Un bilancio

Democrazia Futura. L’Occidente e il ritorno ai nemici

di Giampiero Gramaglia, Giornalista, co-fondatore di Democrazia futura, presidente uscente di Infocivica |

Un autunno fra illusioni, slalom diplomatici e tensioni con Russia e Cina. Giampiero Gramaglia, traccia un bilancio diplomatico degli ultimi mesi nel suo pezzo “L’Occidente e il ritorno dei nemici".

Giampiero Gramaglia

Giampiero Gramaglia, traccia un bilancio diplomatico degli ultimi mesi nel suo pezzo “L’Occidente e il ritorno dei nemici. Un autunno fra illusioni, slalom diplomatici e tensioni con Russia e Cina” Inizia cercando di spiegare cosa vi sia “Dietro lo scontro sui migranti fra Unione europea e Bielorurussia scoppiato nel mese di novembre Gramaglia osserva: “Chi di Erdogan ferisce, di Lukashenko perisce”. ”: se paghi Recep Tayyip Erdogan per tenersi i profughi siriani, autorizzi Lukashenko a pensare che prima o poi pagherai pure lui perché non ti porti ai confini migranti iracheni. Nessun dubbio che Alexander Lukashenko sia il peggio del peggio, un autocrate spregiudicato che non rispetta nel suo Paese la libertà d’espressione e i diritti umani. E, del pari, nessun dubbio che Racep Tayyip Erdogan sia solo un filo meno peggio di lui, solo perché la legittimità democratica delle sue elezioni è meno contestabile. Ma, allora -prosegue Gramaglia – , perché l’Unione europea si stupisce se, dopo avere assegnato a Erdogan, per sei miliardi di euro, mica bruscolini, la custodia e la gestione di due milioni di profughi siriani, adesso Lukashenko cerca di ricattarla spingendo verso le sue frontiere alcune migliaia di disperati iracheni, molti dei quali arrivati dal Medio Oriente – è l’accusa – con visti quasi gratis e voli sponsorizzati dalla Bielorussia e il miraggio di approdare nell’Ue. E’ una cinica ritorsione contro le sanzioni imposte da Bruxelles a Minsk per le ripetute violazioni dei diritti umani. L’Ue denuncia la risposta “asimmetrica” della Bielorussia – che viola il ‘galateo delle ritorsioni’, di per sé ipocrita – e parla di “attacco ibrido”. Ed è effettivamente spregevole l’uso delle persone come merce di scambio. Intanto, la Russia soffia sul fuoco: anche il presidente russo Vladimir Putin ha un conto di sanzioni in sospeso con l’Unione europea, cui lui ha risposto in maniera convenzionale, con dazi su prodotti europei. Vedere i 27 in difficoltà non dispiace al signore del Cremlino, che mira a liberare l’economia russa dalle pastoie delle sanzioni. Prosegue analizzando “Nato-Ucraina-Russia: triangolo della tensione”, cercando di capire le ragioni all’origine delle proteste a Kiev dietro al raduno dei manifestanti intorno allo slogan Difendi l’Ucraina – Stop al Colpo di Stato e il rialzo della tensione dopo il contemporaneo vertice di Riga ei ministri dell’Alleanza Atlantica il 30 novembre e il 1 dicembre  2001. “Siamo uniti di fronte ad ogni azione aggressiva” russa contro l’Ucraina e “ogni ulteriori mossa ostile avrebbe gravi conseguenze politiche ed economiche”. Parole del segretario generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg, che alla vigilia del consulto aveva ricordato: “Un attacco a uno dei nostri Alleati è un attacco a tutti gli Alleati”, quasi citando l’articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord, quello finora invocato una sola volta, nonostante quarant’anni di Guerra Fredda, dopo gli attacchi all’America dell’11 Settembre 2001. Il fulcro delle tensioni è l’aumento della presenza di forze russe ai confini ucraini – fino a 100 mila uomini, si dice -, oltre che la ‘crisi dei migranti‘ ai confini tra Bielorussia e Polonia. Mosca – chiede la Nato – “sia trasparente, riduca le tensioni ed avvii una de-escalation”.Però, le mosse diplomatiche occidentali non hanno nulla di distensivo, in questo frangente; forse, vogliono essere preventive; certo, acuiscono le frizioni. La Nato valuta l’ipotesi dell’adesione dell’Ucraina all’Alleanza, che per la Russia rappresenta una linea rossa da non varcare. Gli Usa badano a non offrire il fianco ad accuse di debolezza verso Mosca e sono sensibili alle pressioni anti-russe specialmente della Polonia e dei Baltici”. Infine Gramaglia si chiede “perché l’Unione europea non riesce a trasformare il triangolo Usa-Russia-Cina in un quadrilatero con la Nato” descrivendo quello che definisce “il Ritorno al nemico, anzi ritorno ai nemici: l’Occidente, e la Nato, che ne è l’alleanza militare, dopo tre decenni di crisi d’identità, seguiti alla fine della Guerra Fredda, sembrano ritrovare una ragione d’essere – e di essere alleati – riscoprendo il nemico, allora l’Urss, oggi la Russia; anzi, i nemici, perché c’è pure la Cina sulla lista dei cattivi del Mondo visto dall’Atlantico del Nord. Una lista dove, a ben guardare, se i criteri dirimenti di questi giudizi sono democrazia e rispetto dei diritti, dovrebbero esserci anche molti altri Paesi nostri ‘partner’, tipo l’Arabia Saudita e più o meno tutte le monarchie del Golfo, o l’Egitto del generale golpista Abdel Fattah al Sisi, ma anche nostri sodali – come la Turchia nella Nato e la Polonia e l’Ungheria nell’Ue e nella Nato –“. In questo contesto anche Russia e Cina danno vita ad un loro vertice virtuale “Le cose con Biden non vanno bene. E allora Putin e Xi si cercano e si tengono bordone a vicenda: messe da canto tensioni e rivalità, Cina e Russia esibiscono la solidità delle relazioni bilaterali che “hanno superato varie tempeste e dimostrano nuova vitalità”. Parole di presidenti stando ai resoconti del secondo Vertice 2021, durato un’ora e mezzo il 15 dicembre, fra Vladimir Putin e Xi Jinping. Mentre esaltano il loro bilateralismo, Cina e Russia, incuranti della contraddizione, si presentano come “il pilastro del vero multilateralismo e gli alfieri dell’equità e della giustizia internazionali”. L’incontro virtuale tra Xi e Putin ha chiuso il triangolo scaleno delle consultazioni fra i tre maggiori protagonisti della politica mondiale, dopo i Vertici sempre virtuali tra il presidente Usa Joe Biden e Xi il 15 novembre, con lo spettro d’una ‘riannessione’ di Taiwan sullo sfondo, e tra Biden e Putin il 7 dicembre, con le tensioni sull’Ucraina in primo piano. Ed è stato pure una risposta al Vertice delle Democrazie convocato da Biden senza mandare l’invito né a Xi né a Putin”. Ciononostante il “negoziato Russia-Usa Nato” secondo Gramaglia “parte con il piede giusto”: “Pechino – dicono a Mosca – ha dato “pieno sostegno” a un’iniziativa russa per ottenere “garanzie di sicurezza” dall’Occidente. Il 2022 sarà l’anno del colpo di reni dell’Ue? Sperarlo non basta, bisogna farlo” conclude Gramaglia.

