Dopo un mese e mezzo di conflitto nonostante l’accordo intervenuto sulla liberazione degli ostaggi che dovrebbe avviarsi in questo 24 novembre 2023 rimangono devastanti gli effetti della Guerra fra Israele e Hamas dove gli orrori si alternano a sprazzi di umanità. Proseguono dunque per il dodicesimo fascicolo di Democrazia futura le “corrispondenze di guerra” di Giampiero Gramaglia. Qui di seguito, la quinta, scritta il 15 novembre dedicata a “Gli ospedali epicentro dei combattimenti” e la sesta “Un barlume di speranza per un accordo sugli ostaggi”, scritta il 22 novembre in cui l’ex direttore dell’Ansa fa il punto sulla questione della liberazione degli ostaggi, lo stato dell’opinione pubblica oltre Oceano e il giudizio severo sulla gestione diplomatica del conflitto da parte di Biden.
Le trattative per uno scambio di ostaggi tra paura e speranze
5. Gli ospedali epicentro dei combattimenti.[1]
Dopo 40 giorni di guerra con Hamas, l’esercito israeliano a Gaza ha occupato sedi delle istituzioni del movimento islamico, come il Parlamento e il comando della polizia, e continua a ingaggiare scontri a fuoco intorno agli ospedali. Tregue umanitarie di alcune ore si susseguono, per consentire ai civili di evacuare il nord della Striscia e facilitare l’ingresso di aiuti umanitari.
Nella notte tra martedì 14 e mercoledì 15 novembre, truppe israeliane hanno condotto “precise e mirate operazioni contro Hamas” dentro il più grande ospedale di Gaza City, al-Shifa, dove si trovano centinaia tra pazienti, medici, infermieri e inservienti e migliaia di rifugiati. Lunedì 13 novembre, il presidente statunitense Joe Biden aveva detto che gli ospedali “vanno protetti”.
Il conflitto, innescato dagli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre sui civili israeliani, che fecero 1.400 morti circa e portarono alla cattura di circa 240 ostaggi, andrà avanti – proclama Benjamin Netanyahu, premier israeliano – “fino alla nostra vittoria”. Ma Hamas ribatte: “Il peggio deve ancora venire”.
Il 14 novembre il premier israeliano e il presidente statunitense hanno avuto un ennesimo colloquio.
Netanyahu insiste a legittimare la battaglia dentro la Striscia. Intervistato dalla Fox, dice
“Se noi ora non vinciamo, allora l’Europa sarà la prossima e voi americani sarete i successivi. Dobbiamo vincere non solo per il nostro bene, ma per il bene del Medio Oriente, per il bene dei nostri vicini arabi”.
Sul Washington Post, Ishaan Tharoor scrive che Israele sta gestendo “una nuova catastrofe palestinese”, con un riferimento alla Nakba, l’esodo nel 1948 dalle terre destinate allo Stato ebraico[2].
La diplomazia internazionale, che finora è almeno riuscita a evitare un allargamento della guerra, non ancora scongiurato, è incapace di tracciare percorsi di pace.
Della crisi in Medio Oriente, si è parlato a San Francisco al Vertice dell’Apec, organizzazione degli Stati del Pacifico in un incontro fra Joe Biden e Xi Jinping[3], il primo fra i due dopo quasi un anno, dal vertice del G20 in Indonesia;[4] ed è la prima volta che Xi torna negli Usa dopo l’aprile del 2017, quando alla Casa Bianca c’era Donald Trump (che lo ricevette a Mar-a-lago).
La battaglia degli ospedali
Le vittime palestinesi della guerra fra Israele e Hamas sono quasi 12 mila. Negli ospedali di Gaza, la situazione è drammatica: scorte di medicinali in esaurimento, feriti operati in condizioni drammatiche, pazienti deceduti perché non potevano più seguire le terapie, centinaia di corpi sepolti in fosse comuni. L’Oms, l’Organizzazione mondiale della Sanità, calcola che 22 nosocomi su 36 siano fuori uso. In quelli che ancora funzionano, medicinali e gasolio vanno esaurendosi. Per evitare una strage di neonati, Israele fa arrivare 37 incubatrici.
Il direttore generale dell’Oms, Tedros Ghebreyesus, fa sapere che l’ospedale di al Shifa, prima d’essere investito dai raid israeliani, è rimasto senza acqua per tre giorni e “non funziona più come un ospedale”. C’è l’appello a evacuarlo, almeno le decine di neonati, le centinaia di pazienti.
