il punto

Democrazia Futura. Perché l’Unione europea è tornata a dividersi

di Gianni Bonvicini, giornalista pubblicista, già Direttore e oggi Consigliere per gli studi europei dell’Istituto Affari Internazionali |

Gianni Bonvicini, Consigliere per gli studi europei dell’Istituto Affari Internazionali, spiega nel suo ‘Punto Europa’ l'attuale quadro non rassicurante in cui ci troviamo e perché l’Unione è attraversata da forti tensioni economiche, sociali e politiche.

Gianni Bonvicini

Gianni Bonvicini nel suo Punto Europa spiega nell’attuale “quadro non rassicurante” “Perché l’Unione europea è tornata a dividersi”. L’esperto dell’Istituto Affari Internazionali individua “due sfide alla ritrovata unità dell’Unione Europea”. “La prima, come è noto, è arrivata da una lettera di dodici ministri degli interni indirizzata alla Commissione con la richiesta di erigere muri e fili spinati ai confini est e sud est dell’Unione per bloccare i probabili flussi di rifugiati dall’Afghanistan oltre che da Siria e Iraq e perfino Bielorussia. Naturalmente a spese del bilancio comunitario. […] La seconda sfida è andata a sommarsi alla prima.  Si tratta infatti del pronunciamento della Corte costituzionale polacca (di nomina, è bene ricordarlo, governativa) di diniego della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale. Negare questa supremazia significa affossare l’intera struttura giuridica dell’Unione, cioè tornare a regole intergovernative, dove tutti i 27 stati membri dovrebbero di volta in volta mettersi d’accordo in modo unanime su questo o quel regolamento comunitario, senza l’obbligo di rispettarlo a tutti i costi e indefinitamente. Non servirebbero quindi più la Commissione, il Consiglio dei Ministri, il Parlamento europeo e la Corte di Giustizia che elaborano le leggi e i regolamenti applicabili poi da tutti gli stati membri, senza eccezioni. Un bel salto indietro per il processo di integrazione. Naturalmente la sentenza della Corte polacca ha suscitato l’entusiastico sostegno dell’Ungheria di Viktor Orbàn e di altri stati dell’Est Europa. Ha poi ridato fiato a tutti i sovranisti e populisti, fra cui i nostri Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che con il Next Generation EU avevano perso un po’ dei loro argomenti preferiti, di depotenziamento dei compiti dell’Unione e di sua trasformazione in un semplice organismo di coordinamento volontario fra stati sovrani”. Una situazione a parere di Bonvicini che richiede “Più Europa, quindi, anche se oggi questa richiesta appare un’utopia” […] La Conferenza sul futuro dell’Europa in effetti – aggiunge Bonvicini – sconta diversi limiti sostanziali.  Il primo è che i cittadini a cui è rivolta non ne hanno mai avvertito l’esistenza. Il secondo riguarda la tempistica: avviata da maggio di quest’anno dovrebbe già concludersi entro aprile del 2022, un’impresa impossibile. Anche perché, ed è questo il terzo limite, i temi da affrontare sono numerosissimi. Dal clima alla politica energetica, dal ruolo globale dell’UE alla politica di difesa”. Ne deriva Un quadro non rassicurante con “la difficile posizione in cui si troveranno nell’autunno-inverno 2021-2002 i due paesi chiave dell’Unione, Germania e Francia”. Un quadro in cui “Mario Draghi, pur nella sua grande credibilità europea, […]] può aspirare ad un ruolo importate allorquando il motore franco-tedesco si rimetterà in moto e dove l’Italia, come terzo pilastro, darà un segnale agli altri membri dell’Unione che le nuove iniziative saranno aperte all’adesione di tutti coloro che vorranno starci”.

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Il tempo delle illusioni è finito. L’Europa è tornata a dividersi e a litigare. Sono passate solo poche settimane dal discorso sullo Stato dell’Unione pronunciato davanti al Parlamento europeo dalla Presidente della Commissione Ursula von der Leyen.

