Segue un articolo su “Le nobili origini dell’idea di Europea” di Fiorenza Taricone, Ordinaria di Storia delle dottrine politiche all’Università di Cassino e Lazio Meridionale, dedicato – come recita l’occhiello – a “Due donne ispiratrici e costruttrici: Ada Rossi e Ursula Hirschmann”. Dopo un breve escursus storico “Dai primi approcci di Kant, Ldemonnier, Mazzini e Cattaneo al Manifesto di Ventotene” concepito e scritto ottant’anni fa durante il confino da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, la storica romana ripercorre il percorso di Spinelli “Fra idealismo e pragmatismo” che, nello stesso Manifesto di Ventotene considera che “Per annullare la possibilità di una guerra di tale portata c’è solo il federalismo, che muove verso la disarticolazione dell’unità statuale e tende a una superiore unità, al di sopra dello Stato”, sino al suo impegno prima come Commissario delle Comunità Europee, poi come Presidente della Commissione istituzionale del Parlamento europeo, veste nella quale Spinelli riuscirà a far approvare la sua proposta di Trattato di Unione europea accettata a larga maggioranza il 14 febbraio 1984: ”ma gli interessi delle diverse nazioni europee -ricorda l’autrice – trasformano il progetto in un più blando Atto Unico europeo, che comunque sancisce la definitiva consacrazione del Parlamento europeo”.
L’articolo prosegue con i ritratti de “Le europeiste di Ventotene. Ada Rossi e Ursula Hirschmann” La prima, moglie dell’esponente antifascista di Giustizia e Libertà, Ernesto Rossi, con l’aiuto dell’esule antinazista tedesca, moglie all’epoca del socialista Eugenio Colorni e futura moglie dello stesso Altiero Spinelli “riesce a portare clandestinamente il testo fuori dall’isola, a farlo battere a macchina a Bergamo e diffonderlo tra gli antifascisti sul continente “. “Nel tempo trascorso sull’isola – ricorda la professoressa Taricone – Ursula partecipa attivamente al dibattito e alla stesura con Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi del Manifesto di Ventotene; la pratica della militanza politica, l’abbandono delle idee esclusivamente comuniste, l’essere una apolide che non conosce frontiere, l’incontro traumatico con un nazionalismo esasperato come quello tedesco e la sua proliferazione in Italia, sono alla base della sua adesione alla causa federalista”. L’articolo si conclude ripercorrendone “L’attività europeista nel dopoguerra “a fianco di Altiero Spinelli sposato dopo l’assassinio di Colorni nel 1944, sino alla sua morte sopraggiunta cinque anni dopo quella di Spinelli, nel 1991.
______________________________________
Nel 2021 il Manifesto di Ventotene, concepito e scritto durante il confino da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni compie ottanta anni, ed è stata la pietra miliare senza la quale l’attuale Unione europea sarebbe stata impensabile[1].
Il Manifesto non nasce certo dal nulla, ma da una riflessione storico-politica-filosofica antecedente che non casualmente troviamo in Germania, Francia, e Italia, promotori della prima Europa a sei; questi tre paesi e in aggiunta il Benelux (Belgio, Lussemburgo e Olanda) sono stati gli interlocutori del pensiero federalista. In Europa, dopo le prime riflessioni con Immanuel Kant, il progetto di arrivare agli Stati Uniti d’Europa si era mantenuta vivo nell’Ottocento e nel Novecento, in Francia con il sansimonismo, in Italia con gli scritti di Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo, fino alla maturazione appunto del Manifesto di Ventotene.
Kant inserisce l’ideale federativo nel più globale disegno espresso nella sua opera dal titolo Per la pace perpetua. In particolare, nell’art. 2 nessuno Stato indipendente (piccolo o grande che sia) può essere acquisito da un altro per via d’eredità, scambio, acquisto o donazione. Uno Stato non è infatti un bene, come lo è per esempio il territorio che ne costituisce la sede, ma è una società di uomini sulla quale nessuno al di fuori di essa può comandare e disporre.
