Alberto Leggeri scrive oggi per i lettori di Democrazia futura un commento su “La Conferenza di Lugano per la ricostruzione dell’Ucraina”. Al di là dei risultati da lui qualificati come modesti e della “Dichiarazione di Lugano” contenente sette principi relativi alle modalità di raccolta e gestione dei fondi per la futura ricostruzione del Paese, è lecito chiedersi se l’Assise tenutasi il 4 e 5 luglio sulle rive del Ceresio segni effettivamente “una svolta nella diplomazia elvetica e la fine della tradizionale neutralità della Confederazione?”.
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A cosa serve la Conferenza di Lugano per la Ricostruzione dell’Ucraina?
Come si fa a ricostruire un Paese quando – come nel caso oggi dell’Ucraina, la guerra è ancora in corso?
L’oggetto della conferenza inizialmente era ben preciso: si trattava della quinta conferenza fra Paesi e Organizzazioni internazionali riuniti per aiutare l’Ucraina a riformare il sistema statale, dominato da voraci oligarchi e neutralizzare la corruzione che paralizza(-va) lo sviluppo del Paese. Poi dopo il 23 febbraio, con l’inizio del conflitto bellico lo scopo della riunione si è trasformato, pensando ambiziosamente di porre le basi per varare un piano per la ricostruzione e definire chi finanzierebbe questa ricostruzione, spartendosi in sostanza la torta degli investimenti.
Dopo il G7 tenutosi al Castello di Elmau nelle Alpi bavaresi dal 26 al 28 giugno 2022, dove dapprima la Germania, poi il Regno Unito, hanno dichiarato a loro volta di voler indire conferenze per la ricostruzione dell’Ucraina, le modalità e i contenuti della Conferenza di Lugano, fissata per il 4 e 5 luglio 2022, sono stati ulteriomente modificati, derubricando l’assise internazionale a occasione in cui definire alcuni principi da adottare per la ricostruzione di un Paese distrutto dalla guerra.
Lo scopo assegnato alla Conferenza di Lugano non è stato più quello di raccogliere i donatori (concretamente sinora non corre neanche un quattrino), ma semplicemente di cercare di capire in un primo giro di tavola quali siano le reali intenzioni di coloro che, prima di impegnarsi a fare eventuali donazioni (necessariamente di una certa consistenza ma tutte da verificare), vogliono appurare quale sia l’entità effettiva di una “torta” certamente abbondante, ma che non può certo essere finanziata a scatola chiusa senza contropartite, e chi siano coloro che poi ne vogliano gestire in prima persona i fondi che verranno effettivamente impegnati nel tavolo per la ricostruzione. Fra i paesi più interessati vi è sicuramente la Germania, che essendo un po’ in sofferenza – come tanti altri paesi europei – vede in questo disegno un possibile volano per la sua ripresa economica.
I risultati modesti della Conferenza: un piano di ricostruzione rimasto ancora vago
Ma cosa c’è da costruire o ricostruire, come e dove: per ora si è rimasti nel vago. A Lugano dunque si sono fissati dei principi inerenti al come aiutare l’Ucraina: senza stabilire le modalità di intervento di chi si presta a “donare”, chi gestirà questi soldi, dove e con quali modalità verranno investiti, anche in considerazione della diffusa corruzione che comunque ancora impera in Ucraina.
Insomma, dalle iniziali intenzioni quasi roboanti si è arrivati ad un risultato che appare poco più di un petardo, tanto è vero che di Capi di Stato europei non se ne sono visti, le delegazioni presenti (di una quarantina di Stati e organizzazioni internazionali) erano formate da personaggi di secondo piano, gli unici di rilievo sono stati la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen (e doveva esserci per ribadire non solo simbolicamente l’appoggio dell’Unione europea all’Ucraina, ma anche perché la Commissione si è impegnata a creare le condizioni di adesione all’Ue medesima da parte dell’Ucraina), il Primo ministro del Governo ucraino Denys Shmyhal (che non poteva mancare non solo perché co-organizzatore dell’evento, ma anche per evidente interesse nell’orientare e promuovere ogni misura a sostegno del suo Paese) e infine il Presidente della Confederazione svizzera, il ticinese Ignazio Cassis[1] nonché Consigliere Federale (ovvero Ministro) per gli Affari Esteri, come Paese co-organizzatore e ospitante.
