La critica

Democrazia Futura. La sentenza del 5 aprile 2023 sulla strage di Bologna

di Lorenza Cavallo, giornalista d’inchiesta e analista politica esperta di intelligence, vive in Francia |

L’ampio sfondo storico delineato dai giudici estensori nelle motivazioni della recente Sentenza sulla strage di Bologna è severamente criticato in un articolo di Lorenza Cavallo che lo ritiene un affresco pseudo-storiografico e ne delinea in 20 punti alcuni degli aspetti più problematici.

Democrazia futura ospita volentieri un lungo contributo di Lorenza Pozzi Cavallo vedova di Luigi Cavallo contenente una critica molto documentata delle motivazioni della recente Sentenza d’inizio aprile sulla strage di Bologna con l’avvertenza che la redazione non è stata in grado di verificare quanto asserito di cui lascia all’autrice l’intera responsabilità.

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La Corte d’Assise di Bologna ha depositato le motivazioni del processo riguardante i presunti mandanti e finanziatori defunti della strage del 2 agosto 1980. L’ampio sfondo storico delineato dai giudici estensori nelle motivazioni è severamente criticato in un articolo di Lorenza Cavallo che lo ritiene un affresco pseudo-storiografico e ne delinea in 20 punti alcuni degli aspetti più problematici, in particolare per quanto riguarda la rete delle “fonti probatorie” e “documentali” che assumono l’aspetto di propaganda anti Nato. Come mai – si chiede l’autrice – è stata ritenuta autentica la cosiddetta “direttiva Westmoreland” (FM.30-31B di 12 pagine) – ossia un falso del Kgb – documento dichiarato apocrifo nel 1980 dalla “Camera dei Rappresentati” e dal “Comitato di controllo sui Servizi segreti Usa”, e non della Cia come affermano i giudici estensori?  Come mai i giudici estensori hanno indebitamente esteso all’Europa l’operazione Chaos della Cia che invece le commissioni Rockefeller e Church confinano negli Usa? Come mai hanno ignorato un’operazione di 11.908.166 dollari, datata 30 luglio 1980, tre giorni prima della strage, transitata su un conto di Gelli molto simile ma non identico a quello del noto “documento Bologna”? L’autrice rileva che “l’economia del crimine si è ormai fusa con l’economia legale” e che Roberto Calvi quando la crisi dell’Ambrosiano si fece acuta si rivolse alla Bank of Credit and Commerce International (BCCI) fondata nel 1972, dal pakistano sciita Agha Hasan Abedi con sede nel Lussemburgo e nella City di Londra, tra i clienti Manuel Noriega e Abu Nidal. Abedi controllava i cartelli del crimine organizzato e del terrorismo. Carlo Rocchi, citato superficialmente dai giudici come “amico degli americani” era in effetti un agente della Drugs Enforcement Administration (Dea) nell’ambito della lotta contro le narco-economie” quindi i colloqui con Michele Sindona, iniziati negli Usa, concernevano i metodi di riciclaggio dei “cartelli” nei rapporti con le banche. L’autrice ricorda le parole del procuratore di New York Robert Morgantau: “Il crimine organizzato è un nemico fragile senza la corruzione e la protezione politica”.

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Nella società italiana, dal secondo dopoguerra, la concezione della giustizia e delle sentenze è stata soggetta alla pressione delle ideologie: totalitaria, laica, clericale, individualista; quindi è stata sovente condizionata dai differenti orientamenti politici, partitici e correntizi dei singoli magistrati.

Con corsi e ricorsi di vichiana memoria, l’apparato giurisdizionale, ormai da lunghi anni, ha dato vita a differenti forme di “giustizia” determinando continui mutamenti nei rapporti tra legalità e verità. La continua estensione dei compiti dello Stato e della pubblica amministrazione è stata accompagnata dalla vanificazione della responsabilità politica degli esponenti del governo e dei partiti. Radicata nella prassi la propria “irresponsabilità”, il potere politico ha condizionato e condiziona il potere giudiziario di legittimità e di merito e si è attribuito privilegi e facoltà che hanno permesso di varare costose commissioni d’inchiesta che non hanno mai chiarito le responsabilità di fondo seppellite in centinaia di migliaia di pagine.

La ricostruzione della “verità” di un lungo periodo storico non dovrebbe essere compito dell’autorità giudiziaria, se non nei limiti in cui tale ricostruzione consente di sottoporre a processo singole persone per fatti specifici e diretti previsti dalla legge come reato.

Le motivazioni della sentenza della Corte d’Assise sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980 – depositate il 5 aprile 2023 – si presentano come un atto politico.

Il testo di 1714 pagine, manifestamente è stato scritto a più mani, e da un capitolo all’altro si evidenziano delle discordanze, ho quindi selezionato 20 punti tra i più significativi che ho diviso in brevi capitoletti.

Terminati i lavori che ho in corso potrò dedicarmi a una più attenta lettura e replica dettagliata della sentenza, ovviamente, in merito a contesti di mia conoscenza e competenza.

Il metodo di indagine

Il presidente dottor Francesco Maria Arcangelo Caruso e il dottor Massimiliano Cenni, nel capitolo delle motivazioni intitolato “La ricerca storica come prova” (pp. 133-134) scrivono:

Bisogna tenere quindi conto dell’“affidabilità soggettiva” dell’esperto che nel processo si esprime o le cui ricerche vi vengono riportate, e per fare questo non possono esservi dubbi che il giudice possa fare ricorso alla letteratura scientifica esistente sull’argomento, qualificando sulla base dei criteri che la comunità scientifica (notoriamente) adotta per valutare la correttezza del metodo e delle conclusioni di una ricerca, per quanto sempre esposta al principio di falsificazione, sviluppato dal filosofo Karl Popper. Nei processi, per intuitivi motivi, non si è adusi a trattare la prova scientifica di carattere storico, ma nella misura in cui anche la ricerca storica ha statuto di scienza, non vi è ragione per non applicare alla consulenza storica e archivistica i medesimi parametri di valutazione che si adottano quando si valutano altre indagini scientifiche […].

Per illustrare il metodo di ricerca gli estensori si richiamano al “principio di falsificazione”, cioè la falsificabilità di Karl Popper. Rilevo che il filosofo ed epistemologo separava la “sfera” della conoscenza oggettiva, anche congetturale e, più che ai significati, non ha mai cessato di ricordare che il “Re è nudo”. In Conjectures and Refutations, si legge:

“They all say, more or less, than truth is what we are justified in believing or in accepting”[1].

La riflessione di Popper concerneva il pensiero e gli scritti di David Hume, Immanuel Kant, Albert Einstein, Karl Marx, Alfred Adler e altri scienziati e studiosi.

I giudici e gli storici

I giudici fondano la “verità storica” sulle consulenze e testimonianze di Aldo Giannuli, Vincenzo Vinciguerra, Sergio Flamigni, il colonnello Massimo Giraudo, i defunti Giuseppe De Lutiis e Michele Cacioppo eccetera e alcuni magistrati che hanno indossato la “toga” da “storici” dello stragismo, i cui lavori è azzardoso definire “storico scientifici!”. Il termine tedesco Fälschungsmöglichkeit si traduce in italiano “confutabile”. Lo storico Marc Bloch, fondatore a Strasburgo con Lucien Febvre delle Annales – fucilato dalla Gestapo nel 1944 – scriveva:

Ci sono due modi di essere imparziali: quello dello studioso e quello del giudice. Hanno una radice comune: l’onesta sottomissione alla verità. Lo studioso registra, anzi, meglio, provoca l’esperienza che forse ribalterà le sue più affezionate teorie. Il giudice, qualunque sia il voto segreto del suo cuore, interroga i testimoni senza altra preoccupazione che quella di conoscere i fatti, così come capitarono. È, in tutti e due i casi, un obbligo di coscienza non discutibile. Però, a un certo punto, le loro strade si separano. Quando uno studioso ha osservato e spiegato, ha finito il suo compito. Al giudice tocca ancora di emettere la sua sentenza. Mettendo a tacere ogni personale simpatia, la pronuncia secondo la legge? Allora si considererà imparziale. E, in effetti, lo sarà, almeno secondo i criteri dei giudici. Ma non secondo quelli degli studiosi. Infatti non si può condannare o assolvere senza fare propria una tavola di valori che non proviene da nessuna scienza positiva[2].

Nella rivista diretta dall’avvocato professor Francesco Carnelutti, fondata nel 1939 con Piero Calamandrei e Giuseppe Chiovenda, nell’articolo “Il giudice e lo storico” si legge

È comune tra i processualisti […] l’uso di espressioni che ravvicinano l’attività del giudice all’attività dello storico. Anche il giudice come lo storico, è chiamato ad indagare su fatti del passato e ad accertare la verità; anche del giudice come dello storico, si dice che non deve fare opera di fantasia, ma opera di scelta e di ricostruzione su dati “preesistenti”. Nella storia e nel processo si parla di prove, di documenti, di testimonianze, di “fonti”, e della loro critica. I trattatisti del processo adoprano, per una certa categoria di mezzi di prova, la denominazione di “prove storiche”; e come la ricostruzione del fatto […] può rassomigliare a certe tendenziose storie di partito che per servire a fini pratici presentano una ricostruzione della realtà ad arte mutata e deformata, così nella ricostruzione fedele e compiuta che deve fare il giudice, si loda, come in quello del vero storico l’imparzialità e la cosiddetta “oggettività”[3].

Tipologia delle fonti

Anche solo da una prima superficiale lettura delle motivazioni si può delineare una tipologia delle “fonti” citate dagli estensori così articolata:

1) atti giudiziari e relative inchieste prettamente di Polizia;

2) atti parlamentari;

3) pubblicistica politico-ideologico-giudiziaria.

Atti giudiziari

Dai 38 punti numerati alle pagine 125-133 delle motivazioni si desume che sono oltre 70 gli atti giudiziari citati. Dall’elenco si nota che sono menzionate le 12 specifiche sentenze riguardanti la strage di Bologna, la condanna in primo grado di Gilberto Cavallini e una caterva di altre sentenze riguardanti processi per eventi stragisti (e non solo) a partire da piazza Fontana 1969. Non solo sono citate le sentenze passate in giudicato, ma anche quelle di primo e secondo grado, di condanna o di assoluzione o di archiviazione. Una vera enciclopedia giudiziaria senza offrire un’effettiva giustificazione, in casi specifici, ad una sorta di “revisione”.

Atti parlamentari

Mi limito qui a richiamare un esempio che compare a pagina 153. Gli estensori riportano integralmente “l’indice di una delle relazioni” della Commissione stragi di cui però non forniscono né il titolo né gli autori. In realtà, si tratta di una Relazione del Gruppo Democratici di Sinistra – L’Ulivo dal titolo “Stragi e terrorismo in Italia dal dopoguerra al 1974” (22 giugno 2000), firmata da quattro senatori (Raffaele Bertoni, Graziano Cioni, Alessandro Pardini, Angelo Staniscia) e da cinque deputati (Antonio Attili, Valter Bielli, Michele Cappella, Tullio Grimaldi, Piero Ruzzante) con la collaborazione di Gianni Cipriani, Giovanna Montanaro, Gerardo Padulo e Jacopo Sce.

Pubblicistica politico-ideologico-giudiziaria

È la tipologia di “fonti” citata esplicitamente nelle motivazioni che lascia maggiormente perplessi. L’utilizzo di queste “fonti” come “prove” deriva da una tardiva iniziativa del presidente della Corte d’Assise, che negli ultimi mesi del processo “mandanti-Bellini” (svoltosi tra il 16 aprile 2021 e il 6 aprile 2022) decise di convocare giornalisti e magistrati che si erano dedicati alla “storiografia” dello stragismo.

Il libro del professore Angelo Ventrone La strategia della paura[4] è definito l’“utile filo rosso” e fa da retroterra alla strage del 2 agosto 1980 ma i linguaggi e i contenuti sono sovente più d’origine giornalistica che storica. Si rileva l’assenza di un pur elementare approfondimento critico delle fonti primarie e secondarie definite “probatorie”.

Il 19 gennaio 2022 sono stati escussi come testimoni Paolo Bolognesi, Roberto Scardova, Antonella Beccaria, Giorgio Gazzotti e Luigi Marcucci. Tutti quanti coinvolti nelle produzioni editoriali promosse dall’Associazione tra i famigliari delle vittime a partire dalla quadrilogia (2012-2017) sulle stragi (dall’Italicus 1974 a Bologna 1980).

Mentre il 26 gennaio 2022 sono stati ascoltati gli ex giudici Claudio Nunziata, Leonardo Grassi e Giuliano Turone. Nunziata e Grassi, da magistrati in attività avevano partecipato direttamente alle indagini sulle stragi del 1974 (Italicus) e 1980; Turone alle indagini sulla “Rosa dei Venti” e sulla P2.

Non manca l’orripilante libretto Menu e dossier del balzachiano Federico Umberto D’Amato[5].

Scrivono gli estensori (a p. 1036):

svela un personaggio che può permettersi di alludere bonariamente ai vezzi gastronomici di tutti i personaggi del potere dell’epoca, lasciando intendere l’ampiezza delle informazioni disponibili su ciascuno di essi (sic!).

A dire il vero ad alcuni dei suoi ospiti ha attribuito gusti culinari fantasiosi, certo che nessuno avrebbe smentito tali stupidaggini. Potenti e “intoccabili” erano i suoi referenti: il ministro Paolo Emilio Taviani e l’ammiraglio Eugenio Henke, quest’ultimo menzionato superficialmente (p. 817) sebbene responsabile del Sid negli anni della strage di piazza Fontana. Ignorati sono anche il colonnello Nicola Falde e altri che per ragioni diverse ebbero rapporti con l’Ufficio affari riservati.   Nonostante il capitano Antonio Labruna e l’informatore del Sid Torquato Nicoli siano citati ampiamente,  non sono analizzati i contrasti tra il Sid e l’antiterrorismo in quei lontani anni Settanta di stragi e terrorismo. Per completare il quadro degli “assistenti” storiografi evocati nelle motivazioni, vanno ricordati almeno altri quattro nomi:

  1. Il colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo. Convocato nelle due udienze del 9 e 16 giugno 2021; ha ricoperto anche il ruolo di “storico”;
  • l’ispettore di polizia Michele Cacioppo (deceduto nel 2016) per redigere le biografie per la Procura di Brescia ha utilizzato vecchi ritagli di giornale e i “fondi Sifar”, trascurando gli Istituti storici e gli archivi di Stato;
  • Giuseppe De Lutiis (deceduto nel 2017) è autore del libro Storia dei servizi segreti in Italia[6]. In effetti, un rimaneggiamento della relazione di minoranza del Pci, non approvata dal Parlamento come testimonia (1964) “La Relazione di Minoranza della Commissione parlamentare d’inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964 e le deviazioni del Sifar” con commenti di Terracini, Spagnoli, D’Ippolito, Galante Garrone e Lami (ed. Feltrinelli 1971). Penso non servano le biografie dei commentatori. Oltre Gli atti del processo De Lorenzo – L’Espresso, a cura di Roberto Martinelli sul “Sifar Affair” (Mursia 1968). De Lutiis è stato tra i “periti” nominati da Leonardo Grassi nell’inchiesta Italicus-bis (1994) che (in forma ridotta e rielaborata) è poi diventata un libro dal titolo Il lato oscuro del potere. Associazioni politiche e strutture paramilitari segrete dal 1946 a oggi[7];
  • Aldo Sabino Giannuli. Convocato nelle due udienze del 26 maggio e 9 giugno 2021 nei panni di consulente-biografo di Federico Umberto D’Amato. Consulente di molte Procure d’Italia, tra cui quelle di Brescia (strage 1974) e di Milano (Piazza Fontana 1969). Le sue consulenze sono state tutte oggetto di libri tra i quali Il Noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro[8](o “Anello”) dedicato più al sottobosco politico, in particolare lombardo, che alla complessa “diplomazia grigia”.

Per districarsi nel groviglio giudiziario e poter articolare un vasto mosaico storico sulla storia d’Italia, che va dallo sbarco alleato in Sicilia (luglio 1943) fino alla strage di Bologna (ma anche oltre), i magistrati estensori delle motivazioni hanno fatto quindi ricorso ad una considerevole mole di pubblicazioni, espressamente citate (Giannuli, De Lutiis, Bolognesi, Scardova, alcuni magistrati come già detto e altri) ritenute “letteratura scientifica”! o di “indiscutibile rilievo scientifico”! e “parte del compendio probatorio”!, ricerche considerate “dati che agevolano la lettura dei documenti formalmente acquisiti”!

