Lo scenario

Democrazia Futura. L’avanzata militare russa e il rischio per Putin di una vittoria di Pirro

di Bruno Somalvico, direttore editoriale di Democrazia futura |

Nessun ritorno all’Unione Sovietica. La futura Russia dovrà fare i conti con un mondo multilaterale.

Bruno Somalvico

Prosegue l’analisi del quadro delineatosi dopo l’invasione russa dell’Ucraina, giunta probabilmente nella sua fase più critica, e delle prospettive su come possa essere ricomposto il conflitto più grave nella storia di questi ultimi decenni.

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“Putin scatena la guerra. Invasa l’Ucraina, bombe e vittime. Assediata Kiev“. Zelensky: “I russi sono qui, ma io resto”. Così apriva il Corriere della Sera il proprio numero il 24 febbraio, mentre  oggi 3 marzo il quotidiano milanese a proposito de “La guerra in Europa” titola: “L’orrore e la speranza. In Ucraina duemila civili uccisi e i russi entrano nelle città. Oggi ripartono i colloqui. Mosca: sul tavolo il cessate il fuoco”.

La caduta di Kherson che sembra ormai saldamente nelle mani dei russi lascia presagire sul campo una lenta ma inesorabile conquista dell’Ucraina da parte delle forze di occupazione russa, certamente rallentata dalla grande resistenza dell’esercito ucraino ma soprattutto dalla strenua resistenza di una popolazione che non vuole che l’Ucraina sia cancellata con un colpo di spugna dalla geografia e dalla storia. Malgrado la “resistenza feroce” annunciata dallo stesso Zelensky temo che lo stesso premier ucraino sarà costretto molto probabilmente a spostare la sede del proprio governo da Kiev a Leopoli come già fatto da molte ambasciate tra cui quella italiana.

Solo il subentrare di un autentico “cessate il fuoco” frutto di un primo vero accordo nell’ambito dei negoziati fra i due paesi, potrà impedire  temo la conquista della capitale o comunque di tutti i suoi centri nevralgici da parte degli invasori russi.

Questa “resistenza feroce” – soprattutto in caso di proclamazione a Kiev di un nuovo esecutivo filo russo e della progressiva “normalizzazione” dell’Ucraina con l’accettazione dell’indipendenza dell’intero Donbass (o comunque delle due Repubbliche) e la sua annessione alla Federazione russa – nel tempo si trasformerebbe in guerriglia urbana con le conseguenze che una tale situazione potrebbe comportare non solo in perdite di continue vite umane ma soprattutto nell’aumento del numero dei profughi che verranno accolti in Europa per non parlare delle conseguenze economiche e non solo militari per i Paesi limitrofi presenti nella Nato  a cominciare della Polonia e dei Paesi Baltici e di altri Paesi come la piccola Moldavia che potrebbero rientrare negli obiettivi di conquista da parte dello zar di Mosca.

Come ricorda infatti sul Corriere della Sera di oggi un consigliere di Alexej Navalny “Putin è disperato, ma non si fermerà”. E sul piano militare la conquista dell’Ucraina e di larga parte del suo territorio va messa in conto entro le prossime settimane se non i prossimi giorni se non verrà proclamato e rispettato un vero “cessate il fuoco” che sarebbe il punto di partenza per una composizione del conflitto attraverso negoziati. Negoziati non solo bilaterali come quelli in corso sinora serviti alla Russia per prendere tempo ma con tutti gli attori interessati alla stabilità della regione e con tutti i soggetti compresa la Nato che possano concorrere a garantirla nel medio e lungo termine.  Lo stesso Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov getta acqua sul fuoco dichiarando che “Una soluzione si troverà” pur denunciando l’atteggiamento definito di mera “isteria” proveniente dall’Occidente.

Non è dato sapere se la dichiarazione di Lavrov sia anche in questo caso un tentativo di guadagnare tempo o se rappresenti un segnale minimo di apertura per un ritorno al confronto diplomatico. Probabilmente l’uno e l’altro. Segue del resto l’impegno ribadito ieri dalla Francia di voler proseguire il confronto con Mosca: “Non siamo in guerra contro la Russia né contro un popolo di cui ricordiamo i sacrifici per salvare l’Europa dall’abisso durante la seconda guerra mondiale, siamo al fianco dei russi che rifiutano la guerra e vogliono difendere la pace e lo fanno sapere” ha dichiarato solennemente il Presidente francese Emmanuel Macron.

Nel momento di massima tensione e di orrore rinasce la speranza di un confronto diplomatico sinora fallito nonostante gli sforzi profusi in tutte queste settimane dal Presidente francese Macron, sforzi secondo taluni inutili se non velleitari. Per quale motivo anche Mosca potrebbe finalmente tornare ad un tavolo?

