Il terzo dossier dedicato da Democrazia futura a Draghi si conclude con un pezzo di Massimo De Angelis di denuncia de “Lo stato pessimo dell’informazione e l’autunno della democrazia in Italia” intravedendo – come recita l’occhiello – “Dietro la campagna fuori i partiti dalla Rai la volontà di realizzare uno spostamento di potere Democrazia versus populismo, europeismo versus sovranismo: due dilemmi entrambi farlocchi”. Lo “stato di salute [dell’informazione] è pessimo. C’è stato l’effetto pandemia. Che ha spinto i giornalisti – scrive De Angelis – a essere e sentirsi deontologicamente diffusori delle direttive e convincimenti del governo e degli istituti sanitari piuttosto che amministratori e diffusori di notizie e opinioni plurali […]. Sino a non molto tempo fa vi era un certo pluralismo informativo: la carta stampata era in mano ai poteri economici, la televisione alla politica. Poi è nata Mediaset che ha comportato nuovi equilibri. Ma poi, ed è questo l’effetto più grande, la televisione, anche quella pubblica, è sempre più uscita dal controllo dei partiti, sia per il fatto che prima con Mario Monti ora con Mario Draghi le nomine sono state della tecnocrazia, sia perché a favorire questa tendenza c’è stata una martellante campagna (fatta a seconda dei casi in buona e cattiva fede) volta a “togliere la Rai dalla mano dei partiti” senza chiarire in quali altre “mani” essa dovesse finire.Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nelle tv si offre al popolo (accanto al divertimento e al calcio che nessuno mette in discussione se non per la qualità): a) il panem et circenses dei talk show sempre più sciatti, monotematici e sempre con gli stessi ospiti di parte; b) la sopraddetta propaganda governativa nei tg c) si nascondono le notizie scomode. Quanto ai grandi giornali sono perfettamente allineati a questo trend oltre che malinconicamente sempre più l’uno fotocopia degli altri. Per […] esempio nessuno ha anticipato, raccontato e spiegato la vicenda Tim che è di importanza strategica, come del resto quasi nulla si è chiarito sulla vicenda MontePaschi […] Per De Angelis “Vi sono stati eventi, alcuni anche tragici che hanno indebolito la democrazia dei partiti (l’unica, con tutte le varianti che si vogliono, a oggi conosciuta). Innanzitutto il taglio al finanziamento dei partiti. Finanziare la politica è necessario se si vuole la democrazia Noi abbiamo voluto tagliare i fondi pubblici, poi non regolare bene quelli dei cittadini e demonizzare quelli privati. A questo si è aggiunto l’altro demagogico colpo pentastellato del taglio di seggi a Camera e Senato. Nel mezzo naturalmente c’è stato Tangentopoli. Il risultato è che il taglio al finanziamento buono ha fatto prosperare quello cattivo. Che i partiti per sopravvivere hanno occupato le istituzioni e che negli stessi partiti hanno primeggiato i lesti nel trovare fondi. lo smantellamento dei partiti avvenuto alla fine della Prima Repubblica […] ha portato a un infragilimento strutturale del sistema democratico e a un rafforzamento di quello economico-finanziario e di quello giudiziario. Tutto ciò ha portato, a sua volta, a una crisi del momento della rappresentanza democratica e questo in una fase di grandiose trasformazioni della composizione sociale e del lavoro, legate a innovazione tecnologica e globalizzazione, che avrebbe richiesto viceversa un plus di rappresentanza. […]. La crisi della rappresentanza (partiti e sindacati innanzitutto, corpi intermedi in genere) è profonda e sembra destinata ad aggravarsi. I partiti, in particolare, vedono crollare la loro capacità di rappresentanza ma da ultimo anche la loro capacità di governo.In tal senso l’esperienza Draghi se pure è positiva dal punto di vista del governo dell’emergenza sancisce, come pure è stato detto, il fallimento della capacità di governo dei partiti. Né è realistico pensare a una divisione dei compiti: la tecnocrazia che governa e i partiti che raccolgono il consenso: il record di affluenza alle urne alle scorse elezioni nelle grandi città segnalano una delegittimazione dei partiti anche in chiave di rappresentanza e questo lascia prevedere che, rimanendo così le cose, ai vecchi populismi succederanno fenomeni ancora più radicali”. Se il dilemma democrazia versus populismo è farlocco […] lo è anche quello europeismo versus sovranismo agitato almeno dieci volte al giorno in ogni tg e talk show di La 7”. L’Ue sta uccidendo la sovranità democratica europea e dissanguando quella delle democrazie nazionali in nome di una governance informale che ha ai suoi vertici potere finanziario, tecnostrutture e poteri giuridici accanto a un potere governativo essenzialmente delegato al consiglio dei governi guidato da Parigi e Berlino. Altro che Bruxelles insomma! Riassunto in un decalogo il quadro in cui operano le attuali istituzioni dell’Unione Europea, la sentenza è molto severa: “La democrazia europea priva di una Costituzione, senza un effettivo governo e con un Parlamento è una chimera. O per parlar chiaro una gigantesca presa in giro. E parlare di europeismo versus sovranismo è una boutade.