Nel secolo successivo, il sansimoniano Charles Lemonnier fonda il giornale Les Etats-Unis d’Europe, organo di stampa della Lega internazionale della Pace e della Libertà; in Italia, Mazzini lega l’indipendenza alla formazione della Giovane Europa, Cattaneo, milanese di nascita e lombardo per cultura e mentalità, è all’origine della versione italiana dell’idea federalista e autonomista, definita come “l’esercizio della ragione”. Dal capillare esercizio della libertà, cioè della ragione, scaturisce ogni fonte d’incivilimento, di conoscenza, di progresso economico e sociale. La filosofia dell’incivilimento non può prescindere da un ordinamento statale che, scrive Cattaneo, deve esser ispirata dal ‘principio di Federazione’ e non dal ‘principio di egemonia’. Cattaneo sostiene quindi l’applicazione del principio federale all’Europa delle nazioni, la creazione di un nuovo diritto pubblico europeo, conil riconoscimento della limitazione della sovranità militarista e aggressiva e l’abbandono dell’equilibrio della forza.
Altiero Spinelli da uno fra i promotori del Movimento Federalista Europeo a Commissario europeo
Il Federalismo, inteso come lo strumento politico che permette di istaurare relazioni pacifiche tra le nazioni e garantire nello stesso tempo l’autonomia attraverso la loro subordinazione ad un potere superiore, ma limitato, comincia a diventare nel Novecento una scelta teorica e pratica, perché lo scoppio della Prima guerra mondiale aveva già rivelato i primi effetti della crisi dello Stato nazionale.
L’idea dell’unità europea trova sostegno e diffusione durante la lotta di Resistenza; è proprio nei lager dell’Europa occupata che uomini e donne di diversa nazionalità, accomunati da un’esperienza di dolore e di sacrificio, scoprono la comune aspirazione ad un ordine di democrazia e di pace. In piena clandestinità e poi nel confino antifascista, l’idea europea federalista trova un acceso sostenitore in Altiero Spinelli, che aveva aderito giovanissimo al PCI, entrando subito in clandestinità contro il regime fascista; nel 1927 viene arrestato e condannato a dieci anni di carcere e sei di confino.
È nel suo esilio a Ventotene che il dissidente italiano formula, con il contributo di Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, il famoso Manifesto di Ventotene.
Nell’agosto 1943, ottenuta la piena libertà, Spinelli promuove la fondazione del Movimento Federalista Europeo (MFE).
Negli anni Cinquanta, grazie ad esso, la questione politica della costituente europea e di una Comunità Europea di Difesa (CED) guadagna la centralità del dibattito politico in Europa.
Dopo l’abbandono del MFE, nel 1970 Spinelli diventa membro competente per l’Industria e il Commercio della Commissione, organo esecutivo delle Comunità Europee.
Nel decennio 1976-86, Spinelli fa parte del Parlamento europeo, assumendo negli ultimi due anni anche la carica di presidente della Commissione istituzionale. La sua proposta di Trattato di Unione europea viene accettata a larga maggioranza il 14 febbraio 1984, ma gli interessi delle diverse nazioni europee trasformano il progetto in un più blando Atto Unico europeo, che comunque sancisce la definitiva consacrazione del Parlamento europeo.
Fra idealismo e pragmatismo
Altiero Spinelli, scomparso nel 1986, si differenzia dagli altri europeisti per il suo atteggiamento idealistico, ma allo stesso tempo pragmatico. Non si limita infatti ad un’acuta critica storica, denunciando la crisi irreversibile dello Stato nazionale in una fase in cui esso viene percepito come un’entità forte e incancellabile, né si limita ad auspicare in un progetto a lungo termine la realizzazione della Federazione europea, bensì cerca in ogni modo di dare alla sua realizzazione una scadenza effettiva.
