In attesa di riprendere le anticipazioni su Key4biz degli articoli del prossimo fascicolo di democrazia futura, pubblichiamo in anteprima un pezzo del direttore editoriale sul tentativo di Vladimir Putin non solo di occupare militarmente una parte dell’Ucraina ma di porre la democrazia occidentale sotto scacco.
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Non è dato sapere dove si fermeranno le truppe russe. Se si accontenteranno ad occupare le repubbliche separatiste o l’intero Donbass, o se “l’operazione militare speciale per la demilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina” come l’ha definita nella notte Putin – porteranno all’occupazione della capitale Kiev o peggio ancora anche di Leopoli con io sostegno fattivo della Bielorussia. Tutto dipenderà probabilmente anche in questo caso da come il Cremlino e il suo leader valuteranno le mosse di reazione non solo della malcapitata Ucraina ma da parte dell’intero Occidente a cominciare all’Unione europea e dai suoi Paesi membri, oltre naturalmente alla reazione della Nato che potrebbe peraltro comportare il rischio di allargare potenzialmente l’area del conflitto ad altre aree a cominciare dai Paesi Baltici e in particolare la Lituania stretta a Est fra la Bielorussia e a sud dall’enclave russa di Kaliningrad. Dalla diplomazia il grande gioco di Putin ha contemplato alla fine anche l’uso delle armi non solo evidentemente per esercitazioni. Il peggiore scenario possibile non è da escludere e la decisione di Putin si basa probabilmente sulla valutazione della debolezza dell’avversario, ovvero delle divisioni dell’Occidente, e che l’occasione è davvero propizia per riaffermare l’influenza della Russia dopo la riduzione della sua sfera di influenza in seguito alla dissoluzione dell’Unione Sovietica.
Dall’inizio di questo nuovo secolo e millennio stiamo assistendo alla lenta ricomposizione di un impero saltato in aria in seguito alla caduta del muro di Berlino nel novembre 1989 e al successivo crollo dell’Unione sovietica. In poco meno di un quarto di secolo, dopo i tentativi di riforma gorbacioviani, la proclamazione della Repubblica Russa e falliti i tentativi da parte di rappresentanti del Parlamento di impedire le privatizzazioni e liberalizzazioni volute da Boris Eltsin in un quadro segnato da un lato dall’approvazione di una nuova Costituzione con un sistema politico fortemente presidenziale, dall’altro dall’aggravamento dei focolai di guerra e dalla crescita degli episodi di corruzione, con l’arrivo al potere di Vladimir Putin dapprima come Primo ministro nell’agosto 1999 poi come Presidente della Federazione Russa per due mandati dal 2000 al 2008, poi di nuovo come primo ministro dal 2008 al 2012 infine nuovamente come Presidente della Federazione russa per un terzo mandato dal 2012 al 2018 e tuttora in carica nell’ambito del suo quarto mandato rieletto sino al 2024, possiamo dire che con Putin la Russia ha subito un graduale processo di arretramento democratico.
Ma non solo. Quanto avvenuto – dopo l’annessione della Crimea alla Repubblica russa – nelle due repubbliche separatiste ucraine nella regione orientale del Donbass dal 2014 in poi sino al loro riconoscimento di questi giorni e al conseguente intervento di queste ore da parte dell’esercito russo, segna il coronamento di una lunga partita nello scacchiere diplomatico internazionale nei confronti dell’Occidente quanto lenta azione di logoramento praticato sotto la guida dello stesso Putin e del suo ministro degli esteri Sergej Viktorovic Lavrov sia nei confronti degli Stati Uniti d’America sia nei confronti del Regno Unito e dell’Unione Europea e all’interno della stessa Unione europea per accentuarne le divisioni intestine. Contemporaneamente l‘offensiva del Cremlino si manifestava attraverso la ricerca spregiudicata di rafforzamento delle intese in diverse aree regionali con i nemici dell’Occidente a cominciare dalla Siria ma anche con Paesi come la Turchia e con il suo Presidente Recep Erdogan. Poco importa che il leader turco voglia cancellare con una spugna la rivoluzione laica di Ataturk e che aspiri un secolo dopo la sua dissoluzione, ad una sorta di ricostruzione dell’Impero ottomano che sembra anch’esso come quello russo voler risorgere sotto mentite spoglie.
Vladimir Putin, combinando le sue doti di ex agente segreto del KGB, primo ministro e presidente della Repubblica in meno di un quarto di secolo ha dunque trasformato lentamente ma inesorabilmente in quest’abile partita diplomatica ma non solo la Russia, da democrazia incipiente seppur fragile nell’era post sovietica, dapprima in una democratura, poi in un nuovo impero russo che aspira a tornare ad esercitare la propria area di influenza nello scacchiere internazionale combinando caratteristiche di quello che fu il regime autarchico quanto dittatoriale precedente alla Rivoluzione bolscevica – che potemmo definire oggi come “autocratura zarista” – con alcuni elementi peculiari della cosiddetta stratocrazia tardo sovietica, termine che voleva indicare non solo il complesso militare industriale degli anni post-staliniani e in particolare di quelli brezneviani ma anche il prevalere assoluto del potere esercitato dall’esercito sovietico e dalle lobby militare e del KGB all’interno del Partito Comunista dell’Unione Sovietica al potere.
