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Democrazia Futura. Le direzioni di genere Rai, passo avanti nella riforma dell’assetto organizzativo

Carlo Rognoni

Carlo Rognoni analizza a caldo per Democrazia futura la scelta voluta da Carlo Fuortes di superare il vecchio modello interno al servizio pubblico giudicando “Le direzioni di genere Rai, un deciso passo avanti nella riforma nell’assetto organizzativo interno”. Nel pezzo l’ex consigliere d’amministrazione di Viale Mazzini sottolinea da un lato “Il nodo rimasto da affrontare dell’informazione: testate, direzione approfondimento, websito informativo” dall’altro “Il compito di indirizzo della politica in parlamento”, alle prese nella fattispecie in queste settimane con l’Atto del governo n.288 “che dovrebbe tracciare una strada nuova per il sistema audiovisivo italiano, in particolare per il servizio pubblico.

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Una doccia fredda per i partiti che pretendono di governare la Rai e di continuare a mettere le mani sui programmi cercando dirigenti “amici” o semplicemente “fedeli”. Invece, si tratta di una scelta strategica per i dipendenti del servizio pubblico.

Già da questa estate, infatti, si sperimenteranno gli effetti di un cambiamento epocale: il nuovo vertice, con Carlo Fuortes in testa, ha deciso che non saranno più le vecchie tradizionali Reti (Rai uno, Rai due, Rai tre e  via elencando) a dettare scelte e qualità dei programmi bensì spetterà a una decina di nuove “direzioni di genere” (intrattenimento serale, intrattenimento day-time, sport, ragazzi, documentari, cinema, fiction, cultura ed educazione, e i  più Raiplay) lavorare, possibilmente in autonomia, e offrire alle reti i loro prodotti. I direttori di Rete – una volta i dirigenti più potenti e più vicini alla politica di tutta la Rai – saranno trasformati in quelli che in gergo televisivo vengono chiamati “i palinsestari”, gli uomini e le donne che scelgono in base all’offerta dei “direttori di genere” che cosa mandare in onda.

“La crescente segmentazione dell’utenza e la corrispondente specializzazione dell’offerta porteranno, inevitabilmente, a una ridefinizione degli attuali rapporti fra reti e generi, dove i generi diventeranno l’asse portante della ideazione e produzione dei contenuti da destinare a piattaforme e canali distributivi diversi”.[1]

Ecco che cosa scrivevo nel 2009 in un capitolo intitolato “Contro le rendite di posizione un bel piano editoriale”, in un mio libro dedicato all’esperienza di consigliere d’amministrazione del servizio pubblico.

Da allora a oggi ci sono voluti 12 anni. E dunque non si può che tirare un respiro di sollievo e dire “Finalmente!” la Rai cambia. Per prudenza e senso della storia Rai, aggiungerei un “forse”.

Ha ragione la direzione a scrivere in una nota aziendale che “il modello organizzativo per generi, per altro già adottato dai principali broadcaster pubblici europei, costituisce un fondamentale momento di discontinuità e un punto di ripartenza ineludibile per l’azienda, accelerando il processo di trasformazione digitale in un contesto multipiattaforma”.

Il nodo rimasto da affrontare dell’informazione: testate, approfondimento, websito informativo

Tutto bene, allora? Troppo spesso consiglieri di amministrazione legati ai partiti ci hanno abituato a non essere ottimisti.

E in effetti ci sono alcuni pesanti dubbi, per esempio su uno dei generi più importanti come l’informazione.

Ha senso mantenere tre telegiornali? E a chi spetterà guidare il genere “approfondimento” che dovrebbe farsi carico dei tanti e diversi talk show?

Nella decisione annunciata dall’Ad Fuortes non c’è poi parola sull’importanza che deve avere il sito della Rai.

Perché devo andare sui siti del Corriere della Sera o di Repubblica o della Stampa o de Il Secolo XIX per avere informazioni immediate su quello che succede nel mondo, in Italia o in Liguria?

Da un punto di vista strategico una Rai che voglia essere un servizio pubblico che parla anche ai giovani deve avere in mente chi sono oggi i suoi concorrenti. Netflix? Amazon prime?

Ora si da il caso che per essere competitivi sul mercato delle serie, delle fiction, del cinema, è indispensabile per un servizio pubblico che abbia anche l’ambizione di essere all’avanguardia in Europa poter disporre di molte più risorse di oggi.

Come mai devo andare su Netflix per vedere “gialli” norvegesi o danesi”. Possibile che una società americana sia più sensibile di un servizio pubblico europeo a serie scandinave o del centro o dell’Est Europa?

Il compito di indirizzo della politica in parlamento

Per chi fa politica un’occasione per battere un colpo c’è. Invece di lamentarsi dei cambiamenti che arriveranno, soprattutto se verranno affidati a dirigenti esperti e capaci, come pare dalle prime indiscrezioni, la direzione dei generi, i partiti più seri dovrebbero farsi carico di altro, di quello che sta per succedere in Parlamento. C’è infatti un documento di cui ancora non parla nessuno e che è importantissimo: un Atto del governo (n.288), presentato come attuazione di una direttiva comunitaria, richiesto fra l’altro da una condanna della Corte Europea di Giustizia che ha dichiarato alcuni punti della legge Gasparri incompatibili con le norme europee[2]. In nome dell’”evoluzione tecnologica e di mercato” questo Atto dovrebbe tracciare una strada nuova per il sistema audiovisivo italiano, in particolare per il servizio pubblico. Perché non battersi affinché questo Atto diventi un esempio di serietà politica per fare della Rai un servizio pubblico al passo con i tempi? E in sintonia con la decisione che il vertice Rai ha appena approvato? 


[1] Carlo Rognoni, Rai, addio. Memorie di un ex Consigliere, Milano, Tropea, 2009, 511 p.

[2] Cfr. Erik Lambert, Giacomo Mazzone, “Miracoli d’agosto: la vecchia Gasparri cambia pelle in pieno solleone. Cosa nasconde un atto dovuto del governo”, Democrazia futura, I (3) luglio-settembre 2021 pp. 679-681. Cfr. https://www.key4biz.it/democrazia-futura-miracoli-dagosto-la-vecchia-gasparri-cambia-pelle-in-pieno-solleone/373466/

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