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Democrazia Futura. La Francia “dimenticata” e il successo delle ali estreme in parlamento

Alberto Toscano

Democrazia futura torna sulle recenti elezioni politiche francesi e sul rimpasto del Governo Borne di inizio luglio con un’analisi di Alberto Toscano su “La Francia “dimenticata” e il successo delle ali estreme in parlamento” esaminando – come recita l’occhiello – “vecchie e nuove fratture sociali nell’Esagono da Mitterrand a Macron”.

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La denuncia di Jacques Chirac della “frattura sociale” nel 1995 dopo i due settennati di Francois Mitterrand alla presidenza della repubblica

L’idea della « frattura sociale » è esplosa in Francia, come spauracchio nazionale, nel febbraio del 1995, all’inizio della campagna elettorale in vista delle « presidenziali » di aprile-maggio di quell’anno. A sfidarsi nella corsa all’Eliseo, la prima dopo il doppio mandato di François Mitterrand, c’erano tra gli altri il socialista Lionel Jospin e il neogollista Jacques Chirac (che già aveva partecipato, senza successo, alle «presidenziali» del 1981 e del 1988). Il problema di Chirac era darsi una nuova immagine, più moderna e dinamica. Eccolo praticare alla  polverosa destra francese un’iniezione di sensibilità sociale con la denuncia della  « frattura sociale » come sintomo del «declino» nazionale.

Nel suo discorso elettorale del 17 febbraio 1995 disse :

« La France fut longtemps considérée comme un modèle de mobilité sociale […]. La sécurité économique et la certitude du lendemain sont désormais des privilèges. La jeunesse française exprime son désarroi. Une fracture sociale se creuse dont l’ensemble de la nation supporte la charge »[1].

Poche parole dall’aria anticonformista – a proposito appunto della «frattura sociale» – bastarono a mettere in difficoltà il rivale di centrodestra di Chirac : Edouard Balladur, primo ministro uscente del governo di coabitazione al potere dal 1993. Qualificatosi per il secondo turno, Chirac sconfisse il socialista Lionel Jospin.

Il problema delle promesse è che poi bisogna cercare di mantenerle.

La sconfitta di Chirac nel 1997 alle legislative solo 2 anni dopo il suo insediamento all’Eliseo

Andato al potere, Chirac è entrato a sua volta nel mirino delle critiche e nel 1997 ha perso le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea nazionale, le « legislative », da lui stesso convocate anticipatamente. Come dire che i discorsi contro il «declino» e la «frattura sociale» funzionano meglio quando si è all’opposizione. Rieletto nel 2002, dopo cinque anni di coabitazione col governo Jospin, Chirac ha tentato di rilanciare i discorsi sulla lotta alla frattura tra una Francia in pieno sviluppo e un’altra, soprattutto quella di una parte delle regioni rurali, sempre più amareggiata dall’idea del proprio isolamento.

Dalla frattura sociale e frattura territoriale/desertificazione alla critica della globalizzazione e dell’integrazione europea espressa in occasione del referendum del 2005 sul Trattato costituzionale europeo

L’espressione «desertificazione» si è fatta largo nel linguaggio politico nazionale proprio per indicare il fenomeno, sempre più preoccupante, dell’abbandono di una parte del territorio in cui agricoltura e allevamento non erano ormai competitivi.

In occasione del referendum del maggio 2005, a proposito della ratifica del Trattato costituzionale europeo, la causa del «sì», sostenuta dal presidente della Repubblica, è entrata nel mirino della nuova contestazione alla «frattura sociale» e alla «frattura territoriale». I fautori del «no» hanno indicato nella globalizzazione e nell’integrazione europea due elementi fondamentali di divisione del Paese tra la parte più dinamica (capace di profittare delle tendenze mondializzatrici) e quella che «cammina più adagio», col rischio di fermarsi. La campagna referendaria del 2005 ha visto un confine tra i partiti «pragmatici» (le formazioni europeiste di centrodestra e centrosinistra) e i presunti difensori della «Francia che va indietro», identificata nelle campagne «in via di desertificazione» e nelle periferie urbane degradate, con una forte presenza di popolazione immigrata.

Considerandosi come «vittima della mondializzazione», la Francia «in via di emarginazione» ha preso in ostaggio la Costituzione europea, scagliando il proprio «no» contro il progetto distillato in anni di lavoro dalla «Commissione Giscard». Quel «no» euroscettico, che ha segnato nel 2005 il tramonto della Costituzione europea, è stato sollecitato a gran voce dall’area politica di estrema destra e di estrema sinistra, poi rafforzatasi fino a occupare un ruolo di primo piano nell’Assemblea nazionale eletta in questo giugno 2022.