Fino alla stesura del Manifesto di Ventotene, l’idea federalistica europea era rimasta nel limbo delle utopie e delle proposizioni meramente teoriche, questo documento, invece, si propone di essere innanzitutto un programma d’azione.
“Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami fra i singoli movimenti che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre sin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta in Europa”.
Con il Manifesto si auspica quindi una perfetta commistione di pensiero e azione, per creare non un partito politico, ma un organismo interpartitico e transnazionale.
La novità della riflessione di Spinelli sta anche nel giudizio sulla guerra. Essa, rispetto alla realtà del secolo precedente, era divenuta totale, non più, quindi, scontro tra eserciti, ma cataclisma che si abbatte sui popoli. Per annullare la possibilità di una guerra di tale portata c’è solo il federalismo, che muove verso la disarticolazione dell’unità statuale e tende a una superiore unità, al di sopra dello Stato.
Sovranità assoluta e stato-nazione sono quindi gli avversari del federalismo europeo concepito da Spinelli. Ovviamente, l’integrazione più dannosa tra questi due poteri, sovranità assoluta e principio nazionale, Spinelli l’identifica negli Stati fascisti che negli anni Quaranta appaiono come la principale minaccia alla pace. Il Manifesto afferma come priorità la formazione di un
“esercito unico federale, unità monetaria, abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni all’emigrazione tra gli stati appartenenti alla federazione, rappresentanza diretta dei cittadini ai consessi federali, politica estera unica”.
Ma quali caratteri specifici deve avere questa nuova Europa? Innanzitutto, deve essere “socialista”, dove per questo termine Spinelli intende “l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita”.
“Scorgevo, scriveva Spinelli nel Manifesto, quale sarebbe stato il mio cammino quando quasi tutta l’Europa continentale era stata soggiogata da Hitler, l’Italia di Mussolini ansimava al suo seguito, l’URSS stava digerendo il bottino che era riuscita ad afferrare, gli Stati Uniti erano ancora neutrali e l’Inghilterra sola resisteva, trasfigurandosi agli occhi di tutti i democratici d’Europa in loro patria ideale; proposi ad Ernesto Rossi di scrivere insieme un manifesto per un’Europa libera ed unita, e di immetterlo nei canali della clandestinità antifascista sul continente. Sei mesi dopo, mentre gli eserciti hitleriani si riversavano sulle terre russe, passando ancora, come l’anno prima in Europa di vittoria in vittoria, il Manifesto era pronto. Del Manifesto io scrissi i capitoli che trattavano della crisi della civiltà europea, dell’unità europea come compito preminente del dopoguerra e del partito rivoluzionario necessario per realizzarla. Ernesto Rossi scrisse il capitolo sulla riforma della società da affrontare nel dopoguerra. Ma ne discutemmo insieme ogni paragrafo, e riconosco ancora giri di pensiero caratteristici dell’uno di noi due nelle parti scritte dall’altro.
Mi sono spesso chiesto cosa abbiamo apportato di originale nel Manifesto.
