Nel suo editoriale “Onu, Unione europea, Italia: il rischio di uscire male dai conflitti” in apertura all’undicesimo fascicolo di Democrazia futura, Bruno Somalvico descrive le tappe, dall’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2011 a quello perpetrato da Hamas contro Israele il 7 ottobre 2023, che avrebbero portato a quella che l’autore definisce “il consolidamento, se non dell’idea spengleriana di ‘tramonto’, perlomeno, di grave crisi dell’Occidente”. Il 2023 verrà ricordato come “Un anno nel quale non si sono fatti passi avanti né in materia di politica estera, né di difesa in seno all’Unione europea, incapace di affrontare la riforma dei suoi regolamenti e processi decisionali. […] Un anno in cui sono emerse sempre di più le incrinature in seno all’Occidente e negli equilibri politici geo planetari come ripetutamente emerso in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o in occasione delle riunioni del Consiglio Europeo, a fronte della crescita delle attività diplomatiche di una serie di autocrati, da Receip Tahir Erdogan ai due ex grandi rivali in seno all’Islam Mohammad Bin Salman e Ebrahim Raisi.” A parere del direttore editoriale di Democrazia futura “È ora che l’Occidente ritrovi una propria cabina di regia per pesare sul futuro degli equilibri nel mondo. Evitando il ripetersi nella storia di grandi tragedie che rischiano in caso contrario di trasformarsi in farse, se non addirittura in beffe”.
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Il 2023 che verrà ricordato come l’anno delle due guerre e del consolidamento, se non dell’idea spengleriana di “tramonto”[1], perlomeno di grave crisi dell’Occidente: secondo alcuni studiosi dovremmo parlare di occidenti al plurale. L’idea di una comunità non solo di interessi ma anche di principi e di valori da difendere, consolidare, e possibilmente esportare, che sembrava emergere con la cosiddetta Fine della storia dopo la caduta del Muro di Berlino, sembrerebbe implosa, dispersa e frammentata. Anziché essere giunta all’apice della maturità, la civiltà occidentale giunta nella fase della vecchiaia, con la fine della guerra fredda avrebbe cessato di agire a propria difesa. Prima la pandemia nel biennio 2020-2021, poi le due guerre scoppiate in seguito all’invasione russa dell’Ucraina nel febbraio 2022 e il feroce attacco perpetrato da Hamas contro Israele il 7 ottobre, ne avrebbero sancito il decesso. A conclusione di un percorso in controtendenza di rinascita di idee e comportamenti politici. sbrigativamente classificati come espressioni quali “sovranismo”, “populismo”, tutela dell’interesse della nazione, rinascita del patriottismo, che per le nostre generazioni formatesi nella seconda parte del Novecento, sembravano essere, quelle si, definitamente sepolte dal corso della storia. Tante sono state le avvisaglie dopo la fine della guerra fredda.
In primis certamente la caduta delle Torri Gemelle, che avrebbe segnato la fine di quello che Erik John Hobsbawn ha definito come Il Secolo Breve iniziato con lo scoppio della Prima Guerra mondiale. Poi la vittoria dei sostenitori dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea al referendum sulla Brexit nel 2016. Quindi nel 2017 l’ascesa al potere di personalità eccentriche rispetto alle classi politiche e dirigenti tradizionali dopo l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca e la vittoria delle forze populiste in Italia nel 2018 con la nascita dell’alleanza fra forze trasversali di destra e di sinistra quali la Lega di Matteo Salvini e il Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo sotto la guida dell’’avvocato del popolo’ Giuseppe Conte. Nel formulare gli auguri a San Silvestro, dietro alla loro volontà di superare le vecchie distinzioni fra destra e sinistra, paventavo cinque anni fa il rischio di tornare a quel clima diciannovista che aveva creato i presupposti, nonostante l’affermazione elettorale del Partito socialista e del Partito Popolare, per favorire l’ascesa nelle consultazioni successive dei costituendi Fasci di Combattimento.
L’altrettanto avvilente a mio parere cambio di alleanze dei grillini che, senza passare da una consultazione degli elettori, dopo lo strappo di Matteo Salvini sulle spiagge romagnole del Papeete, lasciano la Lega per formare, nel settembre 2019 sotto la guida sempre dell’avvocato del popolo Giuseppe Conte, un governo con le forze politiche con cui si erano scontrati durante le elezioni. In quell’occasione, dopo aver lanciato in piena emergenza Covid la rivista nell’autunno 2020, salutammo con favore la caduta, propiziata da Matteo Renzi, del secondo Governo Conte e la nascita all’inizio del 2021 di una sorta di Governo di salute pubblica intorno alla figura carismatica di Mario Draghi per gestire l’emergenza e il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Il tutto in uno scenario internazionale segnato dall’assalto a Capitol Hill dei sostenitori di Donald Trump, uscito sconfitto dalle elezioni presidenziali del novembre 2020, e, pochi mesi dopo, dal ritiro delle truppe statunitensi e della Nato dall’Afghanistan con il conseguente ritorno al potere del regime dell’emirato arabo dei Talebani. Vedemmo nell’Effetto Draghi quelle che chiamammo dapprima “Prove tecniche di post-democrazia sobria e di restaurazione di un’etica pubblica” poi “Prove tecniche di recupero della democrazia, di ripresa economica e di ricostruzione di una classe dirigente” e infine “Prove tecniche di monarchia repubblicana all’italiana”. Tutto ciò a fronte ad una classe politica sempre più caratterizzata da ‘partiti pigliatutti’ (definizione del nostro grande editorialista Gianfranco Pasquino), gattopardismi e, fenomeno ancora più preoccupante, dalla crescita degli astensionisti.
