Il Focus di approfondimento sul tema: La pace in Ucraina: a quali condizioni e con quale impatto sugli equilibri politici mondiali: Russia, Cina Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione europea e Italia si apre con una nota redazionale che riassume l’intervento del moderatore Giampiero Gramaglia in apertura dei lavori del webinar promosso da Democrazia futura in collaborazione con Key4biz e con l’Associazione Infocivica e ripercorre la relazione introduttiva di Lucio Caracciolo, Direttore Limes, che sottolinea come “per capire meglio la portata di questa guerra dobbiamo ricordare dove si svolge, cioè si svolge in quella parte d’Europa che è sempre stata la parte più insanguinata del nostro continente, almeno nello scorso secolo, a partire dalla guerra civile russa, dalle guerre ucraino-polacche, dalla seconda guerra mondiale, lo sterminio degli ebrei. Insomma è un’area – per così dire – sfortunata, in cui esiste all’incirca da un centinaio di anni un conflitto a volte latente, altre volte purtroppo esplicito, tra l’Impero russo nelle sue varie denominazioni e la nazione ucraina anch’essa nelle sue varie denominazioni. L’obiettivo più realistico a parere di Caracciolo rimane quello di una “tregua rafforzata” ma non certamente una pace. In parole povere “una tregua sotto forma di compromesso per consentire ad entrambi i contendenti di salvare la faccia ed evitare guai più gravi”.
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In collaborazione con Key4biz e l’Associazione Infocivica la nostra rivista ha promosso giovedì 15 giugno 2023 nel pomeriggio un webinar introdotto e moderato da Giampiero Gramaglia.
Dopo i saluti del Direttore di Key4biz Raffaele Barberio e del direttore editoriale di Democrazia futura Bruno Somalvico, che ha illustrato i temi dell’incontro e i quesiti sottoposti ai partecipanti cui verrà chiesto di rispondere ad un apposito questionario, Giampiero Gramaglia ha aperto i lavori con una breve introduzione, prima di dare la parola per la relazione introduttiva al direttore di Limes Lucio Caracciolo.
Gramaglia ha poi moderato un dibattito nel quale sono intervenuti alcuni diplomatici, analisti e giornalisti esperti di geopolitica, ovvero Antonio Armellini, Riccardo Cristiano, Pier Virgilio Dastoli, Massimo De Angelis Giulio Ferlazzo Ciano e Stefano Silvestri.
In apertura era stato letto un intervento scritto da Giorgio Pacifici impossibilitato ad intervenire per motivi di salute.
L’intero webinar può essere riascoltato al seguente link:
L’apertura dei lavori di Giampiero Gramaglia
Nella sua breve introduzione Giampiero Gramaglia ha sottolineato come dal punto di vista del conflitto si sta assistendo all’inizio della contro offensiva ucraina il cui esito rimane difficile da prevedere.
Se dovesse avere un pieno successo con il recupero dei territori occupati dalla Russia dopo il 24 febbraio 2022 si aprirebbe una prospettiva di fine del conflitto.
Se non dovesse avere successo, si aprirebbe un’altra contro offensiva, questa volta di carattere diplomatico e di segno opposto, cioè di pressioni sull’Ucraina, perché, avvicinandosi le elezioni presidenziali statunitensi USA 2024, riveda il suo atteggiamento, ma che potrebbe anch’essa preludere alla fine del conflitto e quindi, in ogni caso, essere determinante.
Sul piano diplomatico l’iniziativa della Santa Sede rimane azzoppata da Zelens’kyj dopo il suo incontro con Papa Francesco mentre il presidente ucraino sembrerebbe aver aperto invece alla proposta cinese pur presentando un documento sbilanciato a favore di Mosca. Né miglior successo dovrebbero ottenere altre iniziative come quelle prese da Paesi come l’Indonesia o il Brasile che si muovono in autonomia rispetto all’Occidente mentre ci si aspetta il ritorno in scena dell’unico negoziatore che ha ottenuto sinora risultati e cioè il presidente turco Erdoğan determinante nel far firmare la ‘pace del grano’ nell’estate del 2022.
Secondo Gramaglia il fermento negoziale in corso avrà un momento importante a Vilnius pur essendoci in seno alla Nato posizioni molto diverse in merito alla richiesta di adesione dell’Ucraina ma nel frattempo va valutata attentamente la visita di Blinken a Pechino che potrebbe preludere ad un incontro al più alto livello fra Xi Jinping e Joe Biden.