Non dicevamo cose nuove, né quando parlavamo della crisi della civiltà europea, né quando presentavamo l’idea della federazione. Altri l’avevano già fatto, certamente meglio di noi. Il Manifesto conteneva inoltre alcuni errori politici di non lieve portata. Il primo era l’ottimismo di tutti coloro che lanciando una nuova idea credono sempre che essa sia di imminente realizzazione. Poiché però questo errore si ritrova dal Vangelo che credeva di essere impostato tutto sull’idea dell’imminente fine del mondo, al Manifesto del partito comunista che credeva di essere fondato anch’esso tutto sull’imminente rivoluzione socialista, si può considerare veniale l’errore identico del Manifesto federalista. Più grave era il fatto che non avevamo in alcun modo previsto che gli europei, dopo la fine della guerra, non sarebbero rimasti più padroni di sé nella ricerca del loro avvenire, ma, avendo cessato di essere il centro del mondo, sarebbero stati pesantemente condizionati da poteri extraeuropei. Tutta la parte finale che invocava la necessità di un partito rivoluzionario federalista si è anche rivelata caduca, perché l’esigenza, giusta, di una guida consapevole della necessità di guidare e non di seguire le masse ed i loro moti, era espressa ancora in termini troppo rozzamente leninisti. Ciononostante, il Manifesto è stato ed è ancora un testo vivo e significativo per molti suoi lettori, soprattutto grazie a due idee politiche che gli erano proprie. La prima è che la federazione non viene presentata come un bell’ideale, cui rendere omaggio per occuparsi poi d’altro, ma come un obiettivo per la cui realizzazione bisognava agire ora, nella nostra attuale generazione. Non si trattava di un invito a sognare, ma di un invito ad operare. La seconda idea significativa consisteva nel dire che la lotta per l’unità europea avrebbe creato un nuovo spartiacque fra le correnti politiche, diverso da quello del passato. La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari -si può leggere nel Manifesto- cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale; una volta conquistato il potere nazionale, lo adopreranno come strumento per realizzare l’unità internazionale”.[2]
Le europeiste di Ventotene. Ada Rossi e Ursula Hirschmann
Se non molti giovani conoscono la storia avventurosa del Manifesto di Ventotene, meno ancora sanno che ha avuto padri, ma anche madri, soprattutto Ursula Hirschmann Spinelli e la partigiana Ada Rossi, moglie dell’esponente antifascista di Giustizia e Libertà, Ernesto Rossi.
L’essere confinate non per loro volontà ha rappresentato per molte donne antifasciste una dura prova che, hanno superato grazie alla forza delle convinzioni politiche e al bisogno di libertà. Ada Rossi, insegnante, partigiana e convinta europeista, ha studiato nel Collegio Villa della Regina a Torino e poi all’università di Pavia dove si laurea in matematica, un corso di studi molto poco frequentato da giovani universitarie, una antesignana delle odierne Stem (Science, Technology, Engineering, Mathematics). Insegna in un Istituto Tecnico di Bergamo, il “Vittorio Emanuele”, dove conosce Ernesto Rossi, anch’egli insegnante, attivista e politico antifascista, che sposa nel 1931 quando lui si trova già in carcere.
Per il suo dichiarato antifascismo Ada Rossi viene allontanata dalla scuola pubblica dove insegna ed è costretta a impartire lezioni private per mantenersi. Continua a svolgere funzioni di propaganda, collegamento e formazione politica fra i giovani poi divenuti protagonisti della resistenza bergamasca.
Nel novembre del 1939, per effetto di un’amnistia, Ernesto Rossi viene scarcerato e inviato nell’isola di Ventotene. Dall’incontro con l’ex comunista Altiero Spinelli e con il socialista Eugenio Colorni, scaturisce il Manifesto per un’Europa libera e unita, noto come Manifesto di Ventotene di cui condivide in particolare il rifiuto di ogni chiusura nazionalista e sovranista. È lei, con l’aiuto della moglie di Colorni a portare clandestinamente il testo fuori dall’isola, a farlo battere a macchina a Bergamo e diffonderlo tra gli antifascisti sul continente.
Ursula Hirschmann nasce a Berlino il 2 settembre 1913 in una famiglia ebrea non praticante. Il padre Carl è medico chirurgo, originario della Prussia occidentale; ricorda della sua crescita affettiva e culturale la possibilità di costruire
“un mondo senza umiliazione, fondato sulla libertà e sulla ragione” una scoperta che le procurava una felicità indistruttibile, “rendendomi armata contro i legami dell’irrazionale, della Unvernunft, di cui l’antisemitismo non era che una delle innumerevoli pietose espressioni”[3].
Ursula quindi, ha una precoce consapevolezza della necessità di un impegno politico e giovanissima si impegna attivamente insieme al fratello nel cosiddetto Fronte di Ferro, l’alleanza fra la SPD e i gruppi socialisti e democratici; fin da subito appare chiaro a Ursula che i nazionalsocialisti avanzavano perché i partiti della sinistra sono divisi e combattendosi fra loro lasciano campo libero alle frequenti aggressioni fasciste nei quartieri operai, soprattutto negli ultimi mesi del 1932 e i primi del 1933.
