettivo di annullare la “grande coalizione” fra PPE e S&D che ha caratterizzato lo scenario politico nel Parlamento europeo dal 1979 in poi e il rapporto di fiducia fra l’assemblea e la Commissione europea. Poiché la composizione della Commissione europea è stata fondata sulle maggioranze politiche nazionali che appartengono ai popolari, ai socialdemocratici e ai liberali ma anche ai verdi e ai conservatori dalla lista dei commissari non sono stati finora esclusi gli esponenti dei cinque gruppi principali nel Parlamento europeo e cioè i popolari, i socialdemocratici, i liberali, i verdi e i conservatori e nemmeno un commissario ungherese suggerito dal governo di Viktor Orban anche se il suo partito non fa più parte di un gruppo europeo”.

Giampiero Gramaglia dedica tre articoli a “Giorgia Meloni e Bruxelles tra dichiarazioni di continuità e atti di rottura sugli equilibri politico-istituzionali attuali”. Nel primo articolo l’ex direttore dell’Ansa analizza la filosofia politica del governo in carica nei suoi rapporti con l’Unione Europea: “Unione europea: i dilemmi di Giorgia, sovranista o governista”[30],  descrivendo le forze politiche italiane ed europee ai blocchi di partenza verso le elezioni del Parlamento europeo nel 2024. “Ancora una volta, non vi sarà una legge elettorale uniforme nei 27 Stati Ue, nonostante appelli in tal senso dei movimenti europeisti: ciascuno eleggerà i propri deputati europei secondo proprie regole. L’Italia, che dispone di 76 seggi sui 705 totali divisa in cinque collegi elettorali, nel cui ambito i seggi saranno assegnati su base proporzionale. Sulla scorta dei risultati usciti dalle ultime politiche e degli attuali sondaggi, la composizione della delegazione italiana nell’Assemblea comunitaria è destinata a subire profonde modifiche. Attualmente, i 76 seggi sono così distribuiti: 29 alla Lega, 19 al Pd, 14 al M5S, sette a Forza Italia, sei a Fratelli d’Italia e uno agli autonomisti alto-atesini.  È ipotizzabile che le posizioni di Lega e Fratelli d’Italia quasi si rovescino o che, comunque, vi sia un’inversione dei rapporti di forza fra i due gruppi, mentre Pd, M5S e Forza Italia potrebbero anche ottenere risultati sostanzialmente equivalenti agli attuali. Ma l’attenzione di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini, in questo momento, non si concentra solo sulla competizione tra i loro due movimenti, il cui esito potrebbe pure avere un impatto sugli equilibri di governo e – chissà – magari anche sulla stabilità dell’esecutivo. Meloni e Salvini stanno entrambi sondando le possibilità di contare di più nelle Istituzioni comunitarie e, in particolare, nel Parlamento europeo, dove attualmente i loro partiti sono entrambi tagliati fuori dai processi decisionali. […] Collocazioni diverse dei due partiti di destra italiani nel Parlamento europeo potrebbero loro consentire di mascherare meglio le tendenze sovraniste ed euroscettiche, scomode da esibire quando bisogna governare e cercare sponde, e rendere più fluidi i rapporti con gli altri partiti europei più influenti, che restano improntati a cautela e diffidenza, al di là degli abbracci solidali davanti a emergenze come la tragedia dell’alluvione in Emilia-Romagna”.

Nel secondo articolo “Bce, Mes, immigrazione, i mulini a vento di Meloni”[31] commentando il 28 giugno il discorso in Parlamento di Giorgia Meloni, Giampiero Gramaglia osserva come “L’Italia di Giorgia Meloni, in Europa, e non solo, è bravissima a scoprirsi dei mulini a vento, contro cui partire a lancia in resta, con poco da ottenere e talora nulla da perdere. Ma a fare ammoina, è l’idea di fondo, ci si guadagna sempre qualcosa. A volte, si tratta di lisciare il pelo dell’opinione pubblica, specie di chi vota i partiti della maggioranza di turno – è il caso del dossier dell’immigrazione ricorrente sotto forma di crisi, quando al più è un fenomeno, da almeno 12 anni -; a volte, si tratta di fare baratti – è il caso della ratifica della riforma del Mes, che qualcuno nei palazzi del potere romani vorrebbe giocarsi nei negoziati sulla riforma e l’allentamento del Patto di Stabilità”. Secondo Gramaglia “a Bruxelles la premier Giorgia Meloni ha scelto un bersaglio grosso: la Banca centrale europea, la Bce, colpevole di fare quello che tutte le banche centrali fanno quando di tratta di frenare l’inflazione, che è la loro missione primaria: alzare i tassi d’interesse. La battaglia contro la Bce nasce persa, anche perché la Banca è indipendente dal potere politico. Meloni potrà pure trovare qualche sponda al Vertice, perché l’aumento dei tassi è medicina amara per tutti. Ma le sortite fuori misura di esponenti della coalizione al potere in Italia non paiono buon viatico ai negoziati europei che dovrebbero essere prioritari per l’Italia, la revisione del Pnrr e lo sblocco della tranche in sospeso; e, ovviamente, la riforma del Patto di Stabilità.  Al Parlamento, Meloni ha detto di volere affrontare il negoziato sulla governance economica, che entrerà nel vivo non prima del mese di settembre di questo 2023, “con un approccio a pacchetto” […]  Secondo l’ex direttore dell’Ansa “c’è il rischio che la trattativa sfoci “in un pacco per l’Italia”, perché il no al Mes non è né condiviso né compreso da nessuna delle capitali dell’euro”.

Infine, in un terzo articolo “Cina-Unione europea-Italia: il golden power non ci salverà”[32] Giampiero Gramaglia ricorda come “Le conclusioni sulla Cina del Consiglio europeo del 29-30 giugno 2023 … indicano un “approccio politico poliedrico” nei confronti di Pechino, di cui l’Unione europea è “contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico”: non vuol dire molto in concreto, ma è detto bene; e, soprattutto, nasconde distanze ancora sostanziali fra i 27.Del resto, la riflessione europea non è ancora conclusa aggiunge Granaglia – : si valutano i pro e i contro di un rapporto con la Cina più o meno conflittuale e anche le contraddizioni fra gli interessi americani ed europei. Finora, le scelte dei singoli Paesi sono state fra di loro divergenti, al di là della banale constatazione che Ue e Cina “continuano a essere importanti partner commerciali ed economici”. L’obbiettivo dell’Unione è di cercare di garantire “condizioni di parità”, in modo che le relazioni commerciali ed economiche siano “equilibrate, reciproche e reciprocamente vantaggiose”. Ma l’Unione europea intende continuare “a ridurre dipendenze e vulnerabilità critiche, anche nelle catene di approvvigionamento, a ridurre i rischi e a diversificare dove necessario e appropriato”, senza né “disaccoppiare” né “ripiegarsi su sé stessa”. L’Italia è uno dei ‘test cases’ europei, perché, entro la fine del 2023, deve decidere se rinnovare o meno il ‘memorandum of understanding’ con la Cina sulla Nuova Via della Seta, concluso nel 2019 dal governo Conte 1 – M5S e Lega -, ma che è sfociato in poche realizzazioni concrete. Una metà dei 27 hanno ceduto alle lusinghe del progetto cinese di espansione economica, ma l’Italia è l’unico dei Grandi dell’Unione europea (e l’unico del G7)”.

Giampiero Gramaglia, all’indomani della visita di Giorgia Meloni a Parigi che ha sancito il riavvio delle relazioni fra Italia e Francia, in un commento scritto il 21 giugno 2023 definisce – come recita il titolo del pezzo – “Meloni-Macron: Quasi amici, o meglio Les Intouchables[33]. “Macron ‘viveva un rapporto stretto con Mario Draghi, che rimpiange. C’è una sfiducia di fondo verso la leader di Fratelli d’Italia: “Nessuna possibilità – dice a Le Figaro un diplomatico che non vuole essere citato – che diventino amici politici”.  Tanto più che, fra un anno, saranno schierati su fronti rivali alle elezioni europee […].Dopo le elezioni legislative in Italia del settembre 2022, la ministra francese per gli affari europei Laurence Boone aveva dichiarato che la Francia sarebbe stata “attenta al rispetto dei valori europei” da parte dell’Italia, “ora guidata dall’estrema destra”. La dichiarazione fece infuriare Meloni, che denunciò una “minaccia di ingerenza inaccettabile”, chiedendo una “smentita” dal governo francese (che non è mai arrivata). Ma c’è stato l’impegno a lavorare insieme al di là delle divisioni politiche. Le questioni migratorie hanno però costantemente tormentato le relazioni tra Francia e Italia nell’‘era Meloni’. Il presidente del partito di Macron e del gruppo Renew Europe, fortemente europeista, al Parlamento europeo, Stéphane Séjourné, ha denunciato la politica di immigrazione “ingiusta, disumana e inefficace” del governo italiano. Invece, Macron e Meloni sono abbastanza in sintonia sul sostegno all’Ucraina di fronte all’invasione russa, anche se nel febbraio 2023 la Meloni non è stata invitata ad una cena di lavoro a Parigi tra il presidente francese, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj – cena da lei definita “inappropriata” -. Per Palazzo Chigi, la missione a Parigi e, soprattutto, l’incontro con Macron erano occasioni utili per ripianare i dissidi aperti sulla questione migranti e tutta una serie di battute, freddezze e scaramucce diplomatiche. In otto mesi esatti di governo Meloni, i due leader non si erano ancora incontrati in bilaterale.