Sul fronte nei primi sei mesi del 2023 – secondo Gramaglia – non è successo nulla sostanzialmente. E la stessa opinione pubblica ha valutato in maniera contraddittoria i risultati ottenuti in particolare la completa presa di Bakhmut annunciata dal capo della Wagner Evgheny Prigožin.
La relazione introduttiva di Lucio Caracciolo, Direttore Limes
Premessa
È chiaro che parlare di pace in Ucraina dopo aver scritto La pace è finita appare un po’ contraddittorio, tuttavia intendo il titolo che mi avete assegnato – malgrado i riferimenti all’attualità – non riferito a come si fa la pace tra Russia e Ucraina, che non mi pare dietro l’angolo, ma sul come si finisce questa fase della guerra”. Così si esprime in premessa il direttore di Limes, aggiungendo: “Dico fase perché, forse per capire meglio la portata di questa guerra dobbiamo ricordare dove si svolge, cioè si svolge in quella parte d’Europa che è sempre stata la parte più insanguinata del nostro continente, almeno nello scorso secolo, a partire dalla guerra civile russa, dalle guerre ucraino-polacche, dalla seconda guerra mondiale, lo sterminio degli ebrei. Insomma è un’area – per così dire – sfortunata, in cui esiste all’incirca da un centinaio di anni un conflitto a volte latente, altre volte purtroppo esplicito, tra l’Impero russo nelle sue varie denominazioni e la nazione ucraina anch’essa nelle sue varie denominazioni.
Ricordo che il primo Stato ucraino, seppure uno staterello satellite della Germania, nasce tra il 1917 e il 1918 come conseguenza del collasso dell’Impero zarista”.
L’obbiettivo più realistico: una tregua rafforzata
Fatta questa premessa Caracciolo precisa quello he a suo parere potrebbe essere l’obiettivo più realistico, ovvero più che la pace quella che definisce una “tregue rafforzata”
“Quindi si tratta di una lunga e vecchia storia dove ora si è accumulata una carica di odio tale da farmi pensare che quello che noi possiamo sperare è una composizione relativamente stabile del conflitto, ma non certamente una pace.
Una tregua rafforzata credo che sia l’obiettivo più realistico.
Come si può configurare una tregua rafforzata?
“Vedevo le tre ipotesi proposte da Giorgio Pacifici; diciamo che in ogni caso le due ipotesi limite, ovvero la sconfitta dell’Ucraina o della Russia, nel momento che fossero totali a mio avviso non significherebbero affatto la fine del conflitto, ma semmai un passaggio di scala. Nel senso che, intendendo per sconfitta russa quella che comporterebbe la perdita della Crimea, oltre che del Donbass. Ebbene se la Russia dovesse perdere la Crimea la reazione – non credo a livello atomico, ma forse sì e comunque molto vicino a questo – sarebbe la trasformazione del conflitto da “operazione militare speciale” rafforzata a vero e propria guerra totale” – aggiunge l’esperto di geopolitica.
“Non credo che qualunque governo russo possa rassegnarsi alla perdita dell’Ucraina – prosegue Caracciolo – . Certamente Vladimir Putin, se ciò accadesse, verrebbe accompagnato in pensione, nella migliore delle ipotesi, ma certamente questo conflitto, almeno per quanto riguarda la Russia, non si fermerebbe qui.
In caso di sconfitta totale dell’Ucraina – e per sconfitta totale dell’Ucraina non intendo i russi a Kiev e nemmeno a Odessa, ma più o meno dove sono adesso – a quel punto non solo sarebbe la fine di Volodymyr Zelens’kyj, e questo si può in qualche modo sostituire, ma sarebbe la fine di fatto della consistenza statuale dell’Ucraina.
Più che statuale aggiungerei anche “demografica”, perché questo è un Paese che in una generazione ha perso quasi metà della sua popolazione” – precisa lo stesso Caracciolo precisando:
“Se non teniamo presente questi dati di fondo capiamo poco di quello che sta succedendo: l’Ucraina aveva 51,3 milioni di abitanti nel 1991, quando è diventata indipendente, oggi le stime parlano di una popolazione sotto i 30 milioni, di cui 14-15 milioni tra sfollati, rifugiati.