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Qual è lo stato della democrazia italiana?
In proposito metterei a fuoco tre punti.
Il primo è quello dell’informazione, il cui stato di salute è pessimo.
C’è stato l’effetto pandemia. Che ha spinto i giornalisti a essere e sentirsi deontologicamente diffusori delle direttive e convincimenti del governo e degli istituti sanitari piuttosto che amministratori e diffusori di notizie e opinioni plurali. Essi Hanno così un po’ anticipato quanto richiesto in modo insieme goffo e preoccupante dal senatore a vita Mario Monti in una recente sua comparsa in televisione sostenendo che vi è contrasto tra emergenza e informazione democratica. Tale tendenza ha avuto un pesante effetto distorsivo sul mondo dell’informazione che sembra destinato ad aver carattere permanente anche perché va al di là del caso specifico e ha alla base dei dati strutturali.
Sino a non molto tempo fa, infatti, vi era un certo pluralismo informativo: la carta stampata, privata, era in mano ai poteri economici, la televisione, pubblica, alla politica. Poi è nata Mediaset che ha comportato nuovi equilibri.
Ma poi, ed è questo l’effetto più grande, la televisione, anche quella pubblica, è sempre più uscita dal controllo dei partiti, sia per il fatto che prima con Mario Monti ora con Mario Draghi le nomine sono state pilotate dalla tecnocrazia, sia perché a favorire questa tendenza c’è stata una martellante campagna (fatta a seconda dei casi in buona e cattiva fede) volta a “togliere la Rai dalla mano dei partiti” senza chiarire per nulla, però, in quali altre “mani” essa dovesse finire.
L’effetto è stato, psicologicamente, quello di rendere anche i giornalisti Rai in qualche modo intimiditi e subalterni alla logica della “libertà” dell’informazione che poi si traduce in una informazione che è sempre meno ospitale verso opinioni plurali e sempre più si omologata intorno al pensiero predominante e, aggiungerei per chiarezza, più forte. Quello legato agli oligopoli economico-finanziari per essere ancora più chiaro.
La campagna: “fuori i partiti” e quindi la politica e quindi il Parlamento dalla Rai è stata una delle più potenti armi propagandistiche per sdemocratizzare l’informazione e per realizzare un formidabile spostamento di potere.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: nelle televisioni, soprattutto private ma anche pubbliche, si offre al popolo (accanto al divertimento e al calcio che nessuno mette in discussione se non per la qualità):
- il panem et circenses dei talk show sempre più sciatti, monotematici e sempre con gli stessi ospiti di parte;
- la sopraddetta propaganda governativa nei tg
- si nascondono le notizie scomode.
Quanto ai grandi giornali sono perfettamente allineati a questo trend oltre che malinconicamente sempre più l’uno fotocopia degli altri. Per fare due soli esempi di questi giorni nei quali scrivo (ultimi di novembre):
1) nessuno ha anticipato, raccontato e spiegato la vicenda Tim, che è di importanza strategica, come, del resto, quasi nulla si è chiarito sulla vicenda Monte dei paschi;
2) per mesi il Quirinale e il governo hanno lavorato ai trattati del Quirinale che impegneranno la sovranità del Paese nei confronti della Francia, molti suppongono in posizione per noi subalterna e svantaggiosa ed è verosimile, eppure nessuno ha detto una parola, tranne qualche giornale di destra naturalmente povero di notizie e anatemizzato comunque dal pensiero dominante. Figuriamoci poi se della questione si è occupato il Parlamento!