Mentre crescevano nel mercato globale da un lato le sfere di influenze del Pacifico e in particolare la Cina e, dall’altro, nuove entità forse più importanti di quelle statuali come quelle rappresentate dalle grandi piattaforme dominanti nei nuovi mercati tecnologici caratterizzati dal controllo da parte di queste piattaforme dei cosiddetti big data, anche la Russia putiniana attraverso nuove e sempre più sofisticate forme di propaganda con un mix di sheetstorm e fake news, nonché atti quali la concessione dell’asilo all’informatico statunitense Edward Snowden (2013), che aveva fatto trapelare informazioni classificate dalla NSA, tra le quali materiale segreto per programmi di sorveglianza del Web dell’intelligence USA e britannica, poneva definitivamente fine nel corso degli anni Dieci alle riforme democratiche e di apertura volute venticinque anni prima dall’ultimo segretario del PCUS Michail Gorbaciov, misure che, dopo la caduta del muro di Berlino e al momento della dissoluzione dell’Unione Sovietica sembravano presagire non solo la fine definitiva della guerra fredda e della spartizione del Vecchio Continente decisa a Yalta, ma anche il ribaltamento delle vecchie alleanze: se non addirittura l’ingresso diretto nella Nato, perlomeno un forte avvicinamento della Russia con l’Unione europea, ovvero con Paesi con i quali Mosca aveva combattuto una lunga guerra ideologica economica psicologica e militare costringendo appunto i paesi d’Europa orientale sotto la sua sfera di influenza ad esercitare una sovranità limitata e circoscritta sotto il controllo di un impero sovietico dominato dal “Grande fratello” russo.
L’obiettivo degli sforzi compiuti negli ultimi otto anni da Putin è di ritrovare questo status quo ante che taluni annunciando troppo anticipatamente la “fine della storia” avevano creduto che fosse definitivamente alle nostre spalle. La Russia neozarista di Putin torna prepotentemente a far paura non solo ai propri vicini a cominciare dall’Ucraina che conosce un’occupazione che potrebbe interessare forse tutto il suo territorio al fine di sbarrarle le porte per accedere all’Unione europea.
L’attacco di stanotte non può che preoccupare anche paesi come la Germania, l’Italia e la Francia che sino all’ultimo hanno tentato di scongiurare la guerra calda e di salvare il salvabile per via diplomatica e che – nonostante le dichiarazioni di fermezza e di condanna dell’intervento – temono gli effetti che le ritorsioni da loro annunciate contro la Russia potrannio esercitare sul proprio approvvigionamento energetico e non solo sul terreno dei diritti civili e delle libertà fondamentali, della libera circolazione delle idee, dell’eguaglianza sovrana e del rispetto dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli e della tutela dei principi di sovranità inviolabilità delle frontiere integrità territoriali.
Anziché sul terreno delle guerre stellari la nuova guerra calda vede mossa dopo mossa Putin da grande giocatore dostoeskiano puntare a conquistare territori e sfere di influenza, le cosiddette casematte una dopo l’altra.
Dalla glasnost e dalla perestroika di Michail Gorbaciov che sembravano raccogliere positivamente le sfide poste nel 1975 dalla firma dei Trattati di Helsinki, l’Europa di questo avvio di Millennio sembra tornata indietro all’epoca delle autocrazie e dei grandi imperi, mentre la sfera pubblica e l’informazione libera considerate un patrimonio irrinunciabile per i popoli europei sembrano condannate a subire anch’esse i diktat imposti dal nuovo autocrate dai suoi alleati miranti a costruire un lungo “media evo” nella società delle piattaforme e della datificazione, in cui “intelligenza” bellica, patriottismo, notizie farlocche e propaganda, sembrano tornate ad incidere se non a governare il destino del nostro pianeta. Solo un’Europa coesa con una propria difesa comune, una politica estera coerente, capace di rispondere unita, passo dopo passo alle ponderate provocazioni di questo grande giocatore di scacchi, evitando di cadere nelle sue premeditate provocazioni e di cedere alle altrettanto provocatorie spinte antirusse presenti al proprio interno e fomentate dall’estrema destra, rispettando e tutelando al contrario le minoranze russe e russofone all’interno dell’Ucraina come in altri Paesi, solo quest’Europa riuscirà a fermare i disegni egemonici del nuovo autocrate costringendo Putin a più miti consigli. Per riaprire un altro cantiere sulla scia di Helsinki e favorire un’Europa unita e coesa dall’Atlantico agli Urali. Anche in questo momento difficile il pessimismo della ragione non deve impedire di costruire un futuro aperto e democratico con l’ottimismo della volontà.