All’avvento del nazismo, Ursula lascia la capitale tedesca alla volta di Parigi, nell’esperienza dell’esilio politico condivisa con tanti altri esuli come lei.
Ursula conosce il primo marito Eugenio Colorni quando è impegnata nello studio di Georg Wilhelm Friedrich Hegel nella Staatsbibliothek e il filosofo approfondisce Gottfried Wilhelm von Leibniz; è allora lettore d’italiano presso il professor Erich Auerbach a Marburgo e va saltuariamente a Berlino per concludere gli studi su Leibniz, iniziati a Milano sotto la guida di Piero Martinetti; è un militante antifascista già dall’Università anche perché fra i suoi professori, Martinetti e altri colleghi, non avevano prestato il giuramento al fascismo, imposto dal regio decreto n.1127, apparso sulla Gazzetta Ufficiale del 28 agosto del 1931.
Più tardi si rivedono a Parigi e successivamente Ursula lo raggiunge a Trieste, nei primi mesi del 1935, dove insegna all’Istituto Magistrale Femminile Carducci, perché per insegnare nelle scuole medie, occorre il giuramento. Eugenio interrompe il precedente legame e il rapporto sfocia nel matrimonio.
All’inserimento nella quotidianità di Trieste Ursula dedica nella sua autobiografia varie riflessioni, fra cui osservazioni sulla condizione femminile.
“Mi sentivo presa senza esserne cosciente, nel lento processo di fagocitamento in cui la nostra società – nel mio caso la società italiana di quegli anni – colloca la donna. Questa società che ai maschi pone una serie di sfide per mettere alla prova le loro capacità, alle donne pone una lunga serie di tentazioni per mettere fuori gioco le loro capacità. La tentazione estetica, per esempio, che si presenta con cento facce e di cui è difficile fare a meno una volta che se ne sia sentito lo charme”[4].
Dalla loro unione nasceranno tre figlie, la prima nel 1937, Silvia Colorni, poi Renata Colorni e infine Eva Colorni.
Eugenio Colorni intanto è diventato attivo nel Centro interno socialista, e dirigente a partire dal 1937, distaccandosi dalle posizioni gielliste e mantenendo ferma la convinzione di una necessaria azione rivoluzionaria legata alla lotta di classe. Fa necessariamente frequenti viaggi a Parigi dove incontra i fuorusciti e finisce nel 1938 nelle mani dell’Ovra che da anni nutre sospetti su di lui. Eugenio, che si era recato alla Questura di Trieste per il passaporto necessario a recarsi in Francia prima di trasferirsi con la famiglia a Milano, viene fermato dalla polizia; il suo appartamento viene perquisito alla presenza della moglie Ursula, che fortunatamente ha avuto il tempo di bruciare il materiale più compromettente gettando in un burrone la macchina da scrivere necessaria alla corrispondenza politica[5].
Dopo quattro mesi di carcere, mentre per Ursula non troveranno prove concrete di attività antifasciste e non viene inquisita, a Eugenio viene comminata una pena di cinque anni di confino da scontare nell’isola di Ventotene e poi a Melfi nel 1941; alla moglie Ursula, priva di riferimenti familiari, con una bambina piccola, non viene rifiutato il permesso di seguire il marito nell’isola. Ursula lo segue dunque a Ventotene, che lascia solo per brevi periodi per partorire, o per sostenere esami alla Facoltà di Filologia moderna dell’Università di Venezia, dove si laurea con il punteggio di 110 e lode il 30 ottobre 1939[6].