Bruno Somalvico ne “La difficile scommessa di Sanchez di fronte al successo delle destre” analizza le conseguenze del voto spagnolo verso la formazione di un nuovo bipolarismo con “Due coalizioni minoritarie difficilmente in grado di formare un governo stabile”. Molto probabilmente si andrà nuovamente, come recita l’occhiello, “Verso nuove elezioni anticipate”[34]. Il leader socialista in carica punta molto sulla sua Presidenza dell’Unione per proseguire la cosiddetta remontada ovvero la risalita dei consensi attraverso successi non solo di immagine ma anche risultati concreti e tangibili che potrebbero essere ottenuti in questi mesi dalla Presidenza spagnola e dall’Altro Rappresentante dell’Unione per la politica estera, il socialista spagnolo Josep Borrell.  Una scommessa quanto mai azzardata. Ma la tendenza al voto utile e alla formazione di un nuovo bipolarismo potrebbe nuovamente avvantaggiare il leader socialista mentre l’estrema destra di Vox è pronta di fronte ad un Partito Popolare diviso al suo interno in merito ad un’alleanza con la formazione di Santiago Abascal, temendo un “effetto all’italiana”, ovvero un ridimensionamento della destra moderata come quello subito in Italia da Forza Italia a favore di Fratelli d’Italia, se non a prendersi una rivincita, in ogni caso a vendere molto cara la pelle. La strategia di Vox potrebbe essere infatti quella di facilitare un accordo fra socialisti e nazionalisti catalani per poi denunciarlo e candidarsi a guidare l’opposizione in nome della lotta contro ogni forma di secessione e della salvaguardia dell’integralità territoriale del Regno di Spagna. Unitamente alla difesa della famiglia tradizionale e alla lotta contro i valori espressi dall’universo LGBT“.

Giulio Ferlazzo Ciano, ricostruisce la storia del Kosovo evidenziando – come recita l’occhiello – alcune “Similitudini con l’Ucraina e rischi connessi nella situazione attuale” in un corposo saggio in cui si chiede: “Kosovo: l’Ucraina dei Serbi?”[35]. Partendo da “La Dardania e i proto-albanesi” in età classica, ne ripercorre le vicende dall’arrivo dei serbi, che ne fanno la culla della propria nazione nel tredicesimo secolo, alla “grande trasformazione” seguita al dominio serbo con il suo ingresso a metà del quindicesimo secolo nell’impero ottomano e dal successivo ampliamento, a partire dal sedicesimo secolo, del “solco fra le due comunità etnico-religiose”, ovvero quella albanese e quella serba. Nell’Ottocento il Cossovo diventa una sorta di “terra promessa per albanesi e serbi”. Le due guerre balcaniche alla vigilia della prima guerra mondiale inaugurano infine – secondo Ferlazzo Ciano – una nuova stagione “tra ambizioni di rivincita e vendette incrociate”. Alla fine della seconda guerra mondiale si porrà “il dilemma cossovaro: secessione a favore dell’Albania o ricongiunzione alla Jugoslavia?”. Malgrado la pax titina rimarranno a lungo quelle che l’autore definisce “le tensioni che covano sotto la brace”. Dopo la morte di Tito nel 1980 “L’equilibrio torna a franare” creando le premesse del conflitto che incendia la regione nel 1998-1999. Ferlazzo Ciano lo descrive come la “Cronaca di una guerra annunciata”. “Dal 1999 inizierà il processo di democratizzazione delle strutture di governo della Kosova che ha portato – ricorda ancora Ferlazzo Ciano – a coronare il sogno di autodeterminazione della popolazione albanese della regione, raggiunto con la proclamazione unilaterale di indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008” ponendo al Cossovo indipendente nuove “sfide e problemi, a cominciare dal mancato riconoscimento dell’indipendenza a tutt’oggi da parte di Cina Russia India e quelle che l’autore definisce “molte altre potenze regionali di una certa rilevanza come l’Indonesia, l’Iran, l’Algeria, il Sudafrica, il Brasile, l’Argentina, il Messico”. Il saggio si conclude con alcune importanti considerazioni su “Il Cossovo oggi: similitudini e differenze con l’Ucraina e rischi connessi”.

“In Francia riprende la rabbia delle banlieues, dove esplode la frustrazione per le diseguaglianze”[36]. Giampiero Gramaglia rievoca “dieci giorni di tensioni sociali in Francia, dopo che, il 27 giugno 2023, un ragazzo di 17 anni di Nanterre, Nahel Merzouk, è stato ucciso da un poliziotto che gli ha sparato mentre cercava di sottrarsi a un controllo: proteste, incendi, violenze, migliaia di arresti, un’altra vittima, a Marsiglia, un giovane letalmente colpito da un proiettile di gomma […].La presidenza di Emmanuel Macron è già stata segnata, nel 2019, dalle sommosse animate dai Gilets Jaunes contro il ‘caro carburanti’ e, nel 2022, dall’opposizione alla riforma delle pensioni. E l’estate – chiarisce l’ex direttore dell’Ansa – è stagione di fiammate di rabbia ricorrenti nelle banlieues, dove c’è un carico di tensione sociale, specie da parte dei giovani, molto alto. Così, la rabbia per l’uccisione di Nahel s’intreccia con la frustrazione per stratificazioni e diseguaglianze della società francese. E le fiammate di rabbia e violenza a loro volta innestano reazioni da parte dei francesi che non condividono le ragioni o i comportamenti dei manifestanti”.

Alberto Toscano analizza la difficile situazione politica venutasi a creare in Francia dopo mesi di dibattiti e manifestazioni in piazza contro la riforma delle pensioni e poi, a cavallo tra giugno e luglio, di scontri e proteste che hanno causato numerosi arresti di giovani provenienti soprattutto dalle banlieues dopo la morte del diciassettenne Nahel a Nanterre ucciso da un poliziotto. Per il presidente Macron la celebrazione della festa nazionale diventa l’occasione per riprendere in mano il Paese. Democrazia futura ha raccolto tre sue corrispondenze da Parigi, scritte il 10 luglio, il 15 luglio e il 20 luglio 2023, in un articolo dal titolo “Macron e il 14 luglio per riunire la Francia e rassicurare i francesi”[37].

Nella prima corrispondenza “Una Bastiglia da prendere per rilanciare il suo secondo mandato all’Eliseo” Toscano scrive: “Comincia la settimana della festa nazionale francese e il presidente Emmanuel Macron ha una Bastiglia da prendere, se vuol rilanciare il suo secondo mandato all’Eliseo. Parlerà in occasione del 14 luglio, cercando di voltar pagina dopo la lunga crisi della riforma pensionistica e la violentissima fiammata di protesta, che ha sconvolto le aree urbane a partire dal 27 giugno. Deve convincere i connazionali che la “République” rispetta e protegge tutti i suoi figli: da chi protesta perché si considera abbandonato dalle istituzioni a chi impreca perché pensa di vivere nell’insicurezza; da chi inveisce contro la polizia a chi chiede più polizia. Dopo anni di gilets gialli, di Covid, di inflazione, di manifestazioni anti-riforma delle pensioni, di violenze e di polemiche, il presidente non può che concepire questo 14 luglio come vera opportunità per rilanciare la coesione nazionale. La sua Bastiglia 2023 si riassume in due parole: unire e rassicurare”.

Nella seconda corrispondenza del 15 luglio “Un 14 juillet giorno di festa per rilanciare la propria immagine interna e internazionale” osserva come “Il presidente Emmanuel Macron è riuscito ad approfittare della settimana della festa nazionale francese per migliorare la propria immagine interna e internazionale. Il (relativamente) tranquillo 14 luglio non basta certo a cancellare il ricordo della “settimana di fuoco” delle “banlieues” (a cavallo tra giugno e luglio), ma è una boccata d’ossigeno. Le due notti del 13 e del 14 luglio 2023 non hanno visto il ripetersi degli incidenti su larga scala. Ci sono stati atti di violenza, ma il loro numero è stato inferiore a quello della festa nazionale del 2022. La grande festa parigina intorno alla Tour Eiffel, con tanto di concerto alla presenza di 70 mila persone, è stata un vero successo, con eco sulle principali reti televisive. In quelle stesse ore serali del 14 luglio il leader indiano Narendra Modi banchettava al Louvre con Macron dopo essere stato (in mattinata) l’ospite d’onore alla tradizionale parata militare lungo i Champs Elysées. Come dire che la Francia cerca di rappacificarsi al proprio interno e di mostrarsi al tempo stesso un grande protagonista delle dinamiche internazionali. L’intreccio tra questi due elementi è molto concreto. La stabilità interna passa per l’economia e in questo momento l’industria francese è molto efficace in quattro campi: agroalimentare, moda, aerospaziale, armamenti. Dimenticando le divergenze con Parigi a proposito dell’Ucraina, Modi ha portato con sé il libretto degli assegni. C’è ormai un accordo di principio per l’acquisto da parte dell’India di 26 caccia francesi Rafale (il gioiello di Dassault) e di tre sottomarini. Un vero business miliardario, che fa seguito alle commesse indiane ad Airbus.

