La recensione

Democrazia Futura. L’eredità retorica di Pasolini: Il lavorio della sineciosi

di Cinzia Giordano, laureata in filosofia, critico cinematografico e letterario |

Accostare, con un unico verbo, due termini opposti, al fine di esprimere, ad un tempo, due contrari.

Cinzia Giordano

Per la rubrica di Democrazia futura, Tiro a segno, recensendo la raccolta di studi a cura di Luciano De Fiore “Il lupo avrà il sorriso? Conversazioni su Pier Paolo Pasolini” (Roma Castelvecchi, 2022, 120 p.), una giovane filosofa Cinzia Giordano si sofferma su “L’eredità retorica di Pasolini: il lavorio della sineciosi”, ovvero su quell’espediente retorico – di cui faceva largo uso lo scrittore friulano – che consente – come recita l’occhiello – di ‘”accostare, con un unico verbo, due termini opposti, al fine di esprimere, ad un tempo, due contrari”.

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Dalla critica pasoliniana quasi asfissiante nel culto dell’anniversario che ricorre attualmente, Il lupo avrà il sorriso? Conversazioni su Pier Paolo Pasolini[1] si distingue per la delicata capacità di fare dell’autore materia di dialogo senza apporvi la possessività pronominale, la risolutezza dello studio: ogni voce chiamata a conversare dalla curatela di Luciano De Fiore(Piero Colussi, Massimo De Angelis, Gaetano Lettieri, Antonio Monda, Bruno Moroncini, Walter Tocci) si apre al passaggio di un’eco di contraddittorio, rivelando già in questo l’autenticità dell’incontro con Pier Paolo Pasolini, in quanto della sua opera conserva «quella sostanza antagonista che aveva quando fu immaginata e creata»[2] — consentendo un’analisi rinnovata dei contenuti ricorrenti nella sua poetica. Comincia nel solco scavato dalla vita sulle acque del Tagliamento nella formazione giovanile di Pasolini, lì dove avviene l’incontro con la terra contadina che gli insegna il lirismo del dialetto, l’amore; e poi quel senso di sacro, non confessionale, come modalità di sguardo sulle cose, come fede nella verità degli ultimi da difendere con il proprio impegno politico.

All’insieme dei primi tre capitoli che fluiscono lungo questi temi (attraversando il rapporto con il quadro politico e con la Chiesa, la dialettica tra progresso e sviluppo, il metro apocalittico sul futuro), segue quello dedicato all’universo cinematografico e alle reciproche influenze con gli Stati Uniti, un opposto angolo di mondo in cui risuona urlata nella rivolta delle Black Panthers la necessità di gettare il proprio corpo nella lotta — drammaticamente unanime alla pulsione poetica e corporea sempre eccedente, discussa prima di arrivare alla conclusione, fisica e cartacea, nello spazio urbano di Roma, che estende i suoi interrogativi anche a come, oggi, la città possa essere esperita.
Le pagine scorrono lucide, anzi risplendenti di dedizione alla ricerca e per questo non auto compiaciute ma disposte alla potenzialità del dubbio, all’eventualità di contraddirsi; quindi perfettamente aderenti alla forma dialogica, per sua natura contraria ad ogni chiusura sistematica com’è nello spirito dell’arrabbiato —  per Pasolini idealmente, meravigliosamente incarnato proprio da Socrate.

Per ogni eterno ragazzo eternamente tremante nella volontà di sapere[3], è perciò nell’invito a permanere nel lavorio della sineciosi (come attitudine esistenziale) che va cercata l’eredità del maestro, alla luce del quale anche il non detto della morte ha la sensatezza di atto semiologico, suggellando in esempio l’azione di un corpo fattosi carne martiriale della propria rabbia, del proprio desiderio.

