È in uscita la seconda edizione riveduta e ampliata[1] del saggio di Manlio Cammarata L’anomalia risalente al 2009. Il giornalista siculo-triestino “attraverso leggi e sentenze in quell’occasione ricostruiva] in forma di cronaca, senza tecnicismi giuridici, i complicati sviluppi che hanno determinato l’attuale situazione che non ha eguali in nessuno stato democratico: il totale controllo del governo sul sistema audiovisivo”. Dopo quasi vent’anni dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 22 aprile 2004 che denunciava “una combinazione unica di potere economico, politico e mediatico nelle mani di un solo uomo” – si legge nella quarta di copertina – l’allora presidente del consiglio non c’è più, il sistema dei media è sostanzialmente cambiato, ma la televisione è ancora il medium più influente. E ‘anomalia continua”. L’autore ci spiega qui di seguito le ragioni per le quali “A ogni cambio di governo si ripete l’assalto a potere televisivo”. Democrazia futura, pur non condividendo in molti punti le posizioni dell’autore, al fine di rilanciare la discussione e con l’auspicio di poter ospitare altri pareri anche fortemente in dissenso con l’approccio dell’autore, ne ospita volentieri le conclusioni.
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2023. Il caso Fuortes. E l’Europa batte un colpo
Alle elezioni politiche del 25 settembre 2022 vince la coalizione di centro-destra. Dal 22 ottobre Giorgia Meloni è Presidente del consiglio. Il suo partito, di ampia maggioranza relativa, è Fratelli d’Italia, nato nel 2012 da Forza Italia, il partito di Silvio Berlusconi. Che fa parte della maggioranza, anche se con una quota elettorale in forte declino.
Il nuovo governo non mette subito mano all’occupazione del servizio pubblico. Il CdA della Rai scade nel luglio del 2024 e, in ogni caso, non si può applicare lo spoils system[2] a un organismo eletto – formalmente – dal Parlamento. C’è anche il precedente del “caso Petroni” […], quando la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un consigliere da parte del governo. Tuttavia è necessario mettere sotto controllo l’emittenza pubblica. Sarebbero utili le dimissioni dell’amministratore delegato, la figura di maggior peso nella gestione dell’ente. Ma Carlo Fuortes, nominato dal governo precedente di Mario Draghi, non sembra propenso a lasciare la poltrona.
Non sono note le manovre che hanno portato alla soluzione del problema. Sembra di capire che Fuortes abbia detto «me ne vado, ma voglio un altro posto di prestigio, come la sovrintendenza di un ente lirico». Il fatto è che al momento non c’è, e non è in vista, un posto libero di questo livello. Come si fa? C’è il Teatro San Carlo di Napoli, diretto da Stéphane Lissner, il cui mandato scade nel 2025. Lissner ha superato i 70 anni: basta fare una legge ad personam – anzi contra personam – per buttarlo fuori.
Detto fatto: il decreto-legge n. 51 del 10 maggio 2023 stabilisce che
“Alle fondazioni lirico-sinfoniche […] il divieto di conferimento di incarichi si applica al raggiungimento del settantesimo anno di età” e che “Il sovrintendente cessa in ogni caso dalla carica al compimento del settantesimo anno di età”.
E se qualcuno non avesse ancora capito:
“I sovrintendenti delle fondazioni lirico-sinfoniche che, alla data di entrata in vigore del presente decreto, hanno compiuto il settantesimo anno di età, cessano anticipatamente dalla carica a decorrere dal 1° giugno 2023, indipendentemente dalla data di scadenza degli eventuali contratti in corso”.
Il decreto è approvato dal Consiglio dei ministri il 4 maggio 2023. Quattro giorni dopo Carlo Fuortes si accorge che «Non ci sono più le condizioni per proseguire il mio lavoro di amministratore delegato» e si dimette. Dopo quasi trent’anni di misfatti, forse l’anomalia televisiva italiana raggiunge il suo punto più alto: una norma di legge fatta apposta in quattro e quattr’otto per sostituire un amministratore scomodo. Il 15 maggio il CdA ratifica la nomina del nuovo amministratore delegato Roberto Sergio. C’è anche un nuovo direttore generale, Giampaolo Rossi, personaggio discusso che più “di destra” non si può.
Ma ecco il prevedibile colpo di scena. Il maestro Lissner fa ricorso. Il 12 settembre il Tribunale di Napoli gli darà ragione e ordinerà che sia reintegrato. Ora nel gioco delle sedie Fuortes sembra quello che è rimasto in piedi, ma non si possono escludere nuovi sviluppi. In ogni caso il governo ha raggiunto il suo scopo, che era quello di avere un presidente “amico” nel CdA della Rai.
