Stefano Rolando riprende l’analisi dei risultati di un’indagine condotta dall’Istituto Demos diretto dal professor Ilvo Diamanti dalla quale “Emerge la crisi reputazionale del sistema pubblico italiano[1]“.
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Gli italiani (quelli che il Censis chiama quest’anno “latenti e malinconici”) anche a fine 2022 continuano a prendere grandi distanze dalle istituzioni. Demos li misura: il 64 per cento non si fida dello Stato (e di tanti specifici ambiti istituzionali), apprezzando in maggioranza solo le Forze dell’Ordine, il Presidente della Repubblica, la Scuola e anche il Papa. Per un pelo anche l’assistenza sanitaria. Magistratura, Regioni, persino i Comuni non passano la soglia, per un filo nemmeno l’Unione europea e nemmeno la Chiesa. Non parliamo di Parlamento e Partiti che sono in fondo alla classifica (con maglia nerissima). Brutta pagella anche per l’economia e il lavoro (Sindacati e Imprenditori) con un desolante 75 per cento di sfiducia nei confronti delle Banche. La breve “cura Draghi” forse fa risalire qualche voce, ma la tendenza storica resta segnata da diffidenza. Persino l’orgoglio di essere italiani perde un po’ quota. Anche se – a valle dei risultati elettorali di fine settembre – guadagna un po’ la valutazione sull’andamento della democrazia in Italia. Non si parla dei media e nemmeno della Rai. Qualche altra mancanza.
A distanza di poche settimane dal 56° Rapporto Censis sulla società italiana, che quest’anno ha stupito per non avere affiancato all’Italia definita “latente e malinconica” un’Italia ancora reattiva e combattiva (che chi qui scrive pensa che ci sia, ma che la socio-radiografia inusualmente non rubrica), arriva un altro tradizionale rapporto di fine anno, quello dell’Istituto Demos, diretto da Ilvo Diamanti (dunque Università di Urbino) che indaga sempre sentimenti e attitudini delle italiane e degli italiani ma in relazione alla loro fiducia nei confronti delle istituzioni[2].
Il rapporto si intitola “Gli italiani e lo Stato”. Poi, scrutando la sintesi che ne fa Repubblica alla vigilia di Natale, si capisce che si va incontro alla modalità tutta italiana e sollecitata dalle tradizioni, di concepire come “istituzioni” cose che sono abituali soggetti dell’ambito pubblico ma non propriamente istituzioni per la Costituzione e il diritto amministrativo (il Papa, le Ong, i Sindacati, la Chiesa, le Banche, eccetera).
Il titolo parte con prudenza – “aumenta il distacco nei confronti delle istituzioni” – poi tre paginate di tabelle e grafici disegnano qualcosa che ormai è impastato con vari collanti: la critica alla gestione pubblica, l’astensionismo, una crescente rancorosità e naturalmente le preoccupazioni, cioè il peso di insieme delle crisi che stiamo attraversando.
Fino ad arrivare, tuttavia, ad un elemento che comparato con dati del passato provoca un certo brivido. Mescolando storia, tradizioni anche locali, sport, arte, spettacolo, ambiente, abitudini sociali con gli aspetti ovviamente della “vita pubblica”, che sono il fulcro dell’indagine, ciascuno esprime quel sentimento che va sotto il nome di “orgoglio di essere italiani”. Nell’indagine sottoscrive “molto” il 44 per cento dell’ampio campione, ma nel 2012 era il 56 per cento e ancora più in là, nel 2001, era il 65 per cento. Se si chiede agli italiani di limitarsi a dire “abbastanza” ci sta il 39 per cento, un contenitore in cui rispetto agli ultimi dieci anni si è trasferito il 16 per cento degli italiani che hanno smorzato gli entusiasmi.
Ecco, questa è l’istantanea a larga visuale.
Lo schema di analisi riguarda 17 ambiti intesi come soggetti istituzionali identificati. A cui poi si affiancano varie aree di prestazioni, di servizi e di dinamiche relazionali in cui misurare altri sentimenti civili e civici.
Stato e quadro istituzionale
Cominciamo a vedere i dati che si riferiscono allo Stato e a ciò che è ad esso riferibile.
Con l’espressione “Stato” pare che si sia voluto chiedere una valutazione dell’insieme dell’apparato di governo del Paese e il 36 per cento è in linea con l’ultimo triennio, ma recupera rispetto a dieci anni fa (22 per cento). Con l’espressione “apparato” si dovrebbe includere anche l’espressione “burocrazia” (quindi non solo la politica che si fa istituzione, ma anche i “funzionari” che talvolta, per fortuna non sempre, si fanno “politica”) ma giustamente questa è una parola che non entra in campo per non pesare pregiudizialmente sulle risposte.