Se allora «il tempo non è quello della vita quando vive, ma della vita dopo la morte»[4], hanno ragion d’essere non le domande spesso cretinamente malinconiche — e se quella notte fosse andata diversamente? E se potesse ancora esprimersi sull’oggi? — ma quelle capaci di vedere nel compiuto una risorsa che problematizzi l’avvenire, nella postura che è dell’Angelo di Walter Benjamin ma anche di Pasolini: «spalle al futuro, dal quale pure è chiamato e verso il quale è trascinato, lo sguardo rivolto ad un passato di rovine»[5].

È accogliendola in sé che il testo in esame sfugge a letture e riscritture desaturate di urgenza per lo stato delle cose e per le minacce che può tacitamente covare, come nel fondo di quel sorriso che non esclude l’eventualità di allargarsi su un volto ferino non mansueto, ma solo meglio addestrato al Potere più subdolo; che ammalia nella tolleranza edonistica e nominale in quanto concessa dall’alto, rischiando di annichilire lo slancio dell’animalità più vera perché eversiva, perché «più è sacro dov’è più animale/ il mondo»[6].

Pier Paolo Pasolini

Ogni forza del passato, compresa quella che identifica questo astro comune, chiede infatti di essere mantenuta in tensione; non ridotta al compianto che soventemente annulla l’amore invece bruciante, più disperato proprio nella sua incapacità di trasformarsi in odio verso un reale pur abiurato: quella marmorea volontà[7]di restare dentro l’inferno perdurava in Pasolini finanche nei versi-testamento di Saluto e augurio, che malgrado l’ammissione di una fatica ormai difficile da sostenere, tuttavia continuava a rifiutare la resa: «Prendilo tu questo peso/ ragazzo che mi odi: portalo tu. Risplende nel cuore. E io/ camminerò leggero, andando avanti, scegliendo per sempre// la vita, la gioventù»[8].

L’esortazione ultima è ancora quella ad una disperata vitalità, allo splendore che r-esiste nell’oscurità vischiosa del petrolio—in baluginio di lucciola capace di indicare una scintilla che non accende la catastrofe, ma anzi indica sentieri di possibile erosi nella pietrosità apocalittica: in questo spazio flebile deve innestarsi la deontologia di studiosi e l’impegno civile affinché con le proprie arborescenze possano davvero realizzare per il mondo il sogno di una cosa, in una rivoluzione che «non si fa soltanto per chi verrà nel futuro, ma si fa per dare giustizia e compimento al desiderio dei nostri antenati; desiderio rimasto sospeso, incompiuto»[9].


[1] Luciano De Fiore (a cura di), Il lupo avrà il sorriso? Conversazioni su Pier Paolo Pasolini, Roma, Castelvecchi, 2022, 120 p.

[2]Il lupo avrà il sorriso? Conversazioni su Pier Paolo Pasolini, op. cit., p. 5.

[3] Si veda Pier Paolo Pasolini, “Ad un ragazzo”, da La religione del mio tempo, Poi raccolto in Tutte le poesie. Tomo I, a cura e con uno scritto di Walter Siti, Milano Mondadori, «i Meridiani», 2003, CXXXIV, 1794 p. [il passo è alle pp. 951 e sgg.]

[4] Pier Paolo Pasolini, Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 1972, 305 p. [il passo è alla p. 260].

[5]Il lupo avrà il sorriso? Conversazioni su Pier Paolo Pasolini, op. cit. alla nota 1, p. 7.

[6]Pier Paolo Pasolini, “L’Umile Italia”, da Le ceneri di Gramsci, in Tutte le poesie. Tomo I, op. cit. alla nota 3, p. 804.

[7] Si veda Pier Paolo Pasolini, “Picasso”, da Le ceneri di Gramsci, poi raccolto in: Tutte le poesie. Tomo I, ibidem, p. 793.

[8] Pier Paolo Pasolini, Saluto e augurio, da La nuova gioventù, inTutte le poesie. Tomo II, a cura e con uno scritto di Walter Siti, Mondadori, «i Meridiani», 2003, 2015 p. [il passo è a p. 518].

[9]Il lupo avrà il sorriso?Conversazioni su Pier Paolo Pasolini,op.cit. alla nota 1,  p. 93.

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