Nella terza e ultima corrispondenza scritta il 20 luglio Toscano analizza il rimpasto nel governo effettuato da Macron definito “Un rimpasto sotto il segno della continuità e dell’efficacia” (con otto partenze rispetto al precedente, otto arrivi e tre cambiamenti di poltrona). “Macron conferma la propria fiducia alla prima ministra Élisabeth Borne, da lui stesso scelta all’indomani della sua conferma all’Eliseo nella primavera 2022. Secondo il presidente la presenza di una donna alla testa del governo ‘ha un significato particolare per la nostra nazione’. Resta la calda atmosfera di un’estate davvero complicata per Emmanuel Macron, a circa un anno da due scadenze di grande rilievo, anche se di natura completamente diversa tra loro: le elezioni europee e i Giochi olimpici di Parigi” – commenta Toscano osservando a proposito del rimpasto come “Le decisioni di fondo sono il licenziamento dei personaggi che erano stati presentati nel 2022 come “espressione della società civile”. Salgono politici di mestiere e tecnocrati. Hanno più spazio i trentenni super-macronisti. I puri e duri rappresentati dal rampantissimo Gabriel Attal, che rimpiazza Pap Ndiaye alla testa del dicastero chiave dell’Educazione nazionale. Non si può certo dire che il test di Ndiaye, proiettato nelle alte sfere del potere come esponente di una Francia pronta ad aprirsi e a trasformarsi, abbia dato grandi risultati”.

Italia

Questa terza sezione dedicata alla geopolitica in Italia non poteva che iniziare con alcuni ricordi della figura che ha maggiormente caratterizzato la politica italiana a partire dal crollo della Prima Repubblica: Silvio Berlusconi, Una storia italiana ma anche ambrosiana

Chiarisce questo titolo Stefano Rolando nel suo pezzo Lassa pur ch’ el mund el disa. In morte del milanese Silvio Berlusconi[38] Ricorda Rolando come “[…] Berlusconi oggi conta – come italiano – più memorizzazioni nelle teste degli abitanti del Pianeta di Leonardo da Vinci, di Niccolò Machiavelli, di Cristoforo Colombo e forse anche di Benito Mussolini. Lui e i suoi “cucù” ad Angela Merkel. Lui e il suo “Bunga Bunga”. Lui e le sue coppe internazionali di calcio. Ma per converso, la sua narrativa – pecisa lo studioso di comunicazione pubblica – resta ben inquadrata in una certa milanesità che si snoda nei maggiori stereotipi del Novecento. Insomma la reinvenzione della milanesità. Nella milanesità novecentesca di Berlusconi c’è la sua scarsa considerazione per le istituzioni, così come le considera il fortino statale (Torino prima e Roma da un pezzo), che anche nei quattro governi da lui guidati hanno rischiato più volte di finire in seconda fila per salvare una battuta di spirito, una iniziativa propagandistica, un farsi bello con qualcuno. Lui (ma anche molti italiani) hanno pensato che quella “simpatia comunicativa” fosse, in realtà, un interesse nazionale superiore (perché solo questo genere di milanesi lo può davvero pensare in buona fede). Nella milanesità novecentesca di Berlusconi c’è di saltare a piè pari la mediazione romana se si tratta di capeggiare un po’ di populismo meridionale, assicurando a sentimenti di questo genere il patto “con il nord”. Con l’idea di nord in cui si produce aria fritta (cioè immagine) ma si dice che questa è “la Milano industriale in cui sono nato”.  Nella milanesità novecentesca c’è il “cabaret light” che Milano ha fatto esplodere negli anni Cinquanta e soprattutto Sessanta, per mitigare in battuta il tema “sociale” nello spettacolo che prendeva piede. Nella milanesità novecentesca c’è tutto quello che, quando è finita in ansie, tragedie e cose gravi la spensieratezza di certi anni ed è tornato il cielo plumbeo che si era cominciato a vedere con la bomba di piazza Fontana, erano poi rimasti in due a mantenere la voglia di far battute, Berlusconi da una parte e il Milanese imbruttito dall’altra. Ma – chiarisce Rolando – mentre il Milanese imbruttito è una maschera satirica, il Cavaliere è interprete di un alleggerimento professionale del clima sociale. Tecnica che non va derisa o equivocata. Lui ci ha costruito su le sue televisioni (cioè il suo vero partito politico, altro che Forza Italia).  Ci ha costruito la sua critica di pancia alla sinistra rancorosa, addolorata e pessimista.  Ci ha costruito un mezzo di identità popolare che ha permesso al suo paradigma di reinvenzione della politica (il marketing al posto dell’ideologia) di prendersi il controllo di un’abbondante mezza Italia.

Giampiero Gramaglia nel suo ricordo “Berlusconi, un vulnus alla credibilità dell’Italia all’estero”[39] concorda con Rolando sulla notorietà del Cavaliere: “Con tutti i suoi limiti, con tutti i suoi difetti, Silvio Berlusconi è stato, e forse era ancora, l’italiano più mondialmente noto nell’arco degli ultimi trent’anni: tra ascese al potere fulminee e cadute rovinose, ritorni al vertice e uscite di scena mai definitive, successi imprenditoriali e sportivi e smacchi giudiziari e socio-familiari, era nelle cronache non con picchi episodici, ma in modo costante. In viaggio all’estero, cambiava il nome del calciatore italiano sulle magliette azzurre dei ragazzini sui campetti di gioco, Baggio, Del Piero, Chiellini, ma l’allusione a Berlusconi c’era sempre, negli incontri con i colleghi e nelle cene con gli amici; accompagnata dal sorrisetto universalmente condiviso che Angela Merkel e Nicolas Sarkozy – da quale pulpito poi – riservarono al premier già in caduta libera nell’ottobre 2011. La discesa in campo e l’ascesa al potere, in pochi mesi, tra il 1993 e il 1994, di Silvio Berlusconi furono la prima volta in cui gli interlocutori internazionali dell’Italia ebbero la sensazione che, dopo Mani Pulite, qualcosa potesse cambiare nel nostro Paese; che la Seconda Repubblica di cui allora si parlava potesse coincidere con un rinnovamento e ammodernamento dello Stato in senso liberista, verso maggiore efficienza e minore clientelismo. Non fu così: trent’anni di presenza di Berlusconi al cuore, e talora al vertice, della politica italiana sono stati progressivamente intrisi di scelte, episodi, aneddoti che hanno contraddetto quelle attese (a ben vedere, mai giustificate dal passato del personaggio, dalle sue posizioni, dalle sue alleanze). Man mano che le scelte e i criteri di gestione del potere della Seconda Repubblica (o della Terza, per chi ci crede) si rivelavano sempre più simili a quelli della Prima Repubblica, però praticate da leader con minore senso dello Stato, la figura di Berlusconi – conclude – diveniva all’estero un vulnus all’immagine e alla credibilità dell’Italia. La sua uscita di scena nel 2011, che poteva apparire definitiva – la perdita del potere, le condanne, la decadenza da senatore e la privazione del titolo di cavaliere -, ha aperto un decennio in cui Unione europea e Stati Uniti si sono più volte illusi – o magari preoccupati – che qualcosa in Italia stesse per cambiare”.

Guido Barlozzetti ripercorre la figura di Silvio Berlusconi in un pezzo intitolato “Il Caimano diventa Dinosauro. Dopo l’omelia icastica dell’Arcivescovo di Milano in Duomo a reti unificate”[40], partendo da “La discesa in campo nel 1994 del creatore-imprenditore”, per poi rievocare “La rivoluzione nell’idea stessa della politica e nel suo linguaggio di un Protagonista-edonista” prima di chiedersi “Cosa avrebbe detto Machiavelli circa l’esercizio del potere da parte di Berlusconi” concludendo con un Post Scriptum sulle esequie nel Duomo di Milano. Devo dire che ero curioso di capire in che modo la grande Chiesa ambrosiana lo avrebbe accolto, che cosa e come l’Arcivescovo metropolita di Milano Mario Delpini avrebbe detto di una vita che ha messo insieme un irrefrenabile spirito d’iniziativa, un modo vorace e rapace di afferrarsi alle emozioni e ai sentimenti, anche quelli più immediati e potenti come possono essere gli affari, il sesso e il potere che tutto attraversa […]”. Nella sua omelia l’Arcivescovo ambrosiano – aggiunge Barlozzetti – “Ha svolto un discorso icastico, ancorato a una successione di infiniti, scandito quasi in strofe, ciascuna attorno ad un aspetto estratto dalla molteplicità che ha segnato la vita di Silvio Berlusconi. ‘Vivere e amare la vita, ecco cosa si può dire di un uomo, un desiderio di amore che trova in Dio un giudizio e un compimento’, e ancora ‘Essere contento, un desiderio di gioia’, ‘un uomo d’affari di cui non si fidano e che non si fida’, ‘un uomo politico che cerca di vincere’, ‘un personaggio alla ribalta della notorietà’. Ha messo in fila, Mario Delpini, un elenco delle facce mondane della vita di Silvio Berlusconi, ripercorse nel ‘momento del congedo e della preghiera” in cui “celebriamo il mistero del compimento’. Con la chiusura definitiva come una pietra tombale: ‘È un uomo e ora incontra Dio’. Mi ha evocato – conclude lo scrittore e conduttore televisivo – le pagine manzoniane in cui si alza la mano di padre Cristoforo e soprattutto la compassione misericordiosa del cardinale Borromeo che contempla il mistero dell’uomo, della sua umanità segnata dal peccato e però anche piena della voglia di vivere che lo fa essere quello che è e gli dà la responsabilità di dare un senso, una direzione, all’esistenza. Guardava la bara l’Arcivescovo metropolita, ripercorreva la mondanità, gli appetiti, il desiderio di godimento, le ambiguità, le contraddizioni di un defunto illustre e potente e nella sua sintesi finale tutto questo veniva colto nel momento in cui nella nudità di uomo si presenta di fronte al giudizio di Dio. Che accadesse nel duomo di Milano mi è sembrata ancor più significativo. Non è necessario essere cattolici osservanti, era un punto di vista altro, che rimetteva la vita in una dimensione remota rispetto al rumore della cronaca e delle fazioni contrapposte. E ci lasciava con l’abisso di quel Faccia a Faccia”.

