Il bilancio

Democrazia Futura. Le ombre e le incertezze del governo Meloni

di Marco Severini, docente di Storia dell’Italia Contemporanea all’Università di Macerata |

Democrazia futura ha chiesto ad alcuni storici e scienziati politici di scrivere un primo bilancio del nuovo governo di centrodestra, il primo presieduto da una donna. Il primo ad esprimersi sulle nostre colonne è lo storico contemporaneo Marco Severini con un vero e proprio saggio intitolato "Le ombre e le incertezze del governo Meloni".

Principi di fondo e questione di stile

Marco Severini

I toni nella politica italiana agli inizi del 2024 sono troppo accesi, mentre la classe dirigente si rivela incapace di gestire i maggiori problemi del Paese e il Parlamento conferma una certa irrilevanza, dal momento che oltre il 70 per cento delle leggi emanate nel 2023 sono risultate di iniziativa governativa[1]: il governo Meloni ha evidenziato, nel suo primo anno di vita, non solo la tendenza ad accentrare su di sé la produzione legislativa, ma si è classificato primo sia per i decreti leggi pubblicati al mese sia per le questioni di fiducia poste in media al mese; d’altro conto, il leggero incremento delle interrogazioni scritte che hanno ricevuto risposta (19 per cento) costituisce un dato decisamente modesto per una moderna regime democrazia repubblicana[2].

Questa democrazia, giunta al suo 74esimo anno di vita, si basa sulla matrice antifascista di padri e madri costituenti e sulla carta costituzionale entrata in vigore il 1° gennaio 1948. Il fatto che la nostra Costituzione è antifascista trova ragione non solo nella XII Disposizione transitoria e finale

«È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»

ma, soprattutto, nei valori e nei principi che propone, oltre che nelle tante interpretazioni rese dai giuristi.

I costituenti hanno adottato nello scrivere questa carta costituzionale la qualità degli statisti, la lungimiranza, cosicché, riprendendo una famosa espressione di Piero Calamandrei, la carta doveva essere «presbite e non miope».

E sulla scia del costituente fiorentino ha così osservato Vittorio Foa, altro costituente considerato uno dei padri fondatori della Repubblica:

Piero Calamandrei, che fu tra i costituenti più illustri, diceva che la costituzione è fatta di due parti, una parte dispositiva e una parte puramente programmatica; così la democrazia era solo in parte realizzata, nell’altra parte solo promessa. Questo è parzialmente vero. Ma una costituzione non può esprimere una realtà storica compiuta, sarebbe una pretesa eccessiva; essa esprime anche un processo in corso, le tendenze viste come impegni collettivi[3].

L’asse storico e simbolico della nostra cittadinanza repubblicana collega le due ricorrenze del 25 aprile e del 2 giugno: siccome la prima, specie nell’ultimo venticinquennio, è stata considerata dalla parte politica attualmente al governo del Paese una non-festa o una ricorrenza divisiva[4], alla vigilia dell’ultima ricorrenza che celebra la Resistenza non sono mancate dichiarazioni controverse, come quella della seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Ignazio La Russa (co-fondatore, insieme alla premier e all’attuale ministro della Difesa, di Fratelli d’Italia), che il 21 aprile in un’intervista a La Repubblica ha asserito che

«nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo».

Gli hanno replicato storici e costituzionalisti come Alfonso Celotto che ha dichiarato:

La nostra Costituzione è antifascista nell’anima, perché proclama una serie di diritti fondamentali inviolabili, come la libertà di voto, il pluralismo dei partiti, un sistema di divisione e bilanciamento dei poteri dello Stato, tutti elementi che contrastano con l’idea che era stata del fascismo di partito unico, di stato gerarchico, di assenza di elezioni e pluralismo[5].

Viene allora da chiedersi perché la premier Meloni non abbia mai rilasciato una dichiarazione di antifascismo, nonostante abbia giurato «di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della Nazione»[6].

Nella lettera pubblicata da Il Corriere della Sera il 25 aprile 2023 – il suo primo 25 Aprile da premier –, Giorgia Meloni augurandosi che quella ricorrenza costituisse «un momento di ritrovata concordia nazionale», ha rilevato che

«i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo»

e che

«il frutto fondamentale del 25 Aprile è stato, e rimane senza dubbio, l’affermazione dei valori democratici, che il fascismo aveva conculcato e che ritroviamo scolpiti nella Costituzione repubblicana»[7].

Ma non si è dichiarata antifascista[8].

In proposito di questa non irrilevante mancanza, ha osservato il presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo nel suo discorso in Piazza Duomo a Milano:

«Eppure ho letto e riletto l’articolo della Meloni oggi sul Corriere. Quella parola non c’è»[9].

Essere antifascisti oggi va innanzitutto declinato in maniera positiva, come ha ricordato Virginio Merola, presidente dell’Istituto Parri:

essere antifascisti significa comprendere e sostenere il valore fondante della nostra Repubblica e del federalismo europeo. È la radice da cui si diramano gli articoli della prima parte della nostra Costituzione, e l’indicazione base per la loro progressiva attuazione. […] La lotta tra democrazia e dittatura è purtroppo molto attuale nel mondo, come dimostra da ultima l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin. La lotta per la libertà, per i diritti umani, per i diritti civili e sociali è una lotta di liberazione che oggi vede l’Europa in prima fila contro chi nega la libertà e l’indipendenza dell’Ucraina e chi nel mondo attua una politica di repressione delle minoranze e della dignità umana. È una lotta per mantenere la memoria e la ricerca storica, per promuovere una didattica della storia della Resistenza, dell’antifascismo e della storia contemporanea che continuano invece ad essere spesso ignorate dai nostri programmi scolastici[10].

Tuttavia, la nostra democrazia parlamentare sta perdendo progressivamente il suo peso: mentre in altri Stati (Stati Uniti, Israele, Germania, Gran Bretagna, democrazie scandinave) le assemblee rappresentative rimangono al centro della vita politica – anche se in alcuni casi, come per la Brexit, vengono scavalcati da referendum –, in Italia invece il Parlamento vive una persistente stagione di declino, non già per la continua emorragia elettorale quanto per un effettivo scadimento del ruolo di Camera e Senato; alle cause strutturali di lungo periodo – come il trasferimento di decisioni alle autorità comunitarie – se ne aggiungono altre specifiche: dalla decisione del primo governo Berlusconi (maggio 1994-gennaio ’95) di non rispettare la prassi di assegnare la presidenza della Camera all’opposizione (mantenuta dai successivi governi di centro-sinistra) all’assenza di adeguati dibattiti in aula su passaggi cruciali della vita nazionale (come il Pnrr e il Patto di stabilità) fino alla clamorosa trasformazione della proposta di tutte le opposizioni sul salario minimo in una delega governativa esautorante il Parlamento stesso. Ancora è del tutto evidente come dal 2006 i parlamentari italiani non vengano «eletti» dai cittadini ma «nominati» dalle segreterie dei partiti attraverso liste bloccate. Ha opportunamente osservato il politologo che nel 2011 ha presentato una proposta (poi non concretizzatasi) di referendum per l’abolizione delle liste bloccate:

Un Parlamento che non esamina la legge di bilancio, che non dibatte adeguatamente le principali decisioni in materia di politica europea ed estera, che non delibera tempestivamente i grandi interventi di politica industriale, che non si cura che l’Italia sia l’ultimo dei ventisette paesi europei (dati Ocse) per percentuale di spesa pubblica destinata all’istruzione, o destini alla sanità il 6,4 per cento del PIL anziché il 10 per cento come in Germania, è un Parlamento che non può rappresentare per l’opposizione un’arena in cui far sentire efficacemente la propria voce. Quanti lamentano la perdita di ruolo dell’opposizione dovrebbero anzitutto lamentare e combattere la perdita di ruolo del Parlamento[11].

I prossimi obiettivi del governo Meloni, che tiene insieme tre forze differenti sulla base di una logica di potere, sono stati esplicitati: il presidenzialismo-premierato, l’Autonomia differenziata – provvedimento approvato in Senato il 23 gennaio 2024 che, a detta di Pagliarulo, «potrebbe dividere il Paese in due parti: la serie A e la serie B, per esempio sulla sanità e sulla scuola»[12] –, il riavvicinamento all’Unione europea, il pieno conseguimento del Pnrr, il rilancio del Paese in politica estera, e altro ancora.

Tuttavia, Meloni sta guidando un governo composto da ministri il cui operato e la cui immagine hanno destato continue polemiche e diatribe.

Al di là del mancato rispetto del galateo istituzionale sottolineato da Ernesto Galli della Loggia[13], ce n’è stato davvero per tutti i gusti nel primo anno della prima donna a Palazzo Chigi: dal presidente Ignazio La Russa in versione Pm circa l’eventualità di avere un figlio omosessuale al ministro Gennaro Sangiuliano che al premio Strega ha votato per libri che non ha letto, dal manager Claudio Anastasio che, nominato dal governo alla presidenza di 3-I Spa, ha copiato parola per parola, in una mail inviata ai componenti del Consiglio di amministrazione, la rivendicazione dell’omicidio di Giacomo Matteotti da parte di Benito Mussolini limitandosi a sostituire il termine «fascismo» con l’azienda da cui, poi, si è dimesso 24 ore dopo, a seguito della pubblicazione della citata mail da parte de La Repubblica; ancora al ministro Francesco Lollobrigida – che come assessore regionale fece inaugurare nel 2012, ad Affile, in provincia di Roma, un monumento al generale Rodolfo Graziani, autore di feroci massacri in Africa nella prima metà del Novecento, definito dalle Nazioni Unite «criminale di guerra»[14] –  che ha fatto fermare un Frecciarossa per poter essere presente ad una manifestazione a Caivano o allo sconfortante «purtroppo sì» con cui la ministra Eugenia Roccella ha risposto alla domanda «l’aborto fa parte di una delle libertà delle donne?»[15]; quanto a Matteo Salvini, alla continua, eccessiva ricerca di visibilità coniugata con una povertà di contenuti[16], parlano per lui gaffes clamorose, come la creazione di una task force ministeriale di fatto già esistente[17], la lotta senza quartiere ingaggiata contro gli immigrati, le folgoranti dichiarazioni rese sul Ponte sullo Stretto di Messina di berlusconiana matrice[18], con tanto di numeri dati sui posti creati dall’infrastruttura[19], senza dimenticare lo stile con cui ha commentato, come si vede più avanti, il caso Ilaria Salis.

Anche alla prova del fact-checking, nel primo anno di governo Giorgia Meloni se l’è cavata male: su duecento dichiarazioni della presidente del Consiglio Meloni, il 59 per cento è risultato impreciso oppure poco o per nulla attendibile[20].

In particolare, tra la fine del 2023 e le prime settimane del 2024, l’attacco di Meloni e & contro gli organi di stampa è divenuto più cruento tanto da far intervenire la segretaria generale della Fnsi, Alessandra Costante, che ha ribadito come la premier «colpisce e delegittima tutti i giornalisti»[21].

Il direttore di Limes Lucio Caracciolo ha osservato, a proposito delle recenti invettive del ministro Lollobrigida contro il centrosinistra e i giornalisti, il 29 gennaio 2024, negli studi televisivi di La7:

Noi continuiamo a parlare di queste espressioni teatrali molto discutibili, ma non si entra mai nel merito di qualche questione seria. E io temo che parlare in questo modo non sia semplicemente una questione di estensione linguistica, ma sia una scelta di chi non sa esattamente quello che sta facendo o vuole fare e quindi parla d’altro[22].

