Con Vincenzo Vita, giornalista e politico già sottosegretario al ministero delle Comunicazioni, apriamo il dibattito sul “Manifesto per i media di servizio pubblico e per l’Internet di Servizio pubblico un appello di cui Democrazia futura ha pubblicato la versione in italiano”.
Per Vita, “Internet va considerato un bene pubblico da regolare e sottrarre alle nuove oligarchie”, che lo controllano. L’autore sostiene “La pacifica guerra dei promotori di questo manifesto contro gli Over-the-Top” dopo essersi posto due interrogativi sul futuro della Rete.
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Ho letto con grande gusto questo interessantissimo manifesto perché sembra riprendere molti dei temi che -se non ricordo male- furono alle origini dell’Internet Governance Forum delle Nazioni Unite che nacque nel 2006 ad Atene, ma che era stato lanciato l’anno prima a Tunisi dal Summit mondiale sulla società dell’informazione. L’IGF globale lanciato ad Atene ebbe fra i suoi protagonisti Stefano Rodotà, allora ancora in piena attività, che ne fu l’animatore ed in un certo senso anche il teorico, sul tema proprio dei diritti costituzionali di internet, cioè l’idea che la cittadinanza digitale sia parte integrante di una costituzione adeguata ai nostri tempi.
Ho quindi letto con piacere questo manifesto ed in esso ho ritrovato ulteriormente allargati argomenti che trovo molto importanti . Leggendolo mi sono venute in mente due questioni:
- Siamo ancora in tempo a cambiare l’attuale mondo di Internet, perché il tempo è una variabile decisiva come ci insegna la filosofia. Siamo davvero ancora in grado di reagire a quello che è successo nella rete? Una rete che non è più quella dell’internet governance forum delle origini, ma è diventata una rete ormai dominata da alcuni oligarchi, dagli Over the Top con la loro potenza enorme , col loro controllo di algoritmi non trasparenti e non condivisi.
- I servizi pubblici su cui dovrebbe centrarsi questa comunque affascinante opportunità di cambiare il futuro di Internet, hanno davvero l’intenzione di farlo?. Per quel poco che li seguo, vedo che i servizi pubblici vivono in Europa una crisi identitaria a cominciare da quello italiano –la RAI- che oscilla tra momenti di inseguimento affannoso del mercato e momenti invece di grande moralità pubblica presunta.
Non voglio essere pessimista – perché da quando faccio attività politica ho sempre pensato l’ottimismo un errore necessario: ritengo che bisogna essere ottimisti. Quando si è pessimisti, si finisce sicuramente male, mentre quando si è ottimisti può finire male ma magari qualche volta no. Quindi anch’io sarei del parere di provare naturalmente ad avviare una forte iniziativa che coinvolga anche le istituzioni europee, perché questa scelta deve essere in qualche modo fatta propria dalla Commissione e dal Parlamento Europeo. Questa sarebbe stata un’iniziativa cui (posso dirlo visto che conoscevo molto bene il presidente del Parlamento Europeo) David Sassoli lui sicuramente sarebbe stato molto sensibile.
Il mio è quindi un sì a questo Manifesto, un’adesione anche appassionata però con alcune riserve. Dobbiamo immaginare bene con quali forze in campo lavorare. Dobbiamo anche avviare una riflessione sulle parole, perché forse la declinazione nella rete di una categoria classica come quella di “Servizio pubblico” oggi non è proprio quella adeguata.
Bisognerebbe forse creare qualche parola nuova che metta in moto l’immaginario di quell’affascinante popolo che adesso è silente nella rete, ma che non ha nulla a che vedere con Google, nè con Facebook o che c’entra solo perché costretto. Una schiera di forze composta da soggetti diversi ma che fu la bellissima anche esteticamente e che possiamo definire come una sorta di “Quarto stato” telematico, quello che quando iniziò la rete la fece diventare una cosa molto importante, prima che arrivassero ad impadronirsene le piattaforme.
Ecco io penso che si possa lavorare in questa direzione. La discussione intorno a questo Manifesto può essere un utile strumento anche di confronto non per risolvere ma per mettere a fuoco i problemi, per divulgarli e aprire una discussione pubblica sulla questione.
La pacifica guerra dei promotori di questo manifesto contro gli Over-the-Top
Questa iniziativa è importante e la ritengo un punto chiave anche per discutere del futuro sapendo però che dobbiamo essere consapevoli che decidendo di sostenere il Manifesto noi apriamo un conflitto. Il mondo digitale non andrà da solo in questa direzione, perchè questa non è la naturale evoluzione delle cose.
Il Manifesto PSMI sta dichiarando una guerra (pacifica naturalmente) ma di questo stiamo parlando, perché le Piattaforme Internet, gli Over The Top, non ci daranno facilmente questa opportunità di far nascere il nuovo Internet.
Non è una novità, e ripeto considerazioni già fatte altrove, che non basterà la pur straordinaria tradizione dei vecchi servizi pubblici, dei broadcasters dell’era analogica poi diventati digitali, ma che ancora vivono dentro quei confini.
Sarà necessario ritornare alle origini dell’internet povera, di quella comunità il cui senso profondo fece nascere l’Internet Governance Forum. Secondo le parole di Stefano Rodotà che io ben ricordo come voi, bisognerà ripartire dai diritti di cittadinanza digitale su cui si costruisce il nostro rapporto con le generazioni più giovani. Secondo cui la rete è un bene pubblico, gli algoritmi devono essere trasparenti, non ci può essere una sorveglianza di massa, e il capitalismo delle piattaforme va regolato subito. L’Europa deve fare questo.
E i servizi pubblici – mi pare questo il senso del Manifesto – possono e debbono essere i protagonisti soggettivi di un inizio di trasformazione.
Fra pochi mesi in italia avremo un’occasione precisa per avviare questo processo, che è il rinnovo del contratto di servizio tra lo Stato e la Rai. Il Manifesto PSMI dovrebbe diventare un materiale di studio e di approfondimento per quel dibattito, e potrebbe costituire un’occasione per rompere gli indugi.
Bisognerebbe fare di questa discussione di oggi intorno al Manifesto l’inizio di un percorso conflittuale, in cui cercare alleanze, fare uno sforzo di immaginazione per dare nomi nuovi certe categorie. Sarebbe insomma necessario sviluppare uno sforzo all’altezza di un tempo durissimo in cui stiamo entrando, dove non sta cambiando solamente una tecnologia ma sta cambiando, anzi è cambiato il capitalismo, è cambiato l’intero sistema di produzione del valore.