Come sempre fra il serio e il faceto, Gianluca Veronesi, commenta la diretta a reti unificate dopo la notizia della scomparsa di Silvio Berlusconi qualificato come “L’ultimo Cavaliere”[41]. “Sembra impossibile che l’uomo più ‘pubblico’ del paese, il protagonista più celebrato e autocelebrato, l’instancabile esibizionista possa lasciare in sospeso così tante ambiguità, misteri, versioni di sé. Comunque è già per tutti un protagonista della Storia italiana. Solo che per qualcuno è Garibaldi (combattente, generoso, visionario), per altri è Cavour (attento alle alleanze, moderato, spregiudicato), per altri invece Mazzini (ideologicamente determinato e implacabile fondatore della destra di governo). In realtà, se ti mettevi a fare la sintesi delle varie narrazioni, scoprivi che era piuttosto Vittorio Emanuele, che faceva quel che poteva, che usava uno contro l’altro, che evitava che qualcuno si rafforzasse troppo, che lavorava innanzitutto per il bene della dinastia e poi della nazione […]. Peccato – aggiunge Veronesi – che abbiano scelto la retorica del funerale di Stato così formale e imbalsamato. Quanto sarebbe stato più caldo e affettuoso sentire la commozione nel saluto dei figli, la cadenza meneghina nel ricordo di Fedele Confalonieri”. L’ex dirigente Rai si sofferma in conclusione sull’omelia pronunciata dall’Arcivescovo di Milano Delpini: “A molti non sarà piaciuta. A Silvio sarebbe piaciuta moltissimo. Lì ho capito cosa significa avere duemila anni di esperienza. Nessuno metterà mai in imbarazzo la Chiesa quando si tratta dei ‘bilanci finali’. Un colpo al cerchio e uno alla botte ma che classe!”. Confrontando in parallelo “I funerali di Berlusconi e di Flavia Franzoni Prodi”, scomparsa poche ore dopo il Cavaliere, Veronesi conclude: “Un marziano invasore in pochi minuti avrebbe capito com’è organizzato il potere in Italia. Chi sta con chi”.

“Un flusso di immagini e parole ci ha sommerso nelle nostre case, tracimando dovunque dai dispositivi fra le nostre mani, e le scelte istituzionali di sospensione delle attività parlamentari e di lutto nazionale sono venute a connotare in termini identitari – di identità nazionale – per la Repubblica e per i singoli che non volessero restarne esclusi”. Cosi scrive Celestino Spada nel suo pezzo “A esequie terminate. Qualche nota in morte di Silvio Berlusconi”[42]: “Qui e là, e presto come un fiume in piena, sono venuti in primo piano i connotati identitari dell’uomo politico, è stato mimato e rilanciato – a celebrare le sue gesta e, con esse, il suo apporto alla vita nazionale – il discorso della ‘scesa in campo’ e gli slogan delle sue campagne elettorali, quelli ‘populisti’ e quelli ‘identitari/contro’ i competitor nel mercato elettorale, lasciando in sordina o del tutto escludendo quelli della ‘rivoluzione liberale’ che pure, almeno nel 1994, attrassero menti e voti, contribuendo non poco a quella sua – decisiva – vittoria nelle urne. Sicché, in un flusso mediale incessantemente riproposto da materiali ‘d’epoca’, spesso ‘a reti unificate’, la beatificazione – la santificazione – di Silvio Berlusconi per il suo apporto alla nostra vita nazionale si è compiuta in questi giorni nei termini esatti della sua propaganda, audiovisiva e non: una sceneggiatura completa fino all’applauso finale’. “Quanto all’elogio del cittadino e del politico, mentre si è ricordato che Silvio Berlusconi è stato il più longevo fra i Presidenti del Consiglio della Repubblica, non è stato quasi menzionato il fatto che la coalizione da lui guidata ha vinto nel 2008 le elezioni con la più ampia maggioranza mai registrata: tanta fiducia e un successo storico, seguito da un impegno personale e da un’azione di governo che resterà a lungo negli Annali della Repubblica democratica. Ma soprattutto (bisogna dirlo) non da tutti è stato ricordato un aspetto non marginale, anzi centrale del suo impegno politico: quello del farsi gli affari suoi, un fatto che Silvio Berlusconi non ha mai negato, anzi ha evidenziato, proclamandone la legittimità. Si potrebbe dire che il silenzio pubblico e mediale su questo punto nella circostanza è stato il segno più evidente che ‘Lui’ non c’è più. Berlusconi non ha mai taciuto che la sua discesa in campo mirava a salvare, con l’Italia, le sue aziende, e perfino gli amici più intimi hanno confermato e documentato le difficoltà, bancarie e non, in cui esse versavano nel 1993”.

2. Focus di approfondimento. L’anomalia di un’immagine La comunicazione di Mario Draghi nell’analisi di Guido Barlozzetti

Democrazia futura e Key4biz hanno organizzato il 20 giugno u.s. un webinar[43] sul libro di Guido Barlozzetti La Meteora? Mario Draghi. Anomalia di un’immagine (Bertoni Editore, 2023) già recensito in questo numero da Stefano Rolando. Il saggio di Barlozzetti analizza il periodo chiuso – febbraio 2021/ottobre 2022 – del governo di Mario Draghi da un particolare punto di vista. Non è un libro che si occupa di politica in senso stretto, la politica dei partiti e degli schieramenti, tanto meno appartiene al genere classico della biografia. Si occupa di Mario Draghi attraverso quello che di lui ci hanno restituito le parole e le immagini, e cioè quello che si è visto e/o ha fatto vedere di sé e quello che ha detto. In un tempo in cui l’immagine ha assunto un ruolo decisivo nella pratica stessa della politica, quella di Mario Draghi si è presentata con un’anomalia che riguarda sia il modo in cui si è presentato sulla scena, sia lo stile della comunicazione. In questo senso, La Meteora? è anche una riflessione sul rapporto tra immagine e potere e dunque anche su come e cosa quella di Draghi dica di un passaggio delicato e complesso della (nostra) democrazia.

Il webinar promosso da Key4biz e Democrazia futura il 20 giugno 2023

Dopo i saluti di Raffaele Barberio che ha ringraziato i partecipanti e la moderatrice Carmen Lasorella, e di Bruno Somalvico, che ha sottolineato la grande attenzione rivolta da Democrazia futura all’esperienza di governo dell’ex Presidente della BCE, la parola è stata data all’autore per una breve presentazione del suo volume. Il dibattito è stato introdotto da un intervento del professor Gianfranco Pasquino seguito da una tavola rotonda alla quale hanno partecipato tra gli altri Stefano Balassone, Massimo de Angelis, Giulio Ferlazzo Ciano, Giampiero Gramaglia, Giampaolo Sodano e Celestino Spada.

In apertura dei lavori Carmen Lasorella ha messo in luce il carattere eccezionale di un esecutivo nato quando il Paese si trovava ancora a fare i conti con la pandemia. Secondo la giornalista lucana il rapporto fra potere e immagine è decisivo e sotto Draghi è decisamente cambiata l’immagine dell’Italia percepita all’estero. Il silenzio evidenziato da Barlozzetti nel caso di Draghi diventa una cifra nell’epoca in cui tutti vogliono apparire. La politica del fare fa la differenza. Draghi appare come una personalità fuori dalla politica ma compatibile con la politica come era apparso ben prima dell’arrivo a Palazzo Chigi con il contributo importante assunto nella veste di Presidente della Banca Centrale Europea (BCE) quando tutti hanno riconosciuto nell’operato di Draghi uno scudo per l’Italia.

Nel suo ’intervento di apertura del dibattito “Alcune osservazioni critiche sul libro di Barlozzetti[44]

Gianfranco Pasquino chiarisce subito: “La mia osservazione di fondo riguarda l’anomalia. Perché per dire di un fenomeno, di una persona, di un avvenimento che è un’anomalia, bisogna conoscere ovviamente la regola. Draghi come persona, come dirigente politico, come Presidente del Consiglio, è un’anomalia rispetto a quale regola? Perché nel frattempo abbiamo avuto tre, forse quattro governi che possiamo definire come presieduti da un non politico. Quindi nella scienza politica un dibattito si è aperto […] su come definire i governi guidati da una persona priva di una carriera politica, che viene proiettata a quei livelli nella vita politica: governi parlamentari naturalmente perché nei governi presidenziali spesso chi arriva al governo non è un esponente politico. […] Insieme ad un mio allievo abbiamo deciso di chiamarli “governi non politici” non certo “governi tecnici” che non vuol dire granché. Dopo di che, i governi non politici in Italia non hanno nessun problema perché la Costituzione è chiara. L’Articolo 84 dice che il governo deve avere la fiducia delle Camere. Non c’è nessuna altra richiesta, esigenza o requisito. E quindi il governo Draghi era un governo democratico, parlamentare: normale secondo la Costituzione, ma non normale secondo la quasi totale maggioranza dei governi parlamentari che esistono nelle democrazie occidentali, soddisfacendo il solo requisito richiesto, ovvero ottenere e mantenere la fiducia del Parlamento. Quindi Barlozzetti dovrebbe dirci qualcosa di più su cosa produce il governo Draghi. Su questo non c’è abbastanza. E da questo punto di vista consentitemi di dire che i retroscena sono importanti dobbiamo conoscere le motivazioni, ossia quello che sta dietro. È assolutamente decisivo sapere cosa stava dietro la scelta di Draghi da parte di Sergio Mattarella con quante persone Mattarella aveva discusso di questa scelta e con quante persone si era consultato lo stesso Draghi”.