Le denunce della “frattura sociale”, della “frattura territoriale” e del “declino nazionale” hanno favorito il successo degli euroscettici alle elezioni del giugno 2022

Gli eredi e i beneficiari di quel rifiuto alla Costituzione europea sono i due partiti usciti a testa alta dallo scrutinio delle ultime «legislative»: il Rassemblement national (RN) di Marine Le Pen e La France insoumise (LFI) di Jean-Luc Mélenchon. I commenti al voto di giugno 2022 hanno visto il rilancio delle analisi secondo cui « la Francia è un Paese diviso ». La cosa è verissima, ma non certo nuova. La novità sta nel fatto che mai come oggi, nella storia della Quinta Repubblica, le estreme sono riuscite ad approfittare in questo modo e con questa carica polemica nei confronti dell’Europa dei discorsi sulla « frattura sociale » sulla « frattura territoriale » e sul « declino nazionale ».

Il divario fra aree urbane dinamiche e “cinture” periferiche considerate “banlieues sensibili” dalla “rivolta delle banlieues” del 2005/2006 alla “frattura territoriale” dell’era di Macron

A ciò si aggiunge l’aggravarsi di un’altra frattura, costituita dal divario tra le aree urbane dinamiche e i comuni di alcune « cinture » periferiche, considerate come le «banlieues sensibili».

La polveriera di alcune periferie urbane è esplosa già molto tempo fa.

Alla fine del 2005 e all’inizio del 2006, dunque all’indomani del successo del «no» al referendum sulla Costituzione europea, la cosiddetta «rivolta delle banlieues», ha sconvolto le aree urbane in cui più evidente era (ed è) la crisi sociale, complicata da alcuni temi legati all’immigrazione (compreso quello della radicalizzazione islamica).

Malgrado gli sforzi compiuti da tutti i governi fin dai tempi di François Mitterrand, la situazione di una parte delle banlieues non ha smesso di complicarsi.

Il caso emblematico di Sarcelles. Dalla coabitazione all’odio fra la vecchia comunità ebraica e le nuove comunità musulmane: Les uns contre les autres

Un esempio recente ci viene da un libro di grande interesse, che analizza un comune importante della «cintura parigina» : Sarcelles, città di 60 mila abitanti con sindaco socialista e con la contemporanea presenza di una vecchia comunità ebraica e di una più recente comunità musulmana. La giornalista Noémie Halioua, lei stessa originaria di Sarcelles, ha pubblicato il libro Les uns contre les autres[2] in cui analizza le dinamiche che hanno portato alla fine di una coabitazione corretta e talvolta persino esemplare tra le due comunità. Famiglie ebree e islamiche, che vivevano in altri tempi nelle stesse località maghrebine, si sono trovate a vivere le une accanto alle altre a Sarcelles (città di cui Dominique Strauss-Kahn è stato sindaco socialista, prima di diventare nel 1997 ministro dell’Economia e delle Finanze nel governo Jospin).

Oggi quella vecchia collaborazione è acqua passata.

Nel 2018, a Sarcelles, un ragazzino ebreo di otto anni è aggredito da due adolescenti e Le Figaro manda la sua giornalista Noémie Halioua a indagare sulla vicenda. Per lei è un tuffo nel passato, con la scoperta che il clima si è deteriorato nel giro di una manciata d’anni perché ormai «la vita quotidiana procede al ritmo dell’insicurezza». Persino del terrore. Oggi la popolazione di Sarcelles ha le proprie radici in decine e decine di Paesi dei cinque continenti. Per recensirne le origini ci vuole il mappamondo. Ma la vera differenza col passato non è quella. La differenza sta nell’insicurezza, nella violenza, nella voglia di odiare i figli di una famiglia con cui ai tuoi genitori poteva forse capitare di parlare amabilmente, o almeno di salutarsi cordialmente, in una sera di mezza estate, portando le sedie su marciapiedi.

Le polemiche sul tema della “frattura territoriale” in occasione del rimpasto di questi ultimi giorni nel governo macroniano della premier Elisabeth Borne sulle scelte per i ministeri della Sanità e dell’Educazione nazionale

Il riflesso della «frattura territoriale» rimbalza oggi anche sullo sfondo della polemica sul nuovo governo francese : il  secondo Giverno Borne «Borne-2», guidato dalla prima ministra macronista (ex socialista) Elisabeth Borne e varato nel luglio 2022 all’indomani delle «legislative».

Un punto particolarmente sensibile è stato la scelta del ministro della Sanità e di quello dell’Educazione nazionale, in un contesto in cui proprio le tematiche relative alla salute e all’istruzione sono indicatori fondamentali a proposito delle nuove fratture sociali. Nei due casi il presidente Macron e la prima ministra Borne hanno scommesso su persone «targate» a sinistra.

Al posto dell’effimera ministra Brigitte Bourguignon, che non ha potuto essere confermata essendo nel frattempo stata sconfitta alle «legislative», è stato nominato François Braun, noto per la sua attività di medico “urgentista”, ossia nel pronto soccorso, e anche per le sue battaglie in favore di un servizio sanitario più giusto, più equilibrato e più efficace.

