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Democrazia Futura. La conversazione e l’arte dell’ascolto nel tempo della disattenzione

Raffaele Vincenti illustra “Le ragioni per la quali la radio, data per moribonda, continua a creare nuove possibilità di ascolti” come recita l’occhiello recensendo nella rubrica Quarta di copertina il volume di Giorgio Zanchini La Radio nella Rete di cui riprende come titolo del proprio contributo il sottotitolo del saggio del noto conduttore di RadioAnch’io: La conversazione e l’arte dell’ascolto nel tempo della disattenzione, “due temi – chiarisce subito Vincenti – che l’autore sviluppa in tutto il libro: la “disabitudine” dell’ascoltatore alle trasmissioni d’approfondimento, ma anche quella del conduttore che, durante la diretta, deve gestire i vari social media che sono ormai supporti abituali e indispensabili per ogni programma radiofonico”. Zanchini – prosegue Vincenti – “che ha vissuto e vive il passaggio (ancora incompiuto) dall’analogico al digitale, ci trascina, attraverso le pagine del testo, nelle trasmissioni che hanno fatto la storia della radio italiana con ampi passaggi in alcune esperienze internazionali (soprattutto anglosassoni). Il tutto senza rimpianti ma con la consapevolezza che l’ascolto radiofonico è cambiato ma è cambiato anche il mezzo che si è trasformato e si è adattato alle mutazioni storiche”. Segue un confronto fra l’esperienza della diretta per il conduttore radiofonico ai tempi di Radiodue3131 e quelle attuali dello stesso Zanchini. All’epoca la novità erano le “centinaia di telefonate” quotidiane. “Oggi, le “schede” non ci sono più ma arrivano sollecitazioni, critiche, suggerimenti, richieste di partecipazione, appelli non più solamente sul numero di telefono della redazione ma anche tramite sms, email, Facebook, WhatsApp (scritti e vocali), Instagram, Twitter, Telegram”. Conseguenza di tutto ciò – concorda Vincenti con l’autore – diventa la crucialità del “fare domande”. “Un privilegio e una croce di chi conduce – ricorda Zanchini – è che è lui a porre le domande. E’ lui a intervistare. Deve stamparsi in testa che è lui il mediatore, il rappresentante degli ascoltatori, deve pensare che assieme a lui e agli interlocutori c’è qualcun altro che ascolta, e chiedersi che cosa vorrebbe sentire, che cosa vorrebbe che venisse chiesto. Un buon intervistatore deve imparare a essere umile, appunto al servizio di chi ascolta”.  Per Vincenti si tratta non solo di un libro di riflessioni, quanto, invece, di “un testo completo di storia della Radio, una ricca e indispensabile guida a quanti intendono accostarsi alla produzione radiofonica”.

Il ritmo è tutto, alla radio è un elemento decisivo. Ma cos’è il ritmo? Il ritmo non è velocità dell’eloquio – errore nel quale capita spesso di incappare, ma dinamica dell’eloquio, gioco di toni, poggiature. Nel ritmo c’è un po’ di spettacolarità. Si deve essere sempre consapevoli che c’è un pubblico, quel pubblico devi interessarlo e per interessarlo devi tenere desta la sua attenzione“[1].


Questo è una delle considerazioni più interessanti del libro di Giorgio Zanchini, La radio nella rete, uscito a Roma per i tipi di Donzelli, nel 2017, ma che rimane di grande interesse.

Un altro fondamentale elemento posto in luce dall’autore è quello della voce, la voce del conduttore che “deve lavorare sull’intonazione, sul lessico”. Qualche hanno fa ho ascoltato per la prima volta Tutta la città ne parla, una delle trasmissioni più innovative e riuscite di Radio 3 Rai. A condurla era Giorgio Zanchini. Era una voce che non avevo mai sentito. Il mio commento, dopo pochi minuti fu: “questo buca l’altoparlante”. La stessa padronanza del microfono, la capacità a gestire la diretta e gii ospiti, in presenza e al telefono, l’ho trovata nella sua conduzione di Radio anch’io programma di Radio 1 di lunghissima tradizione nella cui redazione nel frattempo il giornalista toscano è rientrato nel 2014.

Tutta questa sua esperienza e capacità, Giorgio Zanchini è riuscita a trasferirla nella  preziosa pubblicazione La radio nella rete. Il sottotitolo “La conversazione e l’arte dell’ascolto nel tempo della disattenzione” anticipa due temi che l’autore sviluppa in tutto il libro: la “disabitudine” dell’ascoltatore alle trasmissioni d’approfondimento, ma anche quella del conduttore che, durante la diretta, deve gestire i vari social media che sono ormai supporti abituali e indispensabili per ogni programma radiofonico.