Il secondo punto che mi pare ugualmente importante dal punto di vista della comunicazione – prosegue Pasquino – è il momento dell’elezione del presidente della Repubblica. Quello è secondo me il momento di svolta di Draghi, del governo e forse ance del sistema politico. Vorrei insomma sapere se Draghi voleva davvero fare il presidente della Repubblica e se Mattarella davvero non ha capito che quello poteva essere il passaggio vero della legislatura. Perché Draghi Presidente della Repubblica non avrebbe più potuto guidare il governo però avrebbe comunque forse potuto controllare quello che gli premeva di più ovvero quell’attuazione fino in fondo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che, vediamo, sta avendo non poche difficoltà che vengono camuffate nel senso che sono messe sotto il tappeto ma che mi paiono gravi non tanto per il governo (anche per il governo), ma per il futuro del sistema politico ed economico italiano, Anche su questo vorrei saperne di più”.

“Terzo elemento – aggiunge l’Accademico dei Lincei – è quello della crisi, della crisi vera e propria. Anche qui credo che Draghi sia stato trattato male. Molti dicevano che Draghi avrebbe dovuto accettare il cambio di governo, il cambio di maggioranza. E cosi via. La sua è una scelta dettata dal fatto che ha una condizione economica di tutto rilievo. Come ha detto lui Un lavoro me lo cerco da solo. Su questo sottolineerei questo aspetto che mi pare molto significativo. Ma perché Draghi non voleva più fare il capo del governo? Che cosa è davvero successo? “

“Detto questo, quando guardo in giro, vedo che ci sono problemi veri di formazioni dei governi che però vengono risolti attraverso la formazione di coalizioni esplicite addirittura con contratti. Non mi riferisco tanto al “contratto con gli italiani” firmato per così dire da Berlusconi in televisione a Porta a Porta ma a contratti autentici, chiaramente definiti, ovvero ben delineati che poi sono resi pubblici e che gli italiani snobbano. In Germania questa è la norma che tra l’altro produce governi di lunga durata che durano tutta la legislatura. Anche su questo aspetto varrebbe la pena di soffermarsi. Come i comunicatori trattano questo tipo di attività e spesso in maniera non adeguata e come invece questi contratti danno vita a governi stabili e di lunga durata”.

“In conclusione – osserva il noto scienziato della politica torinese – ho l’impressione che il libro di Barlozzetti ci offre un sacco di informazioni ma forse per dargli una prospettiva bisognerebbe scavare un po’ di più con qualche intervista mirata. Mi è mancata infine una riflessione su chi consigliava Draghi in certi momenti, perché non poteva essere lui che da solo decideva una serie di cose. Anche sulle espressioni adottate nelle sue conferenze stampa, chi curava la comunicazione di Draghi? Forse sarebbe stato utile saperlo”.

Il focus di approfondimento si apre con un contributo “La meteora Draghi. Un saggio su immagine e potere”[45] in cui Stefano Rolando illustra e recensisce uno studio di Guido Barlozzetti nato dalla rielaborazione di alcuni suoi contributi scritti nel 2021 e 2022 per Democrazia futura dal titolo La meteora? Mario Draghi. L’anomalia di un’immagine, Chiugiana (PG), Bertoni, 2023, 219 p.  “Studiare un governo è materia che abitualmente vede all’opera politologi, analisti istituzionali, macro-economisti, geopolitici (soprattutto per le implicazioni della guerra). Mentre lo sguardo dell’autore qui dipende dalle cose che lo hanno sempre interessato: i media, la comunicazione, la costruzione dell’immaginario […]. Barlozzetti ha montato una lunga sequenza di tante scene teatrali per collezionare un centinaio di definizioni della figura poliedrica del Protagonista (è questa una delle cento definizioni, scritta ovviamente con la P maiuscola) nella parabola del Salvatore (altra definizione) che vede trasformare gli Alleati in Antagonisti fino al duro ma dignitoso epilogo […]. La chiave di questa analisi è dunque quella del nostro mestiere, cioè la complessità della traiettoria reputazionale della classe dirigente. Soprattutto quando la soglia è già molto alta all’inizio del percorso ed è messa poi a prova appunto dall’inizio da un principio che a un certo punto prende corpo e consistenza: l’uomo che interpreta la salvezza riserva per molti il rischio di essere anche un fattore di minaccia. Se vogliamo collocare questo libro nella linea dei noir (dove c’è un delitto, una vittima e degli imputati) beh, questa è in sintesi la trama. Dunque – chiarisce Rolando – una partenza regolata da una egemonia morale che riesce anche a trasformare il silenzio come lo spettacolo del decoro. Ma che cammin facendo adotta una narrativa pedagogica […] che sorregge, se vogliamo, un vecchio stile di istituzione sociale, che si rivela così diversa dalla narrativa di scontro a volte becero e non argomentato a cui si dedicano molti, troppi politici, tanto da fare di una differenza un baratro.  Una “differenza” in cui una certa politica indocile a ogni rigenerazione – come si diceva – ha temuto il caro prezzo del crescente consolidamento del Salvatore. La parola nel racconto ha peso, come lo stile, la postura, l’atteggiamento comunicativo. La fascinazione appare come lo stupore per l’uso di un modo ironico, persino felpato di far polemica, quando ci eravamo abituati all’uso abituale della clava. E ciò soprattutto nei momenti più acuti, come è stata ad esempio l’ultima conferenza stampa del mandato. Il libro – conclude Rolando – non molla mai la presa interpretativa su un uomo in carne e ossa, pur contornato dalla – per così dire – luminosità dei corpi celesti. Ma – attenzione – non è un testo psicologico, non indaga su radici ancestrali, non scava sulle pulsioni, non ci parla di infanzia e genitori. È tutto dentro i contorni di una chiave abituale della sociologia dei media e della politica: il potere della percezione e la percezione del potere”.

“Penso che la vicenda storica italiana dal primo decennio del Ventesimo secolo a oggi si possa racchiudere in una silloge schematica e perentoria: fu il trionfo della mediazione, cioè nella tessitura del compromesso come principale arte di governo”. Lo scrive lo storico contemporaneista Salvatore Sechi chiedendosi se “Il governo Draghi [sia stato] diversa routine o il preannuncio di uno Stato e di un capitalismo diversi?”[46]. In “un primo tentativo di inquadramento nella storia dell’Italia post-unitaria” Sechi paragona Draghi ad un suo illustre predecessore: “Alla Camera chiedendo ai deputati l’investitura, Giovanni Giolitti formulò un impegno programmatico reciso e forte, inedito e impensabile: cioè che il suo governo non sarebbe intervenuto nei conflitti di lavoro, nelle controversie tra le imprese e i sindacati. Era l’applicazione della regola del libero mercato, del libero confronto alla sfera dei rapporti tra capitale e lavoro […].  Fu il primo grande successo del compromesso su una materia assai divisiva sia nel mondo industriale sia in quello di estrema sinistra” – ricorda lo studioso sardo.  L’articolo prosegue chiarendo “Perché gli spiriti selvaggi hanno prevalso a scapito di Mario Draghi nella corsa al Quirinale” prima di tentare “Un bilancio a tinte fosche fra successi nella lotta alla pandemia e incremento del debito” dell’esecutivo del premier uscente ed esaminare la sua “concezione dello Stato”: “Non più come imprenditore e neanche come innovatore, perché in entrambi i casi sfrutterebbe il monopolio del prelievo fiscale per dotarsi di risorse infinite di liquidità, limitando-drogando la concorrenza. Draghi – conclude Sechi – ha eretto un argine politico, culturale e istituzionale a questa prassi scellerata dell’invasione di campo dello Stato, configurando il suo ruolo come limitato a erogare regole e deroghe, sanzioni e controlli. In altre parole dello Stato come regolatore”.

Celestino Spada sottolinea nel titolo del suo intervento “L’attenzione dei media all’Agenda Draghi e al ruolo dirigente e di governo impresso dall’ex premier al nostro Paese”[47] evidenziando come il governo diretto dall’ex presidente della BCE sia stato caratterizzato da “La crescita dell’intervento pubblico nell’economia e nella società resa più fragili dal Covid”. “C’è una differenza che secondo me va ricordata fra come i media hanno accolto il governo ‘tecnico’ di Mario Draghi e come avevano accolto il governo ‘tecnico’ di Mario Monti, scrive Spada. “C’è una differenza enorme. Il governo ‘tecnico’ di Mario Monti era considerato una parentesi da chiudere al più presto, tanto più che allo stesso governo era stata indicata un’area di esclusiva competenza dei partiti che lo sostenevano. Questa forza di contrattazione i partiti, nei confronti di Mario Draghi proposto premier dal Presidente Sergio Mattarella, non l’hanno avuta. Anzi, è successa una cosa interessante: che i media nei confronti di Mario Draghi sono stati molto interessati al merito, all’agenda che il governo Draghi si impegnava a realizzare. E questa scelta dei media – che non era dovuta né attesa – è stata così convinta che è sopravvissuta alla sorte del governo Draghi. L’agenda/Draghi è stata un punto di riferimento dei media nei confronti delle scelte del governo presieduto da Giorgia Meloni. E tuttora lo è” – conclude l’ex dirigente della Rai che chiude il suo articolo sul tema gramsciano dell’egemonia: “l’egemonia si qualifica (per quel poco che so di cultura politica) rispetto al dominio. La differenza è tra la forza e il ruolo di leadership condiviso da chi è diretto: da questi riconosciuto al dirigente. Egemonia di per sé non ha un valore qualitativo: l’egemonia è culturale sempre, implica condivisione altrimenti sarebbe potere. La condivisione non passa necessariamente per i libri di filosofia politica. Abbiamo fatto l’esperienza di Berlusconi. […]. Egemonia è una cosa complicata che dovrebbe essere considerata quando ci rallegriamo che Draghi abbia avuto e che egli possa ancora avere un ruolo dirigente, di governo, del nostro Paese. Mi sembra evidente che ad essa non si dà nessuna attenzione da parte delle forze politiche, e poca da parte degli intellettuali e degli studiosi”.