Nel frattempo l’Unione europea batte di nuovo un colpo.
Il 16 giugno un gruppo di parlamentari europei ha presentato alla Commissione un’interrogazione a risposta scritta su “Ingerenza nei fornitori di media del servizio pubblico in Italia”. I firmatari italiani sono Massimiliano Smeriglio, Franco Roberti, Brando Benifei, Camilla Laureti, Achille Variati, Pina Picierno, Pietro Bartolo, Mercedes Bresso, Giuliano Pisapia e Alessandra Moretti, tutti del PD; si aggiungono la tedesca Petra Kammerevert dell’Spd, lo spagnolo Domènec Ruiz Devesa del Psoe, l’austriaco Hannes Heide dell’Spoe, la francese Sylvie Guillaume del Ps, e la spagnola Diana Riba i Giner dei Verdi.
La risposta arriva il 2 agosto ed è affidata al commissario per il mercato interno e i servizi Thierry Breton. Il commissario scrive:
La Commissione è consapevole dei rischi di interferenza politica che incidono sull’indipendenza dei media del servizio pubblico in Italia. A tale riguardo la relazione sullo Stato di diritto 2023 relativa all’Italia rileva che occorre rafforzare le salvaguardie dell’indipendenza editoriale e finanziaria di tali media. La relazione rileva inoltre che non si sono constatati sviluppi per quanto riguarda il quadro normativo che disciplina la governance e i sistemi di finanziamento della RAI-Radiotelevisione Italiana S.p.a. (RAI), malgrado l’esigenza, menzionata nella relazione sullo Stato di diritto 2022 e nell’Osservatorio del pluralismo dei media (Media Pluralism Monitor, MPM) 2023, di una riforma che permetta alla RAI di resistere meglio ai rischi di influenze politiche e dipendenza finanziaria nei confronti del governo.
La proposta della Commissione relativa a una legge europea per la libertà dei media, adottata il 16 settembre 2022 e attualmente oggetto di negoziati legislativi al Parlamento europeo e al Consiglio, prevede una serie mirata di norme volte a rafforzare il funzionamento indipendente dei media di servizio pubblico impedendone la politicizzazione e garantendo lo svolgimento della loro missione per assicurare il corretto funzionamento del mercato interno.
La proposta prevede in particolare salvaguardie volte a garantire che i dirigenti e gli organi direttivi dei media di servizio pubblico siano nominati mediante una procedura trasparente, aperta e non discriminatoria, e che le decisioni relative al loro licenziamento siano debitamente motivate, preventivamente notificate e rese pubbliche.
La proposta prevede altresì che i media di servizio pubblico dispongano di risorse finanziarie adeguate e stabili per l’adempimento della loro missione di servizio pubblico e offrano al pubblico informazioni e opinioni imparziali e pluralistiche.
La reazione del centro-destra è furiosa. Maurizio Gasparri (sì, sempre lui, autore della legge in vigore dal 2004) dichiara che il commissario Breton
«ha dimostrato in più occasioni di non sapere molte cose: non conosce neanche le norme che regolano il servizio pubblico radiotelevisivo in Italia, che sono esemplari e che farebbe bene a studiare e poi a copiare. Le sue opinioni non le terremo in alcuna considerazione».
Maurizio Lupi, deputato di Noi Moderati, rincara la dose:
«Invito il Commissario a leggere attentamente il contratto di servizio appena concordato tra Rai e Governo italiano, e sono sicuro che lo indicherà come modello di servizio pubblico, indipendenza e pluralismo anche per gli altri Paesi europei».
Non può mancare la voce della Commissione di vigilanza: per il senatore Gianni Berrino di Forza Italia le accuse di Breton sono «Un assalto ideologico contro l’attuale governo di centrodestra».
Non pervenute reazioni dell’opposizione.
Una futuribile legge europea imporrà l’esemplare modello italiano di servizio pubblico, indipendenza e pluralismo agli altri Paesi dell’Unione europea?
Esodo e controesodo
La defenestrazione di Carlo Fuortes è solo il primo passo di un rimescolamento di carte, iniziato con una specie di esodo di nomi tra i più importanti dei “veterani” della Rai. Il 26 maggio annuncia la sua uscita Lucia Annunziata. Un’istituzione del servizio pubblico, una “corazzata” di Rai 3, dai grandi ascolti. Era stata per anni direttrice del TG3 e presidente del CdA nel 2003, ma si era dimessa nel 2004, nel giorno dell’approvazione della legge Gasparri.
L’abbandono più clamoroso è quello di Fabio Fazio. Il 12 maggio il mattatore degli ascolti lascia la conduzione di Che tempo che fa e passa a Nove, della Warner Bros Discovery. Porta con sé Luciana Littizzetto. Un colpo che per la Rai non sarà facile assorbire.