Sulla poltrona dell’Educazione è stato confermato il ministro Pap Ndiaye, che già faceva parte del governo precedente «Borne-1» e che è noto (e talvolta contestato) per le sue posizioni progressiste, sensibili ai discorsi della «sinistra woke», ovvero quella politicamente corretta e guardiana dell’ortodossia, sempre all’erta nei confronti di presunte ingiustizie sociali o razziali.

La sfida del riequilibrio territoriale primo banco di prova del secondo mandato di Macron. La lotta contro la desertificazione sanitaria

La sfida del riequilibrio territoriale è dunque nelle mani di persone che hanno sempre denunciato i rischi connessi con questo fenomeno e con tutte le forme di squilibrio sociale.

Nei dibattiti politici in occasione del cambiamento di governo, dal Borne-1 al Borne-2, i commentatori francesi hanno insistito in luglio sul fatto che la situazione sul terreno della salute, ulteriormente complicata dalle vicende legate alla pandemia e al Covid-19, è il fondamentale rivelatore dell’esistenza di un Paese a due velocità, visto che nelle campagne è in atto da anni un fenomeno di «desertificazione sanitaria». Chiudono ospedali, gli ambulatori e anche le maternità. Per ottenere una visita specialistica si entra in liste d’attesa per essere ricevuti mesi dopo la richiesta.

«Che Paese è quello in cui in certe zone si è trattati correttamente e in altre occorre attendere sei mesi per essere ricevuti da un cardiologo?»,

è la domanda che fa capolino sulle onde dei dibattiti televisivi. Nella testa dei francesi che si considerano «di serie B» si fa largo la voglia di rivoltarsi, o almeno di protestare. Qualche ente pubblico fa del suo meglio per risolvere, con un po’ di fantasia, il problema della mancanza di personale sanitario. In Normandia, nel Cotentin, gli ospedali pubblici di Cherbourg si sono inventati la campagna «Il paradiso del Cotentin» per convincere i medici a trasferirsi in questa terra che bella lo è davvero.

L’aumento del costo dei trasporti e in particolare dell’automobile nei piccoli comuni nelle aree rurali e la rivolta dei “gilets gialli”. Alta velocità ferroviaria a discapito del traffico locale

In realtà sono tutti i segni e i simboli della presenza dello Stato a rischiare di stemperarsi e talvolta a scomparire in una parte del territorio nazionale: dal presidio sanitario all’ufficio postale, dalla gendarmeria agli istituti scolastici, dalla maternità agli uffici municipali. Il numero dei comuni francesi è elevatissimo (36 mila) e in alcune aree rurali, che si sentono a giusto titolo abbandonate, la popolazione è ridotta a poche decine di persone. In queste zone, il ricorso all’automobile è assolutamente fondamentale ed è proprio lì che è covata alla fine del 2017 – in un periodo di forte preoccupazione sul fronte dei prezzi dei carburanti – la rivolta dei « gilets gialli », poi estesasi alle aree urbane.

Il simbolo di quella rivolta (il blocco del traffico nelle «rotatorie» tra le strade di campagna) era chiaramente legato all’iniziale identità di quel movimento, in cui si è espressa la collera delle popolazioni rurali, convinte d’essere sempre più «emarginate» dal processo di sviluppo nazionale. 

Un altro aspetto fondamentale della «frattura territoriale» è appunto quello dei trasporti. Secondo la percezione di gran parte dell’opinione pubblica, lo sviluppo delle linee ferroviarie ad alta velocità (il TGV è in funzione in Francia dal 1981, quando venne inaugurata la prima linea tra Parigi e Lione) è stato largamente ed esageratamente privilegiato rispetto alle esigenze de trasporto regionale e del trasporto nelle aree metropolitane.

Molte zone rurali (e non solo rurali) hanno la sensazione che lo sviluppo della rete ad alta velocità le abbia in realtà emarginate dalla dinamica dell’economia nazionale. Pensano che – stando «ferme» – siano in realtà andate indietro rispetto alle aree di maggiore sviluppo. Di qui il radicarsi di una sensazione di abbandono, che è in alcuni casi giustificata e in altri molto meno.

Il risultato delle elezioni «legislative» di questo giugno 2022 è direttamente intrecciato con gli squilibri territoriali nei singoli collegi. Alcune zone che si sentono abbandonate o discriminate (come nel caso della vecchia area industriale-mineraria della Francia nord-occidentale) hanno portato all’Assemblea nazionale numerosi deputati di estrema destra (compresa Marine Le Pen). In alcune banlieues disagiate sono stati eletti molti deputati della «France insoumise» di Jean-Luc Mélenchon. La «frattura» c’è, nessuno può ignorala essendo davvero patente: anche sul piano politico se ne vedono le conseguenze.


[1]La Francia è stata a lungo considerata un modello di mobilità sociale […]. La sicurezza economica e la certezza del domani sono ormai privilegi. I giovani francesi esprimono il loro sgomento. Si sta allargando un divario sociale, di cui l’intera nazione sopporta il peso”.

[2] Noémie Halioua, Les uns contre les autres. Sarcelles, du vivre-ensemble au vivre-séparé,  Paris, Éditions du Cerf, 2022, 200 p.

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