Nell’articolo “Il prossimo volo del calabrone e la bicicletta di Jean Monnet, Pieraugusto Pozzi presenta “Una breve sintesi del discorso di Mario Draghi a Cambridge Massachussets sul futuro dell’Europa”. Sulla base di considerazioni sul quadro economico e geopolitico nel quale si trova l’Europa, Draghi propone un impegnativo percorso di revisione dei trattati Unione europea […] L’esigenza di rivedere i Trattati deriva dall’allargamento Unione europea ai Balcani e dall’aggressione russa, che esige politiche estere e di difesa dell’Unione europea, mentre anche la transizione ecologica richiede enormi risorse condivise […]. Allo stato attuale, il costrutto istituzionale dell’Europa non è adatto a realizzare queste transizioni […] Per questo è necessario creare una vera politica fiscale comune sostenuta da un processo politico. Non ci sono alternative. Allentare le regole sugli aiuti di Stato, creerebbe frammentazione perché i governi con più spazio fiscale potrebbero spendere molto più degli altri. Le iniziative statuali sarebbero inadeguate di fronte alla complessità dei problemi da affrontare. L’unica opzione è quindi accentrare a livello federale il potere di investimento sulle priorità condivise: ambiente, difesa, sanità. E, di conseguenza, aumentare le emissioni di debito europeo necessarie al finanziamento di queste spese, avviando al contempo un percorso di riduzione dei debiti degli Stati tramite l’irrigidimento delle regole fiscali e tramite la crescita. Si tratterebbe di una riforma ben più radicale del nuovo Patto di Stabilità dell’Unione europea che, pur concedendo più flessibilità sui conti, non contempla un ripensamento della sede del potere fiscale, per spostarla dalla periferia al centro dell’Unione europea. Come attuarla? L’opzione caldeggiata da Draghi non è quindi tecnica ma tutta politica, molto più impegnativa ma, a suo parere più possibile oggi che in passato, quando è stata respinta dagli elettori:

Una possibilità è procedere – come si è fatto sinora – con un’integrazione tecnocratica, apportando cambiamenti in apparenza tecnici e sperando che quelli politici seguiranno […] Questo approccio ha funzionato con l’euro, rendendo l’Unione europea più forte, ma il costo è stato elevato e i progressi lenti. L’altra possibilità è quella di procedere con un vero processo politico, in cui l’obiettivo finale sia esplicito fin dall’inizio e approvato dagli elettori sotto forma di una modifica del Trattato europeo. Questo percorso è fallito a metà degli anni 2000 e da allora i politici l’hanno evitato, ma credo che ora ci siano più speranze di movimento. Man mano che l’Unione europea si allarga ulteriormente per includere i Balcani e l’Ucraina, sarà essenziale riaprire i trattati per garantire che non si ripetano gli errori del passato, allargando la nostra periferia senza rafforzare il centro

“In questo momento storico – avverte Draghi in conclusione-, non possiamo restare fermi o, come la bicicletta di Jean Monnet, cadremo”. “Come noto, commenta Pozzi, Jean Monnet è l’economista francese che ispirò e preparò la ‘dichiarazione Schuman’: il discorso tenuto a Parigi da Robert Schuman, Ministro degli esteri del governo francese, il 9 maggio 1950, che è considerato il primo discorso politico ufficiale in cui compare il concetto di Europa come unione economica e, in prospettiva, politica degli Stati europei. In particolare, è considerato il punto di partenza del processo d’integrazione europea realizzato con piccoli passi concreti. In definitiva, l’approccio che è stato applicato nella progressiva integrazione dei Paesi europei prima sulle materie prime, poi del mercato e dei capitali, fino alla moneta unica. Ora, perché la bicicletta-Europa non cada, secondo Draghi, serve un cambio di passo e di strategia”. Per gli investimenti comuni che urgono, si rende necessario un parallelo processo di costruzione politica. Questo processo è reso necessario dal fatto che L’Europa è in sostanza il volto politico dell’Eurozona. Eurozona che era, per gli economisti, l’equivalente del calabrone per gli entomologi: una creatura che non potrebbe volare […]”-

Guido Barlozzetti nel suo “Governo Draghi: una meteora con qualche lampo di Cometa”[48] trae in conclusione “Alcune postille al nostro webinar” dedicato al suo saggio La meteora? Mario Draghi. L’anomalia di un’immagine. L’autore dichiara subito nella premessa “Non è un libro di cronaca politica, né di retroscena, ma sull’immagine del potere […] – aggiungendo: “Assume quindi a proprio oggetto l’immagine di Mario Draghi come un campo di significazione complesso di cui cerca di ritrovare le diverse forze che lo attraversano e che via via lo costituiscono, nell’inter-relazione inevitabile con lo sguardo di fronte a cui quel campo prende forma. E lo fa all’incrocio tra la simultaneità e la diacronia, e cioè tra l’identità di un concetto che orienta la ricerca e il suo progressivo divenire nel tempo […]. Dico da questo punto di vista di un’analisi tutta contenutistica, che riguarda sia la quotidianità del discorso dell’informazione sia anche chi stabilisce una distanza rispetto all’attualità in modo da creare le condizioni per uno sguardo più ampio e complesso. Per fare un esempio che aiuta a capire, è come se – aggiunge Barlozzetti – guardando un film parlassimo soltanto dei temi affrontati dalla storia e facessimo un semplice résumé della trama, prescindendo dal fatto che un film esiste per quello che si presenta sullo schermo allo sguardo dello spettatore, risultato vivo, lì davanti a lui, delle scelte di sceneggiatura, di regia e di montaggio, gli attori, i luoghi, la musica, il tempo del racconto che non necessariamente è una banale successione di scene. Insomma di linguaggio si tratta e l’immagine è un campo di linguaggio […]. Cosa rimane di Draghi a un anno dalla caduta del suo governo? – si chiede l’autore del saggio – È una meteora definitivamente caduta o emette lampi baluginanti da cometa, magari residuale? Intanto, è evidente la continuità della linea del silenzio e dell’assenza. Draghi non si fa vedere, non è nella quotidianità dell’informazione, nel discorso della politica. Non scende nel dibattito e non entra sul terreno della polemica. Era esterno alla politica quando è diventato Presidente del Consiglio, continua ad esserlo una volta uscito da Palazzo Chigi. Ribadisce in questo la connotazione strutturale della sua immagine: esterna al circuito della politica, riserva semmai della Repubblica, neo-Cincinnato, la certezza-strategia consolidata che tanto più la sua immagine si rafforzi, quanto più venga sostenuta dalla percezione di questa assenza e nell’estraneità rispetto all’agone vociante partitico e governativo. Draghi non c’è e però c’è grazie al peso di un’invisibilità che almeno in parte rimanda al topos del Convitato di pietra, quello che prima o poi risale sulla scena nell’ora in cui si faranno i conti decisivi”conclude Barlozzetti.

3. Il governo Meloni alle prove dei problemi mai risolti

Il primo tomo di questo decimo fascicolo non poteva non chiudersi senza alcuni ulteriori riflessioni sul nostro esecutivo

Gianluca Veronesi nel suo pezzo intitolato “+Europa +Europe: come accelerare le riforme in Italia con i soldi europei se le idee sono diversissime”[49] osserva “L’attuale maggioranza politica italiana alle prese con le prossime elezioni europee di giugno 2024”. “Curioso il rapporto di Meloni con le istituzioni europee – nota l’ex dirigente Rai – Io sostengo, contro ogni logica, che nella vita convenga essere preceduti da una pessima fama. Non potranno che trovarti migliore del previsto. Così per Giorgia Meloni, considerata la nemica dell’Europa. La passionaria del sovranismo. Lei è arrivata – chiarisce Veronesi – quando c’erano da incassare 200 miliardi. Ha pensato bene di aderire, pretendendo pure di cambiarne la destinazione, con il rischio – tuttora vigente – di perderne una parte. Avrebbe dovuto essere tenuta ai margini e invece sta lavorando apertamente per creare un’alternativa alla maggioranza che governa Bruxelles, nell’ipotesi che i partiti di estrema destra guadagnino ulteriori consensi” E Veronesi conclude: “Oggi i nostri ministri (che sulla carta sono i ministri del governo italiano più sovranista di sempre) passano le giornate a Bruxelles per risolvere i loro problemi domestici. Sono là non perché vincolati da una ottusa burocrazia sovranazionale ma semplicemente perché bisognosi di sempre più soldi”.

