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Democrazia Futura. La nuova guerra fra Israele e Hamas in un mondo senza tregua

Giampiero Gramaglia

Giampiero Gramaglia analizza i primi tre giorni di quella che definisce “La nuova guerra fra Israele e Hamas in un mondo senza tregua[1]” scoppiata “Mezzo secolo dopo la guerra dello Yom Kippur”. “[…] centinaia di morti – quasi 1500 nelle prime 72 ore -, migliaia di feriti, almeno 130 di ostaggi ci ricordano brutalmente che il conflitto tra israeliani e palestinesi in Medio Oriente, ora divenuto la guerra tra Israele e Hamas, non ha mai trovato pace e ha sempre continuato a covare sotto la cenere dell’indifferenza internazionale, nel mancato rispetto d’accordi e d’impegni, fino a questo sussulto di sangue e d’orrore, proprio quando la situazione appariva più tranquilla”.

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E’ di nuovo guerra. E’ ancora guerra. Ma non la solita guerra, quella di cui parliamo da oltre 18 mesi – ora ne parleremo un po’ di meno -, l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. E’ un’altra guerra, di cui parliamo da oltre settant’anni, che ogni tanto finisce sotto traccia e noi ci illudiamo che sia finita o, semplicemente, ci dimentichiamo che esista.

Poi, centinaia di morti – quasi 1500 nelle prime 72 ore -, migliaia di feriti, almeno 130 di ostaggi ci ricordano brutalmente che il conflitto tra israeliani e palestinesi in Medio Oriente, ora divenuto la guerra tra Israele e Hamas, non ha mai trovato pace e ha sempre continuato a covare sotto la cenere dell’indifferenza internazionale, nel mancato rispetto d’accordi e d’impegni, fino a questo sussulto di sangue e d’orrore, proprio quando la situazione appariva più tranquilla.

All’alba di sabato 7 ottobre, Hamas ha lanciato un attacco di sorpresa senza precedenti a Israele, infiltrando oltre mille miliziani in territorio israeliano, senza che l’intelligence israeliana, sempre sul chi vive, cogliesse i segnali di preparazione di un’azione di così vasta portata, che richiede coordinamento tattico e logistico.

Nello Del Gatto, corrispondente da Israele per diversi media, si chiede come sia stato possibile che tanti uomini “di Hamas e del Jihad islamico palestinese abbiano impunemente attraversato con propri mezzi le recinzioni che dividono Israele e la Striscia di Gaza”.

Israele non aveva più visto nulla di simile da quando, nel 1948, aveva combattuto la Guerra d’Indipendenza: né la Guerra dei Sei Giorni nel 1967, né la Guerra del Kippur nel 1973 – della quale cadeva l’anniversario – s’erano combattute sul territorio dello Stato ebraico.

Martedì 10 ottobre in mattinata, il bilancio dell’azione terroristica era di almeno 800 israeliani uccisi, fra cui 122 soldati – un dato ufficiale – e 260 giovani che partecipavano ad un rave festival vicino al confine con la Striscia -; migliaia di feriti; circa 130 militari – anche alcuni ufficiali – e civili – famiglie con bambini – catturati e destinati a essere scudi umani o merce di scambio. E sono tantissimi i dispersi.

Alcune fonti aggiungono al computo degli uccisi circa 1500 miliziani di Hamas che sarebbero stati “neutralizzati” in territorio israeliano, dove s’erano infiltrati con mezzi diversi, anche in parapendio. Video mostrano orrori e atrocità: 22 le località violate. Testimoni dell’incursione al rave festival riferiscono di avere solo sentito “spari, urla e gente che parlava in arabo”.

La risposta iraniana ha già fatto oltre 550 vittime e un migliaio di feriti. Lunedì 9 ottobre, l’esercito israeliano ha affermato di avere ripreso il controllo di tutte le località intorno alla Striscia di Gaza. Ma rastrellamenti proseguono: non si può, infatti, escludere che cellule di miliziani siano rimaste nascoste in territorio israeliano e attendano il momento per colpire. E sono oltre 300 mila i riservisti richiamati.

Difficili da comprendere gli obiettivi dell’attacco di Hamas, a parte l’uccidere quanti più israeliani possibile, essendo, però, consapevoli che molti più palestinesi ne usciranno ammazzati e che un’azione del genere non può portare nulla di positivo alla causa palestinese, a parte ottenere l’approvazione dell’Iran, nemico giurato dello Stato ebraico, e egli integralisti islamici.

“L’operazione – scrive Politico – appare un feroce azzardo di Hamas, da cui gli abitanti di Gaza non trarranno nulla di buono”.

Perplessità e timori condivisi da Hezbollah, che nel sud del Libano si limita ad azioni dimostrative, ma non affianca Hamas nell’offensiva, e dall’Anp di Abu Mazen che segue gli eventi dalla Cisgiordania senza uscire allo scoperto.

Se l’incendio si ridurrà a una fiammata o se diventerà un rogo, “tutto è ora appeso alla reazione d’Israele”, dice l’ambasciatore Giampiero Massolo, presidente dell’Ispi. Nathalie Tocci, direttrice dello IAI, osserva che “l’attacco di Hamas ci riporta alla realtà di un conflitto che va affrontato” e non può essere accantonato.