Una posta in gioco rilevante ma priva ancora di concrete modalià di azione, ovvero semplici “scritte nelle stelle” del firmamento dei buoni propositi
Come detto la posta in gioco è rilevante: lo stesso Presidente Volodymir Zelenskyj (intervenuto durante la conferenza via Skype) ha ricordato alcune dati: villaggi e città distrutte, infrastrutture danneggiate o distrutte, eccera. Insomma la forchetta dei danni è a tutt’oggi quantificabile fra i 750 miliardi (stimati dal Presidente del Governo Ucraino) e i 1100 miliardi di euro stimati dalla Banca Europea degli Investimenti.
Alla stregua degli Stati, anche le organizzazioni internazionali e nella fattispecie quelle finanziarie saranno impegnate nella ricerca delle risorse necessarie per la ricostruzione dell’Ucraina. Per ora non è dato di sapere come ciò avverrà: si mormora che potrebbero essere “accese” delle raccolte obbligazionarie (un po’ come si è fatto per fronteggiare gli effetti negativi della pandemia), ma con l’inflazione che galoppa a livello planetare, le modalità e i risultati appaiono al momento ancora come semplici auspici ovvero “scritte nelle stelle” del firmamento dei buoni propositi.
Questi sono i risultati concreti (invero modesti) della Conferenza di Lugano.
Un vetrina per l’immagine del Presidente della Conferederazione Elvetica un Paese la cui neutralità
Ma l’evento è stato anche una sorta di vetrina per il Consigliere Federale per gli Affari Esteri Ignazio Cassis, che, essendo di turno Presidente della Confederazione, non si è lasciato sfuggire l’opportunità di farsi promotore di un evento che avrebbe dato lustro al suo mandato, fin qui piuttosto scialbo. Dopo la precedente conferenza tenutasi in Canada nel 2021, per il tramite del Dipartimento Federale degli affari esteri, si è candidata la Svizzera per assumersi questo impegno (l’anno prossimo toccherà alla Gran Bretagna) e da Ticinese, il ministro Cassis ha proposto di tenere la riunione nel Canton Ticino, segnatamente a Lugano. La scelta la si può leggere per lo meno in due modi: voler dimostrare che anche il Ticino (come in effetti è stato) è in grado di organizzare un simile evento, oppure, come detto, dar lustro al ministro di origini ticinesi, che fin qui si è dimostrato poco “presente” sulla scena internazionale.
Infine vi è da rilevare che nella politica estera svizzera, lentamente ma inesorabilmente si è cambiata in modo significativo l’immagine di un Paese tradizionalmente neutrale: con l’adesione incondizionata e nemmeno dibattuta dove si dovrebbero definire o ribadire certi fondamentali orientamenti, si è aderito in toto alle sanzioni internazionali contro la Russia promosse dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti d’America.
Fossimo rimasti nel solco della tradizione secolare di Paese che svolge e si attiva con buoni uffici per promuovere la pace fra i popoli, anche con la Conferenza di Lugano ci si è posizionati in modo unilaterale dalla parte degli aggrediti contro gli aggressori (dal profilo morale e del diritto potrebbe anche starci, ma questo comporta appunto un cambiamento significativo del paradigma svizzero di neutralità nelle relazioni internazionali). Avrei preferito se ci fossimo attivati per portare aggressori e aggrediti ad un tavolo di trattative per ripristinare la pace. Costruire o ricostruire l’Ucraina non è solo una questione di affari, ma, bene o male, Ucraina e Russia resteranno comunque vicini contigui, con un sacco di rancori che solo forse il tempo riuscirà a mitigare. Quanto prima si ristabilisce la pace, tanto prima di estingueranno anche queste diffidenze e voglie di rivalsa.
I sette Principi contenuti nella Dichiarazione di Lugano approvata il 5 luglio presentati a conclusione dei lavori della Conferenza dal Presidente della Conferederazione Svizzera Ignazio Cassis
Come recita il Comunicato Stampa diramato alla fine dei lavori che mi limito a citare
La “Dichiarazione di Lugano” verte segnatamente su sette principi, focalizzati sulle riforme strutturali dell’Ucraina necessarie per creare uno stato inclusivo, equo, democratico e di diritto. Questo sarà fondato sul rispetto dei diritti umani, sociali e culturali. Inoltre, dovranno essere garantiti il più alto livello di trasparenza su come i fondi per la ricostruzione saranno utilizzati e il pieno accesso a questi di tutti gli attori sociali ed economici, nessuno escluso: equità e inclusione dovranno essere le parole d’ordine.