Si legge:

I volumi che fanno parte del compendio probatorio, da considerarsi processualmente come letteratura scientifica a supporto delle consulenze tecniche […] L’epoca delle stragi trae avvio dai primi attentati del 1969; tale fase è stata quindi oggetto di studi e ricerche da parte di importanti storici di professione e di ricercatori le cui opere hanno un indiscutibile rilievo scientifico. Consideriamo queste ricerche come dati che agevolano la lettura dei documenti formalmente acquisiti […]. La consulenza storico archivistica, così come il contributo di quanti professionalmente si sono dedicati alle letture delle carte preesistenti e di quelle pubblicate con la progressiva apertura degli archivi, è divenuta indispensabile in un processo nel quale la prova è essenzialmente di carattere documentale (pp. 146-147).

In sintesi, il processo sui mandanti defunti della strage di Bologna ha preso avvio dalla serie di esposti (almeno cinque) dell’Associazione dei familiari delle vittime alla Procura di Bologna (2011-2016), che a seguito del primo esposto (13 gennaio 2011) aprì a luglio dello stesso anno un apposito fascicolo.

Nello stesso arco di tempo la medesima Associazione pubblicava la versione “divulgativa” di quegli stessi esposti (2012-2017). Nel marzo 2017 la Procura di Bologna chiedeva l’archiviazione del filone “mandanti”: Licio Gelli, Federico Umberto D’Amato, Umberto Ortolani e Mario Tedeschi, tutti deceduti, ma la Procura generale nell’ottobre 2017 avocò a sé il fascicolo con la conseguente riapertura delle indagini. Nel frattempo Andrea Speranzoni, avvocato dell’Associazione, riesumava il filmato del turista Harald Polzer (agli atti già dal 1985) che portava all’identificazione di un presunto Bellini ripreso per pochi secondi sul primo binario della stazione di Bologna dopo l’esplosione delle 10:25 del 2 agosto 1980. Alla fine ne è scaturito il processo (svoltosi dal 16 aprile 2021 al 6 aprile 2022) con la condanna all’ergastolo di Paolo Bellini in primo grado.

La Rete delle “fonti probatorie” e “documentali”

Fonti e testimonianze hanno tutte lo stesso orientamento politico fino a costituire una rete d’influenza. Le informazioni transitano da un autore all’altro, sovente senza fonte. Ho dovuto effettuare un faticoso lavoro a ritroso di ricerca per definire l’origine di argomenti che si sono ripetuti indisturbati nel corso degli anni. È soffocato ogni dibattito e confronto costruttivo.

La scelta delle persone sottoposte a giudizio: mandanti deceduti, testimoni , destre fasciste (innocenti o colpevoli, le indagini prettamente di polizia giudiziaria non sono di mia competenza), è fondamentalmente finalizzata a provare la teoria del “grande disegno stragista atlantico” alimentato da un terrorismo nero e “rosso” (tra virgolette nella sentenza) a sostegno di una nota tesi complottista di Sergio Flamigni che ha persino attribuito al brigatista Mario Moretti rapporti con Gladio (!) fatta propria dai giudici di Bologna.

Vicende e persone sono sovente disgiunte tra loro, anche dal punto di vista dottrinale e sociale, lontane dal contesto della strage di Bologna, ma si è voluto fare un amalgama con chiunque ritenuto ideologicamente un “avversario” e ancor più un “nemico”.

Nulla da invidiare alle dottrine politiche e giuridiche naziste e sovietiche che avevano tramutato il principio di legalità nell’irrazionalistico e decisionistico Führerprinzip, e introdotto nel diritto penale le nefaste figure del “nemico” del popolo, dello Stato e dell’anti partito eccetera.

L’Italia è descritta come un’isoletta della Terra del fuoco dominata da “demoni” atlantici che impedivano “l’accesso dei comunisti al potere” (sic!).

Sorvolando sul fatto che dirigenti del Pci sedevano comodamente in Parlamento, partecipavano a tutti i dibattiti, compresi quelli sulle cariche nelle Forze armate e nei Servizi, dividevano privilegi e anche tangenti.

L’affidabilità di una ricerca, se si hanno pretese storiche in campo nazionale e internazionale militare e civile, ma anche investigative di qualità, rinvia al livello di coerenza libera da ogni ideologia o teoria preconcetta e comporta un’ampia conoscenza dei contesti politico – militare – giuridico, degli equilibri nelle Alleanze, dei Trattati, del tutto assenti nella sentenza.

I libri acquisiti dalla Corte che costituiscono “le prove storico-scientifiche” evidenziano ricerche e analisi frammiste a fonti di Polizia, più che la storiografia militare e civile rilevano metodi di propaganda che in Italia hanno costantemente occupato un posto di rilievo in quello dell’intoxication per minare e svilire il morale dei Servizi essenziali per la difesa dell’indipendenza dello Stato e l’integrità della Costituzione italiana, che purtroppo è stata attualizzata in un atto giudiziario.

Le teorie cospirative applicate al modello italiano

Propaganda noiosamente ripetitiva condensata in qualche espressione “magica” senza alcuna riflessione sugli effettivi contenuti in rapporto alla terminologia: “golpe”, “sovranità limitata”, “compromesso storico”, “stragismo atlantico”, “Yalta”, “guerra rivoluzionaria” ed altro.

Negli anni Novanta, fu incrementata da una vague prorompente con un nuovo tema: “Gladio”. Come sempre accade quando si tratta di Intelligence, essa ha approfittato di rivelazioni diffuse dai media su devianze generate dall’esistenza di queste reti in Italia e il modello italiano è diventato addirittura quello applicato a una cospirazione globale guidata dall’Alleanza atlantica.

L’inanità di una simile costruzione alimentata da presupposti antiamericani, ha ostacolato ogni seria analisi storica e ha impedito, e impedisce, di far emergere la realtà degli eventi a partire dalla stessa cronologia in Europa continentale. Le ragioni dell’adesione a tali strutture erano imposte dalla posizione geografica e dall’inasprimento delle relazioni internazionali, quando un vasto territorio di una porzione del “Rimland” europeo passò sotto dominazione sovietica,

“una superficie totale di 1.020.000 km2 oltre 91 milioni di abitanti non russi”

scriveva l’ambasciatore Manlio Brosio[9].

È altrettanto errato valutarle come una volontà articolata della Nato, poiché significa fraintendere il funzionamento delle istituzioni inter-governative internazionali. È illusorio che l’Alleanza atlantica sia riuscita, in quel periodo, a creare un servizio integrato di intelligence e di azione compatto di un settore particolarmente sensibile della sovranità nazionale, è sufficiente constatare le difficoltà che si sono frapposte, negli anni Settanta-Ottanta, alla “comunità europea di Intelligence”, nella lotta contro il terrorismo.

L’approfondimento di “Gladio” impone la lettura della documentazione, oramai accessibile, di altri Paesi europei, dove la struttura era presente. Per comprendere la realtà della rete “Stay Behind” è necessario non soccombere ai media.

Il “giornalista d’inchiesta” Roberto Scardova e “Gladio”

Scardova nelle motivazioni della Corte d’Assise di Bologna è annoverato tra i “giornalisti d’inchiesta” (p. 61). È stato escusso come testimone nell’udienza del 19 gennaio 2022 (nelle motivazioni, si vedano le pagine 495-497). Un riscontro dell’attendibilità di Scardova si può trovare in un video (tuttora presente sulla piattaforma YouTube) del 31 marzo 2015, che documenta un incontro organizzato da un gruppo di studenti dell’Università di Bologna, “Ombre sulla Repubblica”.

Dallapuntata del 31 marzo 2015, intitolata “Stay Behind e Gladio. L’ombra nascosta della P2”, trascrivo:

[…] D’altra parte basta ricordare l’omicidio di Olof Palme [28 febbraio 1986], che è uno dei delitti, insieme al delitto Moro, uno dei delitti più gravi e irrisolti della storia d’Europa e la cui responsabilità di questo delitto è sicuramente da attribuire alle forze che volevano impedire, perché volevano impedire a Olof Palme – il capo del governo e segretario del partito socialista, socialdemocratico svedese – di aprire un nuovo dialogo con l’allora Unione Sovietica e con i paesi socialisti. Quello che volle fare Willy Brandt, e infatti a Brandt misero come assistente in casa un ex nazista appartenente alla struttura Stay Behind.

È ben noto che l’“assistente”, cioè il segretario dell’allora cancelliere tedesco Willy Brandt, costretto a dimettersi il 6 maggio 1974, era un certo Günter Guillaume che non era un “ex nazista appartenente alla struttura Stay Behind”, ma un agente provocatore infiltrato del Servizio segreto della Germania Est, come lui stesso asserì al suo processo: “sono un ufficiale dell’armata popolare della Rdt e collaboratore della Stasi”.

Guillaume e la moglie furono condannati a 13 anni e 8 anni per “tradimento”; furono rilasciati nel 1981 in uno scambio di spie. Markus Wolf osservò che le dimissioni di Brandt non erano previste ed era stata una “gaffe monumentale” da parte della Stasi[10]poiché Brandt con la sua “Ostpolitik” era favorevole agli interessi della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) che, al ritorno, conferì alla coppia l’onorificenza dell’“Ordine di Marx”[11].

Nel 1985 lo scandalo Hans Joachim Tiedge rilevava l’ampiezza dell’infiltrazione della rete spionistica dell’Est nella Germania occidentale praticamente impossibile da sradicare, che mise in pericolo la partecipazione dell’industria tedesca al programma tecnologico per le “guerre stellari”.

L’ex capo-stazione della Cia a Bonn, George Carver, dichiarò che da anni i servizi segreti americani avevano eretto una barriera negli scambi informativi con alcuni paesi alleati: la Repubblica Federale Tedesca (Rdt), la Turchia, la Grecia, il Belgio e l’Italia giudicati “infetti da rischio” comprese le infiltrazioni nella Nato oramai confermate dall’apertura degli archivi del Patto di Varsavia.

Gli atti dei procedimenti sull’assassinio di Olof Palme (febbraio 1986) circa 10 mila pagine sono accessibili da almeno trent’anni.

Furono prese in considerazione numerose piste e anche la Cia, poiché Palme aveva auspicato una denuclearizzazione dei Paesi nordici dopo il primo dispiegamento di SS 20 sovietici (1977) e di forze nucleare intermedie americane in Europa, oggetto di preoccupazione e di dibattito tra i membri della Nato[12].

Nel 1986, vi fu l’incontro Gorbačëv-Reagan e nel 1987 firmarono il Trattato sulle forze nucleari. Roberto Scardova figura come curatore di tre volumi promossi dall’Associazione dei familiari delle vittime eautore di un saggio intitolato L’oro di Gelli[13] (citato anch’esso nelle motivazioni, p. 496). Fa parte quindi del gruppo che ha redatto e curato i libri derivati dagli “esposti” che hanno avviato l’inchiesta sui “mandanti” (defunti) della strage di Bologna da cui sono scaturite le due sentenze di primo grado di condanna all’ergastolo di Gilberto Cavallini e Paolo Bellini.

Il “golpe bianco” e il “segreto di Stato”

Ovviamente non potevano mancare Pace e Libertà, la rivista diffusa negli anni Cinquanta da Luigi Cavallo ed Edgardo Sogno e il cosiddetto “golpe bianco” degli anni Settanta. Nulla di nuovo: la solita massiccia campagna giornalistica, la sopraccitata Relazione del Gruppo Democratici di Sinistra del 2000, mescolando il mazzo con il libro il Testamento di un anticomunista scritto da Aldo Cazzullo con Sogno e diffuso dopo il  decesso dell’ex diplomatico[14].

A pagina 481 gli estensori scrivono delle motivazioni:

Anche l’istruttoria di Violante su Sogno e Cavallo (le memorie del primo hanno ora definitivamente confermato la validità dell’ipotesi di indagine) fu trasferita a Roma, dove i magistrati non proseguirono nella richiesta di rimozione del segreto di Stato, per la quale Violante aveva ormai aperto la strada.

Sul “segreto di Stato” preciso che in discussione sono i magistrati estensori della sentenza sulla strage di Bologna perché hanno riattualizzato gli atti istruttori del giudice di Torino e disatteso la successiva sentenza istruttoria che assolveva Randolfo Pacciardi, Luigi Cavallo ed Edgardo Sogno “perché il fatto non sussiste” (1978) del dottor Francesco Amato, dove il magistrato affrontava la questione del “segreto” con parole inequivocabili, e quella di archiviazione del giudice romano, dottor Francesco Monastero degli anni Novanta, quando il caso fu riaperto.

È stata ignorata la sentenza della Corte Costituzionale sul “Giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale” del 24 maggio 1977 (n. 86/1977 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 1º giugno 1977) composta dai signori: Prof. Paolo Rossi, Presidente – Dott. Luigi Oggioni – Prof. Vezio Crisafulli – Dott. Nicola Reale – Avv. Leonetto Amadei – Dott. Giulio Gioffrida – Prof. Edoardo Volterra – Prof. Guido Astuti – Dott. Michele Rossano – Prof. Antonino De Stefano – Prof. Leoplodo Elia – Prof. Guglielmo Roehessen – Avv. Oronzo Reale – Dott. Brunetto Bucciarelli Ducci – Avv. Alberto Malagugini.

Nell’ottobre 1977, con la Riforma sui servizi segreti, il “segreto di Stato” nel caso specifico non era più applicabile. Scriveva Cavallo alla Commissione stragi nel 1997:

Io sono sempre stato d’accordo con il giudice Violante per la rimozione totale del segreto di Stato per tutte le vicende giudiziarie in cui sono stato coinvolto, segreto che mi ha gravemente danneggiato poiché poteva lasciar intendere collusioni che assolutamente non esistevano, e di cui hanno approfittato P.M., G.I. e Giudici che potevano giustificare giudizi di assoluzione e/o di condanna con argomenti parimenti infondati, ma che favorivano malevoli tesi politiche d’impronta comunista, anche se il Pci è morto da tempo, ma i suoi residui e metodi sopravvivono e sono ben radicati nel cervello e nello stile d’azione di certe confraternite, sia quelle d’origine piduista sia quelle d’origine cominformista, revisionista berlingueriana, o post-revisionista D’Alemano-togliattiana.

Luigi Cavallo ricordava il giurista Silvano Tosi – che conseguì la laurea nel 1951 con una tesi sul “colpo di Stato”, sotto la direzione di Giuseppe Maranini e una prefazione del filosofoWidar Cesarini Sforza – che nel quotidiano La Nazione in un articolo del giugno 1976 dal titolo “Un segreto di Stato e una ragion di Stato” dedicato al segreto politico-militare posto dagli onorevoli Giulio Andreotti e Aldo Moro su Edgardo Sogno e Luigi Cavallo, scriveva:

quel che importa e dovrebbe muovere a sdegno è che il sistema normativo fascista creato ad esaltazione dello Stato totalitario per mortificare l’individuo (come si esprime il pensiero liberaldemocratico) o la persona umana (come si esprime la dottrina cattolica), venga tuttora mantenuto e utilizzato dalla forza dominante che si definisce democratica e cristiana ad esclusivi fini di “ragion di Stato”.

Sono disattese anche le richieste di audizione e le relazioni fatte pervenire alla Commissione stragi nel febbraio 1996 (ignorate dal sen. Giovanni Pellegrino) e alla Commissione Moro, presieduta dall’on. Fioroni del 2017 classificata “riservata” (sic!). In quanto alla versione sul “golpe” non riuscito nell’agosto 1974 “a causa delle dimissioni di Nixon”, è fantapolitica. La decisione di un intervento militare in un Paese dell’Alleanza atlantica era, ed è, di esclusiva competenza del Congresso americano, unico titolare del diritto costituzionale di impartire le direttive. Neppure il responsabile della Cia, allora William Colby, si sarebbe azzardato, anche solo ad accennare ad un ipotetico intervento militare in Italia, paese geo-politicamente essenziale per gli equilibri in Europa e nel Mediterraneo. L’Italia non era il Cile o altro paese dell’America latina, ogni confusione è inopportuna. Scriveva nel 1969 Manlio Brosio, allora segretario generale della Nato che ricordava il libro di Lord Ismay Nato. The first five Years 1949-1954:

fin dall’inizio la Nato è stata concepita quale strumento per la messa in comune delle risorse morali e materiali dell’Alleanza e non già quale giustapposizione delle sue forze[15]

Distrazioni “storiografiche”

Si riscontrano, qua e là, frasi che accostano la Francia e l’Italia (p. 164) ritenuti come paesi ostili all’Alleanza. Nel 1966 la Francia di Charles de Gaulle uscirà dal commando militare integrato della Nato ma restando membro fedele dell’Alleanza. Nel discorso del 21 febbraio 1966 le argomentazioni golliste si basavano sull’autonomia della Francia dopo lo sviluppo dell’arma atomica (1960) e del nucleare civile.