Il 31 maggio se ne va Massimo Gramellini, per passare a La7. Anche lo storico Alessandro Barbero è nella squadra dell’emittente di Urbano Cairo. Gli ascolti della rete di Urbano Cairo crescono e incominciano a superare quelli di Rai 3.
Il 17 giugno tocca proprio a La7 perdere una conduttrice di punta: Myrta Merlino passa a Mediaset, dopo dodici anni di conduzione de L’aria che tira. Ma il passaggio più imprevedibile è quello di Bianca Berlinguer, figlia di Enrico, ex-direttrice del TG3 per sette anni: lascia il suo programma Cartabianca e passa a Mediaset, su Rete 4. Impensabile fino a un minuto prima. La sua trasmissione su Rai 3 era discussa, ma vedere un simbolo della sinistra negli studi Mediaset suscita più di una perplessità.
Alla fine di luglio scoppia la polemica per il “caso Saviano”: il nuovo amministratore delegato della Rai Roberto Sergio annuncia che il programma dello scrittore napoletano Insider, faccia a faccia con il crimine, che doveva andare in onda a novembre, è cancellato. Negli stessi giorni – sembra una specie di contrappeso – viene annullato l’annunciato programma di Filippo Facci, giornalista di Libero, Facci vostri. Il motivo, si fa sapere, è il contenuto di un articolo offensivo nei confronti di una ragazza vittima di stupro. Ma il programma di Facci è solo annunciato, mentre quello di Saviano è già nel palinsesto e sono già state registrate quattro puntate.
Le sorprese non sono finite. Il 1° settembre esce la notizia che su Rai 3, il martedì sera, il posto di Bianca Berlinguer sarà preso da Nunzia De Girolamo, ex-deputata di Forza Italia. Il titolo del programma che sarà condotto da un ex-parlamentare della destra: Avanti popolo! è un’etichetta che emana un inconfondibile odore “di sinistra”. È difficile immaginare De Girolamo che fa un programma “di sinistra”, ma tutto è possibile. Lo scambio Berlinguer-De Girolamo è una novità nella storia politica della televisione italiana.
Potrebbe essere il primo passo verso una nuova linea editoriale delle televisioni create da Silvio Berlusconi: sembra che l’erede Piersilvio Berlusconi intenda cambiare il volto delle reti di famiglia, a cominciare da Rete 4, adottando una linea meno trash e con più contenuti “seri”. Ma qualcuno può anche sospettare un progetto diverso, sempre all’insegna dell’immortale Gasparri (la legge, s’intende). Sarebbe “Raiset”, un unico calderone con i due ex-concorrenti uniti nel controllo dell’opinione pubblica.
Ma l’esodo dalla Rai non è finito. Il 6 novembre 2023 è il turno di Corrado Augias, che annuncia il passaggio a La7. Ha 88 anni, da 63 lavora alla Rai ed è l’immagine seria e colta del servizio pubblico. In un’intervista al Corriere della sera dice:
«Nessuno mi ha cacciato, ma nessuno mi ha trattenuto. A 88 anni e mezzo devo lavorare in posti e con persone che mi piacciono; e questa Rai non mi piace».
Perché? chiede l’intervistatore Aldo Cazzullo.
«Perché non amo l’improvvisazione. E in Rai oggi vedo troppa improvvisazione, oltre a troppi favoritismi. La tv è un medium delicatissimo. Deve suscitare simpatia, nel senso alto dell’espressione».
Sentenza definitiva? Sembra, ma il 17 novembre ecco il colpo di scena: Augias passa a La7, ma nello stesso tempo resta alla Rai: continuerà a condurre La gioia della musica su Rai 3. Ancora una prova di “Raiset”?Un regime televisivo che non sarebbe del tutto inedito. Un monopolio con una doppia regia. Un nuovo capitolo dell’anomalia italiana, al quale si potrebbe applicare ancora la conclusione della prima edizione di questo libro:
Articolo 1
L’Italia è una repubblica fondata sulla televisione.
Il potere appartiene a chi possiede la televisione
E lo esercita come gli pare.
[1] Manlio Cammarata, L’anomalia, 1994-2023. L’Italia è una repubblica fondata sulla televisione, Morlupo (Roma), Tabulas, 2023, 263 p.
[2] Lo spoils system, ispirato alla legislazione USA, in Italia è regolato dalla legge, anzi (e tanto per cambiare), da una sequela di leggi. Consiste nella facoltà di un nuovo governo di sostituire le figure apicali della pubblica amministrazione con persone di fiducia. Naturalmente per i ruoli la cui nomina è di competenza esclusiva del governo.