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Cosa c’è dietro allo scontro sui migranti fra Unione europea e Bielorussia. Chi di Erdogan ferisce, di Lukashenko perisce [1]

Nel triangolo migranti Ue Bielorussia, “Chi di Erdogan ferisce, di Lukashenko perisce”: se paghi Recep Tayyip Erdogan per tenersi i profughi siriani, autorizzi Lukashenko a pensare che prima o poi pagherai pure lui perché non ti porti ai confini migranti iracheni.

Nessun dubbio che Alexander Lukashenko sia il peggio del peggio, un autocrate spregiudicato che non rispetta nel suo Paese la libertà d’espressione e i diritti umani. E, del pari, nessun dubbio che Racep Tayyip Erdogan sia solo un filo meno peggio di lui, solo perché la legittimità democratica delle sue elezioni è meno contestabile.

Ma, allora, perché l’Unione europea si stupisce se, dopo avere assegnato a Erdogan, per sei miliardi di euro, mica bruscolini, la custodia e la gestione di due milioni di profughi siriani, adesso Lukashenko cerca di ricattarla spingendo verso le sue frontiere alcune migliaia di disperati iracheni, molti dei quali arrivati dal Medio Oriente – è l’accusa – con visti quasi gratis e voli sponsorizzati dalla Bielorussia e il miraggio di approdare nell’Ue. E’ una cinica ritorsione contro le sanzioni imposte da Bruxelles a Minsk per le ripetute violazioni dei diritti umani. L’Ue denuncia la risposta “asimmetrica” della Bielorussia – che viola il ‘galateo delle ritorsioni’, di per sé ipocrita – e parla di “attacco ibrido”. Ed è effettivamente spregevole l’uso delle persone come merce di scambio. Intanto, la Russia soffia sul fuoco: anche il presidente russo Vladimir Putin ha un conto di sanzioni in sospeso con l’Ue, cui lui ha risposto in maniera convenzionale, con dazi su prodotti europei. Vedere i 27 in difficoltà non dispiace al signore del Cremlino, che mira a liberare l’economia russa dalle pastoie delle sanzioni.