Con una notevole enfasi la von der Layen aveva sottolineato il ritorno alla solidarietà nell’Unione Europea. Due i capisaldi di questo nuovo spirito. Il primo, la straordinaria capacità di acquisto e distribuzione di 700 milioni di dosi di vaccino nei 27 stati membri e altrettante in 130 paesi poveri nel resto del mondo. Il secondo, il lancio dell’ambizioso Next Generation EU destinato a rilanciare l’intera economia europea dopo la grave depressione seguita alla pandemia. Insomma, da una parte l’abbozzo di un’integrazione comune anche nel campo della salute, dall’altra l’abbandono delle rigide regole di convergenza economica sulla base di un piano di rilancio economico di assoluto rilievo. Piano che inaugura, inoltre, nuovi meccanismi comunitari, come l’indebitamento dell’Unione europea sul mercato internazionale dei capitali e la prospettiva di nuove risorse proprie necessarie per ripagare il debito. Un vero miracolo di creatività e un’iniezione di fiducia per i cittadini dell’Unione.

Le due sfide alla ritrovata unità dell’Unione Europea e il ricatto di Putin sulla fornitura di gas

Poi improvvisamente ecco emergere due nuove sfide alla ritrovata unità dei 27. La prima, come è noto, è arrivata da una lettera di dodici ministri degli interni indirizzata alla Commissione con la richiesta di erigere muri e fili spinati ai confini est e sud est dell’Unione per bloccare i probabili flussi di rifugiati dall’Afghanistan oltre che da Siria e Iraq e perfino Bielorussia. Naturalmente a spese del bilancio comunitario. Facile per Bruxelles respingere questa pretesa, ma ciò non toglie come la tanto vantata solidarietà interna sia scomparsa allorquando il tema è diventato quello dell’immigrazione dall’esterno. Fatto certamente prevedibile, ma non in questa forma di eclatante sfida ai tanti disperati che cercano di sfuggire a guerre e fame.

La seconda sfida è andata a sommarsi alla prima. Viene cioè da alcuni degli stessi paesi che hanno ispirato la lettera dei dodici e cioè da Polonia con l’aperto sostegno dell’Ungheria. Questa volta la questione è ancora più seria, almeno per quanto riguarda il futuro dell’Unione. Si tratta infatti del pronunciamento della Corte costituzionale polacca (di nomina, è bene ricordarlo, governativa) di diniego della prevalenza del diritto comunitario su quello nazionale. Si tratta, come è facile comprendere, di un principio vitale per l’Unione europea. Negare questa supremazia significa affossare l’intera struttura giuridica dell’Unione, cioè tornare a regole intergovernative, dove tutti i 27 stati membri dovrebbero di volta in volta mettersi d’accordo in modo unanime su questo o quel regolamento comunitario, senza l’obbligo di rispettarlo a tutti i costi e indefinitamente.

Non servirebbero quindi più la Commissione, il Consiglio dei Ministri, il Parlamento europeo e la Corte di Giustizia che elaborano le leggi e i regolamenti applicabili poi da tutti gli stati membri, senza eccezioni. Un bel salto indietro per il processo di integrazione.

Naturalmente la sentenza della Corte polacca ha suscitato l’entusiastico sostegno dell’Ungheria di Viktor Orbàn e di altri stati dell’Est Europa. Ha poi ridato fiato a tutti i sovranisti e populisti, fra cui i nostri Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che con il Next Generation EU avevano perso un po’ dei loro argomenti preferiti, di depotenziamento dei compiti dell’Unione e di sua trasformazione in un semplice organismo di coordinamento volontario fra stati sovrani.

Eppure, più che mai oggi ci sarebbe bisogno di Europa. Pensiamo al ricatto russo sulle forniture di gas attraverso il quale Vladimir Putin può a suo piacimento fare lievitare o diminuire il suo costo. O ancora, la necessità di affrontare insieme i temi dell’ambiente o della digitalizzazione utile a mantenere competitivo il grande mercato interno dell’Unione europea.