È mancato lo stile, ma soprattutto il rispetto nei confronti della storia, falcidiata dalla seconda carica dello Stato nel suo discorso di inaugurazione senatoriale quando ha affermato di voler aggiungere alle tre principali festività nazionali (25 Aprile, Primo Maggio e 2 Giugno) «la data di nascita del Regno d’Italia che prima o poi dovrà assurgere a festa nazionale»[23].

Non pensiamo che una istituzione che ha sulla coscienza le firme che hanno sancito l’ingresso italiano nelle guerre mondiali, l’aggressione all’Etiopia e le leggi razziali, eccetera, debba assurgere a festa nazionale, tanto più in ragione del fatto che il voto referendario del 2 giugno 1946 ha determinato la cesura storica che da cittadini di un sovrano per diritto divino e volontà nazionale ci ha trasformati in cittadini repubblicani: uno svarione indubbiamente, particolarmente grave[24].

Prima del governo Meloni che ha come ministro dell’Agricoltura il citato Lollobrigida, cognato della premier (sposato con Arianna Meloni, sorella di Giorgia), l’ultimo governo nella storia italiana ad aver avuto due parenti nello stesso esecutivo è stato il governo Mussolini che presentava il genero del dittatore Galeazzo Ciano ministro prima della Stampa (1935-36) e poi degli Esteri (1935-43).

Mutamenti, oscillazioni e inesattezze

Se escono sondaggi sui provvedimenti del governo Meloni, i pareri negativi prevalgono su quelli positivi, ma non appena ci si sposta sulle intenzioni di voto, Fratelli d’Italia si conferma in prima posizione. A cosa è dovuto dunque il successo della premier ex missina? Poniamo sul piatto tre elementi.

Innanzitutto la sua figura pop e nazional-popolare, social e logorroica che, senza parlare un buon italiano e spesso inciampando su passate promesse e valutazioni dei problemi, continua a rassicurare l’elettorato giovanile e quello che una volta votava sinistra e centro del fatto che lei andrà avanti per la propria strada, che l’Italia è tornata grande e che il suo governo rimarrà stabile, senza più le datate prassi trasformistiche, le continue crisi ministeriali e i giochetti di potere che hanno nauseato un po’ tutti.

D’altra parte, l’immagine della premier sovranista, familista e machista, sempre più ingessata in look marziali e doppiopetti (applicando lo specifico nazionale del travestimento teatrale, «in cui l’apparenza consente di rinunciare alla sostanza»[25]), che si riserva di assumere le deliberazioni del caso anche all’ultimo nonostante la delicatezza di certe questioni (come la candidatura all’europee), risulta premiata in termini sondaggistici, anche perché l’inettitudine della classe dirigente post missina è perfettamente funzionale al suo primato, il che consolida la sensazione che sia una donna sola al comando e che pure a lei, prima o poi, l’elettorato riservi il benservito[26].

In secondo luogo, questa permanenza carismatica in pole position viene continuamente corroborata dal crescente astensionismo elettorale e, soprattutto, dalle divisioni tra le forze di opposizione: tale immagine sfilacciata influenza i sondaggi dove si è ribaltata la tendenza secondo cui essi premiavano chi dava «voce ai mal di pancia procurati da chi comanda»[27].

In terzo luogo, il fronte meloniano si allarga a macchia d’olio, intruppando parenti – si pensi al ruolo strategico della sorella Arianna Meloni, responsabile della segreteria politica e del tesseramento di FdI [28], che recentemente ha classificato tra le «rinunce» e i «sacrifici» l’andare a fare shopping al centro di Roma con la sorella premier[29] – , fedelissimi, amici[30], compagni di militanza, giornalisti e intellettuali, oltre al “partito storicamente forte nella penisola”, composto dai sempre pronti a salire sul carro del vincitore e a proporsi con il cappello in mano, prima, durante e dopo[31]. Al di là di quello che la premier ha affermato sulle poltrone dei corifei, la stagione dell’amichettismo non è per niente finita e, mescolandosi con quella del familismo, si ripropone con forza.

Ma su quante cose la premier ha cambiato idea e narrazione? Tante, troppe.

Partiamo dalla Meloni pre-premier. Già nella campagna elettorale del 2022 Meloni aveva mutato indirizzo su quattro temi centrali:

  • sui rapporti con la Russia, transitando da una vicinanza al tempo delle sanzioni imposte dall’Unione europea (2014) consolidata con le congratulazioni a Putin per la vittoria nelle presidenziali del 2018 al sostegno al regime sanzionatorio dopo l’invasione dell’Ucraina, occasione in cui ha ribadito l’appoggio di Fratelli d’Italia alla comunità internazionale e alla Nato;
  • sul rapporto con l’euro e sul ruolo dell’Italia all’interno dell’eurozona, passando dal dichiararsi favorevole all’uscita dall’euro (sempre nel 2014) al suo sostegno alla moneta unica, affermato a partire dal 2021;
  • sui diritti civili, ammorbidendo la sua contrarietà all’epoca dell’approvazione della legge del 2016 (alla ratifica l’allora deputata non era presente in aula);
  • sul tema dell’energia e della produzione nazionale di idrocarburi, favorevole con il suo partito nel 2016 al referendum abrogativo sulle trivellazioni e al divieto di rinnovo delle concessioni per l’estrazione di gas e petrolio nei giacimenti esistenti a poche miglia dalla costa italiana, per poi appoggiare, nel 2022, l’intensificazione delle estrazioni di gas naturale sul territorio italiano.

Così come da tifosa laziale (poco prima del 2000 si proclamava lazialissima e ha pure programmato un sito dedicato alla squadra biancoceleste, dove erano riportate brevi biografie dei calciatori, l’inno, i prezzi degli abbonamenti e le foto delle partite) è diventata accesa supporter romanista[32]; sono spuntate alcune vecchie chat degli anni Novanta nelle quali Giorgia, che in rete si faceva chiamare «la draghetta di Undernet», esternava il suo amore per la Lazio: «Sempre forza Lazio», scriveva nel 2003; e ancora: «Ormai solo la Roma può perdere qualsiasi cosa ci sia da perdere», per poi ribadire: «Sono laziale, anzi Lazialissima»[33].

Si può anche sorridere su questo aspetto, ma il tono diventa serio se consideriamo che, nonostante le sue vicende travagliate, il calcio costituisce pur sempre una delle principali realtà economiche del Paese, con un valore di circa 3,5 miliardi di euro, che sale a quasi 5 miliardi considerando i dilettanti e a 16 miliardi con l’indotto[34].

Sempre deputata, nel 2019, Meloni si è messa a girare video per contestare le accise pagate dagli italiani sulla benzina e, appena assisa a Palazzo Chigi, nella notte tra il 21 e il 22 novembre, il Consiglio dei ministri da lei guidato ha approvato un decreto-legge contenente «misure urgenti in materia di accise e Iva sui carburanti»; il provvedimento ha ridotto il taglio delle accise per tutto il mese di dicembre 2022, da 25 centesimi a 15 centesimi.

L’11 gennaio 2023 Meloni ha dichiarato, nel corso dei suoi appunti social quotidiani (precisamente al minuto 1:48) di non aver promesso in campagna elettorale di tagliare le accise, mentre in vista delle elezioni politiche del settembre 2022, il programma di Fratelli d’Italia presentava come proposta la «Sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise»[35]; successivamente la premier, sostenuta da Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti, si è impegnata a intervenire nel caso di impennate dei prezzi, venendo smentita, dopo Ferragosto, dal suo ministro Adolfo Urso che, titolare di Imprese e Made in Italy, ha chiuso la porta a qualsiasi ipotesi di taglio delle accise sulla benzina[36].

La tendenza alla metamorfosi non è cambiata, dunque, una volta divenuta presidente del Consiglio e si è espresa attraverso le «tre facce» della Meloni – come è stato scritto – quella «visibile», che assume le decisioni, quella «nascosta», che prende non-decisioni, e quella «dissimulata», che impedisce a determinati temi di entrare nell’agenda politica[37].

La premier ha inoltre oscillato tra europeismo e sovranismo così come tra neofascismo (il tentativo di prendere le distanze dall’etichetta di neofascista è riuscito solo in parte) e populismo, mentre ha cambiato idea sul “blocco navale” preconizzato per fermare l’arrivo dei migranti sulle coste italiane[38].

La metamorfosi in una leader più moderata e filo-occidentale ha assicurato a Meloni credibilità sul palcoscenico internazionale e la sua ricercata dimensione pop garantito voti crescenti: ma al contempo le ha creato ben più di una difficoltà nel conciliare questa immagine con il profilo identitario del suo governo, la linea dura sull’immigrazione e l’inibizione dei diritti civili[39].

Nella conferenza stampa del 4 gennaio 2024 – cioè la conferenza di fine anno differita per sua indisposizione –, Meloni ha commesso diversi passi falsi e proferito non poche bugie.

È infatti errata la sua affermazione secondo cui «la crescita italiana è stimata comunque, e questo è un dato secondo me buono, superiore alla media europea», poiché le analisi dell’Unione europea stimano una crescita media dell’Eurozona dell’1,3 per cento per cento per il 2024, mentre il  PIL italiano è pari allo 0,9 per cento.

Meloni ha di seguito affermato di aver «diminuito le tasse tagliando la spesa pubblica», altra inesattezza perché la diminuzione delle tasse decisa dal governo è per lo più dovuta alla conferma per il 2024 del taglio del cuneo fiscale e contributivo.

Ancora più clamorosa l’espressione della Meloni circa la «temporanea riduzione delle tasse» finanziata tramite tagli alla spesa pubblica poiché, secondo le previsioni del ministero dell’Economia e delle Finanze, in termini assoluti nel 2024 la spesa pubblica dovrebbe aumentare di oltre 15 miliardi di euro rispetto all’anno precedente, passando da 880 a 895 miliardi.

Così come non è vero che il governo Meloni è stato il primo nella storia italiana ad aver avuto «il coraggio di fare una tassazione sulle banche», affermazione completamente infondata in quanto non c’è stata alcuna tassazione alle banche le quali peraltro, spinte dall’aumento dei tassi della Bce, hanno registrato un anno d’oro, crescendo del 70 per cento rispetto ai 25 miliardi del 2022[40].

La premier ha continuato ad essere inesatta a proposito della riforma dell’autonomia differenziata, sostenendo che il suo governo è l’unico che sta «lavorando sui livelli essenziali delle prestazioni», altra cosa non vera perché i famosi LEP (livelli essenziali delle prestazioni) sono i servizi minimi che lo Stato deve garantire in ogni parte del suo territorio per alcuni settori fondamentali (scuola, trasporti e sanità, per esempio) cosicché definirli e finanziarli sono due premesse necessarie per poter attuare la suddetta riforma (in caso ci hanno lavorato i governi precedenti, dopo il 2001); e ancora inesatta lo è stata relativamente a quella che ha definito «la mappatura delle nostre coste» – riferendosi alla questione delle concessioni balneari –perché diversi tipi di mappatura delle coste italiane sono stati realizzati almeno a partire dal 2016.

La premier è poi inciampata sull’interpretazione del voto contrario in dicembre della Camera sulla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità (MES) – nulla fa pensare che l’effetto anche indiretto della mancata ratifica possa condurre a una modifica del MES, soprattutto perché tutti gli altri 19 Stati che aderiscono al meccanismo hanno già ratificato da tempo la riforma –, sulla riforma costituzionale promossa dal suo governo per introdurre il “premierato”, affermando che tale riforma non tocca e non ridimensiona in alcun modo i poteri del presidente della Repubblica, quando è vero il contrario dal momento che essa priverebbe il Capo dello Stato di nominare un nuovo premier in caso di crisi di governo e gli stessi senatori a vita.