Ma pure di qua della cortina di ferro creatasi ai confini occidentali della Bielorussa, con la Polonia e, in minor misura, con la Lituania e la Lettonia, ci sono magagne e contraddizioni. Varsavia, il cui premier Mateusz Morawiecki definisce Lukashenko “un gangster”, chiede ai partner aiuto e solidarietà, beni che lei non è mai disposto a barattare. Anzi, mentre sollecita un intervento europeo, Morawiecki impedisce l’accesso all’area dei fatti a Frontex, l’agenzia di frontiera dell’Unione: Varsavia non vuole interferenze nella gestione dei migranti – gli ingressi irregolari dall’Est sarebbero 23 mila – e teme l’oggettività dei resoconti – i bielorussi accusano i polacchi di violenze e brutalità, in particolare su un gruppo di curdi -. Inoltre, è soprattutto colpa dei sovranisti dell’Est – e non solo – se l’Unione europoea non ha tuttora poteri e competenze in materia d’immigrazione: se la Commissione europea volesse accogliere le richieste della Polonia, senza pesare sulla pelle di quei disgraziati di esuli iracheni, non avrebbe in ogni caso il potere di decidere una redistribuzione fra i 27, perché i governi dei 27 non hanno voluto darglieli – e Varsavia, con Budapest, è stata in prima linea su questo fronte -. Le cronache riferiscono che sono almeno duemila le persone che bivaccano da giorni nei boschi tra Bielorussia e Polonia, con temperature glaciali e poca acqua e cibo – molte le donne e i bambini -. Di qua e di là del confine, forze dell’ordine schierate, momenti di tensione e tafferugli. Per il momento, l’Ue resiste al ricatto della Bielorussia e tiene il punto: il Consiglio dei Ministri dell’Unione ha sospeso lo schema di facilitazione dei visti per gli esponenti del regime di Minsk e sta approntando nuove sanzioni. Morawiecki, che a fine ottobre, nel Parlamento di Strasburgo, invocava il diritto della Polonia di violare le regole dell’Ue, gioca adesso la carta dell’Europa: “Chiudere il nostro confine è nostro interesse nazionale. Ma qui è in gioco la stabilità e la sicurezza di tutta l’Unione”. Perché qui sì e nel Mediterraneo no

Nato-Ucraina-Russia: triangolo della tensione. Il significato del raduno Difendi l’Ucraina – Stop al Colpo di Stato[2]

Rialzo della tensione, brusco e forse strumentale, tra quello che una volta si chiamava l’Occidente e la Russia sull’Ucraina. I ministri degli Esteri dei Paesi dell’Alleanza atlantica, riuniti a Riga martedì 30 novembre e mercoledì 1 dicembre 2021, lanciano l’ennesimo monito: “Siamo uniti di fronte ad ogni azione aggressiva” russa contro l’Ucraina e “ogni ulteriori mossa ostile avrebbe gravi conseguenze politiche ed economiche”. Parole del segretario generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg, che alla vigilia del consulto aveva ricordato: “Un attacco a uno dei nostri Alleati è un attacco a tutti gli Alleati”, quasi citando l’articolo 5 del Trattato dell’Atlantico del Nord, quello finora invocato una sola volta, nonostante quarant’anni di Guerra Fredda, dopo gli attacchi all’America dell’11 Settembre 2001.

Il fulcro delle tensioni è l’aumento della presenza di forze russe ai confini ucraini – fino a 100 mila uomini, si dice -, oltre che la ‘crisi dei migranti‘ ai confini tra Bielorussia e Polonia. Mosca – chiede la Nato – “sia trasparente, riduca le tensioni ed avvii una de-escalation”.

