Carmen Lasorella ha incontrato la giornalista dissidente siriana Wafa Ali Mustafa, vincitrice a Genova del premio Ipazia International. In un’intervista – uscita sul quotidiano Domani – qui in versione integrale, la giovane attivista, fuggita a Berlino, spiega “Perché il regime siriano è fuori dalla storia[1]”. “La Siria è stata lasciata al suo destino, è finita in un cono d’ombra. I nostri media sono asserviti, ma quelli internazionali che potrebbero parlarne non lo fanno. Il regime è criminale e lo stesso Bashar è un criminale di guerra, che andrebbe perseguito dalla Corte Internazionale. Non abbiamo alternative: serve un processo che approdi a libere elezioni per smantellare questo regime”.
____________
Incontro Wafa Ali Mustafa, attivista, dissidente, giornalista siriana fuggita a Berlino, a Genova, dove ha ricevuto il Premio Ipazia International per il suo impegno a favore dei diritti umani, volto a costruire processi di pace a cominciare dal suo paese, la Siria, devastato dall’oppressione e dalla guerra.
Ha trentatré anni, ma ne dimostra di meno. Un viso delicato, occhi azzurri di taglio orientale, profondi, dove sembra scorrere il flusso inarrestabile dell’Eufrate, il grande fiume che vide nascere la civiltà occidentale, con i Sumeri, gli Assiri, i Babilonesi e le tracce dei più antichi stati della storia. E’ appassionata, determinata. Ha dovuto percorrere la strada dell’esilio con la madre e le sorelle, riparate in Canada, dopo che suo padre, nel 2013 fu arbitrariamente arrestato e di cui non ha più notizie. Conosce la paura, vive la disperazione, ma combatte.
Wafa Ali Mustafa. Il presidente Bashar Al Assad è un dittatore a capo di un regime criminale, nato prima di lui negli anni Settanta. E’ un sistema fondato sulla paura, sulla schiavitù, sulla delazione. E’ vietata qualsiasi opinione politica, è vietato ragionare anche a casa propria, siamo stati educati così, ci è stata imposta questa dura realtà.”
Carmen Lasorella. Io ho conosciuto la Siria prima della guerra. Un grande paese, benché nella morsa della paura, come lei ha detto. Cosa ha portato la rivoluzione del 2011, che è finita in un bagno di sangue? Perché milioni di siriani che vivono nei campi profughi non vogliono tornare?
Wafa Ali Mustafa. Perché ancora di più che in passato, si combatte qualsiasi dissenso. Gli oppositori vengono semplicemente fatti sparire, sono arrestati arbitrariamente, non esiste la giustizia, il regime che si è alleato con il terrorismo, benché formalmente lo combatta, si fonda sulla violenza. La Siria vive una crisi economica spaventosa, la povertà è aumentata, l’inflazione è quasi al 140 per cento, non c’è alcun segno di ripresa e in molte parti del territorio c’è un’occupazione straniera. Russi, iraniani, turchi, ma anche gli americani hanno in Siria le loro basi militari.
Carmen Lasorella. Il presidente Bashar Al Assad è più debole che in passato. Sostanzialmente isolato anche nel mondo arabo. In una foto, diffusa dal regime teocratico degli Ayatollah, per mostrare la forza dell’Iran e dei suoi alleati, lo si intravede in un angolo di terza fila, quasi nascosto…
Wafa Ali Mustafa. Certo, è più debole il presidente, ma è più debole anche la comunità internazionale. La Siria è stata lasciata al suo destino, è finita in un cono d’ombra. I nostri media sono asserviti, ma quelli internazionali che potrebbero parlarne non lo fanno. Il regime è criminale e lo stesso Bashar è un criminale di guerra, che andrebbe perseguito dalla Corte Internazionale. Non abbiamo alternative: serve un processo che approdi a libere elezioni per smantellare questo regime, oramai fuori della storia. Come aveva indicato la risoluzione 2254 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel 2015, serve un governo di transizione inclusivo, guidato dai siriani, per riportare la giustizia e la pace in Siria, garantendo soprattutto i diritti delle minoranze e delle donne.
Carmen Lasorella. A proposito delle donne siriane, nei rapporti internazionali si parla di abusi sistematici, di violenza sessuale, di torture. Perché la condizione femminile è tanto peggiorata?