Stefano Silvestri, direttore editoriale di AffarInternazionali.it, ipotizza un nesso tra l’attacco di Hamas e il processo di normalizzazione delle relazioni fra Arabia Saudita e Israele, caldeggiato dagli Stati Uniti:

“E’ possibile che Hamas miri a formare un asse anti-israeliano guidato dall’Iran, ma appoggiato anche da maggiori potenze come Russia e Cina”.

Guerra Israele-Hamas: l’11 Settembre di Netanyahu e le reazioni internazionali

Sabato 7 ottobre 2023, Israele ha vissuto il suo 11 Settembre e l’attacco subito ha acceso i riflettori su inefficienze del Governo Netanyahu, forse distratto dalle polemiche interne e illuso dalla calma apparente. Benjamin Netanyahu ha reagito: ha decretato lo stato di guerra con Hamas, ha equiparato Hamas ai terroristi dell’Isis e ha affermato “Cambieremo volto al Medio Oriente”.


Il ministro della Difesa israeliano Yoac Gallant ha ordinato alle sue forze di mettere la Striscia “sotto assedio totale”: è una fetta di terra allungata sulla costa del Mediterraneo tra Egitto e Israele, un ‘fazzoletto’ di 360 kmq dove vivono 1,5 milioni di palestinesi: la densità di oltre 4 mila abitanti per kmq è fra le più alte al Mondo.

“A Gaza – ordina Gallant -, non ci deve essere né luce né cibo, né acqua, né carburante… Noi combattiamo dei criminali e ci comporteremo di conseguenza”.

L’ordine è stato impartito mentre i combattimenti ancora continuavano lungo il confine tra Israele e Gaza e mentre i razzi di Hamas continuavano a cadere sul nord e il centro di Israele – oltre 2.200 e c’è chi dice 5 mila quelli sparati -. C’è la volontà di distruggere “le capacità militari e di gestione” d’Hamas, che, dal canto suo, si dice pronta a negoziare, avendo raggiunto – dice – i suoi obiettivi.

Israele ha pure intensificato le incursioni su Gaza e dislocato alla frontiera colonne di carri armati, prodromo di una possibile, ma rischiosissima, azione di terra nella Striscia: i costi umani sarebbero altissimi e la presenza degli ostaggi è un deterrente. Fra i prigionieri, che Hamas minaccia d’uccidere – uno a ogni bombardamento israeliano -, vi sono cittadini statunitensi, francesi, tedeschi, forse anche due italiani.

Da tutto il Mondo, solidarietà è stata espressa a Israele, ma nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, riunitosi d’urgenza domenica sera, non c’è stata unanimità nel condannare l’attacco di Hamas. Il presidente statunitense Joe Biden fa una riunione virtuale, lunedì sera, con i leader di Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia.

I ministri degli Esteri dei 27 dell’Unione europea si riuniti d’urgenza martedì 10 ottobre mentre scriviamo, hanno già deciso il blocco degli aiuti non umanitari ai palestinesi: quella che una volta chiamavamo ‘questione palestinese’ è divisiva nell’Unione.

La Cina è preoccupata per l’escalation della violenza e condanna l’uccisione di bambini da entrambe le parti; la Russia afferma d’essere sorpresa da quanto sta avvenendo – come dire “Noi non c’entriamo” -.

La Lega araba si riunisce, mercoledì 11 ottobre, al Cairo: la portata dell’azione terroristica contro i civili e della presa di ostaggi preoccupa molti Paesi impegnati in questa fase distensiva delle relazioni mediorientali.

Il presidente Biden assicura al premier Netanyahu che aiuti e armi sono in arrivo dagli Stati Uniti, ma Washington s’affanna anche a cercare di sventare un ampliamento del conflitto. Il Wall Street Journal denuncia il ruolo dell’Iran nel preparare e foraggiare i miliziani di Hamas, consentendo loro di geo-localizzare gli obiettivi da colpire in Israele, e ricostruisce l’incontro che sarebbe avvenuto lunedì 2 ottobre a Beirut tra emissari iraniani e membri di Hamas; Teheran nega; e la Casa Bianca afferma di non avere prove in proposito.

In questo quadro di guerra instabile e imprevedibile, l’analista Eleonora Ardemagni vede a rischio “la tenuta delle relazioni diplomatiche tra Arabia saudita e Iran, ristabilite a marzo”, oltre che il riavvicinamento tra Arabia saudita e Israele.

Negli Stati Uniti e nel Mondo, vi sono state manifestazioni di vicinanza a Israele. Ma il conflitto ha pure rivitalizzato il sostegno alla causa palestinese, non solo nel Mondo islamico, ma pure da New York a Londra.

In passato, dagli Anni Ottanta in poi, Israele ha già condotto a più riprese campagne militari a Gaza e in Libano senza dichiarazioni di guerra. La presenza di ostaggi complica la situazione: Israele ha una tradizione di negoziati molto laboriosi per recuperare gli ostaggi vivi, in genere scambiandoli con prigionieri palestinesi, ma le dimensioni del problema questa volta non ha precedenti.

Dopo l’attacco di Hamas e la dichiarazione di guerra di Israele, i mercati dell’energia sono in fibrillazione, ma i prezzi del petrolio non si sono per il momento impennati.

Ma l’impatto economico di questa guerra è tutto da valutare.


[1] Scritto per The Watcher Post, 10 ottobre 2023. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2023/10/10/guerra-israele-hamas/

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