Imre Nagy per aver dichiarato nel 1956 l’Ungheria stato neutrale fu impiccato, Budapest invasa, i combattenti ungheresi che non riuscirono a rifugiarsi a Ovest deportati, nel viaggio che li trasportava verso la Siberia, i deceduti venivano gettati dal treno e sul brogliaccio dell’elenco si legge “depennato”.

I Governi italiani hanno sempre rifiutato l’Europa come “terza forza” e l’Italia è sempre stata ben inserita nell’Alleanza atlantica, lo confermava l’ambasciatore francese a Roma, François Puaux, nella rivista dell’Istituto francese di Relazioni internazionali Politique étrangère[16].

E, nel dibattito aperto sulla difesa autonoma del vecchio continente, anche il bulgaro Boris Guerrassimov in Novosti (19 aprile 1978) e il segretario alla Difesa americano, Harold Brown, nella conferenza tenuta a Londra il 17 aprile 1978, dopo la riunione di Belgrado (ottobre 1977 – marzo 1978) dove furono esaminate le conclusioni dell’atto finale della conferenza di Helsinki.

Leggo una frase che lascia esterrefatti (p. 163):

Il pericolo diventa acuto nei primi anni Sessanta con l’avvio della fase politica del ‘centrosinistra’, considerata l’anticamera della presa del potere da parte dei comunisti.

È stato diffuso un numero incredibile di studi in merito al centrosinistra ma gli estensori fanno da “spalla” a Paolo Bolognesi che pone sulla stessa linea il “centro sinistra” e “il compromesso storico” nella Prefazione al libro Alto Tradimento, curato dallo stesso Paolo Bolognesi[17] (p. 5).

Il centrosinistra in Italia è stato sostenuto dagli Americani con finanziamenti rilevanti (lo ha scritto lo stesso senatore Giovanni Pellegrino nella Proposta di relazione alla Commissione stragi del 1995). Ovviamente, non un minimo cenno – come se la sinistra fosse tutta serva del Pci – sull’illecita interferenza dei comunisti nella vita politica del partito socialista.

La critica alla politica estera americana è del tutto legittima, ma non in un coacervo di notizie disgregate, e certamente non utilizzando alcuni autori e consulenti che in passato furono “esaltati” da EIR (Executive Intelligence Review) e altre riviste fondate da Lyndon LaRouche, apprezzate nell’ambiente eteroclito di certi Servizi segreti e di un certo estremismo anti Nato, e soprattutto anti europeo.

Menzionati in una sentenza come “fonti storico scientifiche” diventa inquietante se preceduta da quanto si è verificato dopo la direttiva del presidente del Consiglio nell’aprile 2014 riguardante la declassifica per il versamento straordinario di documenti all’Archivio Centrale dello Stato riguardanti stragi e attentati dal 1969 (bomba di piazza Fontana) al 1984 (attentato al rapido 904). Procedure non inusuali, senonché un decreto del Segretario generale della Presidenza del Consiglio istituiva un Comitato consultivo, e evidenti pressioni politiche hanno determinato la cooptazione nel Comitato dei rappresentati delle associazioni delle vittime del terrorismo.

Si è costituito un precedente per il quale associazioni private, per di più composte da aventi causa negli avvenimenti, esercitano funzioni, per quanto consultive, di controllo sui versamenti negli archivi di Stato: si contravviene ad un principio di eguaglianza dei cittadini, mentre la competenza sul piano della ricerca storica è affidata a associazioni fortemente, e inevitabilmente, ideologizzate, non certo in possesso del metodo storico.

Caso unico, credo, nella prassi dei paesi occidentali.

La “propaganda” in un’aula giudiziaria

Il colonnello Massimo Giraudo, nella sua testimonianza del 16 giugno 2021 utilizza espressioni “disinvolte” che non ci si attende da un appartenente all’Arma dei carabinieri: dalla “visceralità dell’anticomunismo degli americani” al termine “pantano” in merito all’Indocina francese e al Vietnam. Mentre l’avvocato di Parte civile, Speranzoni (che ricorda i processi di cui si è occupato in ogni suo intervento pubblico!) ha depositato, citata dalla Corte, documentazione in merito a quella che viene chiamata comunemente la “guerra sucia” (1960-1980) e l’operazione Condor.

L’Italia, negli anni immediatamente successivi alla fine del secondo conflitto mondiale non ebbe più una politica estera autonoma ma non è giusto pretendere che fosse “infeudata” agli Stati Uniti.

In numerose occasioni Roma si espresse e adottò posizioni divergenti, ricordiamo che Amintore Fanfani nel 1963 chiese a Washington il ritiro dei missili Jupiter installati nel 1957, nel timore di una trasformazione in zona di ripiego alle basi evacuate in Grecia, fece sapere che in nessun caso avrebbe accettato il trasferimento sul suolo italiano; e, nell’ultimo anno della presidenza Carter, non accettò di lasciarsi trascinare, al di là del ragionevole, nella vicenda delle sanzioni contro l’Iran richiesta da Washington con il rischio di perdere tre miliardi di dollari di contratti e così in altre occasioni, in particolare se suffragati dalla Comunità europea.

Il terrorismo impone uno studio approfondito delle diverse culture, quindi di vagliare e rispettare i singoli percorsi nei singoli paesi. Sarebbe stato più appropriato, dato che incriminati sono dei militanti di “Ordine Nuovo” ed altre sigle similari, ricordare le stragi commesse dagli Italiani durante il periodo mussoliniano in Jugoslavia, in Albania, in Grecia e in Africa con l’uso anche di gas. Il testimone incaricato delle investigazioni, colonnello Giraudo, ha ritenuto invece opportuno ignorarle e citare il generale Heinz Guderian (?), il “Safari club” (!?), e la “direttiva Westmoreland” (?!) che utilizza impropriamente e come il prezzemolo (p. 881).

Giraudo ha dichiarato:

L’America in quel momento lì ha una débâcle nella lotta al comunismo e che cosa succede nel ’76? Viene creato il Safari Club, fu chiamato così perché nasce in una località del Kenya, in un hotel appunto che si chiamava Safari, dove alcune potenze e tra l’altro i francesi e quindi deve pensare al retroterra che potevano mettere in campo i francesi, le nazioni si impegnano nella lotta senza quartiere al comunismo e lì quindi possiamo dire che… Io non ho sentito la testimonianza del professor Giannuli, lui parla di una cesura nel ’75, io vi dico il documento nel 1976 parte, poi ovviamente non è che vanno al minuto quindi c’è un periodo di inerzia della Westmoreland e un periodo di rodaggio delle nuove… [strategie].

Jacques Vernant, fondatore e direttore del “Centre des études de politique étrangère” di Parigi – durante la Resistenza era stato capo di Gabinetto del comunista Raymond Aubrac – osservava in Politique et Diplomatie:

“Nixon presidente, per i dirigenti del Cremlino, fu l’interlocutore privilegiato”.

L’evoluzione delle relazioni americano-sovietiche furono evidenziate dalla visita del presidente Nixon nel luglio 1974 su invito di Brežnev preceduta e ritenuta necessaria da Richard Nixon e da Henry Kissinger a seguito della firma a Bruxelles del presidente statunitense e dei 14 stati membri dell’Alleanza atlantica che riaffermarono e sottolinearono la necessità permanente di coesione occidentale, mentre in Medio Oriente la crisi era diventata da acuta a cronica[18]. Nel settembre 1975 il comunista Eugenio Peggio si recherà a Washington al Fondo monetario Internazionale. Si legge nel settimanale L’Europeo del 5 settembre 1975:

L’uomo che romperà il gelo, nella marcia di avvicinamento Usa-Pci si chiama Eugenio Peggio, ministro dell’economia del Partito comunista. La notizia del viaggio di Peggio a Washington conferma la “strategia dell’attenzione” che, dopo il 15 giugno [1975], il Dipartimento di Stato americano, i grandi organi di stampa e l’opinione americana hanno messo in atto verso il nostro comunismo […] e Giorgio Amendola viene citato dagli americani come un modello di uomo politico.

Al convegno era presente anche il dottor Paolo Baffi, governatore della Banca d’Italia. La grave crisi energetica e l’Europa furono al centro del dibattito ed Enrico Berlinguer fu intervistato dal settimanale Time. Il comunista Sergio Segre, nel 1976, già relatore in sede Unione Europea Occidentale – Western European Union) di importanti e ottimi Rapporti, farà il suo esordio in America al “Council on Foreign Relations” come ambasciatore straordinario della politica comunista e il Washington Post scriveva:

gli attuali dirigenti del Dipartimento di Stato cominciano a guardare al Pci come un possibile e serio interlocutore che permetta loro di capire meglio la realtà della politica italiana.

Alexandre de Marenches e il Safari club

Dal 1975-1976, mentre i senatori americani erano impegnati (non nella lotta ai comunisti!) nella “débâcle” sulle clausole giuridiche atte ad imbrigliare la Cia, l’Urss piazzava decine di migliaia di “consiglieri” e istruttori militari in importanti scacchieri d’Africa e dell’Oceano Indiano.

Il Safari Club, nato nel 1976 nella stazione Mount Kenya Safari, fu fondato da Alexandre de Marenches, direttore del Service de Documentation Extérieure et de Contre-Espionnage francese (SDECE) e dai direttori dei Servizi segreti dell’Arabia Saudita, dell’Egitto, del Marocco e dell’Iran, ovviamente in funzione anti sovietica.

Il Club si trasferì in Egitto e mantenne dei rapporti informali con gli americani tramite un agente della Cia, coordinati con Israele e gli Usa nell’ambito mediatore del pourparler tra Egitto e Israele che condusse Sadat a visitare Gerusalemme nel 1977, poi a Camp David nel 1978 e al Trattato di pace Israele-Egitto nel 1979. Il Club chiuse l’attività nel 1980 a seguito della “rivoluzione” sciita in Iran (novembre 1979), de Marenches lo stesso anno lasciò il Servizio. L’Hotel era di proprietà di Adnan Khashoggi, miliardario, mercante d’armi, la sorella sposò Mohamed al-Fayed, il cui figlio morì nell’incidente insieme alla principessa Diana mentre l’altra sorella era la madre del giornalista Jamal Khashoggi, assassinato nel 2018 in Turchia. Eventualmente possiamo inquadrare il Safary club nell’intervento militare nello Zaire in risposta all’invasione dell’Angola o al rifornimento di armi alla Somalia nel conflitto del 1977-1978 con l’Etiopia.

Quale rapporto tra la strage di Bologna, l’opposizione antisovietica in Africa di de Marenches, sauditi, iraniani, eccetera, dove l’Italia e la Nato non ebbero alcun ruolo e ovviamente il “Westmoreland”. Studiosi come Raymond Aron o Henry Morgenthau Jr., segretario al Tesoro statunitense – che organizzò il processo svoltosi nel Palazzo di Giustizia di Norimberga contro i criminali nazisti, sito, allora, in zona americana – hanno sottolineato la differenza nel contenimento dei comunisti da parte degli Stati Uniti in Asia, Africa o in Europa. In Europa, si trattava di bilanciare il peso delle forze del Patto di Varsavia e quelle della Nato nell’ambito delle armi nucleari. In Asia, in Africa il problema del comunismo era legato alla liberazione dai regimi coloniali o al nazionalismo. Il generale britannico Richard Clutterbuck, pioniere degli studi sulla violenza politica, redattore del libro Guerrillas and Terrorist[19] al Consiglio d’Europa (Strasburgo, 12-14 novembre 1980) nella “Conferenza sulla difesa della Democrazia contro il terrorismo in Europa” dichiarava:

È pericoloso applicare in un Paese le conclusioni di esperienze di un altro paese senza tener conto delle differenti situazioni. L’estrema diversità di prospettive politiche e sociali, di modi di organizzazione dei servizi di Polizia, militari, paramilitari e informative, della natura della minaccia, si è tradotta per un eguale diversità nel carattere e l’ampiezza delle operazioni terroriste e antiterroriste intraprese in ognuno dei cinque paesi europei che sono stati le principali vittime del terrorismo: l’Italia, la Rft, la Gran Bretagna, la Spagna e la Turchia (mentre l’Irlanda deve essere esaminata separatamente).

Gli “accordi di Yalta” e il “compromesso storico”

Sebbene siano trascorsi quasi 80 anni dalla fine della seconda guerra mondiale – e nonostante che la divisione dell’Europa non dipese dagli accordi di Yalta – in Italia, un illecito mito popolare continua a persistere anche tra gli “studiosi” (per non ripetermi rinvio al mio articolo: “La conferenza di Yalta 75 anni fa, la leggenda e il caso Moro)[20].

Scriveva Bino Olivi, nell’opera dedicata a Carter e l’Italia[21]

La divisione in Europa, si impose per come era nato il conflitto e come si era sviluppato: le due superpotenze vincitrici, Urss e Usa, erano estranee al precedente equilibrio continentale vi fu una spaccatura nel nostro vecchio continente in due sistemi politici, economici, ideologici contrapposti […]. Da quel momento ogni blocco ha avuto un suo “protettore” e una sua diversa forma di “sovranità limitata” che nella sfera sovietica si manifestò nel modo più brutale.

Gli “accordi” sono diventati il centro di tutti i mali che conducono alle stragi, all’omicidio Moro e al tentativo di assassinio di Berlinguer in Bulgaria nel 1973 come ha scritto Giuseppe Vacca nella sua “storytelling” (per utilizzare un termine caro al professore) nella prefazione, recepita dalla Corte (p. 162 nota 27) al libro Sofia 1973. Moro deve morire di Corrado Incerti e Giovanni Fasanella.

In effetti, il segretario del Pci due mesi dopo (4-8 dicembre 1973)[22] si recò per una cordiale visita nella Germania Est i cui dirigenti sono sempre stati i primi a sostenere l’Urss, e la Repubblica Democratica Tedesca (Rdt) nel 1976 fu l’invitata d’onore al festival de L’Unità. I fondi archivisti del Partito Socialista Unificato di Germania (Sed) a Berlino Est testimoniano degli ottimi rapporti.

Il quotidiano Le Monde dell’11 ottobre 1978 titolava: “Brejnev et Berlinguer sont décidés à renforcer la coopération des partis communistes”, e l’agenzia Tass precisava che Berlinguer aveva sostato tre giorni a Mosca dove lunedì 9 ottobre 1978 era stato ricevuto da Leonid Brežnev, Michail Suslov e Boris Ponomarëv, in un “clima di amicizia e cameratismo”.

Il Pci non era in grado di staccarsi dall’Urss e di portare avanti una “politica antisovietica”, soprattutto in politica estera, tanto che i finanziamenti (Brežnev e Andropov non erano dei filantropi!) arrivarono puntuali fino alla caduta del Muro, e non si sarebbero conclusi importanti contratti di aziende italiane con Mosca nell’ambito degli armamenti, grazie all’intervento mediatore del Pci e a forti tangenti che Tangentopoli ha preferito ignorare e dare in pasto ai cittadini una deplorevole e costosa Commissione Mitrokhin.

In Italia dal Pci avrebbe potuto nascere un forte partito di sinistra, ma non è stato così perché la metamorfosi avrebbe richiesto una profonda riflessione e quindi una grave sconfitta ideologica. Negli atti del Convegno organizzato dal Centro culturale Mondoperaio nel marzo 1988, Leo Valiani osservava:

È il concetto di totalitarismo che la sinistra italiana per decenni si è pervicacemente rifiutata di prendere in considerazione.

E Vittorio Strada notava che:  

L’interpretazione dello stalinismo come fenomeno puramente russo o come parentesi aperta da una rivincita dell’“arretratezza” russa, non solo è storicamente falsa e spesso contradittoria, ma serve a ridurre le proporzioni del fenomeno e limitarne le responsabilità. Basta ricordare il fatto empirico che lo stalinismo trionfò anche in Occidente e che ardua anche qui fu l’opposizione ad esso.

