Concludiamo la pubblicazione del numero zero di DEMOCRAZIA FUTURA, promossa dall’Associazione “Infocivica – Gruppo di Amalfi” e diretta da Giampiero Gramaglia, con le prime “rubriche”, che vogliono essere un vero e proprio tessuto connettivo fra i vari numeri della rivista.
Iniziamo con la prima rubrica “Glocal”.
E’ appena uscito il libro-intervista “Glocal a confronto. Piero Bassetti riflette sulla pandemia” che Stefano Rolando ha curato per l’editore Luca Sossella (che ha il pregio di sviluppare una collana di testi con centomila caratteri collocati in cento pagine su temi che sollecitano il dibattito pubblico culturale e civile). La prefazione è di Riccardo Fedriga, professore di filosofia all’Università di Bologna. Qui un brano del colloquio che riguarda i “modelli di contrasto” che si sono soprattutto evidenziati tra Oriente e Occidente.
Proviamo a scendere tra i terrestri, diciamo persone che devono capire e agire. Non tutti attoniti. Qualcuno anche previdente. Tra il modello di controllo autoritario e generalizzato messo in atto dai paesi asiatici e quella sorta di orgoglio della specie (o di arroganza di che è stato ed è superpotenza, come i britannici e gli americani) chi ha capito meglio, chi ha detto cose più vere, chi ha fronteggiato più modernamente?
E’ vero che il mondo non ha reagito in modo uguale. Ma per la semplice ragione che si è diviso fin dalle prime avvisaglie su una premessa di fondo. Chi era predisposto – anche culturalmente – a percepire il “contagio” come un evento comune, comunitario, collettivo e chi poneva al centro del campo un sistema planetario di individui. La cosa che più mi impressionò quando andai le prime volte in Cina fu di constatare che da secoli il medico cura i malati rigorosamente nel quadro della responsabilità della comunità.
Per capirci, senza la mediazione del fisco. Infatti quel Paese ha sempre assegnato alla comunità la difesa della salute. Oggi si potrebbe dire: facendo così della salute un tema glocal. Non solo del local (l’individuo), non solo del global (il pianeta). Dalla ricerca alla terapia questo approccio ti prepara in modo diverso a una vicenda come quella in corso.
Se tu dovessi riassumere in modo lampante la differenza del rapporto tra identità sociale e salute cosa diresti?
“La mia sopravvivenza sono cavoli miei”, tendono a pensare gli occidentali.
“La mia sopravvivenza è un problema della comunità”, pensano invece gli orientali.
Solo che, con la pandemia, abbiamo imparato a capire che hanno ragione loro.
Non è che l’Occidente – diciamo almeno l’occidente anglo-americano – si è giocato un po’ degli equilibri geopolitici internazionali?
Non c’è dubbio alcuno. Non a caso gli americani cercano di riparare al vantaggio di sistema che la Cina si è guadagnato, aprendole altri fronti, in senso all’OMS per esempio. Ma anche qui – poi si vedrà come si comporranno alla fine gli equilibri reali – in vantaggio sono apparsi i cinesi proprio perché la loro cultura glocal è meno in conflitto con la nostra individualista e nazionalista che noi promuoviamo.
Che tuttavia ha un suo perché storico e culturale che ha retto almeno due secoli di regole diciamo così illuministiche che ci hanno non poco civilizzato…
Beh… non a caso l’andamento delle cose potrebbe costare anche qualche prezzo alla dinamica della democrazia per come la coltiviamo, la esprimiamo e la difendiamo.
Ma anch’essa aveva mostrato elementi di declino su cui si sono infilati aspetti della crisi sanitaria e sociale. In qualche modo ad andare a fondo anche la “democrazia rappresentativa” ha una sua dimensione di ossimoro. La “crazia”, il potere, è usata dal “demo”, il popolo. Se il demo non ha l’intelligenza di capire che la crazia all’80 % è orientata contro di lui, finisce per determinare un ciclo in cui quel potere lo instupidisce. La traccia di declino è grosso modo questa.
Dopo di che il modo con cui si rende scemo un popolo resta sempre quello, la comunicazione, e così potremmo anche metterla in battuta e dire che la colpa è dei giornalisti. Lasciando dire ai giornalisti che la vera colpa è del bit che viaggia a una velocità che non consente l’esercizio del pensiero critico (che è la ragione per cui Joe Biden chiama Trump “Tweetty”).