Nel tempo trascorso sull’isola Ursula partecipa attivamente al dibattito e alla stesura con Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi del Manifesto di Ventotene; la pratica della militanza politica, l’abbandono delle idee esclusivamente comuniste, l’essere una apolide che non conosce frontiere, l’incontro traumatico con un nazionalismo esasperato come quello tedesco e la sua proliferazione in Italia, sono alla base della sua adesione alla causa federalista; come ci ricorda Marcella Filippa, Ursula a Ventotene contribuisce insieme ad altre donne alla diffusione del documento sulla terraferma, in particolare all’uscita dall’isola del Manifesto, nascosto e portato via in circostanze rocambolesche, poi tradotto da lei in particolare in tedesco.
Ursula si stabilisce definitivamente nell’isola nel luglio del 1939, e lì i coniugi concepiscono le altre due figlie, Renata, che nasce nel novembre del 1939, e Eva nel 1941, ma il matrimonio è destinato a finire.
Nell’isola Ursula stringe amicizia con altre donne, in particolare con Ada Rossi[7]; Le lettere tra Colorni e la moglie, testimoniano uno scambio intellettuale intenso tra di loro, accompagnato da crisi e difficoltà, che vedrà poi come epilogo la nascita di un rapporto a Ventotene con Altiero Spinelli.
Eugenio Colorni morirà a Roma per mano della banda Koch nel maggio 1944 a pochi giorni dalla liberazione della città.
Dalla profonda, intensa e duratura storia di Ursula con Spinelli, nasceranno altre tre figlie, Diana Spinelli, Barbara Spinelli e Sara Spinelli.
“Ursula avrà presto la consapevolezza di essere una déracinée, come si definiva, una donna senza patria, che ha cambiato più frontiere che di scarpe, e parafrasando Bertold Brecht, non ha nulla da perdere se non le proprie catene; pertanto, l’Europa non può che essere la propria casa e il proprio progetto”[8].
Va però detto che risulta impossibile stabilire in modo preciso l’apporto di Ursula al Manifesto.
“Abbiamo soltanto le memorie di Spinelli, qualche intervista rilasciata da Rossi, e due racconti lievemente ormeggiati sulla vita del confino a opera di Giorgio Braccialarghe e Alberto Jacometti. Ursula in quest’ottica è sempre stata considerata un po’ come una sorta di Madonna rinascimentale, il puro amore che scuote gli animi di Spinelli e immaginiamo anche di Colorni, ma il suo ruolo politico nelle discussioni tra i federalisti non è mai stato sottolineato”[9].
L’attività europeista
Il 1943 è un anno decisivo per i confinati di Ventotene e le famiglie; Colorni che era a Melfi, approfittando di un permesso a Roma per una visita, si rende irreperibile, mentre, con la caduta del fascismo, Ernesto Rossi e poi Altiero Spinelli tornano in libertà.
Colorni e Rossi convocano a Milano nella casa di Mario Alberto Rollier la riunione di fondazione del movimento federalista, logica conseguenza del Manifesto. Non tutti riportano la stessa versione sulle modalità con cui Ursula porta fuori dall’isola il Manifesto: secondo quanto riportato da Spinelli nelle sue memorie, copiato su leggerissime carte di sigaretta e cucito nei risvolti della pelliccia, per altri nascosto nell’orlo della gonna, o nascosto in un pollo[10].
L’impegno di Ursula, a fianco di Spinelli, prosegue con viaggi in Svizzera e contatti con i rifugiati europei.
“La dichiarazione federalista internazionale è composta di sei punti: il primo è redatto dal francese Jean-Marie Soutou; il secondo è opera di Spinelli; il terzo e quarto, relativi al problema della pace in Europa e alle caratteristiche della futura federazione europea sono opera di Rossi; il quinto sul problema tedesco è opera di Spinelli, il sesto punto che tratta delle relazioni fra Nazioni Unite e il progetto di federazione europea è di nuovo opera di Soutou”.[11]
Poco dopo nasce la prima delle figlie che Spinelli avrà da Ursula, Diana, nel 1946 nasce la seconda, Barbara; Ursula riacquista presto un ruolo preminente con l’organizzazione della Conferenza di Parigi sul progetto di federazione, mettendo a frutto la conoscenza degli ambienti culturali francesi. All’importante convegno partecipano Albert Camus, di fatto uno degli organizzatori, Emmanuel Mounier e George Orwell.