Seguono due contributi di Giampiero Gramaglia su “La continuità atlantista del nuovo governo”. Nel primo, commentando l’incontro con il Presidente statunitense alla Casa Bianca nell’ambito della sua visita negli Stati Uniti, Giampiero Gramaglia intitola il suo articolo “Giorgia Meloni a Washington: la leader è coi repubblicani, la premier col presidente Biden”[50]. “Quella di Giorgia Meloni alla Casa Bianca è una missione facile, perché tra Stati Uniti e Italia c’è forte sintonia: sull’Ucraina in primo luogo, che è il principale fronte della diplomazia occidentale. Ma quella a Washington è anche una visita scivolosa, perché, politicamente, Meloni è più vicina agli avversari di Joe Biden, ai repubblicani che stanno preparando l’impeachment al presidente – un’iniziativa pretestuosa e senza prospettive di successo, ma un’azione di disturbo fastidiosa in vista della campagna elettorale per Usa 2024. Meloni riesce a tenere distinti i due piani: come leader politica, riconosce che la sua famiglia è quella dei conservatori – lo speaker della Camera, il repubblicano Kevin McCarthy, le testimonia particolare apprezzamento -; come premier, esalta il solido rapporto tra i due Paesi, ascolta il punto di vista statunitense sulle relazioni con la Cina e ottiene attenzione per l’approccio italiano all’Africa, anche in vista della presidenza di turno italiana del G7 nel 2024 – una priorità sarà pure la ricostruzione dell’Ucraina, nella speranza che il conflitto si sia concluso -. Il colloquio nello Studio Ovale dura oltre un’ora e mezza. Meloni e Biden hanno totale sintonia sul fronte ucraino e vedono entrambi la Cina tra “sfida e opportunità”. Dal presidente, la premier incassa un’apertura di credito per le mosse italiane sul tema divenuto la cifra primaria della sua politica estera: l’attenzione al fianco Sud, l’impegno non lasciare più scoperti il Mediterraneo e l’Africa, non solo per frenare l’ondata dei migranti, ma per svilupparne il potenziale. E gli Stati Uniti sono in benevola attesa di contenuti e dettagli del Piano Mattei. “In tempi difficili sappiamo chi sono gli amici, dice Meloni prima dell’a tu per tu con Biden. E sottolinea che i rapporti tra i due Paesi sono indipendenti “dal colore politico dei loro governi”: ragion per cui la sua “sintonia” con i repubblicani non le impedisce “di avere un ottimo rapporto” con l’Amministrazione democratica. Il clima disteso dell’incontro – osserva l’ex direttore dell’Ansa – si traduce in sorrisi e battute, più che in risultati politici”.

Nel secondo pezzo intitolato “Giorgia l’americana all’ombra di Pechino[51], Gramaglia, dopo aver ricordato come “la premier Giorgia Meloni esce dall’incontro con il presidente statunitense Joe Biden promossa, senza crediti da recuperare. Ma – aggiunge l’ex direttore dell’Ansa – l’autunno sarà impegnativo, perché ‘zio Jo È s’aspetta che l’Italia di Giorgia Meloni non rinnovi il protocollo d’intesa stipulato con la Cina per la Nuova Via della Seta – l’Italia è l’unico Paese del G7 ad averlo fatto -; in cambio, offre un atteggiamento benevolo e incoraggiante verso i progetti di Roma per la presidenza di turno italiana del G7 […] Meloni, colei che si definiva l’underdog della politica italiana – aggiunge l’ex direttore dell’Ansa – entra fiera alla Casa Bianca: “Non mi sento Cenerentola, dice ai giornalisti, sono consapevole del mio ruolo e del Paese che rappresento”. E ne esce baldanzosa, dopo oltre un’ora e mezza di colloquio nello Studio Ovale: Meloni e Biden hanno totale sintonia sul fronte ucraino e vedono entrambi la Cina tra “sfida e opportunità”. Dal presidente, la premier incassa un’apertura di credito per le mosse italiane sul tema ormai divenuto la cifra primaria della sua politica estera: l’attenzione al fianco Sud e l’impegno a guardare al Mediterraneo e all’Africa, per frenarne l’ondata dei migranti e svilupparne il potenziale. E gli Stati Uniti sono in benevola attesa di contenuti e dettagli del Piano Mattei. Anche la sicurezza alimentare è stata un tema sul tavolo, mentre il russo Putin incontrava i leader dell’Africa a San Pietroburgo nel secondo Vertice Russia-Africa e prometteva loro i cereali che non arriveranno più dall’Ucraina, dopo la fine della ‘pace del grano’. In tempi “difficili sappiamo chi sono gli amici”, dice Meloni. E sottolinea che i rapporti tra Italia e Stati Uniti d’America sono indipendenti “dal colore politico dei loro governi”: ragion per cui la sua “sintonia” con i repubblicani – conclude Gramaglia – non le impedisce “di avere un ottimo rapporto” con l’Amministrazione democratica”.

Gianluca Veronesi ci offre una lettura politica dell’alluvione in un pezzo, “Romagna mia, tua, di tutti. Come si muovono i leader. Stefano Bonaccini sarà il commissario alla ricostruzione o il ‘commissariato’?”[52] Giorgia Meloni lascia il vertice a Hiroshima con i grandi del mondo per raggiungere la Romagna devastata dall’alluvione. Non teme contestazioni, abbraccia ed è abbracciata da tutti. Il Consiglio dei ministri approva subito lo stanziamento di due miliardi per risollevare la regione devastata. Il presidente Bonaccini ringrazia, ma c’è imbarazzo. Il suo nome è quello logico come Commissario alla ricostruzione, e lo sostengono perfino i governatori delle grandi regioni di centrodestra. Ma ci sono divisioni, preoccupazioni, una fronda nel governo. E per ora la nomina è ferma. Tutto questo, nella regione che è il pilastro elettorale del Pd. Come lo era, nel secolo scorso, del Partito comunista. “la Presidentessa del consiglio abbandona anticipatamente i grandi del mondo (snobbando Zelens’kyj, per altro da lei appena incontrato in Italia). Atterra direttamente a Rimini con i piedi nell’acqua. È sola, senza codazzo di autorità. C’è il sole e lei indossa una camicetta molto semplice e colorata, quasi squillante, che però non appare inadeguata. Ha gli stivali, va da sé, ma non si è travestita da Indiana Jones, da eroica soccorritrice. Non pare temere contestazioni. Abbraccia ed è abbracciata da tutti. […] I giovani spalatori volontari chiedono una foto ricordo con la premier. Chissà se sono i compagni degli imbrattatori di monumenti […]. Il giorno dopo si riunisce l’intero Consiglio dei ministri che approva una manovra finanziaria di due miliardi di euro (molto superiore alle attese). Ogni ministro ha dovuto tassarsi e non tutti avranno gradito. Il presidente della Regione si fa in quattro per ringraziare. Il povero Bonaccini da giorni è in imbarazzo: non capisce se deve comportarsi da padrone di casa o da ospite (più o meno ben accetto). Giorgia Meloni si comporta con lui con grande intimità e solidarietà. La partita si gioca su chi farà il commissario alla ricostruzione. Varie le posizioni e non tutte scontate. Ad esempio vari governatori di centro destra (Lombardia, Veneto, Liguria) ritengono fisiologica la scelta di Stefano Bonaccini. Si è sempre fatto così, perché cambiare? Probabilmente pensano a sé stessi in vista della prossima calamità a casa loro. Poi però a fianco della politica di testa c’è quella di pancia”, aggiunge Veronesi. “La Regione Emilia è considerata il cuore, il cervello e la carta di credito della sinistra in Italia. E la destra non l’ha mai conquistata (Bologna sì). Quale migliore occasione per provarci ora. Mettendo insieme la esemplare disponibilità e generosità della premier e le critiche che vedranno la luce quando si comincerà a valutare le responsabilità di quanto avvenuto […]: una cosa è certa – conclude l’ex dirigente Rai – l’alluvione, i suoi morti, i suoi danni non saranno stati invano: gli amministratori locali, ovunque in Italia, dedicheranno molta più attenzione all’assetto idrogeologico e alle sue conseguenze future. Sempre che qualcuno accetti ancora la delega ad occuparsi della materia”.

Stefano Rolando in un pezzo intitolato “Civismo e partiti. Valori e identità del civismo italiano”[53], intervista il professor Stefano Zamagni, ricordando come “La crisi dei partiti ha attraversato una conclamata emergenza. Ora, dopo le elezioni, il quadro di governo è tornato al negoziato interpartitico. Ma i partiti in Italia restano a una soglia di fiducia sociale bassissima”. Da qui la domanda: “L’ipotesi delle organizzazioni delle liste civiche del nord, del centro e del sud di superare i singoli localismi e avviarsi a federare un soggetto politico nazionale, le vedi come un’intuizione o come una velleità?” Stefano Zamagni osserva come “La politica, intesa come pensiero e come prassi, nasce duemila e trecento anni fa, nella Grecia di Aristotele. Il modo in cui l’azione politica può essere espletata è tuttavia duplice: o attraverso i partiti o attraverso il civismo. Storicamente questa ultima forma antecede l’altra. Cioè il civismo nasce prima della forma partitica, perché la forma dei partiti inizia a manifestarsi con la nascita dello Stato nazionale, dopo la pace di Versailles e dunque nella seconda metà del Seicento. Mentre il civismo era già presente dall’epoca dell’Umanesimo e soprattutto rinascimentale.  È bene che questo si sappia. E che anche coloro che fanno liste civiche se lo ricordino. Pensano a volte che sia una trovata di adesso, mentre è stato il modo con cui la società civile per lungo tempo si è organizzata per svolgere attività politica”. Vi sono dunque“differenze storiche” precise: “I partiti sono strumenti. La politica non è uno strumento, è una finalità. Qui servirebbe molta spiegazione sociale. Perché ciò che prevale è una sorta di cultura dello scambio. Io ti do il voto e tu mi dai un contentino, dal superbonus alle raccomandazioni. I partiti appartengono all’ordine dei mezzi non all’ordine dei fini. Lo scopo della politica è il bene comune, dovrebbero essere sinonimi. Basta leggere ancora Aristotele per averne chiara dimostrazione”.