Più nel dettaglio:
1. Partenariato
Il processo di ricostruzione sarà in mano alle autorità ucraine ma con il supporto e la collaborazione dei partner internazionali
I progressi del piano di ricostruzione, nonché il corretto uso dei fondi stanziati, saranno accertati tramite valutazioni regolari
2. Riforme
Il piano di ricostruzione si pone di accelerare e approfondire il raggiungimento degli obiettivi di riforma ucraini in linea con quanto richiesto per diventare uno stato membro dell’Unione Europea
3. Trasparenza, responsabilità e stato di diritto
Il piano di ricostruzione dell’Ucraina dovrà essere trasparente e responsabile nei confronti del popolo ucraino.
Lo stato di diritto dovrà essere strutturalmente rafforzato e la corruzione sistemica eradicata. Tutti i fondi stanziati dovranno essere stanziati in maniera equa e trasparente.
4. Partecipazione democratica
Il processo di ricostruzione dovrà essere frutto di un sforzo collettivo di tutto il popolo ucraino e fondato sulla partecipazione democratica di tutti gli ucraini, inclusi coloro che per via del conflitto si trovano attualmente all’estero. Inoltre dovrà permettere la creazione di un efficiente sistema di autogoverno locale e di decentralizzazione statale.
5. Collaborazione su tutti i livelli
Il processo di ricostruzione dovrà facilitare la collaborazione tra gli attori nazionali ucraini e quelli internazionali, incluso il settore privato, gli attori della società civile, gli accademici e tutti gli attori locali.
6. Parità di genere e inclusione sociale
Il processo di ricostruzione dovrà essere inclusivo e assicurare la parità di genere, nonché il rispetto dei diritti umani, economici, culturali e sociali.
Tutti dovranno beneficiare del processo di ricostruzione e nessuno dovrà essere escluso. Le disparità dovranno essere ridotte.
7. Sostenibilità
Il piano dovrà ricostruire un’Ucraina sostenibile, in linea con l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e con i principi dell’accordo di Parigi, integrando la dimensione ambientale insieme a quella sociale ed economica nonché quella della transizione verde.
Per finire: una nota di colore
L’apparato di sicurezza messo in campo per l’evento è stato a dir poco iperbolico, col chiaro intento di voler dar dimostrazione di “forza” ed efficienza: interdizione di qualsiasi volo civile per un raggio di 46 km attorno a Lugano, fino alla quota di circa 5 mila metri (quindi col coinvolgimento anche dei sistemi di controllo e sicurezza italiani), 1600 soldati dell’esercito svizzero, mezzi da sbarco militari sul lago di Lugano, batterie con cannoni anti-aerei e ripetitori radar disseminati sulle alture attorno alla città, diverse centurie di poliziotti e agenti di sicurezza disseminati nel territorio per pattugliamento e regolazione del traffico, area off-limits attorno al palazzo dei Congressi e agli alberghi dove erano ospitate le varie delegazioni dei Paesi e delle Organizzazioni internazionali. Insomma la nomea di Repubblica dell’iperbole inflitta al Cantone Ticino, anche in questa occasione non si è smentita.
[1]Nato a Sessa (vicino a Lugano) il 13 aprile 1961 da genitori di origini bergamasche e varesine, dopo la laurea in medicina all’Università di Zurigo e la specializzazione a Losanna, si è occupato dell’attività di prevenzione nell’ambito delle politiche sanitarie pubbliche, diventando nel 2008 vicepresidente dell’Associazione svizzera di medicina (FMH) prima di essere eletto come parlamentare nel 2007 del partito llberale radicale, nelle cui liste verrà rieletto per altre due legislature nel 2011 e nel 2015, prima di essere eletto nel 2017 Consigliere Federale per gli affari esteri. Esponente della destra liberale critica verso l’intervento pubblico statale in economia, nel dicembre 2021 è stato eletto dall’Assemblea Federale alla Presidenza della Confederazione Svizzera per l’anno 2022.