Però, le mosse diplomatiche occidentali non hanno nulla di distensivo, in questo frangente; forse, vogliono essere preventive; certo, acuiscono le frizioni. La Nato valuta l’ipotesi dell’adesione dell’Ucraina all’Alleanza, che per la Russia rappresenta una linea rossa da non varcare. Gli Usa badano a non offrire il fianco ad accuse di debolezza verso Mosca e sono sensibili alle pressioni anti-russe specialmente della Polonia e dei Baltici.

Non migliorano il contesto l’allarme lanciato dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky d’un colpo di Stato ‘programmato’ per il 1o dicembre e neppure le repliche del presidente russo Vladimir Putin, che annuncia una visita in Crimea sua e del presidente bielorusso Alexander Lukashenko, che considera la penisola annessa nel 2014 “russa de iure e de facto”.

Il presidente Usa Joe Biden si ripromette di parlare sia con Putin che con Zelensky, nella speranza di stemperare le tensioni tra Russia e Ucraina: non è detto che lo faccia né che ci riesca. Del resto, l’Ucraina è solo un capitolo – probabilmente, il più grave – delle tensioni in atto fra Est e Ovest: fonti russe accusano gli Stati Uniti di preparare un’escalation del conflitto diplomatico – sarebbero già pronte decine di ulteriori espulsioni di funzionari dell’ambasciata di Mosca a Washington -, mentre i negoziati sul nucleare fra i due Paesi sono in stallo, complicati dal fatto che la Cina starebbe per diventare una potenza nucleare rilevante per numero di ogive.

Usa-Russia-Cina: perché l’Unione europea non riesce a trasformare questo triangolo in un quadrilatero con la Nato

Ritorno al nemico, anzi ritorno ai nemici: l’Occidente, e la Nato, che ne è l’alleanza militare, dopo tre decenni di crisi d’identità, seguiti alla fine della Guerra Fredda, sembrano ritrovare una ragione d’essere – e di essere alleati – riscoprendo il nemico, allora l’Urss, oggi la Russia; anzi, i nemici, perché c’è pure la Cina sulla lista dei cattivi del Mondo visto dall’Atlantico del Nord. Una lista dove, a ben guardare, se i criteri dirimenti di questi giudizi sono democrazia e rispetto dei diritti, dovrebbero esserci anche molti altri Paesi nostri ‘partner’, tipo l’Arabia Saudita e più o meno tutte le monarchie del Golfo, o l’Egitto del generale golpista Abdel Fattah al Sisi, ma anche nostri sodali – come la Turchia nella Nato e la Polonia e l’Ungheria nell’Ue e nella Nato -.

All’alba del 2022, il Mondo non è certo quello che era al tramonto del 1991, quando la bandiera dell’Urss venne ammainata per l’ultima volta sul pennone del Cremlino. E dove si colloca l’Europa nel triangolo scaleno che è quasi isoscele delle relazioni Usa – Russia – Cina? Usciamo da una serie di Vertici che ci hanno dato diverse indicazioni al riguardo: il G20 a fine ottobre, i bilaterali virtuali di Usa con Cina e Russia e, infine, la scorsa settimana, il bilaterale sempre virtuale tra Cina e Russia e il Consiglio europeo. L’Europa degli Anni Ottanta era ancora solo una Comunità economica di 12 Paesi, già – si diceva – gigante economico, ma nano politico, che non sapeva fornire al presidente degli Stati Uniti – l’idea è di Henry Kissinger – un numero di telefono da chiamare per un consulto in caso di crisi. L’Europa di oggi è un’Unione – più di nome che di fatto – di 27 Paesi, che anche senza la Gran Bretagna resta il terzo ineludibile polo dell’economia mondiale, ma che continua a mancare di capacità d’azione politica e ancor più militare (e che, un po’ assurdamente, pensa di dotarsi di quella militare prima che di quella politica). Esercizi velleitari, senza la disponibilità degli Stati a cedere sovranità all’Unione attraverso la rinuncia alla clausola dell’unanimità.

La Nato, negli ultimi trent’anni, ha trovato sul suo cammino motivi d’essere: le guerre nei Balcani negli Anni Novanta; e, dopo l’11 Settembre 2021, la guerra al terrorismo, di cui la rotta afghana dell’agosto scorso è però stata un epilogo disastroso. Adesso che ha recuperato il suo nemico, o meglio i suoi nemici, l’Alleanza s’appresta a vivere – assicurano gli esperti – un ‘momento Sputnik’ sul fronte della cyber-.security: deve trovare energia e coesione per recuperare il gap tecnologico con Russia e soprattutto Cina, come riuscì a fare negli Anni Sessanta sul fronte spaziale.