Quindi una delle prime cose per poter rimettere in piedi l’Ucraina – e ciò dipenderebbe senz’altro dalla precondizione che le armi tacciano – sarebbe riportare in patria una quota rilevante di coloro che sono stati cacciati dalle case o che sono fuggiti all’estero, altrimenti sarebbe un Paese condannato a vivere una vita molto precaria, per usare un eufemismo, con delle istituzioni che non sono mai state particolarmente stabili, con un tasso di corruzione tra i più elevati al mondo e con un depauperamento di capitale fisico piuttosto notevole, calcolato a febbraio di quest’anno in 411 milioni dalla Banca Mondiale” – conclude il direttore di Limes.
Una tregua sotto forma di compromesso per salvare la faccia ed evitare guai più gravi
“Credo quindi – prosegue – che una tregua non possa che vertere su qualche forma di compromesso che permetta ad entrambi di salvare la faccia. Tutte le altre ipotesi sono ipotesi che prevedono una continuazione della guerra.
Aggiungerei che se anche l’Ucraina fosse sconfitta totalmente – cosa che non credo – a quel punto alcuni Paesi – e alcuni Paesi lo dicono già, non lo dico io – come la Polonia potrebbero decidere di intervenire, indipendentemente dalla NATO e dagli Stati Uniti d’America.
L’ex segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen lo ha detto molto chiaramente:
«non mi stupirei, se le cose andassero male, che polacchi e baltici intervenissero direttamente».
Tutto questo evidentemente lascia un’ombra molto lunga su questo conflitto” nota lo stesso Caracciolo.
Il direttore di Limes prosegue elencando le tappe di questi sedici mesi di conflitto. Ne individua fondamentalmente quattro: l’invasione russa nel febbraio 2022, l’accordo per il cessate-il-fuoco del marzo 2022, la decisione degli Stati Uniti e della Gran Bretagna di intervenire a sostegno dell’Ucraina e la fase attuale (estate 2023) di contro-offensiva dell’Ucraina con tutte le sue incognite
1.L’invasione e la perdita di reputazione della Russia
“Che cosa è accaduto in questo tempo? Faccio un riassunto per tappe di quello che, a mio avviso, sono le svolte di questa guerra. La prima ovviamente è stata l’invasione russa stessa, che in qualche modo ha condannato la Russia a una sorta di sconfitta strategica, nel senso che, comunque vada a finire, anche se dovesse tenere ciò che ha – ovviamente partendo dalla Crimea – la Russia non può più essere considerata ciò che pretende di essere e cioè una superpotenza a livello mondiale” – osserva Caracciolo – . Sarà sicuramente sempre una potenza importante, ma – aggiunge – molto dimidiata, con una notevole perdita di reputazione, soprattutto in Occidente – dal punto di vista dell’immagine – ma anche nel resto del mondo, sotto il punto di vista del peso politico-economico. E quindi la Russia ha perso entrando in guerra”. “Dopo di che – prosegue Caracciolo – si tratta di vedere i gradi di questa sconfitta: ricordo a noi stessi che quasi tutti credevano che, una volta entrate le truppe russe in Ucraina fosse questione di giorni perché un filo-russo prendesse le redini del potere a Kiev. Lo credevano anche gli americani, tanto è vero che avevano consigliato a Zelens’kyj e ai suoi di ritirarsi a Leopoli, considerata una città abbastanza sicura. Lo credevano i russi, naturalmente, quanto meno Vladimir Putin, altrimenti non lo avrebbero fatto e lo credevano anche molti europei. Ebbene non è stato così”.
Lo studioso individua poi una prima svolta nel conflitto
2.L’accordo di fine marzo per il cessate il fuoco propiziato dalla mediazione turca e da AbramovičQ
“Questa visione della potenza russa si è protratta almeno fino alla fine di marzo, quando, grazie alla mediazione turca e del signor Roman Abramovič – ammesso che lo si possa considerare un mediatore – russi e ucraini – ricorda Caracciolo – firmarono un accordo di cessate il fuoco, addirittura parafato, in cui le condizioni erano nettamente a favore della Russia, cioè neutralità ucraina, staterelli del Donbass intatti e nei confini come essi erano, la Crimea non si sarebbe dovuta toccare, eccetera. E questo a partire da una visione del fatto che la Russia avrebbe potuto facilmente prevalere”.