Altre inesattezze hanno riguardato il comparto economico, alcuni commenti pubblici e, soprattutto, la vicenda della ministra del Turismo Daniela Santanchè e del sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro, indagati nell’ambito di alcune inchieste giudiziarie: Meloni ha detto che in passato non aveva domandato le dimissioni di esponenti politici coinvolti in vicende giudiziarie prima della sentenza definitiva, quando invece lo ha fatto più volte, come nei casi delle ministre Federica Guidi e Maria Elena Boschi nel 2016 e nel 2017, rispettivamente in carica con i governi Renzi e Gentiloni[41].

A proposito della composizione tutt’altro che irreprensibile del governo Meloni, alcuni giorni fa l’intera magistratura italiana, all’inizio dell’anno giudiziario, ha protestato contro le riforme proposte dal ministro Carlo Nordio, proponendo “il fermo biologico” a queste[42]; inoltre, si è dimesso da sottosegretario Vittorio Sgarbi, tanto per cambiare al centro di polemiche, incalzato da inchieste giornalistiche e dalle norme dell’Antitrust (sui suoi cachet d’oro ricevuti durante l’incarico di governo e, soprattutto, sul presunto riciclaggio di un quadro del Seicento rubato)[43], autore degli abituali attacchi rabbiosi contro personaggi pubblici, da ultimo contro la deputata Pd Irene Manzi che prima ha presentato una mozione di sfiducia contro il sottosegretario e poi gli ha replicato garbatamente («La politica non è un insulto»)[44], dopo essere stata bollata con un affronto impronunciabile[45].

Opposizione divisa

Nel campo dell’opposizione al governo destra-centro, ormai a sedici mesi dall’insediamento a Palazzo Chigi dell’ex militante missina, continuano a regnare tensioni, contrasti e sospetti reciproci.

La debolezza e la solitudine della segretaria Pd Elly Schlein ha ormai superato la dimensione della pura cronaca e all’interno del principale partito di opposizione è sempre più condivisa l’opinione secondo cui, se non ci fossero a giugno le consultazioni europee, si sarebbe già provveduto a un avvicendamento. Come ha sottolineato un dirigente pidiessino di punta:

 «tutti sappiamo di doverci tenere Elly per forza, non possiamo certo cambiare la nostra leader, o presunta tale, alla vigilia di una campagna elettorale così delicata. Certo, in caso di sconfitta, la maggior parte di noi vorrà sostituirla non a spoglio ultimato, ma appena Enrico Mentana leggerà i primi exit poll»[46].

Un anno dopo il suo insediamento, Schlein si ritrova a gestire un frangente delicato e tormentato che, con ogni probabilità, non sarà l’ultimo in casa Pd: il dissenso interno al partito, la composizione delle liste elettorali con in particolare il nodo Sardegna, il caso Gentiloni – attuale commissario europeo all’Economia, che ha detto che non si presenterà alle elezioni europee e intende tornare a Roma, spiegando peraltro che non andrà «mai in pensione» –[47]; ma è la questione della formazione di una squadra operativa valida per l’Europa a tenere soprattutto banco, visto che uno degli sponsor della segretaria, Romano Prodi, le ha detto:

«Candidarsi dove tu sai che non andrai, svilisce la democrazia. La destra lo può fare, ma non un partito riformista e democratico»[48].

Dopo le recenti stoccate su Rai e politica estera, Giuseppe Conte e Elly Schlein hanno dato vita a prove di distensione. In casa pentastellata l’ex premier ha assicurato una certa stabilità a un movimento sfilacciato, ma i cambiamenti impressi alla sua linea politica, cambiamenti che in relazione alle discussioni sul Meccanismo europeo di stabilità (il cosiddetto Fondo Salva-Stati), ha indotto una parte dei commentatori a sostenere la tesi secondo cui Conte e M5S hanno esercitato un’influenza negativa su alleati e avversari, a destra e a sinistra, incalzando gli uni e gli altri in modo da spingerli a dare sempre il peggio di sé:

si potrebbe essere tentati di tracciare un parallelo con lo stesso Conte nella sua duplice esperienza di governo, prima anti-europeista e poi ultra-europeista, prima orgoglioso di una grottesca battaglia sul deficit al due-virgola-zero-quattro per cento (se non ve la ricordate, meglio per voi) e poi di avere convinto l’Unione a riempirci di miliardi pur di non lasciarci fallire. Il parallelo risulterebbe del resto ancora più convincente se riferito in generale al Movimento 5 stelle, che dal 2007 a oggi ha scritto il copione pedissequamente seguito prima dalla Lega e poi da Fratelli d’Italia: dalle battaglie no euro a quelle no vax, passando per gli elogi a Vladimir Putin, le campagne su Bibbiano e quelle contro Laura Boldrini[49].

Conte pensa ancora al suo secondo governo d’impronta progressista, si vede ancora a Palazzo Chigi e tutto «lo stato maggiore giallorosso, tecnici compresi» di quell’esecutivo si è riunito a fine gennaio 2024 in occasione della presentazione del libro-testimonianza sulla pandemia di Roberto Speranza; ma le divisioni tra le due principali forze di opposizione continuano a palesarsi, dall’invio di armi a Kiev alla manifestazione contro la Rai “meloniana” indetta per il 7 febbraio, senza considerare le espressioni ondivaghe espresse sulla corsa presidenziale statunitense. Speranza ha detto su Conte:

«Gli voglio molto bene. Ma quando l’ho ascoltato da Fazio su Trump mi si sono rizzati i capelli»[50].

 C’è voluto ancora Prodi non solo per chiedere a Conte in quale posizione si collochi nella politica italiana, ma per ribadire la realtà più lapalissiana del momento, cioè che l’unica opzione per disarcionare il governo Meloni e andare al governo consista in un’alleanza tra «5 stelle, Pd e altre forze riformiste»[51]; del resto, proprio l’assenza di una opposizione credibile e unita non fa altro che rafforzare il governo in carica[52].

Lo stato di salute degli altri partiti politici italiani a cinque mesi dalle elezioni europee, mentre divampa la polemica sulle candidature, è assai preoccupante, dal momento che a detta degli ultimi sondaggi solo Azione di Carlo Calenda raggiungerebbe il 4 per cento, mentre sotto questa soglia si collocherebbero Alleanza Verdi-Sinistra, Italia Viva, + Europa e altre formazioni[53].

Quanto alla “occupazione” governativa della Rai, si tratta di una strategia ormai evidente da almeno un semestre poiché la conquista dei posti-chiave nella tv di Stato risente di errori, appetiti e ingenuità delle opposizioni ma anche di eventi imprevedibili come la scomparsa, nell’agosto 2023, a causa di un malore improvviso, del consigliere di amministrazione Riccardo Laganà, ago della bilancia dei complicati equilibri aziendali.

Si è insediata un’anomala triarchia formata dall’Amministratore Delegato Roberto Sergio, che si autodefinisce «un democristiano calabrese», dal direttore generale Giampaolo Rossi, predestinato a diventare il prossimo AD nel 2024 e uomo forte di Fratelli d’Italia, e dalla presidente Marinella Soldi, in «un difficile ruolo di garanzia»[54]. Il profilo di Rossi desta particolare preoccupazione, visto che nel 2021 L’Espresso lo aveva presentato come «l’ideologo no vax di Giorgia Meloni che imbarazza Fratelli d’Italia», poiché aveva definito «inquietanti» le raccomandazioni del capo di Stato Sergio Mattarella sui vaccini e invitato a rileggere Hannah Arendt sui totalitarismi per capire la gestione del Covid; “fan sfegatato di Benjamin Netanyahu, Vladimir Putin e Viktor Orban”[55], veniva considerato, prima di assumere la direzione aziendale, un

«estremista di destra che dopo essere stato escluso dall’élite precedente punta a trasformare la tv di Stato, grazie al vecchio, caro spoil system, in un megafono del malcontento sovranista»[56].

L’esposizione mediatica ad Atreju di uno dei direttori di chiara fede meloniana, Paolo Corsini, che ha attaccato Elly Schlein e si è definito «militante», ha comportato una tirata d’orecchie da parte del Direttore Generale Giampaolo Rossi, ma è un altro, inequivocabile segnale del dominio destrorso a viale Mazzini[57].

Un dominio di cui risente l’eloquente programmazione delle fiction comprendente quella sulla lunga notte del 25 luglio 1943, in cui Dino Grandi viene presentato come una sorta di Spartaco[58], mentre storicamente le cose sono andate diversamente. Anche in considerazione del fatto che non esiste un verbale ufficiale della riunione del Gran Consiglio fascista, l’ordine del giorno Grandi intendeva chiedere a Vittorio Emanuele III di riassumere personalmente il comando delle forze armate operanti, delegato a Mussolini nel 1940, subito dopo la dichiarazione di guerra; retrospettivamente Grandi scrisse che voleva provocare la caduta del regime, ma Emilio Gentile nel libro 25 luglio 1943 (Laterza), sulla base di una documentazione inedita, sostiene che l’intento non era affatto così chiaro; più probabilmente i firmatari volevano soltanto promuovere un riequilibrio dei poteri[59]; né period dramapolitical drama, la serie tv prodotta da Luca Barbareschi (deputato di centrodestra nella XVI legislatura) si è rivelata niente più che un melodramma, un «provinciale gioco di coppie»[60].

Inoltre uno dei deuteragonisti de La lunga notte sarà il protagonista della imminente fiction su Goffredo Mameli, uno dei patrioti più dimenticati del Risorgimento. Forse l’ombra revisionistica e destrorsa vuole riconsiderare anche quest’ultimo?

Differenze crescenti

Il sessantottesimo governo della Repubblica Italiana, il primo della XIX legislatura, in carica dal 22 ottobre 2022, viene quotidianamente lodato dagli esponenti che compongono le forze della sua maggioranza così come criticato e disprezzato dai suoi oppositori. Fin qui, nessuna novità rispetto ai predecessori. Ma è indubbio che qualcuno ricama su luci che provengono dal passato così come altri scavano sulle diverse ombre che accompagnano un esecutivo che il prossimo 5 marzo taglierà il traguardo dei suoi cinquecento giorni in carica.

Il governo Meloni non ha saputo gestire i problemi strutturali di un’Italia che ha visto i prezzi dei prodotti salire mediamente del 20 per cento secondo un trend che dura da otto anni[61], le famiglie italiane arrancare in continuazione per arrivare a fine mese, con i ceti più deboli che hanno maggiormente subìto l’impatto dell’inflazione, anche perché dove gli aumenti dei prezzi hanno toccato in maniera più consistente la capacità di spesa, non è corrisposto alcun aumento dei salari (fermi di fatto da 30 anni); per contro, gli aumenti dei tassi di interesse sui mutui decisi dalla Bce hanno sensibilmente danneggiato le famiglie con i salari più bassi[62].

Inoltre, la povertà assoluta continua ad aumentare (si contano 5 milioni 674 mila poveri assoluti, pari al 9,7 per cento della popolazione; +357mila rispetto al 2021)[63], mentre, secondo il recente report della Banca d’Italia, il 46 per cento della ricchezza netta italiana si concentra nelle mani del 5 per cento delle famiglie più agiate (contro il 7,6 per cento della metà più povera)[64], forse il dato più significativo – e inaccettabile – per uno Stato democratico che si vanta di essere la settima potenza del pianeta; contemporaneamente, alla fine di ottobre del 2023 il debito pubblico era cresciuto – sempre secondo le rilevazioni della Banca d’Italia – a circa 2.867,7 miliardi di euro rispetto agli oltre 2.844 miliardi di inizio mese, con un incremento mensile di quasi 24 miliardi di euro e uno annuale, rispetto al 2022, di circa 102 miliardi, cosicché il debito pubblico (stimato per il 2024 poco sopra il 140 per cento rispetto al Pil[65]) e il deficit nazionale continuano a risultare tra i più alti d’Europa[66].