Wafa Ali Mustafa. Nel mio paese si è favorita la divisione etnica e religiosa: sunniti contro sciiti, insieme invece per secoli sulla stessa terra. E’ aumentata la radicalizzazione e ne paga lo scotto soprattutto il popolo siriano. Anche nel caso delle donne, non si può prescindere dalla mancanza di libertà politica. Le donne pagano un prezzo doppio, perché subiscono una schiavitù che non conoscevano, con la perdita dei loro diritti civili e perché sono usate dal regime per ricattare gli uomini. Sono oggetto di violenza, proprio per mantenere alta la pressione sui loro uomini, in modo da cancellare qualsiasi forma di dissenso.
Carmen Lasorella. Lo scorso anno, a Coblenza, in Germania è accaduto però qualcosa di importante. Una corte di giustizia sulla base del principio della giurisdizione universale, recepito dal codice penale tedesco, ha giudicato colpevole per l’omicidio di 27 persone nel carcere di al’Khatib, vicino Damasco, l’ex colonnello dell’agenzia di intelligence siriana, Anwar Raslan. L’ufficiale, in passato vicino al presidente, poi riparato in Germania, era stato accusato da una sua vittima che aveva ottenuto asilo politico. Si trovavano entrambi in Germania e si è arrivato al processo grazie alle indagini della polizia e delle istituzioni tedesche. Anche lei ha seguito quel processo…
Wafa Ali Mustafa. Si, sono stata a Coblenza. Insieme a molti altri siriani abbiamo dato tutto il supporto possibile a una sentenza, che ha un forte valore simbolico.
Carmen Lasorella. Lei insiste sulla totale assenza di libertà politica e sulla repressione. Possiamo arrivare a dire che nell’era informatica, dove tutti comunicano con tutti, da voi la tecnologia ha invece favorito un controllo maggiore?
Wafa Ali Mustafa. Grazie alle tecnologie il regime spia chiunque. Noi quando comunichiamo con i social, ci limitiamo a frasi comuni. Come stai? Come stanno i bambini? Notizie sui nostri parenti, sugli amici. Non postiamo immagini.
Carmen Lasorella. Dovunque però si trova la maniera per scambiare messaggi…
Wafa Ali Mustafa. Diciamo che ci sono persone “smart” che ci aiutano, le maglie tuttavia restano strette. Basta un semplice sospetto per finire nell’elenco delle persone scomparse…
Carmen Lasorella. Nell’agosto di questo 2023 a Sweida o Suwaida, come la pronunciate voi, nel sud della Siria, un’enclave a maggioranza drusa, migliaia di persone sono scese in piazza, scandendo slogan contro il presidente, chiedendo che se ne andasse, che il governo venisse rovesciato. I manifestanti protestavano per la situazione economica sempre più drammatica.
Wafa Ali Mustafa. La situazione è peggiorata in modo inimmaginabile. A Suwaida ci sono stati molti arresti. I manifestanti sono stati aggrediti. Purtroppo di Suwaida si è parlato troppo poco. Abbiamo bisogno del supporto dei media internazionale. E voglio dire che i siriani non sono supereroi ma cittadini che si battono per il diritto alla libertà.
Carmen Lasorella. Cosa spera, Wafa? Cosa sogna? Un vostro poeta, Faraj Bayrakdar, oggi in esilio in Svezia, ma nelle carceri siriani già al tempo di Afez Assad, il padre di Bashar, scriveva: “il mio paese è una fossa comune, non una nazione”. La Siria tuttora non è una nazione…
Wafa Ali Mustafa. La Siria è cambiata in peggio. E’ altissimo il prezzo che paghiamo per il diritto alla libertà. Vale per i siriani, come per altri popoli. Penso agli afgani, agli iracheni, agli iraniani, ai palestinesi…è un problema comune. Possiamo solo continuare a lottare. Non so quando, ma ce la faremo. Ce la faranno i siriani, come gli altri popoli, non spero in un aiuto esterno.
Wafa ha gli occhi lucidi e le guance arrossate. Nonostante la sua età, esprime quella cultura millenarista che noi abbiamo perduto. Nel suo sguardo, l’eredità delle civiltà antiche sulle sponde dell’Eufrate.
[1]Versione integrale. Pubblicata nel quotidiano Domani, 7 dicembre 2023.