Ha scritto Thierry Wolton ne Le Figaro del 17 marzo 2023:

Gli Ucraini pagano oggi la nostra mancata riflessione di fondo sul comunismo.

I Servizi segreti piduisti e il Pci

La riforma dei Servizi divenne operativa il 13 dicembre 1977 con l’istituzione del “Comitato permanente per il controllo sui servizi di sicurezza”, presidente il democristiano Erminio Pennacchini e vice presidente il senatore comunista Ugo Pecchioli che avallò la nomina a vice direttore del Sisde di Silvano Russomanno che per anni fu vice capo dell’Ufficio affari riservati del Ministero dell’Interno e corresponsabile del depistaggio delle indagini su piazza Fontana; di Walter Pelosi al vertice del Cesis; di Giuseppe Santovito al Sismi; del generale Giulio Grassini al Sisde. Esercitando i poteri “di controllo, proposta e iniziativa” il “Comitato” diresse i Servizi segreti e mai, in quegli anni di stragi, Pecchioli e compagni denunciarono le attività devianti dei vertici e delle strutture “piduiste”, e non, di Sisde, Sismi e Cesis, tutte operanti emanazioni di responsabili politici della maggioranza parlamentare di “unità nazionale”.

Il capitano di fregata Angelo De Feo, ex funzionario del Sismi e prima del Sid, interrogato dal giudice Carlo Palermo (8 novembre 1983) dichiarava in un lungo scritto depositato agli atti:

non vi è dubbio che se si fosse veramente voluto creare un nuovo organismo, non dipendente e condizionato dal passato, si sarebbe dovuto assicurare un totale ricambio degli ufficiali assegnati al Servizio per evitare che il problema dell’illegittimità e delle prevaricazioni compiute dal Servizio si ripresentassero, come poi avvenuto, periodicamente in tempi sempre più brevi. Mentre il connubio Sifar-centro di potere occulto, sembrava indirizzato a consentire prevalentemente il controllo della vita politica nazionale, l’intesa Sid-P2 aveva essenzialmente il fine di assicurare con ogni mezzo benefici finanziari, prevalentemente a danno dello Stato, attraverso il controllo delle principali attività economiche del Paese.

La “storiografia” e il colonnello Massimo Giraudo

Il colonnello Massimo Giraudo, nella sua testimonianza di più di quattro ore del 9 giugno 2021, ha ricordato che ex nazisti, alla fine del conflitto, furono recuperati dagli americani. Ha preferito ignorare che anche i sovietici, gli inglesi, i francesi e gli argentini di Juan Perón e i comunisti integrarono dei nazisti. L’interesse era rivolto agli addetti del complesso militare industriale della Germania hitleriana, gli scientifici nazisti permisero il progetto della prima bomba atomica sovietica. La Gran Bretagna e la Francia recuperarono i “cervelli” che lavorarono ai primi motori a reazione.

Tutti i paesi integrarono militari ex nazisti nel campo dell’informazione e del controspionaggio, la più nota è l’Organizzazione del generale Reinhard Gehlen. L’armata popolare nazionale della Germania Est era composta da sovietici e da ex militari della Wehrmacht. Il generale Otto Korfes, catturato a Stalingrado, collaborò con Walter Ulbricht, membro del partito comunista tedesco (Kpd); Korfes nel 1952 fu responsabile della polizia della Repubblica popolare della Germania Est e gettò le basi per la struttura degli archivi della Stasi, i Servizi della Germania Est.

È una “prassi” post bellica imposta dalle esigenze dell’immediatezza e della ricostruzione, e il colonnello dei carabinieri Giraudo non può non esserne al corrente. Palmiro Togliatti emise un’amnistia per tutti i fascisti, è fatto noto, lo scriveva già Luigi Cavallo in Pace e Libertà nel 1954 quando ne fu il direttore. Pare lo abbia scoperto anche la presidente Giorgia Meloni ultimamente! Togliatti nominò capo di Gabinetto Gaetano Azzariti, ottimo giurista, ma che nel 1938 aveva collaborato alla stesura delle leggi razziali e fu presidente del Tribunale della razza. Nel 1957 fu eletto presidente della Corte Costituzionale e morì nel 1961 mentre era ancora in carica. L’episodio è riferito da Italo De Feo, Tre anni con Togliatti[23], citato da Edmondo Bruti Liberati, Magistratura e società nell’Italia repubblicana[24] e nell’opera del professor Saverio Gentile, La legalità del male. L’offensiva mussoliniana contro gli ebrei nella prospettiva storico-giuridica (1938-1945)[25].

Riscontro decise divergenze tra me e i magistrati e i consulenti sulla definizione di “fonte storica”.

Il colonnello continua nella sua testimonianza:

Quindi questo non si capisce se non si apprezza sulla pelle il rumore dei cingoli dei carri armati sovietici. E questo è estremamente importante. Tenete presente che questi soggetti come [Karl] Hass, [Herbert] Kappler, [Erich] Priebke, [Walter] Reder sono tutti soggetti che hanno vissuto le teorie belliche di [Heinz] Guderian [1888-1954], che è l’inventore del Blitzkrieg tedesco. Guderian entrò diverse volte in contrasto con Hitler e Guderian era un convinto assertore, soprattutto quando Hitler lo incaricherà di attaccare i russi, della netta superiorità dei russi nel campo dei carri armati. E quindi la cultura di questi uomini, anche poi toccata con mano con la battaglia di Stalingrado, era una cultura di estremo pericolo dell’Armata Rossa e di superiorità dell’Armata Rossa. E quindi sentivano attuale e concreto questo pericolo. Importanza era fare il passaggio cioè quello che noi vediamo negli anni Cinquanta coi Far [Fasci di azione rivoluzionaria] non è altro che quello che vedremo poi con Ordine Nuovo.

Mi siano dunque concesse alcune doverose precisazioni:

1) Il grande maître del Blitzkrieg è stato il generale Erich Lewinski von Manstein – costruttore della Reichswehr, poi consigliere di Konrad Adenauer per la creazione della Bundeswehr, personaggio che Adolf Hitler ammirava e invidiava nello stesso tempo. Infatti ebbero numerosi aspri scontri.

2) Heinz Guderian non inventò ma applicò il Blietzkrieg e trasmise a Hitler il rapporto del generale Reinhard Gehlen che anticipava la grande offensiva sulla Vistola-Oder, nei pressi di Baranow che Hitler definì “un tessuto di idiozie”.

3) Stalingrado fu un tournant importante, ma i sovietici uscirono stremati con perdite di materiale di un terzo superiore a quello dei nazisti; l’effettiva vittoria militare avvenne a Kursk, la più grande battaglia di carri armati della storia (5 luglio – 23 agosto 1943) sotto la responsabilità di Erich von Manstein.

4) Quando tre divisioni corazzate delle SS bloccheranno per sei mesi sulle rive della Vistola l’Armata del maresciallo Konstantin Rokossovskij che cercava di raggiungere Varsavia, Stalin convogliò sul fronte migliaia di mezzi corazzati e di trasporto truppe forniti dagli Stati Uniti per preparare l’ultima grande offensiva che doveva portare le armate di Ivan Konev, Georgij Žukov, Rodion Malinovskij e Fëdor Tolbuchin all’Elba. Ci sono opere ben documentate di ottimo storici come quello di Jean Lopez e Lasha Otkhmezuri, Les maréchaux de Staline[26].

5) I “cingoli dei carri armati russi” se li ricordavano non i fascisti dei Fasci di azione rivoluzionaria (Far) ma gli operai comunisti d’Europa orientale, a Berlino Est (1953), Budapest e Poznan (1956) massacrati dai “quisling” sovietici, interventi definiti “operazioni speciali” in violazione degli articoli 8 e 4 del Patto di Varsavia. Non a caso, la dottrina della “sovranità limitata” dei Paesi socialisti nei confronti dell’Urss venne enunciata da Leonid Brežnev il 2 luglio 1968, alla vigilia dell’invasione della Cecoslovacchia (20-21 agosto 1968).

6) I Fasci di azione rivoluzionaria e le destre nel dopoguerra erano anti-americani e nella loro prima azione nel 1951 posero le bombe al Ministero degli Affari esteri e all’Ambasciata americana di Roma.

Sull’origine e sull’evoluzione dell’estrema destra in Italia e in altri paesi europei la storia non è uniforme.

La destra nazionalista in Francia ha combattuto contro i tedeschi, lo stesso generale Raoul Salan che partecipò con altri militari al putsch dell’aprile 1961 ad Algeri in opposizione al generale Charles de Gaulle, e tra i fondatori e capo dell’Organisation armée secrète (OAS), allora colonnello, nell’agosto 1944, intervenne nella liberazione di Tolone sotto il comando del generale Jean de Lattre de Tassigny. L’Italia mussoliniana fu alleata dei nazisti e nel dopoguerra non aveva più colonie da difendere.

Per costruire il grande affresco è stato “raccattato” di tutto, persino Pier Francesco (non Gianfranco) Talenti, personaggio da operetta, e tale Giovanni Bandoli, ex capitano dell’esercito, ex partigiano di Giustizia e Libertà (GL), membro della giunta esecutiva Regionale Piemontese del “Fronte Nazionale” che scopro operante per i Servizi di sicurezza del Comando delle Forze Terrestri Alleate per il Sud Europa (FTASE)[27] che a mia conoscenza era soprattutto un “arnese” provocatore della polizia locale torinese che attuò delle provocazioni nei confronti di Edgardo Sogno e Luigi Cavallo nel periodo del cosiddetto “golpe bianco”. Sono discriminate le fonti non in linea con la tesi dell’“l’oltranzismo atlantico”, terminologia ripetuta otto volte nella testimonianza di Vincenzo Vinciguerra che la Corte commenta (p. 356):

In definitiva, come ha ripetuto fino alla noia Vincenzo Vinciguerra, la matrice delle stragi va ricercata in quegli ambiti che strumentalizzarono e gestirono la politica degli opposti estremismi. Al loro interno le forze della conservazione del sistema erano ampiamente operative e in grado di provocare e sostenere ogni tipo di azione funzionale alla conservazione o all’evoluzione in senso autoritario, ma sempre all’interno della cornice liberaldemocratica, opzione che gli analisti del Field Manual indicavano come preferibile, a condizione che fosse in grado di contenere il pericolo comunista.

I propositi di Vinciguerra rilevano dell’idiozia culturale sia nei contenuti che nel confuso linguaggio politico che manifestamente non controlla e non ne conosce l’origine.

Il Field Manual 30-31 è un manuale di controguerriglia, non un manuale politico.

In Italia il termine “liberaldemocratico” si riferisce nella storiografia alla corrente “radicale” del liberalismo in età carloalbertina nel Regno di Sardegna. Ne fu esponente Lorenzo Valerio, attorno alla rivista La Concordia, in opposizione, in quel periodo, alla corrente liberale moderata di Camillo Benso di Cavour[28].

In anni più recenti, con l’avvento di Silvio Berlusconi, il termine è stato impiegato impropriamente per indicare movimenti e correnti politiche senza alcun possibile rapporto con il liberalismo risorgimentale. “Liberale”, “liberalismo” non hanno lo stesso senso né lo stesso percorso negli Stati Uniti d’America o nei paesi dell’Europa continentale.

I liberaldemocratici in Vietnam?! Un approfondimento della storia vietnamita sarebbe di rigore: 900 anni di indipendenza nazionale (938-1862), dinastie nazionali, espansione verso sud, influenza culturale cinese e resistenza contro il potenziale occupante, 80 anni di colonizzazione francese (1862-1945), occupazione giapponese dal 1940 al 1945 eccetera.

Non si possono analizzare i paesi asiatici o dell’ex Urss o la Russia degli zar con una mentalità occidentale.

Nel gennaio 1966 era stata costituita una commissione speciale sul problema vietnamita presieduta dal senatore James William Fulbright con interventi del segretario di Stato, Dean Rusk, di George Kennan e dello stesso generale Maxwell Taylor, eccetera.

Esiste un volume in versione italiana con la prefazione di Altiero Spinelli[29].

Non mancano le letture di opere sia comuniste sia di opposizione sulle concezioni americane in materia di insurrezione nella guerra in Vietnam e fonti critiche come gli stessi Pentagon Papers, editi dal senatore Mike Gravel, tra il 1971-1972[30]; inoltre è di rigore una consultazione delle pubblicazioni dell’Institute for Study of Conflict di Londra.

Lo stesso generale Raoul Salan ha redatto un libro dal titolo Indochine rouge. Le message d’Hô chi Minh[31]. Salan ad Hanoi era stato amico di Ho chi Minh che aveva accompagnato alla conferenza di Fontainebleau nel 1946, aveva frequentato il generale Võ Nguyên Giáp con il quale ebbe lunghe conversazioni. Il testo, al di là delle sue opinioni politiche, è di facile lettura e illustra bene sia i metodi della guerriglia VietCong, sia l’organizzazione delle riposte americane. Le alleanze “adultere” talvolta sono opportune e in questo caso Vinciguerra diventa un testimone importante perché di supporto alla tesi dello “stragismo atlantico”, anche se racconta un sacco di corbellerie.

I giudici dovrebbero attenersi ai fatti criminali che lo concernono non elevarlo ad oraculum consulere su strategie politico-militari nazionali e internazionali.

La “Gauche prolétarienne” e “l’Aginter Presse”

All’inizio della lunga nota 51 che inizia a pagina 287 delle motivazioni della Corte d’Assise di Bologna si accenna ad “una delle… relazioni” (non meglio precisate) del prof. Giuseppe De Lutiis. In effetti, si tratta della “relazione peritale consegnata il 1º luglio 1994 al giudice, dr Leonardo Grassi” come scrive lo stesso De Lutiis nella “Premessa” (p. 3) al già citato libro Il lato oscuro del potere. Il paragrafo 2 del capitolo I è intitolato “Il supplemento B al Field Manual 30-31” (pp. 11-16, con note alle pp. 169-170).

Non disponendo del “Rapporto del Ros dei carabinieri ai giudici istruttori di Milano dottor Guido Salvini e di Bologna Leonardo Grassi in data 14 febbraio 1994” (nota 15 di p. 169 del libro di De Lutiis) redatto dal colonello Giraudo, non resta che leggere quanto scrive lo stesso De Lutiis, in particolare alle pagine 15-16, dove si trovano citati estratti del documento “Notre action politique”, trovato nell’archivio dell’Aginter Presse nel novembre 1974 dai giornalisti del settimanale L’Europeo, Corrado Incerti e Sandro Ottolenghi; il FM 30-31B; l’operazione Chaos e la Commissione Rockefeller.

La riproduzione originale della prima pagina dattiloscritta (in francese) del testo intitolato Notre action politique (la traduzione italiana si trova nel libro di Fabrizio Calvi e Frédéric Laurent, Piazza Fontana[32] e pure gli articoli de L’Europeo del novembre 1974, sul FM 30-31B anche se solo in trascrizione.

Le tesi esposte dai due Autori vanno inquadrate nell’ambito di un’ampia campagna antiamericana tendente a coinvolgere agenti della Cia (veri o presunti) in stragi e omicidi squisitamente italiani. Frédéric Laurent è autore di L’Orchestre noir pubblicato nel 1978 e dedicato alle organizzazioni estremiste di destra[33]. Negli ultimi anni della presidenza di Francois Mitterrand è stato uno degli addetti alla segreteria di François de Grossouvre che dirigeva le operazioni parallele dell’Eliseo.

Fabrizio Calvi è il nome d’arte dell’egiziano (copto) Emile ZagDun, che ha lavorato in Italia parecchi anni seguendo le attività delle organizzazioni terroriste come corrispondente del quotidiano Liberation. In Italia Fabrizio Calvi è noto per il suo secondo libro Camarade P. 38, pubblicato nel 1982 e dedicato alla “Brigata 28 marzo” e alla ricostruzione dell’assassinio di Walter Tobagi[34].

Olivier Schmidt ha redatto per anni un bollettino informativo di tipo poliziesco, diffuso tra i funzionari del ministero dell’Interno: Le Monde du Renseignement.