Tutto ciò rimanda ai due successivi punti che voglio trattare e che rimandano al tema della sovranità. Chi analizzerà dopo di noi e a mente fredda la fine della DEMOCRAZIA ITALIANA si imbatterà in alcuni eventi cruciali e in alcuni slogan. Partiamo da questi ultimi
1) fuori i partiti (da tutto il possibile);
2) democrazia versus populismo;
3) europeismo versus sovranismo.
Fuori i partiti (da tutto il possibile) taglio dei finanziamenti ai partiti e indebolimento della democrazia
Vi sono stati eventi, alcuni anche tragici che hanno indebolito la democrazia dei partiti (l’unica, con tutte le varianti che si vogliono, a oggi conosciuta).
Innanzitutto il taglio al finanziamento dei partiti. Finanziare la politica è necessario se si vuole la democrazia. In Germania si finanziano con fondi pubblici le fondazioni e sembra un buon metodo.
Noi abbiamo voluto tagliare i fondi pubblici, poi non regolare bene quelli dei cittadini e demonizzare quelli privati. A questo si è aggiunto l’altro demagogico colpo pentastellato del taglio di seggi a Camera e Senato (si guardino i numeri del Bundestag tedesco). Nel mezzo naturalmente c’è stato Tangentopoli.
Il risultato è che il taglio al finanziamento buono ha fatto prosperare quello cattivo. Che i partiti per sopravvivere hanno occupato le istituzioni e che negli stessi partiti hanno primeggiato i lesti nel trovare fondi. Insomma si è voluto mettere la politica con le spalle al muro. E si badi, altra notazione importante: non è che colpendo così i partiti si alleggeriscano il peso e i costi dello Stato.
È vero esattamente il contrario. Perché i partiti per sopravvivere sono portati a moltiplicare enti e centri di spesa per moltiplicare posti da occupare e denaro da drenare in un’operazione di sopravvivenza.
Mi riferivo prima a eventi tragici della nostra democrazia. Perché è evidente che la vicenda Moro aveva già segnato le sorti della Repubblica democratica. La seconda Repubblica si può ormai dire che non è mai nata ma è risultata sempre più la copia brutta e degenerata della prima.
Due dilemmi taroccati: Democrazia versus populismo ed europeismo versus sovranismo.
Messo così è difficile non essere d’accordo col primo corno dei due dilemmi. Il problema è che i due dilemmi sono taroccati.
Che cosa è infatti accaduto, in Italia ma in modo meno evidente anche altrove in Europa?
Si è già detto dello smantellamento dei partiti avvenuto, alla fine della Prima Repubblica, sia con l’operazione Mani pulite sia con la campagna mediatica (Corsera e Repubblica all’unisono, svolta al grido di fuori i partiti e aggiungiamo abbasso la casta (quale casta? Quella dei D’Alema dei Berlusconi, dei Craxi e degli Andreotti ma non certo quella di lorsignori De Benedetti, Bazoli e via cantando. Il salotto buono, insomma).
Essa ha portato a un infragilimento strutturale del sistema democratico, ovvero ad una perdita di duttilità delle sue istituzioni, a uno scadimento anche qualitativo del personale politico così pesantemente delegittimato, e a un rafforzamento di quello economico-finanziario e di quello giudiziario.
Tutto ciò ha comportato, a sua volta, una crisi del momento della rappresentanza democratica e questo in una fase di grandiose trasformazioni della composizione sociale e del lavoro, legate a innovazione tecnologica e globalizzazione, che avrebbe richiesto viceversa un plus di rappresentanza.
Che l’effetto sia stato l’emergere in Italia ma anche altrove (vedi in primo luogo Francia) di fenomeni populisti era il minimo che ci si potesse aspettare.
La crisi della rappresentanza di partiti e sindacati
La crisi della rappresentanza (partiti e sindacati innanzitutto, corpi intermedi in genere) è profonda e sembra destinata ad aggravarsi. I partiti, in particolare, vittime di una lunga e pesante delegittimazione, vedono crollare la loro capacità di rappresentanza ma da ultimo anche la loro capacità di governo.
In tal senso l’esperienza Draghi se pure è positiva dal punto di vista del governo dell’emergenza sancisce, come pure è stato detto, il fallimento della capacità di governo dei partiti. Né è realistico pensare a una divisione dei compiti: la tecnocrazia che governa e i partiti che raccolgono il consenso: il record di non affluenza alle urne alle scorse elezioni nelle grandi città segnalano una delegittimazione dei partiti anche in chiave di rappresentanza e questo lascia prevedere che, rimanendo così le cose, ai vecchi populismi succederanno da una parte crescente astensionismo, dall’altra fenomeni ancora più radicali.