Quanto alla legge di bilancio, dopo un anno interlocutorio e in continuità con le scelte del governo Draghi, la linea di politica fiscale del governo Meloni ha preso forma, nel settembre 2023, con la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e finanza che ha indicato il quadro attorno al quale è stata costruita la legge di Bilancio per il 2024: un quadro che ha beneficiato di elementi favorevoli e temporanei, adottati per fronteggiare il caro energia (in particolare, la decisione di Eurostat di «contabilizzare i crediti di imposta edilizi nell’anno in cui questi crediti si formano invece che in quello di godimento della detrazione fiscale»).

Hanno poi pesato il Pnrr – una parte dei 190 miliardi non incide sul bilancio, mentre un’altra quota, rappresentata da spese aggiuntive finanziate in deficit, graverà per 56 miliardi nel triennio 2024-26 – e l’inflazione che, a seguito degli interventi della Bce sui tassi di interesse, ha determinato l’aumento dei prezzi e comportato un corrispondente incremento delle entrate; si è avuto quindi un miglioramento dei saldi di finanza pubblica nel 2022 e 2023 che presenta come contropartita la riduzione della spesa in termini reali.

In tale congiuntura, anziché investire in comparti essenziali come l’istruzione e la sanità, il governo Meloni ha stanziato risorse limitate (3 e 5 miliardi rispettivamente nel 2024 e nel 2025 per il rinnovo dei contratti nel pubblico impiego e 2,5 miliardi all’anno per la sanità), orientando le proprie priorità verso la conferma per un altro anno della riduzione del cuneo contributivo (10 miliardi) e in direzione di un primo intervento di attuazione della riforma fiscale, relativo all’Irpef e alla deducibilità dei costi dal reddito di impresa (4,3 miliardi quantificati per l’accorpamento delle aliquote dei primi due scaglioni Irpef – del 23 e 25 per cento – in un’aliquota unica del 23 per cento). Tuttavia, non avendo individuato le risorse necessarie, il governo ha finanziato sia la riduzione del cuneo sia la riforma fiscale per il solo 2024.

Non stupiscono allora le perplessità giunte dalla Commissione europea che, nel novembre 2023, ha considerato la manovra italiana per il 2024-26 non pienamente in linea con le raccomandazioni country specific formulate nel Consiglio comunitario del luglio 2023, evidenziando, soprattutto, due elementi: il livello di spesa per il 2024 superiore nella misura dello 0,6 per cento del Pil rispetto al valore obiettivo indicato e il mancato utilizzo dei risparmi derivanti dalla progressiva eliminazione dei sostegni relativi all’energia per finanziare una riduzione del disavanzo pubblico[67].

Complessivamente, la legge di Bilancio vale circa 28 miliardi di cui oltre la metà, quasi 16 miliardi, in extradeficit. Poche le novità di peso, dalle pensioni di medici e statali alla rimodulazione dei fondi per il Ponte sullo Stretto, arrivate nel passaggio parlamentare, in un iter tortuoso che ha portato comunque all’approvazione finale a ridosso di Capodanno: non sono mancate sia «micromisure e mance» sia una serie di nuove tasse, dall’«ormai classico» aumento delle sigarette fino alla tassa di soggiorno per il Giubileo[68].

Il 2024 si è aperto a livello europeo con i negoziati sul testo di riforma del Patto di stabilità che sarà applicato a partire dal 2025, con progetti di legge di bilancio che dovranno essere presentati entro il prossimo 15 ottobre[69].

Giorgia Meloni è ancora prigioniera di quella sindrome di avversione che le deriva dalla lunga quanto opposizione esercitata e da una retorica dell’assedio che si esplicita in una continua chiamata “alle armi” rivolta agli elettori, anche per strappare voti e consensi ai due alleati minori[70].

Istruzione e Sanità

I due settori che solitamente misurano il tasso di democraticità alle nostre latitudini, istruzione e sanità, mostrano una condizione allarmante. 

Secondo il rapporto Il Mondo in una classe. Un’indagine sul pluralismo culturale nelle scuole italiane, diffuso nel settembre 2023 da Save the Children, in Italia la spesa pubblica in istruzione è pari solo al 4,1 per cento del Pil, inferiore alla media europea del 4,8 per cento, mentre, complice il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione, gli studenti italiani risultano in progressiva diminuzione, al contrario dei minori stranieri  che hanno toccato il 10,6 per cento degli iscritti alle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie; l’Italia è poi penultima in Europa, secondo i dati Eurostat del 2021, per quota di giovani di 25-34 anni con un titolo di studio di livello terziario (università o diploma presso istituti tecnici superiori), con una quota del 28,3 per cento, contro una media europea del 41,2 per cento; ancora, nel 2023 è aumentata la stessa dispersione scolastica (11,5 per cento contro il 9,6 per cento nel 2022), mentre le competenze degli studenti italiani (misurate dalle prove Invalsi del 2023, che hanno coinvolto oltre 12 mila scuole per un totale di oltre 2,5 milioni di allievi delle scuole primarie e secondarie) sono apparse sconfortanti: il 49 per cento degli studenti delle scuole superiori non ha raggiunto almeno il livello base in italiano (contro il 46 per cento del 2019); da qui il fenomeno dello skill mismatch (disallineamento tra formazione universitaria, titoli di studio e competenze richieste dal mercato del lavoro), un serio problema concernente il 55 per cento dei giovani[71].

Quanto alla sanità, si è delineata la congiuntura secondo cui gli italiani, visti i lunghi tempi di attesa e la situazione che registra un numero elevato di medici (4,1 medici per mille abitanti, contro i 2,2 dell’Inghilterra) a fronte di uno scarso di infermieri (5,4 ogni mille abitanti, contro i 10,7 della Svizzera), preferiscono optare per i servizi privati rispetto a quelli pubblici.

Sul piano delle spese destinate al sistema sanitario, l’Italia è all’ultimo posto in quanto a finanziamenti pubblici pro-capite, ma risulta anche al penultimo posto in quanto a richieste di contributo spese da parte del cittadino.

La mancanza di risorse destinate alla sanità pubblica comporta cronicità e conseguenze gravi, prima tra tutte la carenza dei servizi e l’inaccessibilità delle cure ai gruppi di pazienti economicamente o socialmente più svantaggiati.

Un’indagine condotta in quattro Paesi europei (Gran Bretagna, Italia, Norvegia e Svizzera) e pubblicata su BMC Health Services Research ha valutato la percezione dei medici riguardo la disponibilità delle risorse e l’efficienza dei loro sistemi sanitari, grazie a uno studio effettuato tramite un questionario rivolto a 1600 medici di medicina generale (quelli non solo maggiormente coinvolti con i problemi generali, ma anche maggiori contributori per arrivare a capire l’impatto delle strategie di contenimento sull’efficienza del sistema sanitario): ebbene, nonostante i quattro Stati in questione offrano un sistema sanitario a copertura universale, la spesa pro capite in Italia è di 2.614 dollari contro i 2.824 della media Ocse, mentre numerosi interventi sanitari sono coperti solo parzialmente e richiedono un contributo spese da parte del cittadino variante in media dai 200 dollari della Gran Bretagna ai 440 dollari in Italia, fino ai 1.085 dollari della Svizzera; inoltre il 50,5 per cento degli intervistati lamenta il fatto che l’accesso ai servizi sanitari non sia uguale per tutti e addirittura il 78 per cento di loro individua almeno una categoria di pazienti che, per ragioni economiche, rischia maggiormente di dover rinunciare a un’adeguata assistenza medica[72].

È sempre una questione di genere

Nel nostro ultimo editoriale in questa rivista ci eravamo domandati se la presenza di due donne nelle prime due forze della politica italiana avrebbe potuto dare un contributo significativo alla questione di genere. Secondo la ricercatrice Ilaria Masinara, responsabile campagne di Amnesty International, i diritti di donne e persone Lgbt+ sono regrediti in un anno di governo Meloni:

C’è un macigno che pesa anche in questa legislatura: la mancata approvazione di una normativa di contrasto alla violenza e alla discriminazione basata sul sesso, sul genere e l’orientamento sessuale. Siamo indietro anche nel miglioramento dei meccanismi di raccolta dei dati relativi ai discorsi e ai crimini d’odio che vanno a stigmatizzare la comunità Lgbtqi+. Sui diritti delle coppie omogenitoriali, abbiamo visto quando il Ministero degli Interni ha dato ordine alle prefetture di allinearsi con la pronuncia della Corte di Cassazione del 2022, che rifiutava di registrare l’atto di nascita di un bambino nato in Canada attraverso la gestazione per altri, e alcune amministrazioni comunali si sono rifiutate di aderire alla richiesta di non registrare i bambini. È una violazione dei diritti dei bambini perché li discrimina se nati da coppie omogenitoriali. Le politiche invece devono tutelare tutte le persone, in un’ottica di eguaglianza sostanziale.

In particolare sulle donne ci sono due aspetti sconfortanti che vanno a ledere l’autodeterminazione femminile:

C’è un primo pacchetto che parte dalla legge 194, progressivamente svuotata sul territorio a causa dell’altissima percentuale di personale obiettore di coscienza. Che ad esempio nelle Marche arriva quasi al 70 per cento. Nella medesima direzione va, ad esempio, il “Fondo vita nascente” e la “stanza anti aborto” dell’ospedale Sant’Anna, a Torino, oppure la proposta di legge di iniziativa popolare «Un cuore che batte», sempre a firma Fratelli d’Italia, ad Ancona, che appunto suggerisce di far ascoltare nelle cosiddette «camere d’ascolto» il cuore del feto alle mamme che decidono di abortire.

Il giudizio della responsabile di Amnesty International sulle misure prese per contrastare la violenza di genere è un «Ni», poiché se da una parte il governo ha mostrato interesse e impegno nell’ottica di protezione e prevenzione (ripristino della Commissione anti femminicidio in cui si discuterà, tra l’altro, dell’applicazione della Convenzione di Istanbul ratificata nel 2013), dall’altra manca un forte l’accento sulla formazione, dal momento che

«creare una reale cultura della prevenzione della violenza significa mettere al centro la donna. E non lo si può fare se non si vede nella donna la persona che può gestire il consenso e che lo deve dare»[73].

Nel suo primo anno, il governo Meloni ha tagliato i fondi per la prevenzione della violenza contro le donne del 70 per cento, cosicché dai 17 milioni di euro stanziati dal governo Draghi per il 2022 si è passati a 5 milioni per il 2023. Insomma, l’esecutivo guidato dalla prima premier ha alimentato il dibattito pubblico, illudendo circa un’azione che poi non si è attuata e trattando il tema spesso malamente come quando si è invocata la castrazione chimica per gli autori di stupro[74].

L’assenza governativa su una questione delicatissima è occorsa nel generale aumento del fenomeno del femminicidio[75] che ha provocato sdegno e manifestazioni popolari, soprattutto dopo l’omicidio della studentessa universitaria Giulia Cecchettin, avvenuto l’11 novembre 2023 ad opera dell’ex compagno Filippo Turetta; la lettera inviata al Corsera da Elena Cecchettin, sorella della vittima, il 20 novembre 2023, tre giorni dopo il ritrovamento del corpo di Giulia, ha costituito l’ennesimo atto di accusa verso una società patriarcale dominata in larga parte da una cultura dello stupro che si esprime attraverso comportamenti anti-femminili come «il controllo, la possessività e il catcalling» o la giustificazione di chi usa violenza contro le donne; «ogni uomo viene privilegiato da questa cultura»[76]; Elena Cecchettin è stata designata a fine 2023 persona dell’anno da L’Espresso per aver trasformato «il dolore privato in assunzione di responsabilità collettiva, costringendoci a dare un nome al male di cui soffriamo: il patriarcato»[77].