Nei tunnel sotto il complesso ospedaliero, i militari conducono i giornalisti a visitare quella che poteva essere una base di Hamas o – sostengono fonti del nosocomio – un rifugio per i ricoverati. L’esercito di Tel Aviv accusa i fondamentalisti di utilizzare gli ospedali come basi: un portavoce racconta di un conflitto a fuoco con un’unità di Hamas che sparava dalla clinica al-Quds.
La sorte degli ostaggi
Si negozia, finora senza esito, a vari livelli, per il rilascio degli ostaggi, mentre desta commozione e dolore la storia della soldatessa Noa Marciano, 19 anni, di cui Hamas diffonde un video girato prima che la giovane venisse uccisa – sotto un bombardamento israeliano, dicono i palestinesi -. Diplomatici del Qatar e di altri Paesi e i servizi segreti israeliani e statunitensi sono coinvolti in un intreccio di trattative. Momenti di speranza si alternano a fasi di pessimismo. Il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, a Ginevra con una delegazione di familiari dei rapiti, chiarisce che la Croce Rossa non li ha ancora incontrati: “Non abbiamo prove che siano ancora in vita”, dice. Osama Hamdan, alto esponente di Hamas in Libano, esclude un rilascio dei prigionieri parziali: l’organizzazione preferisce una soluzione unica, uno scambio tra ostaggi e detenuti fondamentalisti nelle carceri israeliane
Il presidente Joe Biden crede in un accordo e nel rilascio: “Abbiate pazienza, resistete, stiamo arrivando”, li incoraggia, quasi rivolgendosi direttamente loro. In ogni caso, il ministro israeliano Benny Gantz, un leader dell’opposizione a Netanyahu entrato nel governo d’emergenza nazionale, chiarisce che, “anche se fosse necessario un cessate-il-fuoco per riavere gli ostaggi, la guerra non si fermerà”.
Netanyahu è considerato da gran parte degli israeliani il responsabile del disastro del 7 ottobre. Familiari di ostaggi marciano a Tel Aviv e a Gerusalemme, per chiedere al governo di ottenere che i loro cari siano rilasciati.
Gli altri fronti del nuovo conflitto medio-orientale
Anche il fronte libanese non è calmo: un civile israeliano colpito nell’Alta Galilea da un razzo tirato da Hezbollah è morto martedì 14 novembre. E dopo un lancio di missili dal Libano, i jet israeliani hanno colpito alcune postazioni della milizia legata all’Iran. Inoltre, l’artiglieria israeliana ha bombardato le zone del sud del Libano a ridosso della linea di demarcazione tra i due Paesi, dopo che i miliziani avevano sparato razzi anticarro e lanciato droni.
La situazione resta critica in Cisgiordania, oltre che al confine con il Libano e la Siria.
A Tulkarem, nel corso di scontri a fuoco con l’esercito israeliano, sono morti sette palestinesi e 12 sono rimati feriti. In Siria le milizie filo iraniane hanno attaccato due basi statunitensi. Per ritorsione, gli Stati Uniti lanciano una serie di raid su obiettivi iraniani in Siria, denunciando decine di attacchi negli ultimi quaranta giorni sulle basi americane. Queste mosse appaiono in contrasto con gli sforzi diplomatici per evitare che la guerra contagi la regione e deflagri.
Continuano, in Israele, le operazioni forensi per identificare le vittime del 7 gennaio. Si indaga, inoltre, su stupri che i terroristi avrebbero compiuto su donne israeliane, alcune poi uccise, altre condotte via ostaggio.
6. Un barlume di speranza per un accordo sugli ostaggi [5]
L’accordo sulla liberazione d’una cinquantina di ostaggi, in cambio d’un cessate-il-fuoco di almeno quattro giorni e dell’uscita di centinaia di detenuti palestinesi dalle carceri israeliane – tre per uno, esclusi i condannati per omicidio – non mette fine alla guerra di Israele contro Hamas, ma certo dà “un barlume di speranza”, nella lettura della Cnn[6] e di molti media di tutto il Mondo. Nella trattativa, hanno avuto un ruolo essenziale Usa e Qatar, oltre a molti altri attori arabi e no
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha chiarito i limiti dell’intesa, prima che il suo governo l’accettasse, nel cuore della notte tra martedì 21 e mercoledì 22 novembre 2023, dopo una riunione durata sette ore e segnata da forti contrasti: “La guerra – ha detto – continuerà finché Hamas non sarà distrutta”. Netanyahu ha usato un linguaggio bellicoso: le forze israeliane resteranno sul ‘chi vive’, anche durante la tregua; pronte a riprendere le ostilità.