Arrivati a questo punto, qualche brivido sopraggiunge. La Cina che emerge nella geopolitica, l’America che distrugge con le sue mani Tocqueville, che cosa resta nelle mani dell’Occidente liberale per avere un ruolo nella ripartita?
Non sarebbe giusto dire che non resta in mano niente perché quello che resta è invece quello che avevamo in mano prima, proprio per merito di Tocqueville e degli illuministi, solo che qualcosa di fondamentale è cambiato su un fronte diverso: il governo della moderna innovazione a base tecno-scientifica come problema che coinvolge tutto il nostro quadro globale a livello naturale e istituzionale.
Un conto è regolare diritti personali, un conto guidare innovazioni che concernono l’intero mondo glocale. Sono due percorsi diversi di cui però il più difficile mi sembra il secondo e devo dire che a me stupisce come il primo protagonista importante in materia sia stato il Papa quando ha detto che adesso il mondo è chiamato a “discernere”.
E non è del tutto casuale che la scienza – per come la intendiamo ora un po’ tutti – l’abbiamo inventata noi. Eravamo noi quelli della libertà. Ma ora la partita è sul “discernimento”. Quale scienza e quale potere: di chi le relative responsabilità. Capire cosa sta succedendo. Qui un margine di successo rispetto ai cinesi è ancora possibile.
Dammi uno spunto su questa partita aperta…
In un certo periodo discutemmo con ambienti culturalmente importanti della nuova Cina, nel quadro dell’United Nations Alliance of Civilizations (UNAOC), per capire in quale grado di considerazione fosse tenuta la civilizzazione italica. La risposta – di esponenti di una storia di civilizzazione di 4.500 anni – fu immediata: dopo di noi c’è la vostra radice del mondo moderno, 2.500 anni.
L’ultimo congresso mondiale di filosofia svoltosi a Pechino ha visto 8 mila partecipanti. Pochi gli italiani, tra i quali Riccardo Fedriga. Il quale al ritorno mi ha raccontato l’interesse diffuso e pressante dei filosofi cinesi, anche allineati, verso l’evoluzione della Chiesa. Ha un nesso con quel che stiamo dicendo?
Ma non mi stupisce per niente. Pochi sanno che l’accordo tra la Santa Sede e la Cina è stato fortemente sollecitato dalla Cina comunista. L’argomento era rappresentato dal riconoscere un vantaggio della Chiesa: le premesse della tecnologia rintracciabili nel discorso di Cristo. Ovvero il rapporto speciale nell’occidente cristiano tra immanenza e trascendenza.
C’è da immaginare che questo interesse storico da parte dei cinesi voglia anche riflettersi sulla proiezione moderna di ciò che potrebbe essere anche un supporto per l’egemonia.
Con parole mie dico infatti che al centro della questione c’è la sfida dell’innovazione, che viene riconosciuta come comparabile con la sfida della Croce. Morte e Resurrezione. Saldo la dimensione personale con la dimensione trascendente. Io riconduco ciò perfettamente al problema della frazione tra locale e globale.Qui devo semplificare e dire che la Croce è un fatto estremamente locale e la Resurrezione un fatto estremamente globale. I cinesi avevano spiegato di avere, ancorché in disuso da infiniti tempi, un ideogramma che si riconduceva a questa idea del Cristo, che è espressione che in greco ha significato prevalente di essere mediazione tra trascendenza e immanenza.
Diciamo che oggi la Cina deve rivestire questi interessi, questi sconfinamenti, ancora nelle forme di pensiero del marxismo-leninismo…
Figuriamoci se è un problema! Loro dicono: noi non riusciremo mai a superare nella cultura tecnologica l’0ccidente se non riusciamo a uscire dal nostro immanentismo. Dunque un tema filosofico. Guarda caso i gesuiti lo pensano – con consapevolezza della cultura cinese – dai tempi di padre Matteo Ricci. Papa Francesco è in partita in questo riallineamento globale. E non per caso non si è fatto molto scrupolo di mettere da parte duemila anni di dogmatismo. Appunto il problema ora è il “discernimento”. San Paolo così rischia di finire in soffitta.
E’ qui che tu spesso fai riferimento al “governo dell’oltre”?
Se si vuole accettare l’ipotesi dell’eclisse di Dio, non si può evitare – appunto – questo tema. Chi governa allora l’oltre? Non è un tema di “fede”. Tanto che, come ricordo spesso, è tema strategico della fisica quantistica.