Il rientro in Italia dei coniugi Hirschmann Spinelli non facilita però la diffusione del messaggio federalista: gli Stati Uniti da una parte e l’Unione Sovietica dall’altra pongono ai paesi liberati altre scelte che non sono quelle dell’unione politica europea.
La ripresa delle attività negli anni Cinquanta vede comunque Ursula assiduamente presente nell’elaborazione politica di Spinelli, “ricoprendo la funzione speciale di consigliera, confidente, ispiratrice, dialogante critica”[12].
I primi anni Settanta segnano anche l’incontro di Ursula Hirschmann con il femminismo e il movimento da lei ideato, Femmes pour l’Europe, che non va confuso quindi con Femmes d’Europe, legato alla figura di Fausta Deshormes La Valle.
Il gruppo d’iniziativa di Ursula nasce dopo che si è trasferita a Bruxelles nel 1970 con il marito Altiero, nominato Commissario delle Comunità europee. Si trova quindi a continuare e progettare da sola l’impegno europeista; venuta a conoscenza del Mouvement de Libération de la Femme, pensa di poterlo incanalare anche verso il progetto federalista, ma sottovaluta la diffidenza dei movimenti femministi verso le istituzioni. La prima riunione è del 1974, ma il contrasto è profondo: l’approccio del femminismo è per Ursula ginocentrico, cioè esse si chiedevano cosa l’Europa potesse dare alle donne, mentre dovevano agire a sostegno dell’Europa.
Con l’Appel aux femmes d’Europe si costituisce ufficialmente a Bruxelles nell’aprile del 1975 il gruppo d’iniziativa Femmes pour l’Europe. Il convegno ufficiale si tiene a novembre 1975, intrecciando i temi con la prima delle Conferenze mondiali volute dall’Onu sulla condizione femminile, a Città del Messico. Viene anche chiarita nell’occasione la posizione rispetto alla sinistra europea. Ursula Hirschmann e Jacqueline de Groote dopo aver ricordato che le sinistre, comunista e socialista, si erano tenute lontano dalla costruzione europea per motivi diversi, affermano:
“Pour nous, qui voulons intervenir ici et maintenant dans le développement de l’Europe, cette histoire appartient au passé.”[13]
I tentativi di diventare interlocutrici stabili della Comunità s’interrompono per la malattia che colpisce Ursula, il vero motore del Gruppo. Ursula viene colpita da emorragia cerebrale e conseguente afasia; solo le cure assidue del marito Altiero e della figlia Renata le consentono con il tempo un parziale recupero. Ursula Hirschmann muore a Roma l’8 gennaio 1991 ed è seppellita nel cimitero acattolico della capitale.
Ho avuto il piacere di parlare di lei proprio nella piazza dell’isola di Ventotene, in occasione della Notte europea dei ricercatori, settembre 2021, nel quadro delle manifestazioni organizzate dall’Università di Cassino e Lazio Meridionale, riportando a casa sensazioni indimenticabili. Sarebbe utile per i e le giovani approfondire queste biografie e queste tematiche per nutrirsi di antidoti contro le teorie degli stati neofascisti e sovranisti che pure fanno parte dell’Europa, ma non sembra abbiano capito il senso profondo del federalismo e di una Europa del futuro, fatta di cittadini/e liberi da pregiudizi razziali, di sesso, e di orientamento sessuale.