Nel 2023 sono stati registrati 107 casi di femminicidio[78].

Tuttavia sono circolati dati differenti dal momento che non esiste né una banca dati istituzionale dedicata ai femminicidi, in quanto «giuridicamente» il femminicidio non esiste nel nostro Codice penale, né una definizione istituzionale di femminicidio condivisa dai 27 paesi dell’Unione europea; il nostro Codice non individua il femminicidio come un preciso reato, poiché si tratta di un omicidio (articolo 575) ma non come «fattispecie di reato». I

n assenza di quella giuridica viene in soccorso la statistica, con l’Istat che nel suo rapporto annuale sul Benessere equo e sostenibile (Bes) ha proposto questa definizione:

«vengono definiti omicidi di genere, comunemente detti femminicidi, quelli che riguardano l’uccisione di una donna in quanto donna».

Le variabili necessarie per identificare un femminicidio sono molte e riguardano la vittima, l’autore e il contesto della violenza[79]. Sempre su un piano definitorio, nel 2022, la Commissione statistica delle Nazioni Unite ha precisato che esistono tre tipologie di «gender-related killing»: gli omicidi di donne da parte del partner; gli omicidi di donne da parte di un altro parente; gli omicidi di donne da parte di un’altra persona, sia conosciuta sia sconosciuta, «che però avvenga attraverso un modus operandi o in un contesto legato alla motivazione di genere[80].

Ancora, secondo L’Eige, l’agenzia europea per la parità di genere, sulla linea della commissione statistica delle Nazioni Unite, comparando le raccolte dati e gli indicatori usati nei vari Paesi nell’Unione europea e nel Regno Unito, ha concluso che, oltre ai casi di delitti compiuti da partner o ex partner, vanno considerati femminicidi

l’uccisione di donne e bambine per i cosiddetti motivi d’onore e altre uccisioni conseguenti a pratiche dannose, l’uccisione mirata di donne e ragazze nel contesto di conflitti armati, nonché i casi di femminicidio collegati a bande, alla criminalità organizzata, a traffici di droga e alla tratta di donne e ragazze. E anche i delitti commessi contro donne a causa del loro orientamento sessuale o identità di genere[81].

Infine, ha tentato di dare una definizione politica la prima Commissione parlamentare italiana sui femminicidi che, basandosi sulle dichiarazioni della Convenzione di Istambul (il trattato del Consiglio d’Europa «sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica» ratificata anche dall’Italia nel 2013) ha proposto questa definizione:

«Uccisioni di donne da parte di un uomo determinate da ragioni di genere»[82].

La violenza di genere, cioè quella contro le donne in quanto donne, va considerata un fenomeno strutturale della società italiana, fortemente legato al contesto di discriminazioni e pregiudizi sociali in cui matura.

Nel corso del 2023 l’Italia è scivolata rispetto al 2022 – sostiene il report del Global Gender Gap – di tredici posizioni, attestandosi al 79° posto su 146 paesi; così procedendo, si potrà conseguire la parità di genere solo nel 2154 (stesso anno previsto nel 2022)[83].

Il caso Salis

La violazione dei diritti umani, perpetrata nel mondo in numerosi Paesi, è assolutamente inaccettabile. L’ultimo rapporto di Amnesty International (marzo 2023) ha ricordato i crimini di guerra perpetrati dalla Russia nell’Ucraina invasa, ma ha pure evidenziato l’ipocrisia degli Stati occidentali, che hanno reagito con forza a tale invasione ma al contempo condonato – «o ne sono stati complici» – gravi violazioni dei diritti umani altrove, dall’Arabia Saudita all’Egitto per continuare con Etiopia, Myanmar e Yemen[84].

Le fotografie di Ilaria Salis incatenata in un’aula giudiziaria ungherese ci ha ricordato come i media, nel bene come nel male, conservano un potere assai ampio: colpevolmente dimenticato da quasi tutto il giornalismo nazionale nel 2023[85], il caso Salis ha presto fatto il giro del mondo ed evocato grandi indignazioni per violazione delle regole europee del giusto processo e dei principi della civiltà giuridica, tanto più che l’Ungheria fa parte dell’Unione europea.

Arrestata l’11 febbraio 2023 con l’accusa di aggressione e lesioni in concorso nonché di appartenenza a un’associazione estremista – accusa per cui rischia fino a 24 anni di carcere –  contro due nazifascisti (guariti in cinque giorni e che non hanno sporto denuncia), giunti nella capitale magiara per il “Giorno dell’Onore”, ritrovo di gruppi di estrema destra da tutta Europa rievocante un battaglione nazista che nel 1945 tentò di impedire la presa di Budapest da parte dell’Armata Rossa, ritrovo non autorizzato ma tollerato dal governo di Viktor Orbán, che si tiene ogni anno a Budapest, la maestra Ilaria Salis, 39enne, milanese ma cresciuta a Monza – che si è dichiarata innocente rispetto all’imputazione –, è stata dapprima fermata avendo con sé un manganello (che, ha detto il padre, teneva con sé per difesa personale) e poi torturata e tenuta in condizioni spaventose per undici, lunghi mesi; la famiglia ha saputo di tali condizioni vergognose solo a otto mesi dall’arresto nel mese di ottobre[86]

Ci sono volute le immagini di Ilaria Salis, tradotta alla prima udienza del processo, a mezzogiorno del 29 gennaio 2024, dopo essere stata svegliata alle cinque di mattina, portata in aula legata mani e piedi, conseguenza di un anno trascorso senza carta igienica, tamponi, in mezzo a cimici e topi, e altro ancora, come attesta un memoriale dell’arrestata[87]. I ministri Francesco Lollobrigida e Antonio Tajani hanno detto di non aver visto queste immagini e il secondo ha aggiunto che

«Orbán non c’entra, non è il governo che fa i processi»[88].

Per contro, il Segretario generale della Farnesina, ambasciatore Riccardo Guariglia, ha convocato al ministero per la mattina di martedì 30 gennaio 2024 l’incaricato d’Affari della Repubblica di Ungheria, ribadendo la contrarietà dell’Italia rispetto alle modalità di detenzione di Ilaria Salis e richiamando

«i principi cardine previsti dalla normativa europea e internazionale relativi al rispetto delle garanzie a tutela della dignità delle condizioni detentive, incluse le modalità di traduzione degli imputati in tribunale e delle garanzie di un equo processo»[89].

Nel pomeriggio dello stesso 30 gennaio la Lega ha emesso, per bocca del parlamentare barese Rossano Sasso, un comunicato critico verso l’arrestata italiana, sostenendo che la maestra se riconosciuta colpevole dovrà essere radiata «dalle graduatorie ministeriali», un commento che più improvvido non poteva essere. E siccome solitamente a una “sguaiatezza” ne segue un’altra, si sono registrate, in ordine di tempo, un commento sprezzante da parte dell’amministrazione penitenziaria ungherese, secondo cui «abbiamo standard molto elevati, ma non siamo hotel a cinque stelle» e l’abituale attacco privo di stile del ministro Salvini secondo cui è inopportuno che la Salis «entri in classe per educare e crescere bambini», venendo querelato dal padre di Ilaria, Roberto Salis[90].

Le opposizioni italiane, che avevano già presentato interrogazioni in Parlamento i primi di dicembre del 2023, senza trovare alcuna risposta, sono tornate alla carica.

L’Ungheria è un paese autoritario e il premier Viktor Orbán, amico e interlocutore di Giorgia Meloni – definito il 14 settembre 2023, nel corso di una visita a Budapest, «il mio miglior amico in Europa»[91] –, in procinto speranzoso di diventare un suo alleato al Parlamento europeo nel gruppo dei conservatori, si è limitato a ricordare l’indipendenza della magistratura magiara, indipendenza che è un principio degli Stati di diritto quale il suo paese dimostra di non essere.

Una successiva telefonata della premier Meloni, sollecitata da Elly Schlein, a Viktor Orbán apre qualche spiraglio, magari sfruttando il grimaldello giuridico che accorda la possibilità di scontare le misure cautelari nel Paese di provenienza[92]. Il caso Salis si sviluppa lungo due crinali: il giudizio da parte della magistratura ungherese e la tutela dei fondamentali diritti umani[93].

Guerre e tensioni

Abbiamo già osservato da queste colonne che gli equilibri e le relazioni internazionali stanno cambiando velocemente[94].

Va considerato il dinamismo della Cina e della Russia, alla ricerca pressante di nuovi mercati e zone d’influenza per contrastare l’egemonia statunitense e occidentale, un dinamismo che trova riscontro proprio nel fatto che Mosca e Pechino si sono recentemente dette estremamente preoccupate per la situazione in Pakistan, Iraq e Iran. Tuttavia, è bene ribadire che sono preoccupazioni di parte, mentre sarebbe auspicabile un intervento dell’ONU, dato che tutti e tre i Paesi menzionati ne fanno parte. 

Il nuovo capitolo del conflitto arabo-israeliano, innescato dal più sanguinoso attacco nella storia dello Stato ebraico (1.200 ebrei massacrati e centinaia di donne brutalmente violentate con una crudeltà inaudita), ha comportato la catastrofe umanitaria di Gaza e uno stato di guerra permanente proclamato da Benjamin Netanyahu su cui parlano cifre eloquenti: la maggior parte delle oltre 26 mila vittime sono donne e bambine, mentre più di 1.9 milioni di persone risultano sfollate[95].

Quanto al ribadito rifiuto del leader israeliano a uno Stato palestinese, si tratta dell’ennesimo passo falso che non tiene conto, ancor prima di quelle umane e internazionali, delle ragioni della storia: la soluzione in Medio Oriente non può altro che essere quella di due Stati per altrettanti popoli. Tra mattanze dall’una e dall’altra parte, si sta valutando la possibilità concreta di una tregua, anche se il governo di Tel Aviv si è spaccato sul testo dell’accordo[96].

Le stesse istituzioni europee hanno espresso analoga preoccupazione, ma sono particolarmente interessate all’involuzione del Mar Rosso che comporta il blocco dei traffici e il rialzo del costo dei trasporti. L’escalation militare nello Yemen costituisce un autentico disastro per la popolazione civile, già colpita gravemente da quasi 9 anni di guerra: oltre 21 milioni di persone, oltre i due terzi della popolazione, necessitano disperatamente di cibo, acqua e assistenza salvavita.

Gli Houthi (Huthi) non sono una novità: in quanto gruppo armato dello Yemen, in prevalenza sciita zaydita, attivo dagli anni Ottanta-Novanta del secolo scorso, si è imposto con la guerra civile nello Yemen nel 2014 in contrapposizione al governo centrale e, grazie all’aiuto di Teheran, è riuscito a dar vita a un esercito di 120 mila uomini[97].

L’Italia ha deciso di guidare il comando tattico della missione europea Aspides nel Mar Rosso, una missione difensiva e non solo di accompagnamento, volta a proteggere le navi mercantili e scoraggiare gli attacchi dei ribelli[98].

Come nelle altre zone del pianeta in cui si combatte, l’unica via di uscita è la cessazione immediata dei conflitti perché, continuando, essi non potranno che portare a una degenerazione della situazione e della percezione a livello mondiale.  