3 La decisione di intervenire a sostegno all’Ucraina da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna
“Poi – aggiunge io direttore di Limes – è successa Buča, poi sono soprattutto intervenuti americani e britannici, i quali hanno detto in maniera molto chiara che questa sarebbe stata una guerra che non poteva finire con una sorta di accordo in fin dei conti abbastanza favorevole alla Russia, ma che doveva passare attraverso una punizione e un dissanguamento della potenza russa, e quindi hanno deciso di puntare tutto sull’Ucraina, su Zelens’kyj, tanto è vero che oggi le forze armate ucraine, ma lo stesso Stato ucraino nel suo complesso, dipende totalmente dall’aiuto americano ed europeo-occidentale. Più o meno un terzo ciascuno è la divisione dei costi tra Stati Uniti d’America, Unione Europea e organizzazioni internazionali in cui quei Paesi occidentali sono determinanti. In termini pratici significa circa 5 miliardi al mese, che sono il minimo vitale per tenere in piedi lo Stato ucraino, mentre in termini miliari significa un afflusso di armi senza precedenti che fa – almeno sulla carta – dell’esercito ucraino oggi, escludendo la forza nucleare, il più potente e addestrato esercito che abbiamo”.
4. Dopo la fase di stallo invernale la fase attuale di inizio della controffensiva e le sue incognite
“Poi – prosegue sempre il direttore di Limes – c’è stata una fase sostanzialmente di stallo dovuta all’inverno e adesso è in corso non la controffensiva, semmai direi l’inizio della controffensiva, perché il grosso delle forze ucraine deve ancora muovere e poi, soprattutto, essendo stata un’operazione piuttosto annunciata, i russi hanno trincerato il loro campo in maniera molto efficace”.
“Un’altra cosa – aggiunge – che è emersa in questi ultimi mesi è che gli americani danno un’interpretazione abbastanza limitativa della promessa di fare tutto fino a quando sarà necessario, anche perché che cosa sia necessario non lo hanno mai chiarito. In termini pratici non si vuole più mettere nero su bianco l’impegno per la NATO – o quanto meno lo si vuole ancora una volta posticipare – anche perché in termini pratici è chiaro che se l’Ucraina entrasse oggi nella NATO noi entreremmo in guerra in automatico contro la Russia. Quindi – ne conclude – si propongono delle soluzioni più o meno “surrogate”, per esempio il cosiddetto modello Israele. Peccato che l’Ucraina non sia Israele sotto ogni profilo e quindi mi pare che queste promesse, americane, britanniche ed europee, di grande sostegno militare all’Ucraina, se fossi ucraino le prenderei un po’ con le molle” – ammonisce Caracciolo -.
La divaricazione strategica fra Stati Uniti e la parte più ostile alla Russia dell’Alleanza occidentale
“Soprattutto – osserva il direttore di Limes – si è molto accentuata la divaricazione strategica tra Ucraina e Stati Uniti – non solo Ucraina, ma anche Polonia, Paesi baltici, più in generale la parte più antirussa della nostra alleanza – che non vuole che questa guerra finisca semplicemente con una sconfitta della Russia, ma vuole che finisca con la fine della Russia. E questo i polacchi lo dicono con grande serenità e, oltre a dirlo, lo sostengono con i fatti perché sappiamo che migliaia e migliaia di soldati polacchi, in un modo o in un altro, hanno partecipato e partecipano. Quindi un rischio di derapaggio – qui noi parliamo di possibili modi di farla finita – ma il rischio di una perdita di controllo, anche da parte americana, è forte” – conclude lo stesso Caracciolo.
La caduta, anzi la precipitazione della collaborazione della Russia con la Cina
Infine Caracciolo propone “un’ultima annotazione: il grande nuovo entrato, la Cina, che non ha affatto preso bene l’iniziativa – chiamiamola così – russa, anche in ragione dei suoi forti interessi in Ucraina, e che ha preso le distanze in maniera abbastanza chiara dalla Russia, pur non potendosi permettere di mollare completamente i russi perché a quel punto sarebbe un problema, finendo per essere circondata da Paesi che, allo stato attuale, non sarebbero amici. Però il grado di collaborazione tra russi e cinesi, e soprattutto il grado di fiducia reciproca, sta precipitando: un paio di esempi tra l’altro sono quelli dei russi che hanno perso il controllo del porto di Vladivostok a favore dei cinesi, mentre i cinesi stanno penetrando in Asia centrale molto efficacemente e la lista potrebbe continuare”.