Credo essenzialmente perché la sua vittoria militare indubbia date le differenze fra le forze nonostante una strenua resistenza da parte del popolo ucraino (che taluni definirebbero eroica e che diverrebbe effettivamente tale qualora venisse ucciso il loro capo Zerensky: lo hanno capito bene i servizi segreti di Mosca impedendo l’assalto ceceno al rifugio in cui si trova il leader ucraino) potrebbe essere una vittoria di Pirro e trasformarsi in una grave sconfitta politica per il Cremlino.      Sul piano interno innanzitutto le sanzioni economiche che hanno isolato la Russia potrebbero causare un cambiamento politico magari con un avvicendamento non immediato ma costringendo peraltro lo zar Vladimir Putin ad abdicare. Non certo ancora per le manifestazioni di pochi coraggiosi oppositori scesi in piazza né degli appelli di alcuni scienziati ed intellettuali, che peraltro si sono sentiti e si accompagnano simbolicamente alle azioni cibernetiche dimostrative anarchico libertarie di Anonymous questa volta indirizzate non verso l’Occidente ma verso lo Zar del Cremlino.

Altre e ben più gravi considerazioni potrebbero indurre la nomenklatura russa a sbarazzarsi del proprio leader.

Putin non ha calcolato la capacità di reazione nel mondo e in particolare da parte dell’Europa giudicandola troppo divisa al suo interno, indebolita dall’uscita del Regno Unito e dall’atteggiamento degli Stati Uniti percepito come di disimpegno su vari teatri della scena internazionale come ben evidenziato dallo scacco di Kabul e dal ritorno dei Talebani alla guida dell’Afghanistan.

Anziché tornare ad essere la principale forza antagonista dell’Occidente come ai tempi della guerra fredda controllando l’Unione Sovietica quella che avevamo definito nel primo articolo l’autocratura putiniana rischia al contrario di vedere ulteriormente ridotta la sua area di influenza nel mondo.

Lo dimostrano, da un lato il successo della risoluzione approvata dalle Nazioni Unite con l’opposizione  a fianco della Russia di soli altri quattro Paesi  una quindicina di astensioni, fra cui quella “pesante” della Cina, dall’altro la rinascita in queste settimane della Nato, giudicata in coma cerebrale meno di tre mesi or sono dal Presidente Macron.

Ma soprattutto pesano le reazioni dell’Unione europea e della Cina come avevamo sottolineato nei nostri articoli precedenti

L’Europa ha dimostrato di essere una forza di pace unita e determinata a difendere la libertà e i propri valori a fianco del popolo ucraino. Deve ora prendere consapevolezza della sua forza e della sua determinazione ad affrontare un conflitto che come detto da Draghi l’altro ieri in Parlamento può essere composto solo attraverso un dialogo diplomatico su scala multilaterale.

L’attacco perpetrato l’altro giorno dagli invasori russi contro il memoriale della Shoah deve essere oggetto di condanna da parte di tutta la comunità mondiale. Non solo da parte di noi occidentali. Putin, dopo aver accusato l’Ucraina di essere un covo di nazisti,  fa bombardare il memoriale di Babij Jar  eretto per ricordare quanto avvenuto  Il 28 settembre 1941 quando i tedeschi ordinarono agli ebrei di Kiev di radunarsi nei pressi di quell’avvallamento. Ne assassinarono 33.771. “Oggi – come ricorda Giovanni Crema in un post di commento ai miei pezzi su Facebook – questo luogo, sacro non solo all’ebraismo, è stato profanato dai missili di Putin”.

Altri attacchi perpetrati in queste ore ad esempio contro chi viene in soccorso dei feriti da un’esplosione di pochi minuti prima sono una barbarie e ricordano azioni perpetrate dall’Isiss. Per non parlare di altri episodi scolpiti nelle nostre memorie prodottisi in questi ultimi due decenni.

Perché le guerre di oggi sono sempre più guerre di comunicazione e guerre fatte intorno a simboli e messaggi che incidono direttamente sugli umori e sulle menti come rilevato dai sismografi delle coscienze (un po’ come quanto avviene con l’andamento delle borse).