È opportuno ripetere: la guerra non è mai la soluzione e la diplomazia internazionale deve tornare a far valere considerazioni di carattere generale e umanitario sugli interessi particolari. Questa è la soluzione di una contemporaneità che guarda a un futuro di pace, crescita e mutua collaborazione.

Alla fine del 2023, l’accordo tra Giorgia Meloni e il premier albanese Edi Rama sull’ipotesi di trasferimento in Albania dei naufraghi soccorsi dalle autorità italiane ha fatto parlare di «istituzionalizzazione della deportazione»[99]. Piccola parentesi sull’Albania dove è più che decuplicato rispetto al 2020 il numero dei pensionati italiani colà trasferiti poiché la pensione non viene tassata[100]. Tornando sul caso, alla fine del gennaio 2024 è avvenuto il primo via libera dalla Camera (155 voti favorevoli, 115 no e 2 astenuti) all’accordo Italia-Albania che prevede l’apertura di due Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) in territorio albanese, per accogliere 3 mila migranti; sull’intesa pesa, peraltro, l’incognita della Corte costituzionale albanese che il 18 gennaio ha iniziato il riesame del testo di accordo che nasce dalla cooperazione tra i due Paesi (l’interscambio vale il 20 per cento del PIL albanese). Secondo Medici senza frontiere, l’accordo è un «attacco sferrato al diritto d’asilo»; si sono espressi anche giuristi come Fulvio Vassallo Paleologo, secondo cui il memorandum dà vita a «un progetto impraticabile e privo di basi legali»[101].

A fine gennaio 2024, si è chiuso a Roma il Vertice internazionale “Italia-Africa. Un ponte per una crescita comune”, il primo non a livello ministeriale ma di capi di Stato che è risultato l’occasione per la premier Meloni di dare il via al Piano Mattei: si tratta di un piano strategico per la costruzione di un nuovo partenariato tra Italia e Stati africani, un piano energetico e sociale per il continente che prevede investimenti pari a 5,5 miliardi di euro in settori cruciali (istruzione e formazione, sanità, agricoltura, acqua ed energia) e richiama il nome dell’ex presidente Eni scomparso nel 1962 e di cui si intende emulare l’approccio “non predatorio” nei confronti dell’Africa da parte europea, con il fine della promozione di uno sviluppo sostenibile e duraturo[102].

Mentre il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, coordinatore della comunicazione della premier[103], ha subito lodato il piano Meloni come un evento unico in «duecento anni di storia» (frenato da Francesco Lollobrigida che diceva «in cento anni»), dalla conferenza Italia-Africa la premier ha ottenuto poco, benché l’evento sia stato pensato come un trampolino per la presidenza italiana del G7, senza dimenticare le consultazioni europee di questo 2024. Sicuramente è per il momento una cornice, un inizio di un processo che ha visto l’Italia protagonista, richiamando altri partner (4,4 miliardi ne ha messi la Germania, poco meno la Francia).

Tuttavia, Mousse Faki, presidente della Commissione dell’Unione africana, ha lamentato, a nome degli Stati africani, che avrebbero preferito essere consultati e coinvolti[104]. Insomma, il rischio che questo piano si trasformi in una scatola vuota rimane e, per la storia italiana, non sarebbe certo la prima volta.

Proteste e riscatti

Il governo Meloni sta inoltre temporeggiando di fronte alle proteste degli agricoltori, una battaglia europea che rivela istanze differenti: i diretti interessati lamentano l’aumento del prezzo del gasolio, la forte tassazione, il divario tra ricavi e prezzi di vendita, le riforme ecologiste dell’Unione europea, le scarse tutele contro import di prodotti stranieri e la morsa dell’inflazione; il governo nella legge di bilancio ha messo zero euro in favore dell’agricoltura e ha assunto misure sul taglio IRPEF che danneggiano i lavoranti del settore agricolo, mentre gli ultimi provvedimenti dell’Unione europea e di alcuni Stati nazionali (Germania, Francia) sono stati visti come un attacco agli agricoltori, considerati imputati di essere inquinatori e imprenditori anziché protagonisti della scena economica. Ovunque in Italia (in particolare, Lombardia, Toscana, Sardegna, Campania), nelle proteste non si sono viste bandiere di partito, ma solo tricolori. Gli agricoltori non chiedono sussidi, ma il ripristino dei principi comunitari in tema di agricoltura, tanto più in un pianeta dilaniato dai conflitti e dopo un pesante biennio pandemico[105].

La protesta rabbiosa degli agricoltori è arrivata a Bruxelles dove hanno lanciato uova e bottiglie, accendendo roghi e distruggendo una statua: la Commissione europea sta cercando una mediazione[106].

Sulla lotta all’evasione fiscale, il governo, incline ai condoni e agli sconti, ha suscitato, con la legge delega sul fisco che propone il concordato biennale preventivo concernente i lavoratori autonomi e i piccoli imprenditori (con accordo volontario tra questi e il governo), le proteste degli economisti, poiché si tratterebbe in buona sostanza di un condono preventivo.

Dal canto suo, l’Ocse ha chiesto all’Italia, che in termini economici non è nuova ad infrazioni e in cui la pressione fiscale continua ad essere particolarmente elevata, di tassare i patrimoni e non i redditi. Secondo l’Organizzazione con sede a Parigi, l’Italia deve attuare una serie di riforme e di interventi quali una più equa riforma delle pensioni e le liberalizzazioni, passando appunto per un’imposizione fiscale meno pesante sul lavoro e più destinata al patrimonio ereditario e immobiliare: in buona sostanza, l’esatto contrario di quanto sta facendo il governo Meloni[107]. Il quale, in 180 giorni, ha cambiato decisamente la narrazione sul tema, passando dal paragonare la lotta all’evasione all’attività mafiosa (si era nel maggio 2023, in piena campagna elettorale per le amministrative) alle dichiarazioni di inizio 2024 secondo cui l’evasione viene definita un «macigno come il terrorismo»[108].

Rientrato vittorioso dagli Australian Open – erano 48 anni, dalla vittoria di Adriano Panatta al Roland Garros nel 1976, che un tennista italiano non si aggiudicava una prova del Grande Slam (tra le tenniste azzurre, l’ultima è stata Flavia Pennetta, vincitrice degli US Open nel 2015) –, Jannik Sinner, al quale dobbiamo nel novembre 2023 gran parte della seconda Coppa Davis della nostra storia (la prima, sempre nel 1976, l’abbiamo vinta nel Cile di Augusto Pinochet), è stato cercato da tutti e ricevuto da Mattarella e Meloni.

Nella conferenza stampa del 31 gennaio, l’italiano del momento ha rifiutato di andare a Sanremo – «una ghiotta ribalta da maneggiare con molta cura», come attesta la parabola di Chiara Ferragni[109] – e detto che vuole pensare solo al tennis.

Nella stagione splendidamente iniziata dall’altro capo del mondo, l’atleta altoatesino, protagonista di un riscatto storico per il tennis italiano[110], nutre legittimi quanto ambiziosi obiettivi, tra cui quello di diventare numero uno, scalzando dal trono il recordman Novak Djokovic, anche se intanto si accontenterebbe di passare da numero quattro a tre della classifica Atp.

Modesto e riservato, Sinner si definisce «semplice e normale» e, a chi gli ha chiesto quali siano le sue qualità, ha risposto senza scomporsi: 

«Forse il lavoro. Alla fine non ci sono segreti. Per arrivare al traguardo bisogna lavorare, forse più degli altri. Mi sveglio al mattino e la prima cosa che penso è: mi devo allenare. Nella mia testa è sempre una partita di tennis: devo andare in campo tranquillo con la voglia di vincere. Non ho paura per il futuro perché se il mio avversario è più bravo, gli darò la mano».

Ma siccome siamo in Italia non poteva mancare il giornalista prezzemolino che ha attaccato Sinner perché fiscalmente risiede a Montecarlo.

Cosa dovremmo dire allora di Fiat-Chrysler che nel 2014, dopo aver drenato miliardi dalla casse erariali, ha dato luogo a una fusione transfrontaliera, diventando da società italiana olandese, con sede fiscale in Inghilterra? O dei tanti paperoni, sportivi e personaggi pubblici che hanno trasferito la loro residenza fiscale, oltre che nel Principato monegasco, in Svizzera, Lussemburgo e negli Emirati Arabi, considerati altrettanti paradisi per il fisco? In ogni caso essi sono monitorati dall’Aire (Anagrafe degli italiani residenti all’estero), registro dei cittadini italiani (attualmente 8 mila a Montecarlo) che risiedono all’estero, istituita con legge del 1988[111].

Lasciateci però, nel frattempo, assistere alla carriera di un campione vero, originale, diverso dai dettami imposti dalla società mediocratica, con un’avversione verso i social che va subito sottoscritta, se non considerata un mantra pedagogico

«Non mi piacciono, non dicono la verità e poi vedi certe cose…. bisogna stare attenti. Se oggi, per esempio, sto male e piango e sui social posto una foto felice, mando un messaggio sbagliato, nessuno sa che in realtà sono a casa e sto piangendo. Sto lontano dai social, provo ad usarli molto poco anche se a volte devo controllarli. Tuttavia senza sto vivendo meglio e continuerò così»,

un ventiduenne che ha davanti un grande futuro e, soprattutto, intende costruirlo con l’impegno e il sacrificio. A Melbourne, durante la finale dello Slam australiano, sotto di due set, il suo box gli ha urlato: “Mostrami quello che hai”; e lui ha vinto tre set di fila, portando a casa il primo, ambito trofeo della stagione tennistica, mai vinto da un italiano.

Per la cronaca, la risposta alla domanda sulla residenza a Montecarlo è stata chiara e limpida:

«Quando ho fatto 18 anni mi sono allenato a Bordighera con il mio allenatore [Riccardo Piatti] che aveva la residenza a Montecarlo e gli avevo detto che l’avrei presa anche io. La cosa bella è che lì ci sono tanti giocatori con cui ti puoi allenare, e quindi onestamente mi sento a casa, sto bene lì, ho una vita normale, posso andare al supermercato con zero problemi»[112].

Il tennista fresco di primati – tra cui due: in un solo anno è diventato il tennista più vincente nei match disputati sul cemento, con 58 vittorie, precedendo Medvedev e Djokovic (fermi a 55 e 47), mentre nella classifica Race (la graduatoria che tiene conto solo dei risultati ottenuti nella stagione in corso), la vittoria a Melbourne gli ha già assicurato un posto nell’edizione 2024 delle Atp Finals, in programma il prossimo novembre a Torino[113] –, ha accettato di vivere la tre-giorni capitolina immerso in impegni istituzionali, ma è rientrato in fretta a Montecarlo per riprendere gli allenamenti, avvertendo il suo team che le vacanze erano finite: Sinner tornerà in gara il 12 febbraio a Rotterdam, il torneo dove un anno fa è cominciato il suo autentico salto di qualità.


[1] Al 13 dicembre 2023, nella XIX Legislatura erano state approvate 83 leggi (40 sono leggi di conversione di decreti-legge), sono stati inoltre emanati 48 decreti-legge e pubblicati 36 decreti legislativi e 2 regolamenti di delegificazione: La produzione normativa: cifre e caratteristiche, Camera dei Deputati (https://temi.camera.it/leg19/temi/19_tl18_la_produzione_normativa_nella_xvii_legislatra.html).

[2] “I numeri del governo Meloni a un anno dalla nomina”, Openpolis, 25 ottobre 2023.

[3] Vittorio Foa, Questo Novecento, Torino, Einaudi, 1996, pp. 212-213.