L’autore, che ha vissuto e vive il passaggio (ancora incompiuto) dall’analogico al digitale, ci trascina, attraverso le pagine del testo, nelle trasmissioni che hanno fatto la storia della radio italiana con ampi passaggi in alcune esperienze internazionali (soprattutto anglosassoni). Il tutto senza rimpianti ma con la consapevolezza che l’ascolto radiofonico è cambiato ma è cambiato anche il mezzo che si è trasformato e si è adattato alle mutazioni storiche.
E veniamo alla centralità delle considerazioni dell’autore: “oggi chi conduce, ma anche chi partecipa come ospite, deve in teoria essere molto più flessibile di qualche anno fa, più veloce, più agile, più sveglio. In uno studio in cui comunque è solo, o tutt’al più con un altro conduttore. Si è parlato spesso della solitudine del conduttore: ha molti terminali che lo collegano al mondo della redazione, ma quando è di fronte al microfono deve prendere molte decisioni che deve prendere da solo”[2]

Chi vi scrive è stato per undici anni nell’equipe della celeberrima Radiodue 3131. Chi non la ricorda? Lo stesso Zanchini la cita spesso. Ebbene, allora il conduttore aveva, durante la diretta, non solo la gestione degli ospiti in studio e/o in collegamento, ma anche quella delle “schede” (cartacee) che contenevano le osservazioni degli ascoltatori che telefonavano per intervenire. Arrivavano ogni giorno centinaia di telefonate e gli ascoltatori, come sottolinea l’autore “sono una fonte inesauribile per chi lavora in questo campo”[3].

Oggi, le “schede” non ci sono più ma arrivano sollecitazioni, critiche, suggerimenti, richieste di partecipazione, appelli non più solamente sul numero di telefono della redazione ma anche tramite sms, email, Facebook, WhatsApp (scritti e vocali), Instagram, Twitter, Telegram.

Non solo. Un argomento trattato in un programma rimbalza da un social network all’altro e la trasmissione continua…. Ancora l’autore: “Mi pare che il fare radio abbia acquistato una dimensione più corale rispetto a qualche anno fa, e che persino nei programmi radio più tradizionali ci si avvii verso il superamento della figura del fruitore solo ricevente. Più che di democraticità dovremmo parlare di accresciuta partecipazione”[4]. A questa accresciuta partecipazione, a questo bisogno dell’ascoltatore di sentirsi parte integrante della trasmissione (tutto iniziò con il 3131), colui che gestisce il microfono deve sapere a chi sta parlando, deve immaginarsi davanti a sé la platea degli ascoltatori.

Nel capitolo “Fare domande”, l’autore scrive: “Un privilegio e una croce di chi conduce è che è lui a porre le domande. E’ lui a intervistare. Deve stamparsi in testa che è lui il mediatore, il rappresentante degli ascoltatori, deve pensare che assieme a lui e agli interlocutori c’è qualcun altro che ascolta, e chiedersi che cosa vorrebbe sentire, che cosa vorrebbe che venisse chiesto. Un buon intervistatore deve imparare a essere umile, appunto al servizio di chi ascolta”[5].

Una cosa è chiara: si capisce molto bene che Giorgio Zanchini, scrivendo queste riflessioni, ha ben assorbito tutte le regole della conduzione radiofonica di Carlo Emilio Gadda, dei vari decaloghi e norme della BBC, del “pentalogo” che il direttore uscente Marino Sinibaldi aveva scritto per Radio 3. Sono tutti precetti che nel suo libro La radio nella rete sono ampiamente riportati.

Quasi alla fine del volume, l’autore ritorna su un quesito che si era posto all’inizio: “Che spazio c’è per la radio di contenuto, per l’ascolto serio? Sta crescendo la radio di accompagnamento, della frammentazione e sta arretrando quella seria, di contenuto?”[6]

La risposta non è semplice e nemmeno univoca. Sicuramente chi fa radio deve misurarsi con un ascoltatore che è cambiato, che ha una soglia dell’attenzione bassissima, che distratto e condizionato dalla velocità e sinteticità dello smartphone, è disabituato ad una conversazione con un minimo di complessità.

La radio italiana è stata data per moribonda molte volte nel corso della sua storia quasi centenaria: con l’arrivo della televisione, con il dilagare prendere delle radio private, con le possibilità di ascolto dei nuovi mezzi di fruizione. Eppure è ancora lì a resistere, a contrastare nemici invisibili e a creare nuove possibilità di ascolto.

Quali? Ancora l’autore: “…è inutile fingere che non occorra il ritmo, l’espressività, la sorpresa, la curiosità, ma bisogna salvare serietà e contenuti, e anche preservare, quando occorre, il tempo, il tempo necessario a esprimere un concetto, una posizione, una riflessione [….]. Il pubblico va raggiunto dove si trova, attraverso gli strumenti che usa oggi, e quindi anche sulla rete, sugli smartphone, negli interstizi della vita. Ma preservando i contenuti, perché la connessione indifferente ai contenuti ci impoverisce, impoverisce la comunità [….]”[7].

Giorgio Zanchini ha scritto un libro che pensavo fossero soltanto sue riflessioni e invece è un testo completo di storia della Radio, una ricca e indispensabile guida a quanti intendono accostarsi alla produzione radiofonica.


[1] Giorgio Zanchini, La radio nella rete. La conversazione e l’arte dell’ascolto nel tempo della disattenzione, Roma, Donzelli, 2017, V-167 p. [il passo citato è alle pp. 145-146.

[2]Giorgio Zanchini, La Radio nella rete…. op. cit., pp. 56-57.

[3] Ibidem, p. 58.

[4] Ibidem, p. 66.

[5] Ibidem, pp. 137-138

[6] Ibidem, p. 160

[7] Ibidem, pp. 165-166.

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