Servizio pubblico

Democrazia Futura. Paradigmi informativi, dal campo

di Giorgio Zanchini, giornalista e saggista, conduttore radiofonico |

Intervento “dal campo” del conduttore radiofonico di “Radio Anch’io”, che descrive alcuni “Paradigmi informativi” relativi a ciò che Zanchini “sperimenta da quindici mesi nella pratica quotidiana di giornalista del servizio pubblico”.

Con Giorgio Zanchini chiudiamo la prima parte del secondo fascicolo dedicata alla figura di Mario Draghi con un  intervento “Dal campo” del conduttore radiofonico di “Radio Anch’io” che descrive alcuni “Paradigmi informativi” – così recita il titolo – relativi a ciò che Zanchini “sperimenta da quindici mesi nella pratica quotidiana di giornalista del servizio pubblico”. All’interno di quella cornice [del Covid-19 ndr] noi italiani stiamo vivendo una sorta di esperimento ulteriore, perché il brusco cambio di Governo ha comportato anche una altrettanto brusca virata del modo in cui il potere comunica. E’ forse una sintesi semplicistica, ma si è passati da un modello che cercava il continuo contatto coi media, lavorando molto sul cosiddetto frame, ad un modello che fa della scarsa presenza sui media quasi la sua cifra.  […] Partirei da una domanda.- prosegue Zanchini –  Comunicare e fare informazione nell’era della pandemia è diverso dal farlo in un periodo normale? E’ più simile ad un contesto di guerra che alla normale ritualità dei tempi di pace? La mia impressione è che dal punto di vista strutturale – mezzi, tecnologie, redazioni – molto sia cambiato, e se ne è scritto tanto, ma dal punto di vista contenutistico mi paiono fuori strada coloro che parlano di informazione dimidiata, o di giornalismo di ordine pubblico, di censura e autocensura informativa. […] . A parte le settimane iniziali di smarrimento, paura, e fisiologica stretta attorno ai decisori politici – anche da parte del grosso del sistema mediatico – giornali, tv, radio hanno dato una rappresentazione articolata dei fatti, hanno fotografato la complessità, inserendo tarli e critiche sin dall’inizio, seppure con gli annosi limiti del sistema informativo italiano. Un sistema nel quale la televisione e la radio pubblica hanno un rapporto stretto con la politica, e nel quale i quotidiani e le riviste hanno spesso posizioni e linee aggressive e partigiane. Il che comporta – ma è questione antica, che conosciamo bene – che per avere una rappresentazione completa e articolata occorre – conclude Zanchini – avere una dieta mediale minimamente ricca”. “Con l’arrivo di Mario Draghi il quadro è decisamente mutato. Era attendibile, conoscendo la storia e la cifra dell’uomo, ma certo il salto è stato notevole. Dalle continue conferenze stampa, dirette Facebook, interviste, da una presenza cioè decisamente centrale nel campo informativo, si è passati ad un modello apparentemente opposto. Portavoce discreta quanto Casalino era invadente, rarissimi interventi e solo in contesti formali, rade conferenze stampa, assenza sui social. Cosa è cambiato nel racconto mediatico? Molto, ma anche qui le ragioni sono più politiche che comunicative. L’ampiezza della maggioranza, l’eccezionalità della situazione, hanno creato un clima generale quasi unanimistico, e si sono molto attenuate le asprezze e la conflittualità dei mesi precedenti”. 

Giorgio Zanchini
Giorgio Zanchini

Non depisti il titolo di questo articolo. E’ in buona sostanza una presa d’atto dei cambiamenti che abbiamo vissuto in questo lunghissimo anno di Covid-19 e dei quali si è scritto con acutezza nel primo numero di Democrazia Futura. All’interno di quella cornice noi italiani stiamo vivendo una sorta di esperimento ulteriore, perché il brusco cambio di Governo ha comportato anche una altrettanto brusca virata del modo in cui il potere comunica. E’ forse una sintesi semplicistica, ma si è passati da un modello che cercava il continuo contatto coi media, lavorando molto sul cosiddetto frame, ad un modello che fa della scarsa presenza sui media quasi la sua cifra. Su tutto questo sono stati già pubblicati decine di articoli di pubblicistica generale ma immagino che arriveranno presto indagini più scientifiche.

Chi scrive – di qui quel Dal campo – preferisce lasciare l’analisi generale degli scenari, e quindi la valutazione su un possibile cambio se non di paradigma almeno di paesaggio, a sguardi più avvezzi agli aspetti teorici delle trasformazioni – si vedano gli interventi che precedono il mio – e limitarsi alla descrizione e a una prima interpretazione di ciò che ha sperimentato e sperimenta nella pratica quotidiana.