Conclusioni
Arrivando alle conclusioni il direttore di Limes ritiene probabile che si arriverà ad un sorta di compromesso: “Penso che l’alternativa tra le due vittorie totali – che spero che non siano totali perché non lo sarebbero, nel senso che sarebbero l’inizio di una guerra più atroce – non può che essere una qualche forma di compromesso che permetta ad entrambi di salvare la faccia” sostiene Caracciolo aggiungendo: “Mi domando fino a che punto Vladimir Putin possa firmare un cessate il fuoco e fino a che punto lo possa fare Volodymyr Zelens’kyj”.
Certo, conclude Caracciolo, “Trovare un punto di compromesso che permetta ad entrambi di salvare la faccia non sarà facile: penso che il punto di compromesso alla fine verrà molto più tardi di quanto noi speriamo, solo per esaurimento delle forze, o di entrambi o di almeno uno dei due, talmente netta da costringere in qualche modo entrambi o almeno uno dei due ad accettare delle condizioni di cessate il fuoco. Dopo di che si tira una riga – dicono gli americani – si fa una Corea del Sud e una Corea del Nord, che è un modo abbastanza cinico di concludere questa guerra, soprattutto perché qui non siamo in Corea e, soprattutto, tenere una linea di divisione, come abbiamo già visto con gli accordi di Minsk, non è proprio facile”.
Interpellato dal moderatore in una sorta di Post Scriptum Caracciolo sottolinea “Il carattere provvisorio di ogni soluzione nella fase intermedia attuale”
“Innanzitutto – osserva il direttore di Limes – non vorrei che dovessimo rimpiangere la situazione attuale. Cioè noi stiamo ragionando come se fosse scritto che il pericolo non esiste più e si trattasse di dover accompagnare questi due Paesi verso la pace. Non credo che sia così scontato, credo anzi che il movimento opposto sia almeno altrettanto probabile” – aggiunge Caracciolo prima di precisare: “Mi sa tanto che questo secolo l’abbiamo sbagliato noi più che Putin, nel senso che noi continuiamo a ragionare come se vivessimo in un mondo che non esiste più, quello di Yalta – e Dio lo benedica – e invece ci troviamo in un mondo assolutamente caotico, per questo anche il concetto di revisionismo mi pare un po’ fuori luogo perché revisionismo implica un ordine da rivedere, ma qui vedo che l’ordine è stato già riveduto, in particolare con la fine della guerra fredda, con il cambiamento spettacolare di confini quasi sempre – ma non sempre: vedi Jugoslavia, Pacifico e in Europa – dove non sappiamo quasi neanche più quanti Stati esistano in Europa – tra Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Transnistria ci si perde – insomma, siamo in una fase intermedia, non in una fase di ordine, e purtroppo le fasi intermedie spesso durano molto più delle fasi di ordine. Fatta questa premessa molto incoraggiante io credo che la soluzione sul terreno – quello strettamente russo e ucraino – sia in qualche modo scritta nelle carte, e cioè che la Crimea resta alla Russia, due dei quattro oblast, ovvero Zaporižžja e Cherson, entrano di nuovo nello spazio ucraino e sugli altri due si decide di non decidere, però con un sottotesto, cioè la mia impressione è che gli Ucraini non abbiano alcuna voglia di accollarsi un territorio ostile, come quello del Donbass, dove ormai non vivono che filo-russi o quasi”.
“Sentivo – prosegue il direttore di Limes – anche testimonianze di soldati ucraini che dicevano:
«ma come, noi liberiamo villaggi nostri e la popolazione ci tratta male»
Quindi – aggiunge – una soluzione di questo tipo che sarebbe, ovviamente, del tutto provvisoria – ma, come è stato detto, la provvisorietà può durare anche qualche decennio o un secolo, sia dunque la più probabile. Non dico che è giusta e non dico nemmeno che è sbagliata, ma in caso di soluzione, nel senso di cessate il fuoco effettivo sì, perché poi alla fine che cosa conta? Un chilometro quadrato in più o in meno? No – conclude Caracciolo – conta che, una volta che si è preso un territorio lo si possa tenere, quindi si deve avere la forza per farlo, anche un certo grado di legittimazione e un certo grado di consenso di chi vi abita”.