In questo contesto, ci sta che gli Stati Uniti e l’Occidente tutto pratichino, sul fronte dell’Ucraina e di Taiwan rispettivamente, la figura retorica diplomatica dell’ingigantimento della minaccia, che effettivamente c’è ed è reale, ma che le stesse Russia e Cina vogliono sia percepita più di quanto non vogliano attuarla. Mentre la Nato si appresta a varare, al Vertice di Madrid di fine giugno 2022, un suo nuovo concetto strategico e – dopo gli sbandamenti e le incertezze della presidenza Trump – riacquista coscienza di essere l’unico foro di consultazione collettiva tra America ed Europa, l’Ue è impaniata nella pandemia: l’iniziale risposta positiva della messa in comune di risorse per superare lo stallo dell’economia non ha – ancora? – fatto da volano a una maggiore coesione politica e di difesa – progetti ambiziosi complementari alla Nato restano solo abbozzati -. Rispetto al XX Secolo, l’Unione è più larga, ma più diversa: lo si vede, in particolare, quando si discute di migranti, oppure di rapporti con la Russia e l’ex area sovietica. Né aiuta la relativa fragilità delle leadership tedesca e francese, l’una appena insediatasi al potere, l’altra attesa in primavera da una sfida elettorale. L’Italia può offrire all’Ue un supporto di autorevolezza? Parliamone dopo l’elezione del presidente della Repubblica, di qui a cinque / sei settimane.

La risposta all’Occidente. Il Vertice virtuale Russia – Cina


Le cose con Biden non vanno bene. E allora Putin e Xi si cercano e si tengono bordone a vicenda: messe da canto tensioni e rivalità, Cina e Russia esibiscono la solidità delle relazioni bilaterali che “hanno superato varie tempeste e dimostrano nuova vitalità”. Parole di presidenti stando ai resoconti del secondo Vertice 2021, durato un’ora e mezzo il 15 dicembre, fra Vladimir Putin e Xi Jinping. Mentre esaltano il loro bilateralismo, Cina e Russia, incuranti della contraddizione, si presentano come “il pilastro del vero multilateralismo e gli alfieri dell’equità e della giustizia internazionali”. L’incontro virtuale tra Xi e Putin ha chiuso il triangolo scaleno delle consultazioni fra i tre maggiori protagonisti della politica mondiale, dopo i Vertici sempre virtuali tra il presidente Usa Joe Biden e Xi il 15 novembre, con lo spettro d’una ‘riannessione’ di Taiwan sullo sfondo, e tra Biden e Putin il 7 dicembre, con le tensioni sull’Ucraina in primo piano. Ed è stato pure una risposta al Vertice delle Democrazie convocato da Biden senza mandare l’invito né a Xi né a Putin.

I rapporti tra Usa, Russia e Cina disegnano un triangolo scaleno che è quasi isoscele, perché il lato più corto corre tra Mosca e Pechino, mentre Washington è pressoché equidistante. Tra Usa e Cina, c’è una sfida proiettata nel XXI Secolo; tra Usa e Russia, un confronto nel presente. Per Xi e per Putin, il deterioramento delle relazioni con Biden ha coinciso con il deterioramento delle relazioni con gli alleati europei degli Stati Uniti. Prima del loro Vertice, il G7 dei ministri degli Esteri ha denunciato l’ammasso di truppe di Mosca sui confini con l’Ucraina e le violazioni dei diritti fondamentali a Hong Kong e nello Xinjiang, oltre che l’aggressività di Pechino (solo verbale finora) verso Taiwan. Nel concreto, Xi e Putin non sono andati molto oltre altisonanti, ma generiche dichiarazioni di unità d’intenti e di volontà di cooperazione. Il leader cinese è disponibile a “nuovi piani di cooperazione in vari campi, per lo sviluppo duraturo e di alta qualità dei legami bilaterali”. Quello russo ritiene che sia stato “forgiato un nuovo modello di cooperazione tra i due Paesi”, determinati a trasformare il loro confine comune “in una cintura di pace eterna e di buon vicinato”. In polemica con Biden, che ha deciso il boicottaggio diplomatico dei Giochi olimpici invernali 2022 di Pechino, Xi e Putin si sono scambiati cortesie olimpiche, contro “ogni tentativo di politicizzare lo sport e il movimento olimpico”. Putin andrà a Pechino per l’inaugurazione, come Xi andò a Sochi nel 2014.