Il colonnello Giraudo nella sua deposizione ha precisato di aver incontrato militanti della “Gauche prolétarienne” (GP). Creato nel 1968, movimento di estrema sinistra, maoista e di cui ricordiamo i numerosi atti di violenza, massicciamente infiltrato, chiuderà i battenti nel 1973; il colonnello era bambino. Immagino che gli incontri siano avvenuti negli anni Novanta su incarico del giudice istruttore Guido Salvini, ma non ha precisato chi ha incontrato, quando e dove. Ascoltata la deposizione di Giraudo ho fatto immediatamente il collegamento con gli archivi del quotidiano francese Libération fondato nel 1973 da ex di Gauche prolétarienne, dove per almeno quarant’anni tutti gli addetti ai lavori sono andati a “pescare” le notizie sull’Aginter Presse (esclusi i giornalisti de L’Europeo che si erano recati personalmente in Portogallo). Il libro di Laurent segnala collegamenti più saltuari ed episodici che organici. La parte internazionale del libro Piazza Fontana, dove è citato anche il colonnello Giraudo, è stata tratta appunto dai vecchi e arcisfruttati archivi di Yves Guérin-Sérac (Yves Guillou) e dell’Agenzia “Aginter-Presse” divulgati nel 1974 da Lisbona, quindi da Madrid e Parigi e “sbarcati” in Italia nel processo su piazza Fontana.

A Libération era impiegato Antonio Bellavita, latitante in Francia e responsabile, insieme al fratello Luigi, della rivista fiancheggiatrice delle Brigate Rosse Controinformazione che negli anni Settanta aveva diffuso informazioni sul colonnello Renzo Rocca e Georges Albertini provenienti dagli archivi dei carabinieri e del Sid (secondo il redattore), veri o falsi non posso saperlo ma decisamente apocrifi nei contenuti. Queste informazioni le ritroviamo nel libro Italicus (a cura, l’autore è ignoto) di Paolo Bolognesi e Roberto Scardova e prefazione di Claudio Nunziata[35].

Albertini, personalità controversa e responsabile delle pubblicazioni di Est &Ouest (ex Beipi) che per anni furono fonte di riferimento per gli studiosi, tra i collaboratori Boris Souvarine che aveva fondato Critique sociale con Simone Veil e altri. I fondi sono conservati all’Istituto di storia sociale di Parigi – IHS. Albertini per Est&Ouest e Luigi Cavallo per Tp, l’agenzia di Berlino di cui era condirettore, condussero insieme all’associazione dei “Freiheitlicher juristen” (Liberi giuristi) di Berlino, a Bela Kirali da New York (che rappresentava l’Ungheria in seno al Comitato “General Committee dell’Assemblea dei Captive European Nations” – (ACEN pubblicazioni) ed altri, in sede Onu nel lontano 1956, una campagna con il tentativo disperato di liberare Imre Nagy e Maleter in accordo con il senatore Henry Cabod Lodge, ambasciatore Usa all’Onu[36].

L’Aginter Presse per anni funzionò da centrale d’informazioni/disinformazioni della Pide, la polizia segreta della dittatura di António de Oliveira Salazar, soprattutto in operazioni criminali nelle colonie portoghesi. Gli archivi della Pide sono accessibili dal 1992, a Torre Do Tombo a Lisbona, ma nulla di nuovo è stato apportato sia da Giraudo che dai vari consulenti sui rapporti tra i Servizi italiani con quelli portoghesi, la ricerca è circoscritta all’Aginter Presse e a Guérin-Sérac come da archivi di Libération.

L’“indebita estensione” sulla “domestic operation Chaos”

Nelle motivazioni (p. 288, nota 51 e p. 290) si legge:

Tenuto conto del contenuto del documento – prosegue il perito – è bene ricordare che nel 1975 (?) la cosiddetta Commissione Rockefeller, “Commission on Cia Activities within the United States”, redasse un rapporto all’allora presidente Nixon (rectius: Ford) sulla covert operation denominata in codice “Chaos”. Il rapporto è stato declassificato e reso pubblico nel 1977. Scopo dell’operazione Chaos era l’infiltrazione in gruppi, associazioni e partiti dell’estrema sinistra extraparlamentare (anarchici, marxisti-leninisti operaisti e castristi) d’Italia, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Repubblica Federale Tedesca […] Per questi motivi il piano Chaos fu liquidato dal nuovo capo della CIA [Wlliam] Colby nel 1975 dopo la conclusione del negoziato sulla cooperazione e la sicurezza in Europa […] Fu liquidata anche la dottrina della guerra rivoluzionaria in coincidenza con la fine della strategia della tensione.

Le frasi non corrispondono agli eventi. Il termine “Chaos” fu attribuito all’operazione non per creare caos ma a causa dei disordini dovuti alle lotte negli Stati Uniti d’America per i diritti civili e degli oppositori alla guerra in Vietnam come è ben precisato nel testo della commissione Rockefeller nell’Appendix V (p. 285). La parte dedicata alla “Special operation group: Operation Chaos” (cap. 11) alla p. 132, si legge:

“A. Origins of Operation Chaos (August 1967) “In the wake of racial violence and civil disturbances[37] […].

A pagina 134: “C. Evolution of Operation Chaos – Domestic Unrest in 1968”[38]

La commissione Rockefeller richiamava il “Bill of Rights in the constitution protect individual liberties” (p. 3) che diede il via all’inchiesta. Era illegittimo da parte della Cia “monitorare i cittadini dissidenti americani”, anche se i movimenti pacifisti avevano origine dai Partigiani della pace ed erano gestiti dall’Urss. William Colby, direttore della Cia dal settembre 1973 al gennaio 1976, impose nel 1974 l’allontanamento di James Jesus Angleton dal controspionaggio, per l’arbitrario controllo della posta di cittadini americani dissidenti.

Sul terrorismo interno negli Stati Uniti d’America si veda la “National Governors’ Association”[39]. L’operazione Chaos di spionaggio interno prese l’avvio nel 1967.

Le operazioni furono dirette da Richard Ober, laureato alla Harvard University, nel 1943 entrò a far parte dell’Office of Strategic Services (OSS) e fu un ufficiale di collegamento con la resistenza antifascista in Europa.
In seguito Ober fece parte della Cia e per oltre 20 anni servì James Angleton nel controspionaggio. Ober, “figura di spicco, era il collegamento diretto con Richard Helms, direttore della Cia”, secondo il giornalista Angus Mackenzie, deceduto a soli 44 anni, nel 1994, le sue note furono raccolte in un libro Secrets. The Cia’s War at Home, ovvero “Segreti. La guerra della Cia in casa” dedicato ai temi affrontati dalla commissione Rockefeller e diffuso il 22 aprile 1999[40].
Ober utilizzò i differenti programmi interni della Cia: “Merrimac” per infiltrare i movimenti nazionali radicali che si opponevano alla guerra in Vietnam; “Resistance” in collaborazione con le amministrazioni universitarie, gli agenti di sicurezza nei campus e le polizie locali (senza infiltrazione); “Htlingual” con il controllo abusivo della posta tra l’Urss e gli Stati Uniti di personaggi ed organizzazioni già nella lista dei sorvegliati che diede l’avvio alla Commissione Rockefeller.

Il testo della Commissione non fu “declassificato” nel 1977, nel 1975 era già pubblico, si può verificare nel frontespizio dove si legge “June 1975” e nella seconda pagina oltre i riferimenti di legge il prezzo del volume è di 2 dollari e 85 cents. L’errore, o il refuso, si riscontra senza verifica in tutti gli scritti fin dagli anni Ottanta, anche in un articolo dello storico Nicola Tranfaglia[41]. Amalgamare il “negoziato sulla sicurezza in Europa” e l’operazione “Chaos” vuol dire non aver letto gli atti della Conferenza di Helsinki e neppure gli atti della commissione Rockefeller quindi con il rischio di prendere dei granchi.

Dopo gli accordi di pace di Parigi del 1973, terminata la guerra in Vietnam nel 1975, venne istituita la United States Senate Select Committee to Study Governmental Operations with Respect to Intelligence Activities, commissione presieduta dal senatore Frank Church che incluse e ampliò temi della commissione Rockefeller: Operation Chaos e l’assassinio di John Kennedy.

Dalla commissione Church nacque il Select Committee on Intelligence incaricato di sorvegliare le attività della Cia e dei Servizi segreti. Si legge negli atti della commissione Church in merito all’operazione Chaos e sulle cause che indussero la Cia al controllo illegittimo di cittadini americani dissidenti:

Nel luglio 1967 si tenne a Stoccolma un’importante conferenza internazionale di gruppi pacifisti. A settembre, un’ampia gamma di attivisti americani, organizzazioni studentesche e nere a Bratislavia, in Cecoslovacchia incontrò gruppi di altri Paesi che si opponevano al coinvolgimento americano in Vietnam […]. Infine, il 21 ottobre 1967, ci furono attività di protesta su larga scala a Washington, tra cui una marcia sul Pentagono e manifestazioni mondiali di sostegno all’opposizione al continuo coinvolgimento americano in Vietnam. La preoccupazione del governo per i disordini interni è continuata per tutto il 1968, con disordini seguiti dalla morte di Martin Luther King in aprile, la continua violenza studentesca nei campus, l’intensificazione dell’attività di protesta contro la guerra e atti di violenza alla Convenzione del Partito Democratico Nazionale a Chicago. Durante i restanti cinque anni per i quali è durato il programma Chaos, 1969-1974, i disordini sui problemi razziali sono diminuiti ma l’intensità delle manifestazioni contro la guerra e la violenza degli studenti sono aumentate per poi diminuire dopo il 1972[42].

Nella lettera Notre action politique indirizzata all’Aginter Presse, “chaos” (con una “h” perché così si scrive in francese come in inglese, in alto a destra in italiano manoscritto “caos” è in minuscolo come segnala anche il colonnello Giraudo) il redattore auspica effettivamente di creare dei disordini, è una pratica di tutti i movimenti estremisti di destra e di sinistra, anche del Pci durante il piano Marshall. Lo scritto rileva, dalla terminologia, sebbene non sia la lingua madre del redattore, persona di media cultura, senza una struttura operativa, infioretta le possibilità di azione per ottenere finanziamenti da o tramite Guérin-Sérac. Lo scritto non è manifestamente in connessione con l’operazione “Chaos” della Cia e ovviamente con la cosiddetta “direttiva Westmoreland”.

Aldo Giannuli e l’estensione cronologica della “strategia della tensione”

Per Aldo Giannuli la “strategia della tensione” in Italia si sviluppa nel quindicennio 1960-1975, per la Procura generale continua anche dopo il 1980 secondo il teste Giraudo. Nel libro di Giannuli La strategia della tensione (Ponte alle Grazie, giugno 2018) nell’introduzione attribuisce a Carl Schmitt l’espressione “guerra civile fredda”. Non ricordo questa espressione pronunciata dal giurista-filosofo, in quale contesto? Mi si illumini! La frase si può attribuire con certezza a Steve Schmidt, nel 2008 organizzatore della campagna del senatore repubblicano John McCain, quest’ultimo veterano e prigioniero in Vietnam.

Si legge a pagina 11 del libro di Giannuli:

[…] partiamo dal senso di questa espressione [strategia della tensione] che fu usata per la prima volta in un articolo del giornalista Leslie Finer su The Guardian il 7 dicembre 1969 […].

In realtà l’espressione ‘strategy of tension’ compare per la prima volta in un articolo per The Observer il 14 dicembre 1969 due giorni dopo la bomba di piazza Fontana (“480 held in terrorist bombs hunt”, titolo di p. 1; “Italy: Fear of revolt returns”, titolo di p. 2); The Observer è “domenicale” ed è partner del Guardian che non è diffuso la domenica.

Sabato 6 dicembre 1969, The Guardian aveva pubblicato un articolo di Cedric Thornberry, intitolato “Greek advice for a coup in Italy” (p. 2). È una minuzia, ma rende bene l’idea dell’accuratezza dei rimandi bibliografici di Giannuli che vengono ripresi dagli estensori, unico dissenso che si riscontra nelle motivazioni (p. 150) richiama la parte del verbale di quella udienza del 9 giugno 2021(nel testo delle motivazioni erroneamente datata 11 giugno) riguardante l’estensione cronologica della “strategia della tensione”: fine nel 1974/75 o prolungamento fino almeno al 1980, secondo la versione del colonnello Giraudo e della Corte. Il Presidente Caruso dichiara:

Ho capito. Senta, lei [Giannuli] alla fine della scorsa udienza, aveva concluso suscitando un qualche dissenso, che la Strategia della Tensione è finita nel ’74

È evidente l’imbarazzo di Giannuli, non a caso nella replica al presidente usa quattro volte l’aggettivo “complesso” sintomo di evidente difficoltà nel tentativo di arginare l’obiezione che gli viene sottoposta. Resta il fatto che in una nota delle Conclusione del suo voluminoso tomo di 622 pagine (La strategia della tensione pure citato nelle Motivazioni alle pp. 149 e 290) si trova scritto quanto segue (testo che non richiede commenti)

[…] [del]la strage di Bologna […] se ne parlò per alcune settimane, tutto venne scaricato sulle frange dell’estrema destra, senza alcun tentativo di risalire ad eventuali mandanti – anche internazionali – e la cosa finì lì. (p. 534) […] Comunque la strage bolognese [del 2 agosto 1980] non c’entra nulla con la strategia della tensione ma, piuttosto, con la situazione nel Mediterraneo in quel 1980. Altro scenario, e per questo l’abbiamo lasciata fuori da questa indagine. (pp. 599-600, nota 9)

Il colonnello Giraudo inquadra la sua tesi con un’analisi del tutto personale della politica estera americana e nell’ambito della “direttiva Westmoreland” (p. 881), che gli estensori della sentenza recepiscono integralmente, di cui accenno lungamente qui sopra nel capitoletto sul Safari club. Così il prof. Giannuli nell’ambito della fine dei regimi totalitari: Portogallo, Grecia e Spagna amalgama “in un tutto” paesi che hanno origini, percorsi e sbocchi ben differenti, la solita “operazione Chaos”, Watergate, Nixon ecc. che da anni fanno parte della vulgata corrente.

Credo siano di rigore alcune osservazioni sul contesto geopolitico.

In quegli anni la struttura politica bipolare si cancellava davanti ad una struttura tripolare, come osservarono molti studiosi, tra i quali Michel Tatu del quotidiano Le Monde, autore di numerosi articoli sulle relazioni Est-Ovest e le problematiche strategiche; il “doyen” della facoltà di giurisprudenza di Parigi Sud, Charles Zorgbibe, in un convegno nel 18 maggio 1978 all’Istituto di “Hautes Étude de Défense Nationale”,  e dello stesso direttore dell’Istituto di Politica Estera cinese, di Parigi, Hao Te kin,  di cui conservo le note.

Negli anni Settanta-Ottanta nei conflitti asiatici, le relazioni sovieto-americane e quelli del margine di libertà della politica europea di fronte alla Cina sono basilari per una corretta lettura delle strategie internazionali poiché era di grande rilevanza nel “gioco” Est-Ovest, ma ugualmente in quello Nord-Sud che non vengono minimamente affrontate né dai consulenti né dai testimoni.

Dalla primavera del 1970, iniziò la scalata dei prezzi e del fret marittimo petrolifero (il trasporto di lunga distanza delle materie prime e del gas, petrolio ecc.).

Nell’ottobre del 1973, la decisione dei Paesi dell’Opec, dei Paesi produttori, di prendere il controllo totale dell’approvvigionamento, una data importante dell’evoluzione economica politica e sociale, mise in evidenza la fragilità dell’Italia mentre il conflitto arabo-israeliano si accentuava e il problema divenne politico. Dagli anni Settanta i movimenti rivoluzionari che mettevano in pericolo la pace mondiale e gli equilibri erano gli elementi religiosi integralisti o nazional-rivoluzionari. Infatti l’attentato nel maggio 1981 a Giovanni Paolo II, creò un problema nella “distensione” e “nell’equilibrio” in Europa auspicato dalle due potenze Urss e Usa, indispensabili per la sicurezza del vecchio continente.

In quanto alla politica prettamente nazionale dopo gli anni del boom, la competitività dell’economia italiana riposava sul continuo deprezzamento della lira e sulla forte richiesta di beni di consumo nel mercato domestico. Scomparsi questi fattori si ritrovò con un modello produttivo inadatto che necessitava di investimenti considerevoli in termini di ricerca ed innovazione; sono gli anni delle Riforme. Sia la politica estera sia la politica interna comporterebbe un approfondimento che ovviamente non è possibile qui sviluppare.