Gli ostaggi liberati saranno essenzialmente donne e bambini – fra essi, tre cittadini statunitensi, compresa Abigail, una bimba di tre anni, i cui genitori sono stati uccisi nei raid terroristici in Israele del 7 ottobre -. Nelle mani di Hamas e di altre sigle terroristiche palestinesi, resteranno quasi 200 ostaggi, catturati in quelle incursioni che fece circa 1200 vittime – la cifra è stata corretta, rispetto alle prime stime di 1400 -.
La tregua sarà di quattro giorni, estendibile a cinque: è la più lunga di questo conflitto che va avanti da sette settimane – domenica26 novembre saranno 50 giorni -, con bombardamenti da terra, dal mare e dal cielo sulla Striscia di Gaza[7] e, da oltre due settimane, l’invasione del Nord della Striscia: i combattimenti al suolo, la distruzione di scuole, l’irruzione in ospedali, gli attacchi a campi di profughi. Il numero delle vittime palestinesi supera le 11 mila, ma non è più aggiornato regolarmente dal 10 novembre, cioè da quando le comunicazioni sono state tagliate.
Politico.com fa una dettagliata ricostruzione delle trattative per la liberazione degli ostaggi, basata sul resoconto di fonti statunitensi[8]. L’accordo, lungo molte pagine, che avrebbe dovuto entrare in vigore giovedì 23 novembre [poi rinviato di 24 ore], prevede la sospensione dei voli di droni sulla Striscia per alcune ore ogni giorno durante la tregua, per impedire a Israele di capire dove gli ostaggi sono detenuti e da dove escono.
Con tutti i suoi limiti, e nonostante le puntualizzazioni di Netanyahu, che servono a rabbonire l’ala più oltranzista del suo governo, l’intesa costituisce il maggior risultato diplomatico finora conseguito in questo conflitto.
Il presidente statunitense Joe Biden e la sua Amministrazione sperano che apra la strada a un incremento degli aiuti umanitari alla popolazione palestinese – sono espressamente previsti – e crei spazio per ulteriori negoziati e la liberazione degli altri ostaggi.
La Cnn parla di
“un momento di umanità in una guerra selvaggia, che ha imposto inaudite violenze ai civili sia israeliani che palestinesi”.
Ma tutte le parti sono consapevoli del rischio che l’accordo, fragile ed esposto alle provocazioni di entrambe le parti, salti da un momento all’altro.
La questione degli ostaggi
La liberazione degli ostaggi è uno degli obiettivi essenziali della guerra avviata dallo Stato ebraico nella Striscia di Gaza contro i fondamentalisti islamici; ed è, anzi, l’unico obiettivo, per i familiari, che da settimane manifestano a migliaia contro il Governo Netanyahu e le sue scelte. La pressione delle famiglie degli ostaggi è intensa e ininterrotta: ci sono state marce da Tel Aviv a Gerusalemme e ci sono manifestazioni, sit-in, proteste in tutto il Paese.
L’imminenza dell’intesa era stata confermata, a più ripresa, da Biden e dalla sua Amministrazione. La questione degli ostaggi è resa più complessa dal fatto che non tutti sono nelle mani di Hamas, che ha pubblicamente ammesso di avere perso i contatti, in diversi casi, con le altre fazioni armate. E le trattative subiscono delle battute d’arresto, ad esempio quando gli israeliani accusano Hamas d’avere ucciso la soldatessa catturata e trovata morta – vittima di bombardamenti israeliani, secondo i palestinesi.
Orrori e sprazzi di umanità
Nei giorni precedenti all’entrata in vigore dell’accordo, fra gli orrori della guerra, c’erano stati sprazzi di umanità a Gaza: 28 neonati, o 31 secondo altre fonti, prematuri sono stati evacuati dalla Striscia e portati in Egitto, dove potranno ricevere le cure necessarie alla loro sopravvivenza, mentre s’intensificava il trasferimento in Egitto, attraverso il valico di Rafah, di pazienti e feriti la cui vita è in pericolo. Ma i combattimenti non erano mai cessati. All’ospedale di al-Shifa, il più grande di Gaza, pazienti e personale medico sono stati obbligati ad abbandonare letti e cliniche dopo che l’esercito israeliano vi aveva trovato dedali di gallerie che sarebbero serviti a custodire ostaggi e a tenere al sicuro i capi di Hamas – affermazioni smentite dalle fonti palestinesi -. A Gerusalemme, c’è pure chi ricorda che furono gli israeliani a scavare i tunnel, quando controllavano la Striscia.