Un negoziato Russia-Usa-Nato che parte con il piede giusto

E Pechino – dicono a Mosca – ha dato “pieno sostegno” a un’iniziativa russa per ottenere “garanzie di sicurezza” dall’Occidente. Quasi per assurdo, le premesse per un negoziato di successo ci sono tutte: gli uni, i russi, pongono condizioni che sono consci che gli altri, gli americani, non possono accettare, un potere di veto sulle loro future alleanze; e gli altri difendono un diritto – di fare aderire alla Nato Ucraina, Georgia, Moldavia e quant’altri lo voglia – che non hanno intenzione d’esercitare e che neppure possono esercitare, perché lo stesso Trattato dell’Atlantico del Nord lo esclude (Paesi con conflitti interni non possono entrare nell’Alleanza). Ciò vuol dire che entrambe le parti sanno a priori di non potere restare fino in fondo sulle posizioni di partenza, anche se, ovviamente, le dichiarazioni iniziali sono oltranziste. Mosca invita Washington a prendere sul serio la bozza di Trattato trasmessale a metà dicembre, perché – afferma il vice-ministro degli Esteri Serguiei Ryabkov – “la situazione globale rimane piuttosto tesa”.  Washington replica, via la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki, che “non ci saranno colloqui sulla sicurezza europea senza i nostri alleati e partner europei”. Le bozze di Trattati inviate dalla Russia agli Usa e alla Nato sono analoghe, ma diverse: otto articoli per gli Usa, nove per la Nato. Vi viene tracciata una linea rossa già esplicitata nell’ultimo colloquio il 7 dicembre tra Putin e Biden: che l’Occidente si tenga fuori dalla sfera d’influenza russa, cioè dall’ex Unione sovietica – fatti salvi i Paesi Baltici, ormai dati per persi -, e si astenga “da qualsiasi ulteriore allargamento Nato”. I Paesi dell’Alleanza dovrebbero inoltre impegnarsi “a non condurre alcuna attività militare sul territorio dell’Ucraina e di altri Stati dell’Europa dell’Est o del Caucaso del Sud o dell’Asia Centrale”. Le proposte prevedono la creazione di una ‘hotline’ tra Mosca e la Nato, l’impegno a non spiegare “armi nucleari al di fuori del territorio nazionale” e a riportare in patria “le armi già spiegate al di fuori dei confini all’entrata in vigore del trattato”, eliminando tutte le infrastrutture all’uopo create e rinunciando ad addestrare “personale militare o civile di Paesi che non possiedono armi nucleari all’uso di tali armi”. Le clausole nucleari, così come scritte, sono inaccettabili per gli Usa e la Nato, perché lascerebbero l’Europa esposta a un attacco nucleare russo senza possibilità di risposta immediata. Il linguaggio ha passaggi da XX Secolo, dell’epoca dei negoziati nucleare tra Usa e Urss che, comunque, garantirono il mantenimento dell’ ‘equilibrio del terrore’: non a caso, fra i documenti di riferimento citati, vi sono l’Atto di Helsinki del 1975 e la Carta per la sicurezza europea del 1999. E, ricordato che “non ci possono essere vincitori in una guerra nucleare”, Putin invita Biden ad evitare l’azzardo di Barack Obama di derubricare il suo Paese a “potenza regionale”.

L’Europa resta un passo indietro

Nonostante torni a essere terreno di negoziato, l’Unione non riesce per ora a trasformare il triangolo in quadrilatero. Dei Vertici di fine anno, il meno significativo è proprio quello dei 27, incerti sul che fare contro i sussulti della pandemia e impreparati ad andare a fondo su altri temi.

Se il 1° gennaio 2022 è il ventennale della messa in circolazione di banconote e monete in euro, pochi progressi nell’approfondimento dell’integrazione sono stati fatti da allora; anzi, ci sono stati palesi passi indietro, con l’ampliamento e i rigurgiti d’egoismi nazionali innescati dalla doppia crisi del 2008 e del 2011, dal fenomeno delle migrazioni e dall’emergenza sanitaria. Il 2022 sarà l’anno del colpo di reni dell’Ue? Sperarlo non basta, bisogna farlo.


[1] Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano e pubblicato l’11 novembre 2021. https://www.ilfattoquotidiano.it/2021/11/11/migranti-al-confine-bielorussia-polonia-chi-di-erdogan-ferisce-di-lukashenko-perisce/6388078/

[2] Scritto per il Corriere di Saluzzo dello 2 dicembre 2021

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