Il colonnello Giraudo, i giudici e l’apocrifo allegato FM 30-31B

Il nome “Westmoreland” è sempre messo in riferimento con la cosiddetta (e impropria) “direttiva Westmoreland” – indicata anche come “dottrina Westmoreland”, o “manuale Westmoreland”, o “documento Westmoreland”. Le citazioni della cosiddetta “direttiva Westmoreland” si concentrano nei capitoli 3, 4 e 5 della Parte III (“I mandanti”) delle motivazioni. Il FM 30-31B aveva fatto la sua comparsa in almeno due sentenze-ordinanze: quella del Giudice Istruttore Leonardo Grassi (p.p. n. 1329/A/84, Bologna 3 agosto 1994, Italicus-bis, che riguarda in parte anche la strage di Bologna) e quella del Giudice Istruttore Guido Salvini (p.p. nei confronti di Giancarlo Rognoni e altri, Milano, 3 febbraio 1998, piazza Fontana; Parte V, cap. 55, “La direttiva Westmoreland. Il campo di addestramento di Fort Foin e i rapporti con la struttura golpista”).

A pagina 346 gli estensori delle motivazioni scrivono:

Disponiamo a questo proposito di un testo chiave, già menzionato, il c.d. Field Manual 30/31 B attribuito al generale americano William Westmoreland del quale reca la firma. Per anni se ne è negata l’autenticità. Fonti della Cia e dei servizi americani lo hanno dichiarato un falso del Kgb, costruendo una campagna (dis)informativa, alla quale molti hanno aderito. Si comprende bene l’interesse americano a negare la paternità del documento e ad attribuirlo agli avversari come manovra di controspionaggio. Possiamo ora riconoscerlo come autentico. La Corte ovviamente nulla può dire di definitivo, a parte altre sentenze in cui se ne è attestata l’autenticità. Dispone tuttavia di una testimonianza fondamentale della quale deve tenere conto e sulla quale il giudizio di attendibilità può ragionevolmente poggiare. Sentito il 23 ottobre 2018 dai magistrati della procura generale di Bologna, il generale Pasquale Notarnicola che dal 1978 fu Direttore della prima sezione del Sismi.

Come si desume da una memoria della Procura generale di Bologna[43],il ruolo del generale Pasquale Notarnicola nell’ambito delle indagini sui mandanti (defunti) della strage del 2 agosto 1980 è stato quello di “garante” della presunta autenticità dell’apocrifo Field Manual 30-31B (FM 30-31B).

Carlo Mastelloni (a lungo giudice istruttore a Venezia) – diversamente e in contrasto con la valutazione della Procura generale di Bologna, con oltre trenta anni di anticipo – immerge invece Notarnicola proprio nell’ambito delle attività del “Sismi deviato del Santovito” (sono parole di Mastelloni, in questo caso collimanti con quelle della Procura generali a proposito della filiera Sismi che faceva capo a Santovito).

Il nome di Notarnicola è citato infatti insieme ai “precitati imputati (pelosi, grassini, santovito, giovannone, sportelli, notarnicola, lugaresi)” nella sentenza-ordinanza del p.p. 204/83A depositata il 20 giugno 1989 riguardante Abu Ayad et al., ossia il traffico d’armi Olp-Br.

Le accuse di Mastelloni rivolte a Notarnicola e ai “precitati imputati” sono assai pesanti: ossia di aver aiutato “gli autori ed i compartecipi della fornitura di armamento sbarcata dalle Brigate Rosse in Quarto D’Altino nel settembre 1979; quindi violando i doveri inerenti la funzione esercitata nell’interesse dello Stato”.

Va fatta però una doverosa precisazione: questo testo di Mastelloni è una sentenza-ordinanza, il processo che ne è seguito ha portato all’assoluzione di tutti gli imputati – compreso ovviamente Pasquale Notarnicola.

Il personaggio Notarnicola “garante” dell’autenticità del “Westmoreland” comporterebbe un articolo a parte, qui non è il luogo, oltre una cronologia dei contatti rilevante per un’analisi globale dei fatti e del personaggio. Definito documento “chiave” sarebbe stato doveroso informare i giudici popolari:

1) Il Field Manual 30-31 dell’esercito americano, di 158 pagine, è autentico e non è mai stato segreto, ed è uno dei tanti manuali per l’addestramento militare conservato insieme all’allegato A (quest’ultimo per un breve periodo classificato “secret”) e non è mai stato dichiarato apocrifo. L’originale FM 30-31 è un documento stampato con il procedimento di fotocomposizione come tutti gli altri manuali di quel periodo, sia della Forze armate di terra, della Marina e non solo. Questi manuali sono assemblati con una copertina di cartoncino, ai fianchi tre fori come nei raccoglitori ad anello ma punzonati con grossi punti metallici.

2) Contestato come apocrifo è l’allegato B di 12 pagine (preceduta da una pagina con l’indice) che porta il tampone “top secret”, è un dattiloscritto redatto con un carattere Remington, la firma non è autografa.

3) Non corrisponde a verità quanto scritto dai giudici:

fonti della Cia e dei servizi americani lo hanno dichiarato un falso del Kgb.

L’allegato “B” è stato dichiarato apocrifo nel 1980 dalla “Camera dei Rappresentati” e dal “Comitato di controllo sui Servizi segreti Usa”, cioè da chi controllava la Cia a cui i giudici fanno riferimento nell’ambito dell’operazione “Chaos”, la coerenza da una pagina all’altra del testo delle motivazioni non è una di una qualità evidente.

Lo “United States House of Representatives” è composto da Senato e Congresso, forma a questo titolo uno dei due organi del potere legislativo americano che rappresenta i cittadini in seno all’Unione, i rappresentanti sono 435. Rinvio al mio articolo del 2019 “Le stragi in Italia e il presunto [Field] Manual 30-31B della U.S. Army”[44]e integro come segue.

Le copie riprodotte nei volumi della Commissione P2 sono con evidenza pessime fotocopie di fotocopie (Doc. XXIII n. 2-quater/7/1).

Ignoro dove siano conservati i reperti ritrovati nella valigia della figlia di Licio Gelli il 4 luglio 1981 e se l’allegato B è certamente in fotocopia si presume anche il FM 30-31. Si legge alla p. 299 (Doc. XXIII, n. 2-quater/7/II della Commissione P2) che alla copia dell’8 gennaio 1970 erano state apportate modifiche nel testo segnalate con un asterisco; si rilevano segni manoscritti nelle prime pagine quindi è una fotocopia non da un originale integro. Il testo introduttivo è firmato, non manoscritto, dal generale Bruce Palmer, non dal generale William Westmoreland, e indica la data del 1972.

Manca la pagina con il sommario iniziale, forse altre pagine e non è riprodotta la copertina.

Gli inquirenti non precisano come è assemblato. La prima versione del Field Manual del generale Westmorenland è del 1967. Il generale, dopo l’offensiva del Têt, la campagna militare del gennaio 1968, fu sollevato dal suo incarico in Vietnam e nominato Capo di Stato maggiore dell’Esercito di terra, senza comando operativo, con un mandato di quattro anni conferito con votazione dal Senato e quindi consigliere militare del Presidente per quanto concerneva l’armata di terra. Raggiunta l’età pensionabile nel 1972 si ritirerà.

I manuali originali sono conservati nella biblioteca delle Forze armate Usa e in quella dell’Accademia di West Point e si potevano acquistare in librerie specializzate o richiedere anche alla Library di Washington dove venivano stampati. I militanti di “Ordine Nuovo” erano in possesso del Field Manual?

Gli inquirenti non precisano dove, quando e come fu acquisito, quello vero e quello apocrifo.

Tutti gli addetti alle ricerche su problemi politico-militari avevano in archivio dei Field Manual, erano pubblici.

Conservo una serie di manuali militari non solo degli Stati Uniti, che il mio defunto consorte acquisiva, utili alla redazione di relazioni o articoli per gli organismi internazionali e vari Istituti di Londra e di Parigi.

Ovviamente nel FM 30-31 (neppure nell’apocrifo allegato B) si accenna minimamente all’Italia o all’Europa. Il Field Manual 30-31 non apocrifo non aveva riscontro in Europa, era un manuale dell’esercito adatto a territori come il Vietnam per due terzi montuoso, con un conflitto nord-sud. I combattenti vietcong, secondo gli insegnamenti di Mao, conducevano una guerra di movimento, con una centralizzazione relativa del comando e un’Armata rossa costantemente propagandistica e organizzatrice e quindi il manuale della Forze armate statunitensi doveva rispondere con misure di sicurezza, con operazioni di combattimento offensive e difensive adeguate e ovviamente con operazioni di Intelligence e di logistica per le truppe di fanteria.

Le tattiche sviluppate per le unità di combattimento dovevano soddisfare i requisiti di antiguerriglia, generalmente un’applicazione universale per quel tipo di conflitto. Tuttavia, i comandanti dovevano modificare le tattiche per adattarle al particolare terreno in cui stavano operando. Per esempio: nelle aree della giungla, deve essere posta maggiore enfasi sull’uso della mobilità a piedi, nelle paludi e nelle zone inondate, sull’uso di moto d’acqua; e nel deserto, sull’uso della mobilità veicolare.

Guerra, guerriglia e terrorismo

C’è un grande confusione nei concetti espressi da consulenti ed estensori, poiché amalgamano indifferentemente guerra, guerriglia e il terrorismo nei Paesi occidentali.

Negli anni Settanta “la guerre des trognons de choux” (come la definiva Stendhal) nei Paesi occidentali industrializzati si era trasformata in guerriglia urbana moderna che non aveva nulla da spartire con la counter-guerrilla ancorata come detto, a territori e conflitti come il Vietnam o l’America latina. Il terrorismo moderno ha una lunga storia in Europa, non è nato con piazza Fontana, e fu l’11 settembre 2001 ad aprire una nuova era.

Infatti solamente il 6 settembre 2006 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sebbene il tema fosse stato ampiamente dibattuto fin dagli anni Sessanta da diverse organizzazioni internazionali, dal G8 e dalle stesse Nazioni Unite, adottò la Strategia globale antiterrorismo (risoluzione 60/628, integrata da un piano d’azione).

In pochi anni, il terrorismo, è così arrivato a occupare un posto centrale nelle relazioni internazionali.

A Bruxelles in vari convegni, fin dagli anni Sessanta-Settanta fu affrontato il tema sul terrorismo di Stato, quello cosiddetto “pubblicitario” di ciprioti, irlandesi, palestinesi, che ritenevano il terrorismo l’unico modo per farsi intendere e che utilizzavano ampiamente i media; sui movimenti come le Brigate Rosse, la Rote Armee Fraktion (RAF) tedesca senza base di massa a quella di tipo latino americano, anche rurale eccetera. Occuperebbe troppo spazio e non è il luogo per tale dissertazione.

Sono assunti noti a qualsiasi addetto all’informazione e all’investigazione con una media esperienza che quando stragi non rivendicate si ripetono come in Italia significa che favoriscono il consolidamento di certi poteri e di certi condizionamenti interni legati a potentati politico-economici.

Sono stragi di diversione caratterizzate da una massiccia e compatta disinformazione giornalistica.

L’Italia non è uno Stato monolitico, quindi è assurdo parlare di stragi di Stato ma i “Servizi” non sono quindi unificati ma concorrenti, hanno ognuno un capo politico e sono gli esecutori “perinde ac cadaver” degli ordini del loro capo, sono il braccio clandestino di una mente politica, che per ragioni strutturali e di forza è, in Italia, “irresponsabile” sul piano penale.

I due filoni sulla Strage di Bologna

Sulla strage di Bologna ci sono due filoni: la pista palestinese archiviata dopo quasi 10 anni d’inchiesta nel 2015 e quella della P2 attuale.

Ilprocedimento dimostrativo assiomatico delle due tesi poggia su rapporti, non esenti da “impronta” ideologica anche se sovente incerta e più assimilabile a convinzioni personali che dottrinali. Lo studio del terrorismo in diritto comparato presenta molte difficoltà di ordine metodologico e politico che impone una scelta nell’orientamento della ricerca e un’ampia cultura dei rapporti politico-economici.

L’uso politico impedisce l’approfondimento.

Apparentemente le due tesi sembrano opposte in realtà sono due facce della stessa medaglia: gli Stati Uniti d’America e le stragi atlantiche o la politica nell’ambito israelo-palestinese ambedue connesse ad avvenimenti esterni all’Italia e rispondono a guerricciole di opposti settori politico-ideologico prettamente italiani.

I consulenti hanno ignorato: l’attività “Analisi e Valutazione” della documentazione strategica, l’ufficio informazioni scientifiche e tecnologiche; il trasferimento dei materiali sensibili, alla sicurezza dei sistemi d’informazione e i collegamenti con i Servizi alleati non certo circoscritti al livello dei Carlo Digilio, Delfo Zorzi, Leo Joseph Pagnotta e altri, il rispetto della “Military critical technology list”; il servizio cifra e crittografia e così via fino all’inteso lavoro informativo fornito al Presidente del Consiglio dei ministri nell’esercizio di alcune delle sue più alte responsabilità.

I Servizi segreti furono purtroppo utilizzati per manovre di politica interna.

Malgrado taluni ordini ingrati, la scarsità dei mezzi finanziari e tecnici, gli scandali ai vertici, la grande maggioranza degli ufficiali e dei funzionari dei Servizi italiani eseguirono discretamente le missioni loro affidate con capacità professionale e spirito di sacrificio, purtroppo sono la categoria meno “gettonata”.

Un linguaggio poco giuridico

Si legge nelle motivazioni (p. 291):

La Nato adottò come sua dottrina ufficiale quella della “guerra rivoluzionaria” basata sulla cooperazione civili-militari nella realizzazione di regimi “castrensi” configurati come “dittature sovrane” ovvero fondato sullo sterminio fisico degli oppositori. Strumento centrale di questa linea d’azione fu la guerra psicologica con la quale si tentava la criminalizzazione dell’avversario a mezzo di azioni provocatorie e di successiva speculazione attraverso i mezzi della propaganda e dell’informazione.

Non credo che i giudici estensori o i consulenti abbiano letto von Clausewitz o gli scritti militari di Mao Zedong o saggi di politica militare altrimenti sarebbero più accorti nell’attribuire una “guerra rivoluzionaria” alla Nato, o l’utilizzo in Europa della “Westmoreland” di controguerriglia nell’era della “dissuasione nucleare”.

Non c’era bisogno di “criminalizzare l’avversario” bastava raccontare le verità oramai confermate dalla storia.

Le pratiche poco ortodosse degli americani in Irak o in Vietnam “il massacro di My Lai” (come venne definito il processo in Usa) nel 1968 non cancellano 85 milioni di vittime del comunismo che mi pare fuori luogo definire “propaganda”! “Lo sterminio fisico degli oppositori” avveniva in Urss non in Europa occidentale o siamo tornati al negazionismo dei GuLag?

Sono affermazioni radicali nei confronti della Nato, che attualmente ritroviamo nell’estremismo fascista russo e nell’integralismo mussulmano stragista o in personaggi come lo sloveno di ultra destra Marian Kotleba.

Durante il regime fascista Giuseppe Maggiore teorizzò, nella Rivista italiana di Diritto penale (1939) il già citato Führerprinzip nel “caso di incertezza di diritto” il giudice sosteneva si atterrà al principio “in dubio pro republica” che prendeva il posto dell’antico “in dubio pro reo” che possiamo attualmente traslitterare “in dubio pro ideologicas”.

La rivista Il Borghese e il “depistaggio preventivo”

L’articolo de Il Borghese del 6 luglio 1980 dal titolo “Carlos sconfitto da Santillo” firmato Arthur Baldwin ha un’esegesi agevole, non è certo quella degli inquirenti che lo inquadrano in un “depistaggio preventivo” (sic!) quindi il coinvolgimento del giornalista Mario Tedeschi tra i mandanti della strage di Bologna. Il Borghese usufruiva di erogazioni dal Vaticano sin dal tempo di Leo Longanesi quando l’amministrazione vaticana era ancora gestita da Bernardino Nogara. In seguito, penso dagli anni Settanta, percepì finanziamenti dai servizi israeliani come molti della destra legale europea, ovviamente in funzione anti palestinese e anti araba.

La possibilità di un attentato di Carlos al G7 di Venezia del 22-23 giugno 1980 era notizia che circolava da mesi tra i giornalisti in Francia, è possibile che Aldo De Quarto, corrispondente de Il Borghese da Parigi abbia informato Tedeschi delle voci che correvano, allarmanti, tanto che a Venezia il dispiegamento di Forze fu eccezionale.