Che è quella di un giornalista del servizio pubblico, conduttore di una trasmissione radiofonica di attualità – Radio Anch’io, su Radio1Rai – nella quale il confronto con il pubblico è parte da sempre della struttura del programma, e di un programma televisivo – Quante Storie, su Rai3 – in cui attorno all’intervista all’ospite del giorno con il suo libro c’è un confronto costante con i telespettatori, soprattutto attraverso Facebook, Twitter e posta elettronica.

Partirei da una domanda. Comunicare e fare informazione nell’era della pandemia è diverso dal farlo in un periodo normale? E’ più simile ad un contesto di guerra che alla normale ritualità dei tempi di pace? La mia impressione è che dal punto di vista strutturale – mezzi, tecnologie, redazioni – molto sia cambiato, e se ne è scritto tanto, ma dal punto di vista contenutistico mi paiono fuori strada coloro che parlano di informazione dimidiata, o di giornalismo di ordine pubblico, di censura e autocensura informativa, da ultimo Michele Santoro in un’intervista su Domani che molto ha fatto discutere la comunità dei giornalisti.[1]

Lo dico perché – di nuovo, è un’impressione, ma credo basata sulla lunga esperienza personale e suffragata da non poche analisi – nei tanti mesi di confinamento o semi confinamento, la libertà e il pluralismo dell’informazione mi sono sembrate vive ed evidenti. A parte le settimane iniziali di smarrimento, paura, e fisiologica stretta attorno ai decisori politici – anche da parte del grosso del sistema mediatico – giornali, tv, radio hanno dato una rappresentazione articolata dei fatti, hanno fotografato la complessità, inserendo tarli e critiche sin dall’inizio, seppure con gli annosi limiti del sistema informativo italiano. Un sistema nel quale la televisione e la radio pubblica hanno un rapporto stretto con la politica, e nel quale i quotidiani e le riviste hanno spesso posizioni e linee aggressive e partigiane. Il che comporta – ma è questione antica, che conosciamo bene – che per avere una rappresentazione completa e articolata occorre avere una dieta mediale minimamente ricca.

Variegata e conflittuale è stata anche la lettura delle scelte politiche nell’universo social, un mondo che in questo anno di confinamenti ha conosciuto una straordinaria vivacità, ricchezza, faziosità, e nel quale lo stesso potere politico ha usato le molte frecce al suo arco. Per essere espliciti Rocco Casalino ha utilizzato mi pare con sapienza i social, e in particolare Facebook, per far crescere il consenso attorno alle scelte e agli interventi di Giuseppe Conte. Si è parlato di bolla informativa, di dinamica unilaterale, di propaganda vera e propria. Può essere, ma è innegabile che anche quella dinamica ha suscitato comunque reazioni, opposizioni, malumori, esplicite critiche da parte di leader politici, influencer, gruppi organizzati. Dibattito, in altre parole. C’è certamente stata propaganda e costruzione del consenso, ma in un campo dove resistono comunque numerosi e forti anticorpi. Certo, come si diceva poco fa, la qualità della discussione pubblica e anche della risposta da parte dei riceventi dipende molto dalla ricchezza della dieta mediale. Più essa è ricca più è percepibile la varietà delle posizioni e delle reazioni, la complessità del quadro, le differenze tra punti di vista. Se questo è vero allora la fragilità del contesto italiano, con un’opinione pubblica tra le meno informate d’Europa, non aiuta, e tuttavia se Conte conserva ancora oggi forte consenso è solo in parte, credo, spiegabile attraverso le strategie  comunicative.

Con l’arrivo di Mario Draghi il quadro è decisamente mutato. Era attendibile, conoscendo la storia e la cifra dell’uomo, ma certo il salto è stato notevole. Dalle continue conferenze stampa, dirette Facebook, interviste, da una presenza cioè decisamente centrale nel campo informativo, si è passati ad un modello apparentemente opposto. Portavoce discreta quanto Casalino era invadente, rarissimi interventi e solo in contesti formali, rade conferenze stampa, assenza sui social.

Cosa è cambiato nel racconto mediatico? Molto, ma anche qui le ragioni sono più politiche che comunicative. L’ampiezza della maggioranza, l’eccezionalità della situazione, hanno creato un clima generale quasi unanimistico, e si sono molto attenuate le asprezze e la conflittualità dei mesi precedenti. L’opposizione c’è, ma è molto minoritaria.