La reazione almeno apparentemente compatta dell’Occidente nel 2022 di fronte all’invasione russa dell’Ucraina, l’aiuto e l’assistenza sul piano politico e militare di una Nato risorta, nonché la fermezza della posizione italiana di Mario Draghi a favore di un rafforzamento politico dell’Unione europea sul piano della politica estera e di difesa nonché in tema di politica energetica e anche di unione fiscale a completamento dell’Unione politica e monetaria, a fronte delle esitazioni della tradizionale locomotiva franco tedesca, sembrava smentire il pessimismo dilagante rilanciando inizialmente l’iniziativa politica dell’occidente e in particolare quella dell’Europa in un mondo certo divenuto multipolare, e nonostante esso risultasse molto provato dalla guerra e dalle forze disgregatrici.
Per questo non avevamo salutato con favore le dimissioni di Mario Draghi e il ricorso ad elezioni anticipate a pochi mesi dalla scadenza della legislatura né gradito soprattutto la sua uscita di scena alla vigilia della scadenza del settennato di Sergio Mattarella al Quirinale, poi riconfermato al Colle in assenza di un accordo su Draghi o su un’altra personalità fra le forze politiche di maggioranza e di opposizione emerse dopo il voto anticipato e la schiacciante vittoria della coalizione di centro-destra (o meglio di destra-centro) che aveva portato per la prima volta una donna, Giorgia Meloni, a Palazzo Chigi (anche qui curiosamente esattamente cent’anni dopo la Marcia su Roma).
Il 2023 verrà ricordato come l’anno pre-elettorale per gli Stati Uniti, per il Regno Uniito, per l’Unione europea e persino per la Federazione Russa, dove Vladimir Putin si candida a succedere a sé stesso. Un anno dove invece non si è realizzata la tanto attesa contro-offensiva dell’Ucraina, che si ritrova in grave pericolo, priva per ora degli aiuti finanziari degli Stati Uniti e dell’Unione europea. Un anno nel quale non si sono fatti passi avanti né in materia di politica estera, né di difesa in seno all’Unione europea, incapace di affrontare la riforma dei suoi regolamenti e processi decisionali.
Un anno in cui, Israele, l’unica democrazia avamposto dell’Occidente in Medio Oriente, peraltro già gravata da una gravissima crisi politica interna, smentendo la proverbiale capacità dei suoi sistemi di intelligence e di sicurezza interni, ha subito la più grave ferita della sua storia e non è riuscita a trovare un accordo politico con i suoi alleati tradizionali occidentali sulle misure da prendere per liberare i propri ostaggi e sgominare l’attacco perpetrato da Hamas. Un anno in cui sono emerse sempre di più le incrinature in seno all’Occidente e negli equilibri politici geo planetari, come ripetutamente emerso in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite o in occasione delle riunioni del Consiglio Europeo, a fronte della crescita delle attività diplomatiche di una serie di autocrati, da Receip Tayyip Erdogan ai due ex grandi rivali in seno all’Islam, lo sunnita Mohammad Bin Salman e lo sciita Ebrahim Raisi. Manovre dietro alle quali si intuisce l’impegno di grandi Paesi come la Cina, l’India, il Brasile, e anche di altri Paesi un tempo definiti emergenti che vogliono crare intorno ai Brics un asse portante delle scelte politico diplomatiche, nonché in tema di tutela dell’ambiente e del clima, governo dell’intelligenza artificiale, politiche demografiche ed energetiche.
E’ ora che l’Occidente ritrovi una propria cabina di regia per pesare sul futuro degli equilibri nel mondo. Evitando il ripetersi nella storia di grandi tragedie che rischiano in caso contrario di trasformarsi in farse, se non addirittura in beffe. L’auspicio è che l’Occidente riesca a favorire su tutti i tavoli nel 2024, se non una soluzione, perlomeno una tregua duratura ai due grandi conflitti in corso, rialzando la testa e ritrovando unità d’intenti, senza subire ulteriori smacchi dopo quelli di Kabul.
[1] L’edizione finale del celebre saggio di filosofia della storia di Oswald Spengler, Der Untergang des Abendlandes uscì a Monaco proprio cent’anni fa nel 1923 aggiungendo come sottotitolo Umrisse einer Morphologie der Weltgeschichte. Raccoglie i due volumi usciti il primo a Vienna nel 1918 e 1922. In Italia uscirà solo nel 1957 per i tipi di Longanesi con la traduzione di Julius Evola: Il Tramonto dell’Occidente. Lineamenti di una morfologia della storia mondiale