[4] Secondo un recente sondaggio solo il 58 per cento degli italiani si sente coinvolto nelle ricorrenze del 25 Aprile e del 2 Giugno, mentre il restante 42 per cento si dichiara «poco o nulla interessato»: Nando Pagnoncelli, “Il 25 Aprile e il 2 Giugno dividono”, Il Corriere della Sera, 8 maggio 2023.

[5] “Perché la Costituzione è antifascista”, Pagella Politica, 24 aprile 2024.

[6] Anzi «osservare» e non «osservarne», che secondo alcuni analisti andava preferito per il legame tra la carta costituzionale e il regime repubblicano, in forza della legge 400 del 23 agosto 1988, che disciplina l’attività del governo e sviluppa l’ordinamento della presidenza del Consiglio dei Ministri. All’articolo 1, comma 3, si legge la formula corretta del giuramento che il presidente del Consiglio dei ministri e i ministri prestano nelle mani del presidente della Repubblica: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell’interesse esclusivo della nazione».

[7] “Giorgia Meloni, «Il 25 aprile sia la festa della libertà: i valori democratici ora difendiamoli in Ucraina. Fascismo, noi incompatibili con qualsiasi nostalgia»”, Il Corriere della Sera, 25 aprile 2024.

[8] Simonetta Fiori, “Il 25 aprile di Meloni non prevede la parola ‘antifascismo’, “la Repubblica”, 25 aprile 2023.

[9] È tempo di ritrovare e promuovere la più ampia unità e mobilitazione antifasciste, Anpi.it, 27 aprile 2023, https://www.anpi.it/e-tempo-di-ritrovare-e-promuovere-la-piu-ampia-unita-e-mobilitazione-antifasciste .

[10] Virginio Merola, “Cosa significa antifascismo oggi”, cantierebologna.com, 9 marzo 2022, https://cantierebologna.com/2022/03/09/cosa-significa-antifascismo-oggi/.

[11] Stefano Passigli, “La perdita di ruolo del Parlamento”, Il Corriere della Sera, 16 gennaio 2024.

[12] Stefano Passigli, “La perdita di ruolo del Parlamento”, loc. cit. alla nota precedente.

[13] «È come se la maggior parte dei politici della destra avessero fin qui vissuto in un altro Paese, un Paese dove non vigevano le regole del galateo istituzionale»: Ernesto Galli della Loggia, “Ora parole all’altezza del ruolo”, Il Corriere della Sera, 12 marzo 2023.

[14] Globalist, “Quando Lollobrigida elogiava il criminale fascista Graziani che ordinò la strage di cristiani in Etiopia”, globalist.it, 21 maggio 2023.

[15] Riccardo Di Blasi, “Gaffe, deliri e bestialità: 10 mesi di governo Meloni”, ortìcalab.it, luglio 2023, https://www.orticalab.it/Gaffe-deliri-e-bestialita-10-mesi-di-governo-meloni-la-russa-valditara-rampelli-salvini. La scelta di Lollobrigida gli ha fatto meritare da parte di Lilli Gruber, nella puntata di “Otto e mezzo”, trasmissione di La7, il 29 gennaio 2024, il soprannome di “ministro capotreno” che “attacca i giornalisti”.

[16] Gianni Pardo, “Salvini le ha sbagliate tutte”, ItaliaOggi, 21 ottobre 2022.

[17] “Caro affitti, la gaffe di Salvini”, La Repubblica, 10 maggio 2023.

[18] Lorenzo Sangermano, “Ponte sullo Stretto, torna virale sui social il video di Salvini che criticava l’opera: ‘Non sta in piedi’, La Repubblica, 6 ottobre 2023.

[19] Dagli iniziali 120 mila si è passati a 10 mila e ancora a 50 mila, peraltro «mal contati», sulla base di uno studio che però ne stima 33 mila: Carlo Canepa, “Salvini dà i numeri sui posti di lavoro creati dal ponte sullo Stretto”, Pagella Politica, 4 dicembre 2023.

[20] L’indagine, condotta da Pagella Politica, è scaturita nel libro Bugie al potere Il fact-checking del governo Meloni, a cura di Giovanni Zagni, Carlo Canepa, Roma, Mimesis, 2023, 200 p.

[21] Matteo Pucciarelli, “Attacco alla stampa, la Fnsi: ‘Meloni colpisce e delegittima tutti i giornalisti’, La Repubblica, 26 gennaio 2024.

[22] “Gruber definisce Lollobrigida ‘ministro capotreno’ che ‘attacca i giornalisti’. Caracciolo: ‘Non sa quello che fa e quindi parla d’altro’, il Fatto Quotidiano.it, 30 gennaio 2024.

[23] “La Russa: ‘Cercherò di essere il presidente di tutti. Anche la nascita del Regno d’Italia sia festa nazionale’, La Repubblica, 13 ottobre 2022. Il 3 febbraio 2024 è morto Vittorio Emanuele di Savoia.

[24] Gianni Oliva, “La Russa presidente del Senato e lo svarione sul Regno d’Italia festa nazionale”, La Stampa, 14 ottobre 2022.

[25] Pierfranco Pellizzetti, “Fenomenologia di “Giorgio” Meloni: chiamerò così la premier con l’aspirazione machista”, Il Fatto Quotidiano, 4 gennaio 2024; Paola Di Caro, “Non accetto lezioni da nessuno Le Europee? Decido all’ultimo”, Il Corriere della Sera, 23 gennaio 2024.

[26]Marco Marzano, “La classe dirigente di FdI è inetta e a Meloni serve che resti modesta”, il Fatto Quotidiano, 12 gennaio 2024.

[27] Massimo Gramellini, “Il governo Nonostante”, Il Corriere della Sera, 8 dicembre 2023.

[28] Matteo Renzi, “Basta con gli amichetti, solo sorelle e cognati”, Il Riformista, 23 gennaio 2024.

[29] Tommaso Coluzzi, “Arianna Meloni: ‘Ci attaccano ma noi facciamo sacrifici, ho rinunciato a fare shopping con mia sorella’”, Fanpage, 22 gennaio 2024.

[30] Antonio Fraschilla, “Poltrone per gli amici”, La Repubblica, 4 febbraio 2024.

[31] Concita De Gregorio, “Se il pop sale sul carro del vincitore”, La Repubblica, 17 dicembre 2023.

[32] “Quattro temi (più uno) su cui Meloni ha cambiato idea”, Pagella Politica, 6 settembre 2022.

[33] “Meloni laziale e poi romanista. Qual è la squadra del cuore di Giorgia?”, Quotidiano Nazionale, 26 settembre 2022.

[34] “No, il calcio non è la «terza industria» d’Italia”, Pagella Politica, 7 maggio 2020 (va considerato che i dati utilizzati nell’articolo, una risposta a una definizione di Matteo Renzi che collocava lo sport più popolare al terzo posto nell’economia italiana, sono precedenti alla pandemia). Nell’ultimo triennio il calcio nazionale ha registrato perdite per 3,6 miliardi di euro: Marco Bellinazzo, “Calcio italiano, triennio nero”, Il Sole 24 Ore, 4 agosto 2023.

[35] Carlo Canepa, Il fact-checking di Meloni sul taglio delle accise, “Pagella Politica”, 11 gennaio 2023; Meloni: “Mai promesso il taglio delle accise”, “la Repubblica”, 11 gennaio 2023; Paola Di Caro, Scontro sul taglio delle accise, “Corriere della Sera”, 12 gennaio 2023.

[36] Andrea Carugati, “Benzina, il governo smentisce Meloni”, Il manifesto, 19 agosto 2023.

[37] Carmelo Sant’Angelo, “Meloni ha tre facce, come la politica: come fidarsi di chi ha cambiato idea su tutto?”, il Fatto Quotidiano, 20 settembre 2023.

[38] Ilaria Federico, “Giorgia Meloni: un anno alla guida dell’Italia”, euronews.com, 22 ottobre 2023. Cf. https://it.euronews.com/2023/10/22/giorgia-meloni-un-anno-alla-guida-dellitalia.

[39] Antonio Contini, Giorgia Bulli, “Qual è il vero volto di Giorgia Meloni?”, Green European Journal, 10 agosto 2023.

[40] “Banche, 2023 anno d’oro: 43 miliardi di utili. Fabi: ora 435 euro in più al mese ai bancari”, Il Sole 24 Ore, 11 novembre 2023.

[41] “Le cose false e fuorvianti dette da Meloni in conferenza stampa”, Il Post, 4 gennaio 2024.

[42] Liana Milella, “Anno giudiziario, le toghe contro Nordio”, La Repubblica, 27 gennaio 2024.

[43] “Sgarbi si dimette da sottosegretario: ‘Per l’Antitrust non posso fare conferenze. Sangiuliano? Uomo senza dignità, non lo sento da mesi’”, Il Fatto Quotidiano, 2 febbraio 2024.

[44] “Il giallo del quadro rubato, la furia di Sgarbi contro la deputata Irene Manzi”, Il Resto del Carlino, 25 gennaio 2024.

[45] “Sgarbi a gamba tesa su Irene Manzi: ‘Che pena, non rappresenta nessuno’, Il Resto del Carlino, 26 gennaio 2024; “Opposizioni all’attacco di Sgarbi, ‘Meloni lo cacci’“, La Repubblica, 26 gennaio 2024.

[46] Fabrizio Roncone, “Elly Schlein contro tutti: la solitudine della segretaria. E c’è chi pensa al dopo”, Il Corriere della Sera, 23 gennaio 2024.

[47] Claudio Tito, “Gentiloni prepara l’addio a Bruxelles”, La Repubblica, 12 gennaio 2024; “Gentiloni non si candiderà al Parlamento europeo, ma tornerà in Italia”, Il Sole 24 Ore, 11 gennaio 2024.

[48] David Allegranti, “I tormenti del Pd, un anno da leader ma Schlein finisce sotto il fuoco incrociato”, Quotidiano Nazionale, 12 gennaio 2024.

[49] Francesco Cundari, “Lo chiamavano europeista Un’altra grande vittoria di Conte e del Movimento affonda-Stati”, Linkiesta, 22 dicembre 2023.

[50] Alfonso Raimo, “Giuseppe Conte. Il campo largo sono io”, HuffPost, 30 gennaio 2024.

[51] Romano Prodi al centrosinistra: ‘Conte ancora non ha deciso dove sta. Unitevi o non governerete mai’, HuffPost, 30 gennaio 2024.

[52] Marco Ascione, “Prodi: ‘Il centrodestra resta forte perché manca ancora un’alternativa. Conte? Non si sa dove sta’, Il Corriere della Sera, 30 gennaio 2024.

[53] “Che cosa dicono i sondaggi con l’inizio del 2024”, Pagella Politica, 29 gennaio 2024.

[54] Antonella Baccaro, “Come e perché la destra si è presa la Rai (e non la mollerà)”, Il Corriere della Sera, 16 settembre 2023.

[55] Giulio Cavalli, “Rai: quelli che vengono (oltre quelli che vanno)”, Left, 16 maggio 2023

[56] Paolo Massetti, “L’impresentabile uomo di Meloni che vorrebbe trasformare Rai in Byoblu”, Esquire, 11 maggio 2023.

[57] Antonella Baccaro, ”‘O fai il dirigente o il militante»: l’AD Rai Roberto Sergio apre un’istruttoria. Il pressing della presidente Soldi”, Il Corriere della Sera, 16 dicembre 2023.

[58] Antonio Dipollina, “La lunga notte, quella fiction ad alto rischio, La Repubblica, 30 gennaio 2024.

[59] Antonio Carioti, “La Lunga Notte, cosa successe davvero nel luglio 1943”, Il Corriere della Sera, 30 gennaio 2024.