Il grosso dei quotidiani, e i telegiornali, i giornali radio, ma direi anche l’universo social, è per il momento quasi pregiudizialmente favorevole al Governo Draghi, ma di nuovo più per la criticità del momento che per ragioni strumentali. Critiche e opposizioni, comunque, non mancano, sui giornali, alla radio, anche in televisione, ed è sano e fisiologico. Sono inoltre destinate a crescere se l’azione del Governo Draghi non sarà all’altezza delle attese.

I miei lunghi mesi di conduzione radiofonica di puntate quasi monotematiche sulla pandemia. Le differenze con l’esperienza televisiva

E veniamo a quello che ho sperimentato nella mia pratica quotidiana. In radio sono stati lunghi mesi di puntate quasi monotematiche, in cui la platea degli ospiti è stata comunque sempre composita, e la discussione – a parte come si diceva le primissime settimane di pandemia – pluralistica e aperta. Radio Anch’io ha un pubblico con un’età media di poco superiore ai 50 anni, più nordico che meridionale, più maschile che femminile, tendenzialmente più di centro destra che di centro sinistra, all’interno del quale cospicua è la percentuale di lavoratori autonomi. La partecipazione degli ascoltatori – tramite sms, whatsapp, whatsapp audio, tweet, mail e interventi in diretta veri e propri – è stata particolarmente intensa, e direi fortemente conflittuale. Sensibile la presenza dei cosiddetti “aperturisti”, degli scettici, dei critici dei dati e delle scelte del Governo. Non pochi non tanto i no vax radicali quanto i seminatori di dubbi sull’efficacia dei vaccini. In linea generale insomma il laboratorio Radio Anch’io è stato un luogo in cui quella varietà e pluralismo del sistema, ai quali facevo riferimento, ha trovato una declinazione quasi esemplare.

Diverso quello che è accaduto in televisione. E qui non parlo dei telegiornali e dei talk show, dove mi pare che si siano espresse le stesse dinamiche che troviamo sui quotidiani, quanto di quell’altro laboratorio di mia diretta conoscenza che è Quante Storie, trasmissione di Rai3 che si occupa di libri, e che usa i libri per parlare di attualità, di contemporaneità. Incrocia quindi i temi del presente, i temi della nostra vita, in primis la pandemia. E ha un pubblico, è bene sottolinearlo, molto diverso da quello di radio1. In media più anziano, sui 60 anni, più femminile, tendenzialmente di centro sinistra, con molti insegnanti ed ex insegnanti.

La partecipazione su Facebook è alta, ed è stata tendenzialmente vicina alle scelte del Governo Conte, comprensiva, di appoggio. Con Draghi si è come congelata, nel senso che continua a non essere ostile ma traspare un certo rimpianto per Conte e quella stagione, tutto comunque con le consuete forme molto civili, c’è un minimo di discussione interna nella comunità Facebook di Quante Storie, ma senza la polarizzazione aggressiva che abbiamo visto all’opera in altri ambiti. 

Quanto ai contenuti delle trasmissioni quello che noto è anzitutto la presenza molto minore della voce di Mario Draghi a punteggiare l’azione del Governo. Dal punto di vista pratico ciò significa che nei giornali radio e nelle trasmissioni di approfondimento – come Radio anch’io – la discussione poggia inevitabilmente meno su ciò che il Presidente del consiglio ha detto e sul quale si possono costruire le varie trasmissioni. Anche il cosiddetto inner circle di Draghi, i ministri cioè considerati di sua diretta nomina, parla molto poco, è poco presente sui media, sottrae dunque spazio di discussione.

In realtà però anche qui il vero nodo mi pare politico più che comunicativo, nel senso che di fronte all’eccezionalità della situazione e in fondo anche delle caratteristiche del Governo Draghi, la comunicazione dei partiti e dei protagonisti politici è come disinnescata, attenuata, ovattata, c’è più ritrosia a intervenire, a sposare o combattere posizioni, e costruire un dibattito. E’ una lunga parentesi, che ha declinazioni politiche e declinazioni comunicative.

Quali conseguenze ha, può avere sui contenuti? Significa forse che giornalisti e trasmissioni si concentrano più sui contenuti dei provvedimenti, sui fatti, che sui retroscena e le schermaglie? Probabilmente sì, ma credo sia solo una sospensione, figlia di un preciso momento storico-politico, non quindi una novità destinata a restare


[1]Nello Trocchia, “L’informazione non doveva fare così schifo nel racconto della pandemia. Parla Michele Santoro”, Domani, 3 aprile 2021. “La Rai? Più che di servizio pubblico, parlerei di servizio di ordine pubblico

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