Infatti, il “pezzo”, è manifestamente di cronaca – ovviamente con la visione e un linguaggio di uomo della destra missina – redatto dopo il Convegno, è dedicato alla sicurezza attivata dai vari Servizi. Si evidenzia una particolare attenzione alle capacità informative dei Servizi israeliani (suoi finanziatori) menzionati più volte, si legge: “tutti messi all’erta sino dai primi di marzo dal Mossad” e prosegue illustrando il Mossad e il responsabile che cita persino in ebraico “Ménumé”. Si legge: “non parla mai a vuoto […]” e aveva informato che “un colpo terroristico era in preparazione contro uno dei suoi ospiti”. Quindi al passato e non contro l’Italia.

Le voci avevano origine dal conflitto Siria-Francia nell’ambito delle ostilità in Libano dove anche Israele era attiva.

Carlos era uno dei componenti lo stato maggiore terroristico siriano e nel 1980 era stato assunto dal capo dei servizi informativi dell’Aeronautica siriana generale Mohamed al-Kouli che dirigeva le operazioni all’estero dei servizi speciali siriani. Godeva anche dell’appoggio del “capo-stazione” dei servizi speciali nel Libano Mohamed Ghanem, nonché di Rifaat Assad, fratello del presidente. Nel mirino, si diceva, fossero Valéry Giscard d’Estaing e Jimmy Carter, citati nell’articolo; il primo per indurre il governo francese a ridurre ai minimi termini la presenza francese in Libano; la Francia appoggiava il governo centrale e manovrava in senso anti-siriano oltre a fornire all’esercito libanese carri armati, autoblindo. In quanto a Carter, la Siria fu il primo paese arabo a riconoscere il governo provvisorio di Mehdi Bazargan dopo la “rivoluzione” sciita in Iran nel novembre 1979 quando erano stati presi in ostaggio a Teheran 52 diplomatici e civili americani, in cambio della liberazione era stata richiesta la consegna dello Shah Mohammed Reza Pahlavi, che aveva dovuto abbandonare gli Stati Uniti e rifugiarsi in Egitto dove morì nel luglio 1980.

Le complesse e lunghe trattative per la liberazione degli ostaggi sono note.

La notizia su Carlos al servizio dei siriani fu, nel 1982 fatta pervenire da Luigi Cavallo, accompagnata da altre notizie sull’acutizzarsi di atti di terrorismo in Francia, ai giornalisti Bruno Crimi e Sandro Ottolenghi. La notizia sui rapporti Carlos-siriani e la politica francese in Libano ha avuto conferma ultimamente con l’accesso ai “diari” del generale Philippe Rondot dello SDECE e dal 1980 nella Direction de la Surveillance du Territoire (DST) che costantemente seguì i passi di Carlos e nel 1994 organizzò il “rapimento” in Sudan quindi condotto in Francia dove continua a scontare la pena dell’ergastolo.

Bisogna leggere attentamente e con cognizione di causa gli articoli de Il Borghese sulla vicende Roberto Calvi-Banco Ambrosiano e il conflitto tra Flavio Carboni e Francesco Pazienza in rapporto al Vaticano ed altri “pezzi” di contorno che inquadrano meglio il finanziamento a Mario Tedeschi, riportato insieme ad altre erogazioni, quest’ultime certamente illecite, nell’ambito della difesa di Roberto Calvi, nel cosiddetto “documento Bologna” – dove è trascritto il numero di conto della Ubs 525.779X.S. – trovato in possesso di Licio Gelli che ha dato l’avvio all’ultima inchiesta sulla strage del 2 agosto 1980.

Gelli e le fantasiose protezioni degli Usa

I protettori di Licio Gelli erano tutti italiani. Il “Venerabile” aveva un rapporto negli Stati Uniti con Phil Guarino, gli era stato presentato da Michele Sindona. Proprietario di un ristorante, informatore di Fbi e poi uomo d’affari e membro del “The Order of the Solar Temple”, falso ordine cavalleresco fondato nel 1984 di cui ricordiamo i suicidi di numerosi membri e tra i fondatori noti truffatori.

Guarino era uno di quei personaggi che ruotano intorno alla politica perché portano voti, nel suo caso della comunità italiana cattolica e allora ancora nostalgica del vecchio regime, in cambio gli favoriva gli incontri e gli affari essendo tra gli invitati nei vari ricevimenti o commemorazioni quindi “gonfiato” come potente personaggio del Pentagono perché aveva fatto avere l’invito a Gelli per la cerimonia di insediamento di Reagan.

Quindi, secondo i giudici, potente era anche Gelli che ricattava (sic!) il Pentagono che aveva dato l’ordine della strage. Definito “Venerabile ricatto”, l’oggetto del ricatto era il cosiddetto “documento Westmoreland”, già definito apocrifo , come già detto, nel 1980, mai stato “segreto” poiché diffuso negli anni Settanta in circa 20 paesi poi trovato in copia nella valigia della figlia nel luglio 1981.

Luigi Cavallo aveva rapporti, anche di amicizia, con un economista e diplomatico – William Mazzocco – che aveva conosciuto a Berlino nel 1953 e in sede Cocom a Parigi, poi nello staff dell’Ambasciatrice Claire Booth Luce a Roma. A Saigon era stato Alto Commissario degli Stati Uniti per gli aiuti civili alle popolazioni vietnamite; a Washington nel settembre 1979 era un esponente del “Washington Forum”, un’organizzazione di consulenza per le più importanti istituzioni finanziarie del mondo. Valutava il rischio-Paese e il tasso d’interesse da applicare ai prestiti richiesti da governi o da grandi istituti di credito.

Negli anni Settanta-Ottanta aveva previsto una maggiorazione del rischio-Paese per l’Italia. Durante il conflitto era stato nel Servizio informativo nel Mediterraneo ed aveva curato il testo del piano Marshall per gli aiuti agli Europei, in seguito  membro esperto della Commissione Speciale del Senato per i Servizi Segreti (Senate Select Committee on Intelligence) presieduta dal senatore Barry Goldwater. Mazzocco negò ogni sostegno a Calvi e si rifiutò di sistemare il figlio Carlo, e ci illustrò la personalità di Guarino quando questi informatore di Fbi denunciò come “agente del Kgb e mafioso russo”, Luigi Cavallo ( ovviamente in accordo con ambienti italiani) che venne “fermato” a New York l’11 ottobre 1979 e poi rilasciato con le scuse  del “prosecutor”, giudice Tendy. La vicenda non concerne le Motivazioni e quindi non mi dilungo.

I conti svizzeri di Licio Gelli

Gelli oltre il conto, già sopra menzionato, 525.779X.S, era titolare del conto alla Ubs n. 525.779X1, citato alla p. 42 degli atti giudiziari del processo Ambrosiano. Su quel conto si riscontrano gli importi di 7 milioni e 1,5 milioni di dollari. Ma anche un’operazione di 11.908.166 dollari datata 30 luglio 1980, tre giorni prima della strage. (I conti sono confermati anche nei volumi della Commissione P2 a p. 483 Doc. XXIII, n. 2-quater/3/VII, Roma 1985) quindi, costatata la data ravvicinata con la strage di Bologna, che probabilmente non avrebbe dato alcuna informazione utile, ma una verifica sarebbe stata doverosa.

È sufficiente un po’ di dimestichezza con i conti svizzeri per sapere che il conto che avevo segnalato era quello iniziale. Risalendo al conto originario si può poi, facendo una sorta di “albero genealogico” con tutte le radici simili ricostruire i passaggi, ogni numero ha un codice: 525779.X1 – 525.779.X.S – 525.779.XS 60 – 525.779.60 R eccetera

Bisogna tener conto che era una banda di truffatori e falsari, i conti incrociati e le scatole cinesi sono una caratteristica della criminalità finanziaria. Quando l’ho segnalato al signor Bolognesi sembrava gli avessi lanciato un anatema! Gelli che non era l’unico truffatore e millantatore. Certe truffe e fondi neri a danno di finanziarie o industriali quotate in borsa, mancati pagamenti di sovrapprezzi dei pacchetti azionari da Calvi a Calvi (estero) ecc. finanziamenti a partiti compreso il Pci, che qui non elenco sono imputabili a Roberto Calvi. C’è una frase arrogante dell’ex presidente del Banco Ambrosiano del gennaio 1978 – dopo l’affissione dei noto Manifesto di Luigi Cavallo (9 novembre 1977) indirizzato alla Procura di Milano – ripresa anche da L’Espresso, settimanale italiano diretto in quell’epoca da Livio Zanetti: “con pochi milioni metto tutti a tacere”.

Roberto Calvi quando la crisi dell’Ambrosiano si fece acuta si rivolse alla Bank of Credit and Commerce International (BCCI) fondata (1972-1992) insieme, ad altre galassie sparse nel mondo e a società fittizie, dal pakistano sciita Agha Hasan Abedi con un indirizzo nel cuore della City di Londra e con sede nel Lussemburgo. Negli anni Settanta-Ottanta era in auge, tra i clienti della banca: Manuel Noriega, Saddam Hussein eccetera, ma anche il terrorista Abu Nidal.

Le banche che Abedi controllava accordavano crediti astronomici ai governi più diversi, africani, asiatici. In seguito si rivelerà anche ai “bailleurs” di fondi della cocaina, eroina, droghe chimiche, ai trafficanti d’armi, al traffico della prostituzione. Abedi controllava i cartelli del crimine organizzato e del terrorismo e una “filiera nera” composta dalla manovalanza, criminali di diritto comune pronti ad ogni bisogna e una di spionaggio. L’inchiesta condotta negli Stati Uniti dal procuratore generale della contea di New York, Robert Morgenthau – figlio del già citato Henry, negli anni Sessanta aveva lottato contro la mafia infiltrata nei sindacati – diede il colpo finale, già le sedi di Parigi, di Londra, Ginevra eccetera, erano state perquisite e chiuse. Oggi la storia di Abedi è nota. Il fallimento nel 1992 raggiunse i 12 miliardi dollari.

Carlo Rocchi e i colloqui con Michele Sindona

In un articolo di Massimo Pisa ne La Repubblica, edizione milanese (1º agosto 2022) “La storia di Rocchi: nella Cia per 50 anni tra trame e depistaggi” si legge:

Nelle carte entrarono tre colloqui riservatissimi tra il detenuto Sindona e l’agente Rocchi mandato dagli americani a rassicurare il banchiere sulla clemenza dei giudici italiani, tramite interessamento del presidente Reagan in persona e a ricordargli di tacere i segreti più indicibili.

Sindona in America era stato condannato a 99 anni, quindi l’interessamento di Ronald Reagan!?

Carlo Rocchi nella sentenza sulla strage di Bologna è menzionato più volte (pp. 27, 869, 883, 1373-1374) come “amico degli americani” e nell’ambito di un’inchiesta sullo spionaggio o interferenza degli Stati Uniti in Italia, condotta negli anni Novanta, dal giudice Guido Salvini e dal colonnello Giraudo (sentenza-ordinanza del 3 febbraio 1998).

Ora Rocchi, più che “fiduciario della Cia” apparteneva alla Drugs Enforcement Administration (Dea) e dipendeva dal Dipartimento federale della Giustizia americano, non era un collaboratore esterno ma un agente.

Ho avuto tre o quattro incontri con Carlo Rocchi, il primo, nel febbraio 1986. Quando mio marito giunse in Italia a seguito di estradizione nell’ambito del processo Sindona, fui avvicinata in aula da Rocchi. Voleva informazioni sulla voce che era corsa, ne parlarono anche i quotidiani (Liberation e La Stampa in una breve nota) su un accordo Francia e Italia in merito ad uno scambio Luigi CavalloSamuel Flatto-Sharon, ricevetti anche telefonate e un telegramma da Tel Aviv a conferma dell’informazione che affermava che la notizia proveniva da “fonte istituzionale”.

L’origine dell’informazione era la televisione israeliana. Ovviamente in un convegno a Parigi al Jolly Hotel nel gennaio 1986, presenti gli avvocati di mio marito, Francis Teitgen e Jean-Pierre Mignard e i giornalisti feci un deciso ‘break of information’ poiché la ritenevo grottesca. Non mi dilungo sulla vicenda che qui non interessa se non, in breve sulla persona di Flatto-Sharon incarcerato a San Vittore, promotore immobiliare, trafficante d’armi, cittadino francese di origine polacca, colpito, in Francia, da mandato di arresto per evasione fiscale (aveva trafugato circa 60 milioni di dollari), oltre truffe e traffico d’armi con il Libano, il nome appariva (vittima e colluso) a fianco di personaggi del milieu marsigliese, proprietari di casinò in Costa Azzurra dove negli anni Settanta-Ottanta agiva l’imprenditore Dominique Fratoni noto per i suoi legami con la mafia.

Il magistrato competente italiano concederà la libertà provvisoria a Flatto-Sharon, poi condannato a 10 anni in Francia che sparirà nel nulla, in barba alla richiesta francese, per riapparire nuovamente in Israele come deputato della destra israeliana. Rocchi aveva rapporti con i Servizi francesi nell’interesse della Drugs Enforcement Administration (Dea) e del Dipartimento di Giustizia americano contro le narco-economie, quindi Michele Sindona interessava sui metodi di riciclaggio dei “cartelli” e nei rapporti con le diverse banche. A metà degli anni Ottanta la Dea nell’ambito dei narcotici; il Department of States (DoS) nell’ambito dell’antiterrorismo e la Cia erano già stati allertati in merito alla Bank of Credit and Commerce International (Bcci) che mi fu confermato anche da un conoscente dell’ufficio investigativo del Ministero delle Finanze francese in rapporto alla sede di Parigi sita ai Champs Elysées.

Infatti il primo a parlarcene (a me e a mio marito) durante l’intervallo di un’udienza, fu Michele Sindona, nell’ambito dei rapporti della banca del pakistanese Abedi con Roberto Calvi. Sindona ci disse che avrebbe voluto scontare la pena negli Stati Uniti d’America, i contatti con Carlo Rocchi in Italia erano il seguito di incontri nel carcere americano con un altro agente federale.

Negli anni Ottanta, Rocchi seguiva la filiera di un trafficante di armi iraniano nell’ambito del traffico armi-droga dall’Iran al Libano. Con lo smantellamento della French Connection nel 1970 tramite un’azione coordinata tra autorità americane, francesi, canadesi e italiane, le filiere avevano ripiegato sul Libano dove si installarono, secondo un agente della Dea, 15 raffinerie.

Il Libano fu sempre uno dei più importanti coltivatori di hashish, ma ancor prima che si coltivasse il “papavero”, un centro del traffico di eroina fin dagli anni Trenta e Cinquanta quando un cristiano libanese forniva oppio e morfina base dell’Asia minore a Lucky Luciano. Il grande traffico di cocaina o morfina base dal Libano verso gli Stati Uniti passava tramite la mafia siciliana fino all’America Latina, come poterono costatare le dogane francesi.

L’America latina rifugio di criminali nazisti, la regione detta delle “tre frontiere” (Brasile, Argentina, Paraguay) fu considerata dagli esperti della lotta antiterrorista dagli anni Settanta la nuova base dell’islamismo radicale di destra. Installati nel Libano o in America latina le relazioni tra banchieri privati, alcuni politici, uomini d’affari e grandi criminali nella gestione delle mafie, furono rivelatrici dell’osmosi che regnava tra le strutture criminali e le strutture legali nelle attività economiche e finanziarie anche tramite le Ong islamiche con sede in Svizzera e paradisi fiscali e legate alla destra estremista islamista.

Scriveva il reporter svizzero Richard Labévière negli anni Novanta[45]

È un argomento fin troppo vasto, oggi, per lasciarlo ai soli criminologi. L’economia del crimine si è fusa con l’economia legale. Distinguere tra criminalità organizzata e mondo finanziario ci condanna a non capire nulla di nessuno dei due […]. La criminalità è diventata un ingranaggio indispensabile nella ruota delle società contemporanee.

Non entro in merito alle dichiarazioni del colonnello Giraudo (p. 266) su Carlo Rocchi, al di là delle infrazioni o reati che può avere commesso, nell’ambito delle interferenze americane, ma un’osservazione.

Alla pagina 869 si legge:

Del gruppo dei manipolatori americani di Rocchi, un ruolo fondamentale venne svolto da Charles Siragusa, noto agente dell’antinarcotici americana; avendo lavorato sia lui che il Rocchi per l’Intelligence militare, tale imprinting non era venuto mai meno, anche quando i due passarono alla Dea.