Potrebbe poi anche significare una mediana, tra giudizi migliori e peggiori.
Per esempio, sono migliori i dati sulla fiducia nelle Forze dell’Ordine (in testa alla classifica, come l’anno scorso, con il 70 per cento), il Presidente della Repubblica (con il 68 per cento, in un miglioramento che, in una nota di commento, Federico Gardani e Natascia Porcellato considerano “un nuovo riconoscimento della centralità del Quirinale”), la Scuola (con il 56 per cento che perde 3 punti rispetto al 2021 ma risale rispetto agli anni precedenti, dato importante anche perché collocato nel terzo anno della crisi pandemica e che segnala un filo di favore per la scuola pubblica rispetto a quella privata).
Fine con i buoni voti. Le Regioni arrivano al 42 per cento (come l’anno scorso), i Comuni sfiorano ma non raggiungono la sufficienza (48 per cento, 3 punti più dell’anno scorso), l’Unione Europea (sarebbe stato molto importante il raggiungimento della sufficienza reputazionale ma anche qui è solo sfiorata, al 45 per cento, con piccoli avanzamenti di 1 punto rispetto all’anno scorso ma di 6 punti rispetto a due anni fa). Quest’anno Demos ha tenuto conto della pressione informativa di tipo geopolitico e ha chiesto anche il dato di fiducia rispetto alla NATO: 44 per cento. Rimane la Magistratura, che è al 39 per cento (dato costante nel tempo, che non può mitigare tuttavia la “traduzione” del fenomeno di 6 italiani su 10 che non si fidano dei giudici). E rimangono i due dati peggiori tra i 17 ambiti indagati, cioè quelli del Parlamento (23 per cento di fiducia, in linea con gli ultimi due anni) e dei Partiti politici (che al 14 per cento sono l’ultima voce della filiera, ma con una risalita di 5 punti rispetto a dieci anni fa).
I servizi pubblici essenziali
Della Scuola si è detto, marcia con il segno più. Ma anche l’assistenza sanitaria sta sul crinale della sufficienza reputazionale, più con vantaggio dell’immagine del settore privato che di quello pubblico, ma – alla prova seria della pandemia – il fattore “fiducia” non viene incensato ma nemmeno stracciato. Nella fascia sotto stanno i trasporti: le ferrovie al 39 per cento, i trasporti urbani al 33 per cento.
Qui non ci sono riferimenti all’area dei servizi pubblici territoriali più in generale (acqua, gas, energia elettrica, pulizia urbana, rifiuti, eccetera) dato che dovrebbe essere facilmente simbolico e che spesso per i cittadini italiani è parola equivalente a “Stato”, ma è lo Stato del fare non quello percepito come autoreferenziale e dominato dai linguaggi della politica. Vedremo se in futuro ci sarà questo necessario ampliamento.
Vi è tuttavia una domanda che riguarda questo ambito ed è questa: “lo Stato dovrebbe cercare di ridurre le tasse o dovrebbe invece potenziare i servizi pubblici?”.
Così reagiscono gli italiani: il 12 per cento dice ridurre le tasse anche a costo di ridurre i servizi; il 45 per cento dice ridurre le tasse, ma senza ridurre i servizi; e questo fronte antitasse arriva al 57 per cento. Poi il 18 per cento dice potenziare i servizi anche a costo di alzare le tasse; il 25 per cento dice potenziare i servizi senza alzare le tasse. Insieme fanno il 43 per cento.
In questo spettro c’è l’articolazione civica, sociale, reddituale e culturale del Paese. Una analisi di profondità permetterebbe alla politica intelligente di studiare nuove narrative ma soprattutto nuovi equilibri per diminuire la frammentazione di opinione circa un rapporto inscindibile (tasse e servizi).
La società come sistema organizzato per obiettivi pubblici
Parte,questa, interessante dell’indagine come misuratore dell’affidabilità del “sociale” per motivare partecipazione attiva ma anche per dare fiducia alla relazionalità di questo sistema.
C’è una articolata serie di “condizioni associative” che una società con tessuti intermedi esprime che viene messa al vaglio della valutazione reputazionale degli intervistati.