Il bisogno di Europa e i limiti sostanziali della Conferenza sul futuro dell’Europa

Tutte questioni che non possono essere decentemente affrontate da un singolo stato membro, neppure dalla Germania, potenza economica ma piccola entità politica di fronte a giganti come Russia, Cina e Stati Uniti. Più Europa, quindi, anche se oggi questa richiesta appare un’utopia.

La risposta, teoricamente, dovrebbe essere affidata alla Conferenza sul futuro dell’Europa che è partita in enorme ritardo in parte a causa del Covid-19, ma in realtà per la scarsa volontà di diversi Stati membri di affrontare le grandi questioni, politiche e istituzionali, che dovrebbero esserne parte.

La Conferenza in effetti sconta diversi limiti sostanziali.

Il primo è che i cittadini a cui è rivolta non ne hanno mai avvertito l’esistenza.

Il secondo riguarda la tempistica: avviata da maggio di quest’anno dovrebbe già concludersi entro aprile del 2022, un’impresa impossibile.

Anche perché, ed è questo il terzo limite, i temi da affrontare sono numerosissimi. Dal clima alla politica energetica, dal ruolo globale dell’UE alla politica di difesa.

Ma soprattutto queste richieste di trasferimento di competenze nuove a Bruxelles richiedono ben altro sistema decisionale, tale da rendere le decisioni , rapide, efficaci e credibili. Il che, fra le altre cose, impone l’abbandono del voto all’unanimità e un diverso equilibrio fra le istituzioni. Questioni che un bel numero di stati membri si rifiuta già oggi di mettere all’ordine del giorno.

Un quadro non rassicurante

A complicare il quadro vi è anche la difficile posizione in cui si troveranno nell’autunno-inverno 2021-2002 i due paesi chiave dell’Unione, Germania e Francia. Fino a dicembre non avremo il nuovo esecutivo tedesco di Olaf Scholz, proprio nei mesi in cui dovrebbero svilupparsi le prime iniziative della Conferenza. Come si orienterà la Germania è quindi ancora un elemento da valutare. Ci vorrebbe un cancelliere ben più visionario e determinato di Angela Merkel per affrontare anche i temi istituzionali, essenziali per ridare forza all’Unione. Purtroppo la campagna elettorale tedesca non ci ha dato indicazioni sufficienti per comprendere di quale Europa la nuova coalizione vorrà discutere.

Difficile poi credere che in questo lasso di tempo l’altro grande promotore della Conferenza, Emmanuel Macron, possa da solo tirare la volata. E’ vero che l’Europa e il suo futuro potrebbero entrare prepotentemente, a differenza che nel caso tedesco, nella campagna elettorale per le presidenziali francesi del 2022 nella quale non sembra vi siano dubbi che Macron aspiri ad essere riconfermato Presidente per un secondo mandato. Ma è anche bene ricordare che normalmente le elezioni nazionali si vincono su temi interni e non proprio sul futuro dell’Unione.

E non è neppure il caso di illudersi che Mario Draghi, pur nella sua grande credibilità europea, possa agire da stampella per Macron. Può semmai aspirare ad un ruolo importate allorquando il motore franco-tedesco si rimetterà in moto e dove l’Italia, come terzo pilastro, darà un segnale agli altri membri dell’Unione che le nuove iniziative saranno aperte all’adesione di tutti coloro che vorranno starci. I

Insomma, il quadro che si prospetta oggi non è davvero rassicurante. Occorre un grande rimbalzo politico nei primi mesi del prossimo anno. Soprattutto bisognerà fare un grande sforzo collettivo, partiti, stampa e istituzioni, per attirare i cittadini europei nella logica di un’Unione più forte e coesa. Più facile da dire che da fare.

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