[60] Aldo Grasso, “La serie su Mussolini, un melodrammatico gioco di coppie”, Il Corriere della Sera, 30 gennaio 2024.

[61] Gianni Santucci, “Otto anni di corsa dei prezzi”, Corriere della Sera-Milano, 4 gennaio 2024.

[62] Letizia Giangualano, “Salgono i prezzi ma non i salari: i ceti deboli sono sempre più invisibili”, Il Sole 24 Ore, 5 settembre 2023.

[63] Si contano oltre 5 milioni 674 mila poveri assoluti in Italia, un residente su dieci, Il Sole 24 Ore, 26 novembre 2023.

[64] Valentina Conte, “In Italia metà della ricchezza in mano al 5 per cento delle famiglie”, La Repubblica, 9 gennaio 2024.

[65] “Bankitalia, debito record ad ottobre: sale a 2.868 miliardi di euro”, La Stampa, 15 dicembre 2023.

[66] “In Italia il deficit e il debito pubblico sono tra i più alti d’Europa”, Openpolis, 6 ottobre 2023; per il report mese per mese, riscontrante un leggero calo nello scorso novembre, rinvio a Redazione Soldionline, 16 gennaio 2024.

[67] Massimo D’Antoni, Fedele De Novellis, “I conti del governo Meloni”, Il Mulino, 22 gennaio 2024.

[68] “Legge di Bilancio, via libera anche alla Camera”, Il Fatto Quotidiano.it, 29 dicembre 2023.

[69] Francesca Basso, “Nuovo patto di Stabilità, al via i negoziati con Strasburgo”, Il Corriere della Sera, 17 gennaio 2024.

[70] Flavia Perina, “FdI non “guarisce” dalla sindrome che affligge la destra: la retorica dell’assedio”, La Stampa, 22 gennaio 2024.

[71] Valentina Magri, “Scuola, quanto sono istruiti i giovani oggi?”, Wall Street Italia, 6 settembre 2023.

[72] Redazione Epicentro, Istituto Superiore di Sanità, Risorse e disuguaglianze in sanità: il parere dei medici europei, 2 novembre 2023.

[73] Eleonora Martini, “Un anno di governo Meloni e sono regrediti i diritti di donne e persone Lgbtq+”, Il Manifesto, 21 ottobre 2023.

[74] Eugenia Nicolosi, “Action Aid: ‘Dal Governo Meloni molte chiacchiere e pochi fatti contro la violenza sulle donne’”, La Repubblica, 13 novembre 2023.

[75] Per una trattazione storica del fenomeno sia consentito rinviare a Marco Severini, Le fratture della memoria. Storia delle donne in Italia dal 1848 ai nostri giorni, Venezia, Marsilio, 2023, 440 p. [si vedano le pp. 411-416 e passim].

[76] Elena Cecchettin, “I ‘mostri’ non sono malati, sono figli sani del patriarcato», Corriere del Veneto, 20 novembre 2023.

[77] Enrico Bellavia, “Ecco perché Elena Cecchettin è la persona dell’anno per L’Espresso”, L’Espresso, 29 dicembre 2023.

[78] Gabriele Romagnoli, “107 nomi di donne, tutte diverse ma unite dall’unica linea rossa della violenza”, La Repubblica, 24 novembre 2023.

[79] Elisa Messina, “Numero femminicidi 2023: perché circolano dati così diversi?”, Il Corriere della Sera – La 27esimaOra, 5 dicembre 2023. In questo articolo vengono riportati i principali dati differenti riportati sul fenomeno, tra cui gli 88 registrati nel database della 27esimaOra; i 106 letti e scritti nelle tante celebrazioni ufficiali contro la violenza; i dati del Viminale che conta tra le 109 donne uccise dal primo gennaio al 4 dicembre 2023, i delitti commessi in ambito familiare affettivo (90) e tra questi, quelli commessi da partner o ex partner (58); fino al dato dell’Osservatorio del movimento femminista «Non una di meno» che, aggiornato all’8 novembre, annovera 110 vittime suddivisi però in «94 femminicidi, 1 trans*cidio, 9 suicidi e 6 morti in fase di accertamento indotti o sospetti indotti da violenza e odio di natura patriarcale».

[80] Istat, Commissione Parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere – Audizione dell’Istituto Nazionale di Statistica Dott. Saverio Gazzelloni Direttore della Direzione centrale delle statistiche demografiche e del censimento della popolazione, 23 gennaio 2024, p. 12.

[81] “Numero femminicidi 2023: perché circolano dati così diversi?”, Il Corriere della Sera, loc. cit alla nota 78.

[82] Eodem loco.

[83] Antonio Libonati, “Raggiungeremo la parità di genere nel 2154”, CNC media, 21 giugno 2023; “Global Gender Gap Report 2023 – l’Italia scende di quota”, SheTech, giugno 2023.

[84] Amnesty International, Il Rapporto 2022-2023 sulla situazione dei diritti umani nel mondo, 28 marzo 2023, https://www.amnesty.it/il-rapporto-2022-2023-sulla-situazione-dei-diritti-umani-nel-mondo/.

[85] Il quotidiano di via Solferino ha riportato la notizia della carcerazione umana dell’attivista lombarda solo l’ultimo dello scorso novembre: Lio Pierpaolo, “L’anarchica in carcere a Budapest: ‘Tormentata da topi, cimici e pulci»’”, Il Corriere della Sera, 30 novembre 2023.

[86] Federico Berni, “Cosa ha fatto Ilaria Salis, di cosa è accusata e cosa è successo a Budapest l’11 febbraio 2023”, Il Corriere della Sera, 30 gennaio 2024; “Ilaria Salis, perché era a Budapest e di cosa è accusata. Rischia fino a 24 anni di carcere”, Il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2024.

[87] Cesare Giuzzi, “Ilaria Salis: ‘Ho un nodulo al seno e non mi danno il referto. Nel cibo pezzi di plastica e capelli’, cosa c’è scritto nel memoriale”, Il Corriere della Sera, 1° febbraio 2024.

[88] Valentina Santarpia, “Ilaria Salis, Tajani: ‘Orban non c’entra, non è il governo che fa i processi’. Lollobrigida: ‘Non ho visto le immagini, non commento’”, Il Corriere della Sera, 30 gennaio 2024.

[89] Valentina Santarpia, Il Corriere della Sera, loc.cit lla oita precedente

[90] “Ilaria Salis, Salvini insiste: ‘Se condannata non può fare la maestra’. La replica del padre: ‘Abbiamo deciso di querelarlo per diffamazione’”, La Repubblica, 1° febbraio 2024.

[91] Andrea Colombo, “Meloni ritrova l’amico Orbán, alleanza nel nome di Dio”, il Manifesto, 15 settembre 2023.

[92] Marco Galluzzo, “Meloni, l’incontro con Orban e il grimaldello che può riportare Ilaria Salis in Italia”, Il Corriere della Sera, 2 febbraio 2024.

[93] “Ilaria Salis, catene a mani e piedi. Il papà: ‘Torture per farla confessare’”, La Stampa, 30 gennaio 2024.

[94] Rinvio per un puntuale approfondimento sul tema all’editoriale comparso sull’undicesimo numero di Giampiero Gramaglia, “La nuova guerra fra Israele e Hamas in un mondo senza tregua”, Democrazia futura, III (11), luglio-settembre 2023, pp. 955-958.

[95] Greta Ubbiali, “Gaza, donne e bambini pagano le maggiori conseguenze”, Il Sole 24 Ore, 24 gennaio 2024.

[96] Davide Frattini, “Hamas valuta la tregua per Gaza. Ma il governo israeliano si spacca sull’accordo”, Il Corriere della Sera, 30 gennaio 2024.

[97] Guido Olimpio, “Chi sono gli Houthi e cosa faranno adesso? Che ruolo ha l’Iran?”, Il Corriere della Sera, 12 gennaio 2024.

[98] “Mar Rosso, all’Italia il comando tattico della missione europea Aspides”, Il Fatto Quotidiano, 2 febbraio 2024.

[99] Alessia Candito, “Le Ong insorgono dopo l’accordo con l’Albania sui migranti: ‘Si istituzionalizza la deportazione’”, La Repubblica, 7 novembre 2023.

[100] Andrea Galli, “La dolce vita a Durazzo dei pensionati italiani: mare (e poche tasse). ‘Non abbiamo rimpianti’, Il Corriere della Sera, 8 ottobre 2023.

[101] Daniela Frassini, Italia-Albania, sì della Camera all’intesa sui migranti. Cosa prevede, “Avvenire”, 24 gennaio 2024.

[102] Marco Galluzzo, “Sviluppo e salute, al via il Piano Mattei: 5,5 miliardi per l’Africa. Meloni: ‘Non è carità’”, Il Corriere della Sera, 29 gennaio 2024.

[103] Antonio Fraschilla, “Fazzolari, il regista della propaganda nera tra veline ai direttori e diktat al partito”, La Repubblica, 25 gennaio 2024.

[104] Lorenzo De Cicco, “Nasce il Piano per l’Africa ma è una scatola vuota. L’Unione africana gela Meloni: ‘Mai consultati’”, La Repubblica, 29 gennaio 2024.

[105] Maurizio Ferrera, “Le proteste degli agricoltori: il disagio e l’errore”, Il Corriere della Sera, 29 gennaio 2024; “Protesta degli agricoltori: continuano i blocchi dei trattori a Parigi. Adesioni anche dalla Spagna. E in Belgio puntano allo stop del porto”, Il Fatto Quotidiano, 30 gennaio 2024.

[106] “Bruxelles, protesta agricoltori: roghi fuori dal Parlamento europeo”, La Stampa, 1° febbraio 2024.

[107] Luca Bianco, “L’Ocse ci dice come l’Italia può crescere: è il contrario di quello che fa Meloni”, HuffPost, 22 gennaio 2024.

[108] Marco Iasevoli, “Fisco. Meloni cambia narrazione: dal «pizzo di Stato» all’’evasione come terrorismo’”, Avvenire, 31 gennaio 2024.

[109] Massimo Gramellini, “San Sinner, non Sanremo”, Il Corriere della Sera, 31 gennaio 2024.

[110] Appena un ventennio fa, nel 2003, la nostra nazionale di tennis militava in serie C, mentre gli Internazionali d’Italia rischiavano il declassamento o il trasferimento all’estero e il nostro miglior tennista, Andrea Gaudenzi, era sceso dal 18° posto del ’95 al 54°; oggi il tennis è il quinto sport nazionale (660.000 tesserati, 4,5 milioni praticanti e una struttura federale moderna che molto deve all’operato del presidente Angelo Binaghi); sul trend storico che ha portato al riscatto, e sulla stessa vicenda della vittoria in Cile nel ’76, rinvio a Marco Severini, “Partite incrociate”, in Storie di Natale 2023, Millesettecentonovantasette edizioni, Senigallia 2023, pp. 9-34.

[111] Massimiliano Jattoni Dall’Asén, “Montecarlo e tasse, ecco perché gli sportivi scelgono la residenza nel Principato (e come si fa a prenderla)”, Il Corriere della Sera-Economia, 31 gennaio 2024; Elena Comelli, “Sinner e la casa Montecarlo”, Quotidiano Nazionale-Economia, 1° febbraio 2024.

[112] Simone Golia, “Sinner non andrà a Sanremo: la conferma durante la conferenza stampa alla Fitp: ‘Farò il tifo da casa’”, Il Corriere della Sera, 31 gennaio 2024.

[113] “Classifica ribaltata: Sinner è primo, tifosi increduli”, Sportitalia.it, 4 febbraio 2024.

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