L’associazionismo culturale, sportivo e ricreativo ottiene il 43 per cento della valutazione fiduciaria (8 punti più dell’anno scorso ma 7 in meno rispetto a due anni fa, argomento su cui il commento del Rapporto segnala le difficoltà del settore generate dalla pandemia). Subito dopo c’è il volontariato, indicato al 42 per cento come fiducia e come scelta. L’associazionismo di natura ambientalista è al 32 per cento, in verità perde il 10 per cento rispetto al 2020, probabilmente per le stesse ragioni, ma risale di 5 punti rispetto al 2021. Il vero e proprio civismo con rilevanza locale e di quartiere è indicato al 32 per cento, con lo stesso andamento dell’ambientalismo. La “discussione politica” sul web è una scelta ormai nel “menu”, interessa il 25 per cento, leggermente in flessione. Il 21 per cento è interessato all’associazionismo professionale e di categoria. La vita dei partiti e comunque della politica praticata interessa il 17 per cento (un filo in più del dato puro di fiducia dei partiti, che abbiamo visto al 14 per cento). Flashmob e manifestazioni di piazza hanno un’attrattività del 17 per cento, come è il caso delle manifestazioni di protesta. Nella classifica dei 17 soggetti fanno parte anche le organizzazioni non governative (ONG) per alcuni alla ribalta per scopi umanitari, per altri poste in ombra da fatti di cronaca divisivi. È il primo anno che il dato viene valutato e ottiene il 33 per cento di fiducia.
Dunque, un arco di condivisione che va dal 17 per cento al 43 per cento che potrebbe essere un nucleo demoscopico da prendere in considerazione trasversale volendo riannodare gli ambiti diciamo così di “reattività sociale e civile” di una popolazione che, pur non fornendo dati travolgenti, dà tuttavia anche segnali di vita.
Collocato nel suo ambito particolare e diverso, il tema religioso è brevemente analizzato nel rapporto.
La fiducia nel Papa è tra quelle alte (68 per cento), con andamento costante nel tempo, mentre la Chiesa (intesa come Chiesa Cattolica) riceve il 41 per cento flettendo di 3 punti dall’anno scorso. Non ci sono riferimenti ad altri ambiti religiosi.
Vi sono invece ancora nel Rapporto riferimenti alla rete intesa come ambito per poter firmare petizioni, svolgere critiche al sistema di potere e in generale gestire condizioni di protesta. Il dato di apprezzamento è molto alto: il 64 per cento.
Soggetti dell’economia e del lavoro
Nell’impossibilità di far distinguere aziende private e aziende pubbliche che, ove soggetti comunque di diritto privato, agiscono tutte nelle regole del mercato (spesso anche quotate comunque in borsa), l’oggetto di indagine diventa il sistema di rappresentanza dell’imprenditoria, ormai con carattere misto. Siamo al 35 per cento di fiducia, con carattere di stabilità negli ultimi anni. La rappresentanza dei lavoratori – intesa come le organizzazioni sindacali – ha un risultato inferiore, il 27 per cento, negativo soprattutto per i 5 punti persi da un anno all’altro. Sconcertante ma non stupefacente è il dato riguardante il servizio “economico” di maggiore prossimità sociale, cioè le banche, che esprime reputazione negativa per il 75 per cento degli italiani. È al terz’ultimo posto della classifica, perde 1 punto rispetto al 2021, ne guadagna 2 rispetto al 2020.
Vi è poi in questo ambito l’esito di una domanda di valutazione comparativa riguardante la corruzione in Italia, cioè confrontata con i tempi di “Tangentopoli”, per chi ha la memoria in grado di valutare il paragone. L’80 per cento degli italiani ravvede continuità se non addirittura peggioramento. Un argomento che ormai l’opinione pubblica configura come un reato “ponte” tra sistema economico-imprenditoriale e sistema politico-decisionale, anche se andando più in profondità ci sarebbe anche il coinvolgimento personale dei cittadini nelle diverse declinazioni (consumatori, clienti, utenti, pazienti, contribuenti, eccetera), argomento che esula dal Rapporto.
Andamento e qualità della democrazia
La crisi connessa all’emergenza politico-istituzionale del 2022 ha messo in movimento anche la parte del questionario riguardante la valutazione degli italiani sull’andamento della democrazia in Italia.
Nel commento a margine del rapporto scritto da Fabio Bordignon e Alice Securo questa componente è considerata come la base di analisi di una “reazione a una catena di fatti memorabili”. Ma anche i commentatori si sono trovati di fronte – come chi scrive – al rischio di fraintendimenti circa il significato stesso di “democrazia”. Vediamo brevemente perché.
La risposta alla domanda generale (“Quanto si ritiene soddisfatto del funzionamento della democrazia in Italia?”) porta un miglioramento delle risposte positive: siamo al 53 per cento. I commentatori attribuiscono questo rialzo alla necessità di “stringersi un po’ alle istituzioni di fronte alle minacce delle crisi”, ma anche allo spostamento nel terreno di soddisfazione dell’elettorato di destra – a seguito del risultato elettorale – rispetto alla loro dichiarata insoddisfazione dell’anno precedente.