Abbiamo con ciò spiegato, mi pare, che il dilemma democrazia versus populismo è farlocco.
L’altro dilemma farlocco. Europeismo versus sovranismo
Ma lo è anche quello europeismo versus sovranismo agitato almeno dieci volte al giorno in ogni tg e talk show di La 7.
La vicenda della crisi del sistema democratico italiano di cui abbiamo parlato non sarebbe comprensibile fuori dal contesto internazionale. Già negli anni Ottanta iniziò un massiccio spostamento di poteri fuori dalla dimensione nazionale. Dislocamenti industriali e finanziari da un lato, spostamento di poteri istituzionali e giuridici dal Paese all’Europa.
Su che cosa si deve porre in proposito l’accento?
- Il potere che meno si è strutturalmente spostato è stato quello della rappresentanza e della governabilità politica.
- Come si sa la Costituzione europea è stata bocciata.
- Il Parlamento europeo non ha che pochi poteri.
- La stessa Commissione ha poteri limitati e per solito definisce indirizzi e prende iniziative su mandato poco trasparente ma vincolante di alcuni governi.
- Più organico sembra essere stato lo spostamento di competenze giuridiche (ratificate poi da Parlamento e Commissione) e soprattutto di quelle finanziarie.
- Se dovessimo fotografare l’equilibrio di poteri in Europa potremmo dire che i poteri più pesanti sono quelli finanziari privati che influiscono a loro volta sulla Bce. È questo il vero motore immobile del potere europeo.
- Accanto vi è il consiglio dei governi che, a sua volta, ha al centro i governi tedesco e francese. Bce e Consiglio dei governi, a loro volta, indirizzano la Commissione e traggono forza di indirizzo dalle varie Corti di giustizia.
- Il tutto sulla base di trattati complicati che funzionano da vincolo poco trasparente sia sul Parlamento che sulla Commissione che sullo stesso consiglio intergovernativo.
- E ancora su una congerie di norme, direttive, raccomandazioni eccetera di cui è impossibile seguire filo e logica e l’unica possibilità è quella di scansare per quanto possibile e infine adeguarsi.
- Aggiungiamo ancora a tutto ciò il meccanismo dell’unanimità e il fatto, come detto, che il Parlamento ha ben pochi poteri.
Quale è il succo?
La democrazia europea senza Costituzione, senza un effettivo governo e con un Parlamento debole è una chimera.
O per parlar chiaro una gigantesca presa in giro.
E parlare di europeismo versus sovranismo è una boutade.
Un’Unione senza sovranità democratica. Restaurare una democrazia europea e i suoi valori liberali e democratici, respingere la sua metamorfosi in una demokratura opaca post-democratica
L’Unione europea sta uccidendo la sovranità democratica europea e dissanguando quella delle democrazie nazionali in nome di una governance informale che ha ai suoi vertici potere finanziario, tecnostrutture e poteri giuridici accanto a un potere governativo essenzialmente delegato al consiglio dei governi guidato da Parigi e Berlino.
Altro che Bruxelles insomma!
Grandi banche e grandi gruppi, Francoforte, Parigi, Berlino, più un po’ di sedi delle corti giuridiche. Ecco il Potere europeo.
Si aggiunga a ciò il tema del mercato e della concorrenza, principi giusti, certamente, ma che eretti a dogma e fuori da ogni regolazione politica possono condurre solo alla concentrazione in poche mani di enormi quantità e asset economici e finanziari.
Che dire per concludere?
La sfida oggi è tra chi pensa a restaurare una democrazia europea e chi vuole in realtà trasformare l’Europa in un organismo a guida giuridico-finanziaria. Da questo punto di vista la morte della democrazia italiana sancita da Mani pulite ha come sempre anticipato fenomeni europei.
Il guaio è che chi ha decapitato la democrazia, italiana ed europea, osa alzare le bandiere della democrazia (contro il populismo) e dell’europeismo (contro il sovranismo). Una autentica infamia.
Starà alla “next generation eu”, quella in carne e ossa però e non quella delle algide sale tecnocratiche europee, decidere se vorrà riprendere i valori liberali e democratici dell’Europa moderna o accettare la loro metamorfosi in un opaco potere post-democratico, una sovranità popolare con amministratori delegati privati. Una demokratura.