Charles Siragusa, nato nel 1914, fu un agente federale della narcotici dal 1939 al 1963. La Dea, che dipende dal Dipartimento di Giustizia, è nata nel 1973 per volere di Richard Nixon quando tutti i diversi servizi dall’ufficio stupefacenti alle dogane e agli uffici federali si fusero. Nel 1944, Siragusa collaborò all’inchiesta che vide Lucky Luciano condannato a una pena detentiva di 50 anni; tuttavia 18 mesi dopo fu deportato in Italia insieme ad altri mafiosi. Siragusa diresse l’ufficio del Bureau of Narcotics degli Stati Uniti a Roma, dal 1948 al 1960, il colonnello Giraudo non era ancora nato. Dal 1963 fino al suo pensionamento nel 1976 fu direttore esecutivo della Commissione investigativa legislativa dell’Illinois.

Quindi l’impriting dell’Intelligence militare?!

Il secondo incontro con Carlo Rocchi

Ebbi un secondo colloquio con Carlo Rocchi, nel suo ufficio di corso Europa, pochi giorni dopo il primo incontro quando mi avvertì, che “circolavano documenti” che si riferivano a mio marito, Luigi Cavallo, offerti al costo di 50 milioni. Inviai immediatamente una lettera alla Procura.

Il Sisde perquisì anche la sede di Panorama poiché probabilmente la notizia proveniva dall’interno del settimanale. Infatti, nei giorni che seguirono la sentenza di condanna di primo grado contro Michele Sindona da poco “suicidato” per avvelenamento al cianuro, “i documenti” apparvero il 1º aprile 1986 nella trasmissione di Enzo Biagi, presenti il fascista Giorgio Pisanò e il giornalista Romano Cantore protagonisti del “ritrovamento” della borsa di Roberto Calvi colma immotivatamente di bollettini dell’Agenzia A di Luigi Cavallo, tre lettere apocrife “a firma” Luigi Cavallo, una manifestamente falsa anche di Monsignor Pietro Palazzini, una dove Calvi riconosceva un debito nei confronti di Carboni eccetera. Inutile ricordare che testimoni eccellenti erano Flavio Carboni, accompagnatore a Londra di Roberto Calvi trovato “suicidato” nel cuore della City nel giugno 1982 e il suo braccio destro Emilio Pellicani[46].

La borsa era già stata offerta a Mario Tedeschi che immediatamente aveva informato il giudice Domenico Sica che seguì la trattativa e mise in atto l’intervento dei carabinieri, evidentemente ci fu chi avvertì l’ignoto interlocutore che non si presentò all’appuntamento.

Nel libro Alto tradimento Roberto Scardova sostiene che la borsa dell’ex presidente era stata ritrovata vuota!

Ho scritto al giudice Almerighi e rettificato il suo saggio sulla borsa di Calvi nel 2014, documento depositato anche alla commissione Moro, presidente, l’onorevole Giuseppe Fioroni. In un libro del 1986 di Giampaolo Pansa[47] si legge:

il martedi 1º aprile 1986. Il pesce glielo fa chi porta a “Spot” (Rai-Tv, Rete Uno) la borsa del defunto banchiere Calvi [ovviamente non trascrivo tutte le tre pagine] È un finto scoop. E lui lo sa. Sa che in quella borsa non c’è niente che valga la bravura e il prestigio di un Biagi. Sa che in quella borsa ci stanno soltanto gli avanzi lasciati dal “Mister X” che l’ha posseduta per quattro anni. Avanzi già visionati da Pisanò, dal furbo Flavio Carboni e da qualcun altro […] [Biagi sa], o dovrebbe sapere, che il posto giusto per depositare la borsa non è la ribalta di “Spot” ma il tavolo del magistrato. […] Che pena vederlo frugare in quella valigetta che puzza di morti impiccati, di ricatti, di truffe […].

Due telegrammi furono inviati: uno al dirigente della Rai Andrea Melodia citati anche nella mia replica nel libro di Philip Willan The Last Supper editoda Robinson publishing (aprile 2007) sulla vicenda Calvi che ha rettificato alcuni “passi” e ha diffuso le mie due lunghe lettere dove sono contenuti i testi dei due telegrammi, oggi in linea:

TELEGRAMMA – da Lorenza Cavallo – 3 aprile 1986 – Dott. ANDREA MELODIA – VIA TEULADA, 66 – 00195 ROMA

In riferimento ai contatti avuti con i nostri legali ai sensi della legge della stampa Le rivolgo formale richiesta di una copia in video cassetta della trasmissione SPOT del 1º aprile 1986 andata in onda su Rete 1. Nella trasmissione sono state presentate lettere apocrife attribuite a Luigi Cavallo e sono state rese dichiarazioni non veritiere.

È quindi mia intenzione e mio diritto di poter visionare la registrazione di tale trasmissione oltre meglio accertare gli atti e le dichiarazioni in essa contenute. La prego pertanto, nel tempo più breve possibile, di autorizzare la redazione della rubrica SPOT presso la sede RAI di Milano a rilasciarmi una copia della video cassetta relativa alla suddetta trasmissione. Lorenza Cavallo

In pari data, il 2 aprile 1986, mio marito dal Carcere di San Vittore inviava un telegramma

Luigi Cavallo al Dott. ENZO BIAGI – «SPOT» – RAI- C.so Sempione – 20154 – Milano

Non ho mai scritto lettere a Calvi. Già smentito nel 1982 di essere l’autore delle lettere apocrife provenienti dall’archivo di Carrasco della P2. Ho denunciato nel 1985 la vedova Calvi che ha testimoniato di essere in possesso degli originali di dette lettere. Fotocopie di dette lettere erano state inviate nel 1982 all’avvocato di Vittor con l’intenzione di coinvolgermi nell’assassinio di Calvi. Nel 1983/84 “ignoti” hanno cercato di vendere la borsa di Calvi al settimanale Il Borghese. Gli assassini di Alessandrini, Ambrosoli, Tronconi, Aricò, Calvi, Sindona sono organicamente collegati. La chiave del mistero di queste lettere apocrife è nelle mani di Gelli e mi sono incomprensibili i motivi che hanno indotto P.M. e Giudici Istruttori a stralciare Gelli dal processo per concorso in estorsione ai danni di Calvi celebrato I Sez. Corte d’Assise di Milano.
Richiedo a norma dell’art. Legge Stampa la lettura integrale del presente telegramma. — Luigi Cavallo

Enzo Biagi era un ottimo giornalista e non aveva certo bisogno di fare scoop, ma – a mio parere – in quell’occasione ci fu, ad ogni modo, un’operazione di rilievo in prima serata, di disinformazione della pubblica opinione e soprattutto di inquinamento della Giustizia manifestamente incentivata da apparati dello Stato in quell’intreccio di rapporti con la criminalità organizzata.

Il già menzionato Procuratore di New York, Robert Morgenthau affermava che il crimine organizzato è un nemico fragile senza la corruzione e la protezione politica.


[1] Ossia «Dicono tutti, più o meno, che la verità è ciò che siamo giustificati a credere o ad accettare”. Cf. Karl Popper, Conjectures and Refutations. The Growth of scientific Knowledge, London, Routledge and Kegan Paul, 1963, 412 p.

[2] Marc Bloch, Apologie pour l’histoire ou métier d’historien, Paris, Armand Colin, 1949, XVII-110 Cahiers des Annales n. 3. Traduzione italiana Apologia della storia o del mestiere di storico, Presentazione di Lucien Febvre Torino, Einaudi, 1950, 178 p. Capitolo IV, L’analisi storica. Scritto fra il 1940 e il 1943 pubblicato postumo.

[3] Piero Calamandrei, “Introduzione”, Rivista di diritto processuale civile, XVI Parte I, gennaio-marzo 1939, pp. 105-128.

[4] Angelo Ventrone, La strategia della paura. Eversione e stragismo mell’Italia del Novecento, Milano, Mondadori, 2019, 312 p.

[5] Federico Umberto d’Amato, Menu e dossier. Ricordi e divagazioni di un poliziotto gastronomo, Milano, Rizzoli, 1984, 183 p.

[6] Giuseppe De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, Editori Riuniti 1984, 313 p. Poi con il titolo I servizi segreti in Italia. Dal fascismo alla seconda repubblica, 1998. Nuova edizione aggiornata: dal fascismo all’intelligence del 21. secolo, Milano, Sperling & Kupfer, 2010, XIX-649 p.

[7] Giuseppe De Lutiis, Il lato oscuro del potere. Associazioni politiche e strutture paramilitari segrete dal 1946 a oggi, Roma, Editori Riuniti, 1996, XIV-203 p.

[8] Aldo Giannuli, Il Noto servizio, Giulio Andreotti e il caso Moro, Milano, Tropea, 2011; 445 p. Poi con il titolo il Noto servizio. Le spie di Giulio Andreotti, Roma, Castelvecchi, 2013, 423 p.

[9] Sitratta dell’introduzione del Segretario Generale Manlio Brosio a NATO Documentazione, Roma, Associazione Italiana per la Comunità Atlantica (AICA) con l’ausilio dell’AGI, luglio 1969, 320 p.

[10] Markus Wolf, Spionagechef im geheimen Krieg. Erinnerungen, München, Econ & List, 1998, p. 132.

[11] Günter Guillaume, Die Aussage: Wie es wirklich war,München, Universitas, 1990, 436 p.

[12] Colonnello Michel Manel, L’Europe face aux SS 20. Un projet de défense européenne, prefazione di Raymond Aron Paris, Istitutut des hautes études de Défense nationale, Verger-Levrault, Boréal Express, novembre 1983, 320 p.

[13] Roberto Scardova, L’oro di Gelli, Roma, Castelvecchi, 2020, 160 p.

[14] Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, Testamento di un anticomunista. Dalla Resistenza al golpe bianco, Milano, Mondadori, 2000, XII-177 p.

[15] V. sopra la nota 9,introduzione del Segretario Generale Manlio Brosio a NATO Documentazione, cit., p. 5.

[16] François Puaux, “Regards sur la politique étrangère de l’Italie”, Politique étrangère, XLVI (2), giugno 1981, pp. 307-322 (rivista dell’Istituto francese di Relazioni internazionali).

[17] Antonella Beccaria, Giorio Gazzotti, Gigi Marcucci, Claudio Nunziata, Roberto Scadova, Altro tradimento. La guerra segreta agli italiani da Piazza Fontana alla strage della stazione di Bologna, Prefazione e cura di Paolo Bolognesi, Roma, Castelvecchi, 2016, 286 p.

[18] Jacques Vernant, “Du ‘sommet’ de Moscou au dialogue franco-allemand”, Défense nationale, agosto-settembre, 1974; si veda anche D Mouzakis [pseudonimo di Jean-Claude Fouchet], “Etats-Unis: la détente en question”, Défense nationale, ottobre 1980, pp. 95-111.

[19] Richard Clutterbuck, Guerrillas and Terrorists, Athens (Ohio), Ohio University Press, 1977, 120 p.

[20] Lorenza Cavallo, “La conferenza di Yalta 75 anni fa, la leggenda e il caso Moro”, Avanti! (online), 11 febbraio 2020, https://www.avantionline.it/la-conferenza-di-yalta-75-anni-fa-la-leggenda-e-il-caso-moro/.

[21] Bino Olivi, Carter e l’Italia. La politica estera americana, l’Europa e i comunisti italiani. Presentazione di Antonio Gambino, Milano, Longanesi 1978, VIII-244 p.

[22] Due resoconti escono nell’organo ufficiale della Sed Neues Deutschland, il 4 e l’8 dicembre 1973. La visita di Berlinguer è citata in due articoli: “Konstruktives Dialog mit international Genossen”. Interview Mit Werner Felfe, Horizont, n. 25, 1977; Prof. Otto Reinhold, “Heisser politischer Sommer Italien”, Horizont, n. 29, 1977. I due articoli sono riprodotti nella rivista Deutschland-Archiv. Zeitschrift für das vereinigte Deutschland, 9, 1977.

[23] Italo De Feo, Tre anni con Togliatti, Milano, Mursia, 1971, 300 p.

[24] Edmondo Bruti Liberati, Magistratura e società nell’Italia repubblicana, Roma-Bari, Laterza, 2018, p.360

[25] Saverio Gentile,La legalità del male. L’offensiva mussoliniana contro gli ebrei nella prospettiva storico-giuridica(1938-1945), Torino, Giappichelli, 2013, XIV-614 p.

[26] Jean Lopez, Lasha Otkhmezuri, Les maréchaux de Staline, Paris, Perrin, 2023, 689 p.

[27] fonte Giraudo, p. 864.

[28] Adriano Viarengo, Cavour, Roma, Salerno Editrice, 2010, 564 p.

[29] L’America nel Vietnam. Il dibattito della Commissione d’inchiesta del Senato americano. A cura di Alberto Benzoni. Prefazione di Altiero Spinelli, Bologna, Il Mulino, 1966, 190 p.

[30] Si veda la ricostruzione su Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Gravel_v._United_States. Di interesse rilevante il quinto volume: The Senator Gravel Edition, The Pentagon Papers. Volume 5: Critical Essays: Edited By Noam Chomsky and Howard Zinn, Boston, Beacon Press, 1972, 341 p.

[31] Raoul Salan, Indochine rouge. Le message d’Hô chi Minh, Paris, Presse de la cité, 1975, 190 p.

[32] Fabrizio Calvi, Frédéric Laurent, Piazza Fontana. La verità su una strage, Milano, Mondadori, 1997, 340 p. [il testo si trova riprodotto alle pp. 82-83].

[33] Frédéric Laurent, L’Orchestre noir. Enquête sur les réseaux néo-fascistes, Paris, Nouveau Monde éditions, 2013, 415 p.

[34] Fabrizio Calvi, Camarade P. 38, Paris, Grasset & Fasquelle, 1982, 252 p.

[35] Italicus. L’anno delle quattro stragi. 1974, a cura di Paolo Bolognesi e Roberto Scordova. Prefazione di Claudio Nunziata, Roma, Editori Internazionali Riuniti, 2014, 427 p.

[36] V. Lorenza Pozzi Cavallo, Luigi Cavallo. Da Stella Rossa alla rivolta operaia di Berlino, Torino, Golem, 2022, 714p. V. anche Est&Ouest ( Mensuel de l’Association d’Ètudes Politique internationales  publié avec le concours de l’Institut d’Histoire sociale)  “Hommage a Georges Albertini”, maggio-giugno 1983 https://www.bagdadbahn.com/BEIPI-est-et-ouest/1983/1983_674.pdf

[37] Ossia «Origine dell’operazione Chaos … sulla scia della violenza razziale e dei disordini civili».

[38] Ossia «Evoluzione dell’operazione Chaos – Disordini interni nel 1968».

[39] National Governors’ Association (NGA) in accordo e stampato dalla “Defense civil Preparedness Agency”, Washington, dicembre 1978.

[40] Angus MacKenzie, Secrets. The Cia’s War at Home, Berkeley, University of California Press, 1999, 260 p.

[41] Nicola Tranfaglia, “La strategia della tensione e i due terrorismi”, Studi storici, XXXIX (4), ottobre-dicembre 1998, pp. 989-998.

[42] La traduzione è mia.

[43] Memoria Bellini, 9 febbraio 2022, p. 38,

[44] Lorenza Cavallo, “Le stragi in Italia e il presunto [Field] Manual 30-31B della U.S. Army”, Avanti! (online), 13 novembre 2019, https://www.avantionline.it/le-stragi-in-italia-e-il-presunto-manual-30-31b-della-u-s-army/ Si veda anche Thomas Rid, Active Measures. The Secret History of Disinformation and Political Warfare, New York, Farrar, Straus and Giroux, 2020, 528 p. Traduzione italiana: Misure attive. Storia segreta della disinformazione, Roma, Luiss University Press, 2022, 496 p.

[45] Lucien Labévière, Les dollars de la terreur. Les Etats-Unis et les islamistes, Paris, Grasset, 1999, 435 p.

[46] Lettera di Lorenza Cavallo (settembre 2015) a Mario Almerighi, autore del libro La borsa di Calvi. Ior, P2, mafia: le lettere e i segreti mai svelati del banchiere di Dio, Milano, Chiarelettere, 2015, 352 p.

[47] Carte false. Peccati e peccatori del giornalismo italiano, Milano, Rizzoli settembre 1986, nel capitoletto dal titolo “La borsa di Biagi”, p. 76.

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