Tuttavia poi si pone il problema di interpretare alcune contraddizioni.
Per esempio: da chi volete essere governati, da tecnici competenti o da figure espressione della politica selezionata elettoralmente? L’opinione pubblica si divide esattamente a metà, al netto di chi non sa o non risponde. Entrambe le opzioni sono scelte dal 47 per cento.
E poi c’è anche una questione posta con specificità nel programma della nuova premier: “sarebbe favorevole all’elezione diretta del Presidente della Repubblica?”. Il 69 per cento risponde sì, il 25 per cento risponde no, il 6 per cento non sa o non risponde. Ilvo Diamanti nel commento generale riconosce che una larga parte dei cittadini (62 per cento) chiede comunque un “leader forte” e richiama la lunga connotazione – dall’avviamento della cosiddetta “seconda Repubblica” – della personalizzazione della politica che oggi tende a riguardare anche il governo. Come dire: c’è qualcosa di inerziale in questa materia, ci sono aspetti contradditori, comunque è l’insieme dei fattori della qualità democratica che ormai fanno parte della transizione e della difficoltà di arrivare a nuove regole istituzionali ed elettorali per correggere e se possibile migliorare il processo.
Il questionario è stato somministrato prima del “Qatargate” che è esploso a fine anno. Dunque, salvaguardando magari qualche aspetto di incrementato pessimismo che negli ultimi tempi si dovrebbe essere manifestato con qualche legittimità.
Avremmo voluto avere qualche dato in più.
Non si può naturalmente chiedere a un rapporto sulle tendenze generali di essere un’enciclopedia dei sentimenti “pubblici” della Nazione. Ma alcuni aspetti di dettaglio e di estensione avrebbero interessato.
- Circa i servizi pubblici territoriali (oltre a quelli dei trasporti indagati negli ambiti urbani) si è fatto già riferimento ed è una mancanza importante nel Rapporto.
- Per quelli che ancora pensano che la Rai sia parte della “costituzione materiale del Paese” (ai miei tempi, in quell’Azienda, questo era il “breviario”) un dato sul “servizio pubblico” sarebbe stato utile, magari poi riferito a un dato di carattere generale sul sistema dell’informazione.
- Pur essendo ovvio che il Fisco è indagabile solo facendo note metodologiche chiare e nette in premessa, ma una misurazione sull’Agenzia delle Entrate e in generale sul servizio fiscale del Paese è un dato importante per poi poter rifare “patto” a proposito di lotta all’evasione.
- Ci sono le Forze dell’Ordine e c’è la NATO, ma poi ci sono anche le Forze Armate, difficili da percepire nella loro “tecnicità”, d’accordo, ma con elementi utili sempre a proposito del rapporto tra valori tecnici e valori simbolici.
- Poi c’è la nostra Diplomazia (generale, commerciale, culturale), che rischia molti non so, ma che un paese occidentale moderno dovrebbe tenere in valutazione.
- C’è la Scuola, d’accordo, ma in questo ambito non dovrebbe starci dentro anche l’Università, diventata di massa, con una offerta territorialmente molto diffusa (gli autori appartengono all’ateneo di Urbino) e l’Università è parte di un sistema di ricerca e – in certi ambiti – di servizio. Anche qui sarebbe stato utile.
- Tra gli ambiti creativi ve sono alcuni che sono parte integrante del profilo di servizio pubblico che potrebbe essere – anche in questo caso con alcune accortezze – oggetto di indagine riguardo al profilo della fiducia e della reputazione. Certamente il teatro e l’editoria.
L’elenco potrebbe estendersi ancora un po’, ma lo scopo di questa postilla è solo quello di sollecitare, in generale, un ampliamento di perimetro per i caratteri di valutazioni con potenziale rigenerativo che vi è in questo tipo di ricerca applicata.
[1] Questa analisi è stata condotta “in viva voce” nel podcast n. 24 del 27 dicembre 2022 pubblicata dal magazine online Il Mondo Nuovo e qui trova una sistemazione scritta, naturalmente con più ampi dettagli.
[2] L’indagine – che si svolge da anni e che viene raccolta in sintesi dal quotidiano La Repubblica (in questo caso l’edizione del 24 dicembre 2022) – è svolta da LaPolis-Laboratorio di studi politici e sociali dell’Università di Urbino. La rilevazione è stata condotta da Demetra con metodo Mixed Mode nel periodo compreso dal 22 al 30 novembre. Il campione è costituito da 10.333 inviti con 1.305 rifiuti, su popolazione sopra i 18 anni (margine di errore possibile 2,7 per cento). La documentazione completa al link www.sondaggipoliticoelettorali.it