Al confine con il Libano, gli scontri tra esercito e Hezbollah, la milizia sostenuta dall’Iran, sono cruenti. Durante un attacco aereo israeliano, in risposta a incursioni di Hezbollah, sono rimasti uccisi la giornalista Farah Omar e il cameraman Rabie Al-Maamari dell’emittente Al-Mayadeen. Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, dal 7 ottobre sono morti 50 reporter sul fronte di Gaza e al confine tra Israele e Libano.
Cinque palestinesi, indicati come membri di Hamas, sono stati uccisi nel sud del Libano: un drone ha centrato l’auto su cui viaggiavano e il video con i corpi carbonizzati è stato postato sui social.
Opinione pubblica e diplomazia
Negli Stati Uniti, la guerra in Medio Oriente sembra segnare una svolta nell’atteggiamento dell’opinione pubblica e l’affermarsi “di una nuova generazione politica”, osservano i media liberal. Le scene da Gaza di distruzioni e sofferenze aprono squarci nel sostegno americano allo Stato ebraico.
Il rifiuto del presidente Biden di esercitare decisive pressioni sul premier Netanyahu perché accetti un cessate-il-fuoco gli sta costando il sostegno dei giovani e dei progressisti, due componenti vitali della coalizione necessaria alla sua rielezione. Un sondaggio della Nbc mostra che il 70 per cento di chi ha tra i 18 e i 34 anni disapprova la gestione del conflitto da parte di Biden.
La diplomazia non fa progressi, anche se le riunioni si succedono: un vertice virtuale del G20 convocato nel pomeriggio del 20 novembre ha visto fra i partecipanti, per la prima volta dall’invasione dell’Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin. Il cancelliere tedesco Olaf Scholz e la premier italiana Giorgia Meloni hanno seguito l’incontro insieme da Berlino.
In visita in Israele e in Palestina per portare la solidarietà dell’Unione europea ed esplorare percorsi di pace, il ‘capo della diplomazia’ europea Josep Borrell dice che “Un orrore non giustifica un altro orrore”. Borrell insiste sulla soluzione dei due Stati, ma i 27 sono fra loro divisi anche sugli aiuti umanitari da dare alla popolazione palestinese.
[1] Scritto per The Watcher Post, 15 novembre 2023. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2023/11/16/israele-hamas-ospedali/.
[2] Ishaan Tharoor, Israel presides over a new Palestinian catastrophe”, The Washington Post, 13 novembre 2023. Cf. https://www.washingtonpost.com/world/2023/11/13/palestine-gaza-west-bank-nakba-displacement-israel-catastrophe/
[3] Ne parlo in Giampiero Gramaglia, Biden vede Xi, passi avanti e dialogo “molto costruttivo”, Key4biz, 20 novembre 2023. Cf. https://www.key4biz.it/democrazia-futura-biden-vede-xi-passi-avanti-e-dialogo-molto-costruttivo/468082/.
[4] Giampiero Gramaglia L’escalation della guerra domina i lavori del G 20 di Bali”, Democrazia futura, II (8), ottobre dicembre 2022, pp. 1013-1017. Testo ripreso da The Watcher Post, 16 novembre 2022. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2022/11/17/g20-escala- tion-guerra-ucraina-domina-lavori/.
[5] Scritto per The Watcher Post il 22 novembre 2023 Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2023/11/22/ostaggi-guerra-israele-hamas/
[6] Simone McCarthy, Rob Picheta, David Shortell, Oren Liebermann, Kaitlan Collins, “Israel and Hamas agree to breakthrough deal on hostage release and four-day truce”, Cnn World, 22 novembre 2023.
[7]Vedi la mia terza corrispondenza di guerra: Giampiero Gramaglia, “La terza fase del conflitto. Netanyahu, le mani su Gaza”, Key4biz, 10 novembre 2023. Cf. https://www.key4biz.it/democrazia-futura-netanyahu-le-mani-su-gaza/466877/
[8] Alexander Ward, “How a secret cell got Hamas to release 50 hostages”, Politico.com, 21 novembre 2023.