[1] Il Manifesto del Movimento Federalista Europeo. Elementi di discussione, Quaderni del Movimento Federalista Europeo, n. 1, agosto 1943, seconda stesura del Manifesto di Ventotene; Problemi della Federazione europea, con Ernesto Rossi, Roma, Edizioni del Movimento italiano per la Federazione europea, 1944, terza stesura del manifesto di Ventotene, Per un’Europa libera e unita Il manifesto di Ventotene / Le manifeste de Ventotene / The Ventotene manifesto, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, presentazione di Pietro Grasso, Roma, Senato della Repubblica, 2017, 81 p. in lingua italiana, francese ed inglese. Disponibile sul sito del Senato della Repubblica al seguente link https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/file/repository/relazioni/libreria/novita/XVII/Per_unEuropa_libera_e_unita_Ventotene6.763_KB.pdf.
[2] Si veda Altiero Spinelli, Come ho tentato di diventare saggio. 1. Io, Ulisse, Bologna, Il Mulino,1984, 351 p. [il lungo passo citato si trova alle pp. 311-312]. Oggi disponibile in un unico volume insieme al secondo tomo 2. La goccia e la roccia (1987): Bologna, Il Mulino, 2014, XV-433 p.
[3] Ursula Hirschmann, Noi senza patria, Bologna, Il Mulino, 1993, 159 p. [il passo citato è a p. 72].
[4] Ursula Hirschmann, Noi senza patria, op.cit. alla nota 3, pp. 153-154.
[5]Silvana Boccanfuso, Ursula Hirschmann una donna per l’Europa, Camogli, Ultima Spiaggia, 2019, XIV-270 p. [la citazione è a p. 89].
[6] La sua autobiografia s’interrompe a causa dell’emorragia cerebrale che la colpì ai primi di dicembre del 1975, seguita da afasia, e le impedì di completare le pagine che aveva iniziato a scrivere dal 1963. L’ emorragia cerebrale la lascerà per molto tempo priva dell’uso della voce, che con impegno e inaudito sforzo, riacquisterà parzialmente negli anni a venire, anche grazie all’aiuto e al sostegno della figlia Renata, all’amore di Spinelli, e alla musica, tanto apprezzata, fonte di guarigione.
[7]Ada partecipa anche alla nascita del Movimento Federalista Europeo (Milano 1943) e contribuisce col marito alla propaganda internazionale negli anni dell’esilio svizzero del consorte (1943-1945). Ada conserva per tutta la sua lunga vita (muore nel 1993 a quasi novantaquattro anni), un’incrollabile fede che il mondo potesse essere migliorato dalla volontà e dall’impegno comune delle persone. Come gli Autori del Manifesto e Ursula H. pensava che l’Europa potesse diventare un baluardo contro gli egoismi nazionali, le guerre e i totalitarismi. Informazione ricavata dalla voce scritta da Marcella Filippa, “Ursula Hirschmann Spinelli”, in Enciclopedia delle donne, opera consultabile online al seguente link: http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/ursula-hirschmann/. L’autrice di questa voce ha appena pubblicato un saggio dedicato alla figura della Hirschmann: Marcella Filippa, Ursula Hirschmann. Come in una giostra, Fano, Aras edizioni, 2021, 180 p.
[8] Marcella Filippa, “Ursula Hirschmann Spinelli”, in Enciclopedia delle donne, loc. cit. alla nota 7.
[9] Silvana Boccanfuso, Ursula Hirschmann una donna per l’Europa, op. cit. alla nota 5, pp. 105-106.
[10] Ibidem, p. 122, nota 160.
[11] Ibidem, p. 138.
[12] Ibidem, p. 163. Silvana Boccanfuso, nel riportare un’intervista di Laura Lilli dal titolo “Cominciò a Ventotene. Intervista a Ursula Hirschmann” apparsa su La Repubblica del 30 novembre 1987, ricorda che il Diario europeo era stato immaginato da Spinelli come un immaginario dialogo con la moglie; “Dopo la morte di Altiero, Ursula ricorda come nei lunghi tempi della solitudine federalista lei fosse stata la controparte di un intenso dialogo diventando un tutto con lui”, ibidem, p. 163.
[13] Ibidem, p. 213.