Dopo elezioni

Democrazia Futura. Mi oppongo ma con un distinguo

di Gianluca Veronesi, ex dirigente Rai, già direttore della Comunicazione e delle Relazioni esterne Rai |

Il difficile mestiere dell’opposizione costruttiva per un riformista come Carlo Calenda. L'analisi del voto di Gianluca Veronesi.

Gianluca Veronesi esamina quello che definisce nell’occhiello “Il difficile mestiere dell’opposizione costruttiva per un riformista come Carlo Calenda” in un pezzo semiserio per Democrazia futura “Mi oppongo ma con un distinguo” chiedendosi alla fine ironicamente: “Non era meglio vincere?”.

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Gianluca Veronesi

Le minoranze usano tre aggettivi per definire il loro tipo di opposizione. Il primo è uguale per tutte: “dura”. Poi cominciano i distinguo. Per alcune sarà solo intransigente, per altre invece anche costruttiva.

Ci siamo già: per il Partito Democratico e il Movimento 5Stelle sarà assoluta, per Carlo Calenda costruttiva (collaborativa si presta a qualche equivoco).

La differenza non è banale e neanche meschina.

Ci si capisce meglio facendo un esempio. Dice Calenda: se il governo nelle proprie leggi di riforma proporrà che i Governatori abbiano, in casi di emergenza, il potere di superare tutti i veti del territorio (ambientalisti e comitati per il no, immagino io visti i tempi) e se cambierà l’attuale sistema legislativo da bicamerale a monocamerale, io sono pronto a votare quegli articoli di legge.

Analizziamo gli aspetti della questione.

Bisogna vedere come sarebbero scritti i singoli articoli.

Quali condizioni stabiliranno una emergenza? I Governatori saranno l’autorità che emana l’ordine ma certo non a loro capriccio. Si presuppone un iter – soprattutto scientifico – che lo giustifica.
Una Camera dei parlamentari unica può essere una mossa per rendere più rapido e produttivo il percorso delle decisioni, per offrire al paese quella democrazia “decidente” che tutti invocano.

Ma probabilmente per i padri costituenti il bicameralismo non era solo una tecnicalità ma un elemento portante dell’equilibrio tra poteri, proprio nel controllo e “aggiustamento” reciproco svolto dalle Camere col proprio lavoro.

Modificare un singolo elemento di un “sistema” organico porta – comunque – a una riorganizzazione di tutta la filiera, a monte e a valle.

A quel punto Carlo Calenda, pur acconsentendo solo ad alcune decisioni parziali e particolari, rischia di rendersi indirettamente partecipe di ben altro assetto che magari non voterà?
Sia ben chiaro che il presidente di Azione non vuole certamente accreditarsi con il governo, non vuole fare “l’entrista”. Egli sa bene che l’esecutivo gode di una maggioranza schiacciante e non abbisogna di voti di riserva.

Calenda fa il mestiere del riformista che significa cercare non una palingenetica ristrutturazione ma il continuo miglioramento di una situazione sempre perfettibile.

Una posizione certamente diversa dall’organicismo delle ideologie che partono dal presupposto che il tuo avversario sbaglia per definizione e non va mai aiutato perché userà quel aiuto proprio contro di te.

Naturalmente il presidente di Azione vuole anche ribadire la sua equidistanza tra destra e sinistra, di partito “indipendente” e libero, pronto a sostenere il meglio che c’è in entrambi gli schieramenti (in quello di sinistra per ora non ne ha trovati).

Un ultimo aspetto, solo psicologico.

Secondo voi, se di fronte ad un referendum confermativo di una legge di riforma costituzionale che contiene tantissimi aspetti – pur dando indicazione di voto per il no – riconosco alcuni buoni propositi, dimostro più l’occasione mancata oppure un certo equilibrio nel proponente?

Vedete quanto è complesso fare l’opposizione.
Non era meglio vincere?

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