La Cina di Xi jinping ha naturalmente rilevato queste scosse telluriche dell’opinione pubblica mondiale, non solo la fermezza europea, il voto dell’Onu, quello del Parlamento europeo per avviare il processo di ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea, il voto all’unanimità per le sanzioni da parte del parlamento italiano e la determinatezza degli altri paesi europei senza distinzioni nel condannare l’invasione russa e nell’aiutare non solo con misure umanitarie il popolo ucraino ma anche con un proprio sostegno militare nella Nato. Non saranno infine sfuggite a Pechino le giravolte di un altro piccolo autocrate come Erdogan che si è ricordato di appartenere alla Nato. Ciò spiega il motivo della clamorosa decisione di oggi di escludere atleti russi e bielorussi dai Giochi Paraolimpici invernali che si stanno aprendo a Pechino, decisione presa dal Comitato paraolimpico che non avrebbe potuto essere presa senza l’assenso della stessa Cina.  

Lo stesso Joe Biden accusato di aver adottato un profilo basso nel condannare l’invasione russa dell’Ucraina, potrebbe aver agito in queste ore minacciando ulteriori ritorsioni nei confronti di Mosca.

Il grande giocatore di scacchi che avevamo descritto una settimana fa non è riuscito questa volta a prevedere tutte le contromosse degli avversari ma anche degli alleati o di quelli giudicati come partner regionali come nel caso del turco Erdogan.  Come si si trovasse a giocare come Max von Sydow nel bergmaniano Settimo Sigillo, la sua ultima partita con la morte!

Al contrario, chi ogni minuto rischia nel proprio bunker di perdere la propria vita come il presidente ucraino Zelensky, sembra il simbolo non solo della capacità di resistere di un popolo come quello ucraino ma dell’aspirazione ad assicurargli nel futuro una lunga polizza di assicurazione sulla vita proteggendolo dal ritorno alle dittature del passato assicurandogli tutte le garanzie delle nostre democrazie occidentali. Esprimiamo dunque tutta la nostra ammirazione al presidente ucraino per il coraggio di questo grande attore comico, che si sta rivelando anche un politico navigato, responsabile e coraggioso difensore di un popolo che speriamo di avere presto all’interno della nostra amata Europa.

A Parigi come forse a Mosca, a Pechino come a Berlino, a Washington come a Istambul, a Tel Aviv come a Londra, a Bruxelles come a Roma ci si sta rendendo conto che, qualunque sia l’esito della guerra calda e i suoi costi umani, il conflitto in seguito alle misure decise con fermezza in questi giorni contro la Russia (e quella simbolica presa oggi a Pechino anche contro la sua alleata Bielorussia) richiede una soluzione diplomatica su scala multilaterale tenendo conto dei nuovi equilibri geopolitici destinati a delinearsi dopo questo conflitto.

Nulla sarà più come prima ed è giunto il momento di dare un’accelerazione al processo di costruzione politica dell’Europa. Macron lo ha ben capito e per questo ieri ha annunciato la convocazione il 10-11 marzo di un incontro fra tutti i paesi dell’Unione europea a Versailles con all’ordine del giorno la realizzazione di una politica energetica comune, ma anche di una difesa comune che a nostro parere dovrebbe favorire altresì una politica estera comune e un’Unione europea che solo quando parla con una voce unica riesce a pesare nella soluzione dei destini del pianeta – come emerso anche in materia di transizione ecologica e di prevenzione del clima.

Il Foglio ieri si chiedeva se sia più sotto assedio Kiev o Putin? La speranza davvero è che il sacrificio di vite umane provocato dall’aggressione russa contro l’Ucraina serva davvero a rimuovere dal potere lo zar del Cremlino e a favorire il ricambio della classe dirigente moscovita non solo a causa dei disagi crescenti che anche il popolo russo subirà dalle sanzioni occidentali.

Dopo la bella pagina del Parlamento europeo e il voto compatto anche delle nostre due Camere a sostegno dell’Ucraina senza se e senza ma, è bene pensare allo scenario a medio lungo termine favorendo un vero compromesso politico nell’ambito di un negoziato multilaterale: l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea ma non nella Nato e una soluzione “alto atesina” per il Donbass. Evitando che la nuova Russia del dopo Putin subisca ancora l’effetto-umiliazione cioè quella che è stata l’unica arma vera di cui ha potuto beneficiare Putin per assicurarsi il sostegno della maggioranza del proprio popolo e soprattutto della popolazione più anziana e dei nostalgici dell’era sovietica. Per favorire una transizione vera verso la democrazia anche a Mosca e a San Pietroburgo

Solo una Grande Conferenza mondiale potrà costringere lo zar del Cremlino a più miti consigli e garantire una pace duratura in un quadro regionale dove siano assicurate libertà, convivenza fra diversi popoli e religioni, tutela delle minoranze e soprattutto pace e rispetto dei popoli vicini e lontani.

Guardiamo avanti pensando al medio lungo termine sapendo che da oggi nulla sarà più come prima.

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