Guido Barlozzetti, prendendo spunto dai fatti di cronaca che riempiono i palinsesti pomeridiani partendo da una sentenza proferita da Mara Venier “Suo figlio è un mostro” si chiede se non lo sia anche il medium che la veicola: “E la televisione?” osserva Barlozzetti denunciando “Il cortocircuito fra i tribunali catodici del medium giudicante e la giuria dei telespettatori”[54]. Suo figlio è un mostro! ha sentenziato Mara Venier alla madre di Alessandro Impagnatiello, assassino di Giulia Tramontano. Assassino, ancorché conclamato e confesso, allo stato delle cose né processato né condannato in via definitiva, a dire di come le sentenze mediatiche ormai precedano e addirittura finiscano per sostituire quelle dei tribunali, in un cortocircuito tra il medium giudicante e la giuria degli spettatori. Mostro! Punto esclamativo e basta, a trafiggere dal pulpito della televisione con l’aculeo del potere che viene dall’immagine la madre inerme, sbattuta lì davanti con l’abisso insondabile e soprattutto indicibile di un dolore da cui ci si dovrebbe ritrarre, perché oltre il senso, tanto più quello triviale e domestico dell’intrattenimento della tv, sbracato nel postprandiale sonnacchioso di una domenica. Storia antica perché non è da oggi che nel nostro Paese, ma forse in generale in tutte le terre in cui la televisione generalista è diventata un accompagnamento quotidiano, la tv del dolore e del crimine più efferato, dei confessionali, del pedinamento ossessivo di questo o quel testimone, parente, amico, vicino di casa, complice, avvocato, medico, poliziotto e via dicendo, è diventata una componente fondamentale dei palinsesti. Dare alla gente quello che vuole, ecco l’equazione cinica che tutto sacrifica ai numeri dell’ascolto, pronta ad assumere l’atteggiamento più confacente del discorso, stupito, accusatorio, affranto, vendicativo, misericordioso, quello che serve di volta in volta, il più funzionale, il più efficace, si potrebbe dire di più performativo. Pura prestazione, svincolata da qualunque considerazione sulle motivazioni e sugli effetti e dunque su una responsabilità che non sia la tautologia di chi parla con il discorso che sta facendo, perché autorizzato solo dal fatto di stare davanti a una telecamera e avere un microfono sul bavero.” Così – osserva l’esperto dei media – i conduttori finiscono inevitabilmente per non darsi più limite, è nella logica di questa televisione e del rapporto che stabilisce con lo spettatore, e diventano solo l’innesco cinico di un processo che abbatte ogni confine tra pubblico e privato, esterno e interno, tra il diritto dell’informazione e il recinto che dovrebbe essere inviolabile dei sentimenti di una persona, offerti senza pudore alla massa degli spettatori […]”.


[1] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-ritorno-di-partiti-pigliatutti-di-lotta-e-di-governo-cancella-lipotesi-di-un-partito-della-nazione/457796/.

[2] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-critica-delle-riforme-impure/446210/.

[3] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-i-grandi-paesi-delloccidente-uniti-su-ucraina-e-cina-la-via-della-pace-sfiora-la-guerra/447334/.

[4] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-in-ucraina-lescalation-e-asimmetrica-incubi-da-acqua-e-nucleare/458044/.

[5] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-in-ucraina-la-controffensiva-puo-determinare-lesito-del-conflitto/450129/#_ftn1.

[6] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-putin-e-biden-fanno-la-conta-degli-alleati-il-fronte-rimane-statico/458050/.

[7] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-bombe-a-grappolo-sulla-coesione-dellalleanza/453233/#_ftn1

[8] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-vertice-nato-niente-invito-a-kiev-ma-armi-e-promesse-placano-zelenskyj/453441/#_ftn1.

[9] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-mar-nero-nuova-prima-linea-fermenti-diplomatici/456265/#_ftn1.

[10] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-elezioni-presidenziali-turche-cronaca-di-una-vittoria-annunciata/448310/.

[11] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-medio-oriente-dopo-la-riammissione-della-siria-nella-lega-araba/447131/.

[12] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-zelenskyj-affossa-la-mediazione-di-papa-francesco-e-fa-colletta-darmi/458770/.

[13] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-zuppi-linviato-del-papa-a-mosca-putin-sara-piu-debole-e-malleabile-ii/458817/.

[14] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-biden-e-zuppi-parlano-di-pace-mentre-scoppiano-le-bombe/455077/#_ftn1.

[15] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-pace-e-guerra-i-diritti-umani/456399/

[16] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lapertura-dei-lavori-di-gramaglia-e-lintroduzione-di-lucio-caracciolo/458796/.

[17] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-alcuni-interrogativi-legittimi-sui-nuovi-equilibri-geopolitici-mondiali/451080/.

[18] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-i-dubbi-in-merito-ai-rischi-di-scoppio-di-una-terza-guerra-mondiale/455364/.

[19] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-considerazioni-preliminari-sullattuale-conflitto-e-sulle-ipotesi-in-campo-per-approdare-ad-una-sua-risoluzione/450904/.

[20] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-mandato-esplorativo-del-cardinal-zuppi-superare-ogni-schematismo/452438/.

[21] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-una-settimana-di-fuoco-19-25-giugno-2023/458913/.

[22] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-una-settimana-di-fuoco-19-25-giugno-2023-seconda-parte/458917/.

[23]https://www.key4biz.it/democrazia-futura-una-settimana-di-fuoco-19-25-giugno-2023-terza-parte/458922/.

[24] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-una-settimana-di-fuoco-19-25-giugno-2023-quarta-parte/458928/.

[25] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-una-settimana-di-fuoco-19-25-giugno-2023-quinta-parte/458935/.

[26] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-gatto-di-alice-alla-ricerca-della-pace-in-europa/458311/.

[27] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-mobilita-delle-persone-e-crescita-europea/453283/.

[28] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-le-nuove-invasioni-barbariche/452762/.

[29] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-quattro-modeste-proposte-rivolte-agli-innovatori-europei/458753/

[30] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-unione-europea-i-dilemmi-di-giorgia-sovranista-o-governista/449302/

[31] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-bce-mes-immigrazione-i-mulini-a-vento-di-meloni/451949/#_ftn1.

[32] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-cina-ue-italia-il-golden-power-non-ci-salvera/453829/.

[33] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-italia-francia-meloni-macron-quasi-amici-o-meglio-les-intouchables/458829/.

[34] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-difficile-scommessa-di-sanchez-di-fronte-al-successo-delle-destre/456604/.

[35] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-kosovo-lucraina-dei-serbi/451148/.

[36] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-in-francia-riprende-la-rabbia-delle-banlieues-dove-esplode-la-frustrazione-per-le-diseguaglianze/458945/

[37] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-macron-e-il-14-luglio-per-riunire-la-francia-e-rassicurare-i-francesi/454498/

[38] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lassa-pur-ch-el-mund-el-disa-in-morte-del-milanese-silvio-berlusconi/449702/.

[39] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-berlusconi-un-vulnus-alla-credibilita-dellitalia-allestero/459029/

[40] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-caimano-diventato-dinosauro/449987/.

[41] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lultimo-cavaliere/450404/.

[42] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-a-esequie-terminate-qualche-nota-in-morte-di-silvio-berlusconi/450480/.

[43]il webinar può essere riascoltato al seguente link: https://www.key4biz.it/la-meteora-mario-draghi-lanomalia-di-un-immagine-webinar-martedi-20-giugno/450161/

[44] https://www.key4biz.it/draghi-alcune-osservazioni-critiche-sul-libro-di-guido-barlozzetti-di-gianfranco-pasquino/456840/.

[45] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-la-meteora-draghi/448391/#_ftn1.

[46] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-il-governo-draghi-diversa-routine-o-il-preannuncio-di-uno-stato-e-di-un-capitalismo-diversi/451417/.

[47] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-lattenzione-dei-media-allagenda-draghi-e-al-ruolo-dirigente-e-di-governo-impresso-dallex-premier-al-nostro-paese/453615/.

[48] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-governo-draghi-una-meteora-con-qualche-lampo-di-cometa/456667/.

[49] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-europa-europe-come-accelerare-le-riforme-in-italia-con-i-soldi-europei-se-le-idee-sono-diversissime/456711/.

[50] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-giorgia-meloni-a-washington-la-leader-e-coi-repubblicani-la-premier-col-presidente-biden/455653/.

[51] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-giorgia-lamericana-allombra-di-pechino-ii/459014/.

[52] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-romagna-mia-tua-di-tutti-come-si-muovono-i-leader/459022/.

[53] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-civismo-e-partiti/448093/

[54] https://www.key4biz.it/democrazia-futura-suo-figlio-e-un-mostro-e-la-televisione/449194/.

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