L'appello

Democrazia Futura. Il tempo dei cancellatori: un pericoloso braccio armato del pensiero politicamente corretto

di Claudio Sestieri, Regista cinematografico e televisivo, autore di libri inchiesta e romanziere |

Ci troviamo dunque di fronte a una nuova sempre più grave forma di censura che, questa volta, non nasce dalla cultura reazionaria o conservatrice ma paradossalmente da quella radicale di sinistra e dai movimenti di liberazione delle minoranze oppresse.

Claudio Sestieri

Segue – nella migliore tradizione dei “J’accuse!”, un appello vigoroso di Claudio Sestieri di denuncia de “Il tempo dei cancellatori”. Questa volta non c’entrano né il maccartismo né il più recente trumpismo se non che siamo in presenza di “Un movimento nato e diffuso da tempo negli Stati Uniti ma che dilaga ormai anche in Europa e persino in Francia, da sempre patria del libero pensiero”. “Il fenomeno della Cancel Culture -chiarisce subito –  è in qualche modo la conseguenza e al tempo stesso il braccio armato del politically correct che si è da tempo largamente imposto nelle nostre democrazie occidentali.Ormai infatti non ci si limita più a criticare i comportamenti e le opinioni ritenute scorrette ma si punta direttamente alla rimozione dai posti di lavoro dei loro autori: professori, artisti, giornalisti, scrittori e filosofi che siano. E al tempo stesso, si mette in discussione il pantheon della nostra cultura antecedente l’Oggi, abbattendo statue e simboli, chiedendo che siano rimossi dai corsi scolastici autori e opere, da Omero a Philip Roth, passando per William Shakespeare e Dante Alighieri. Persino sommi musicisti come Wolfgang Amadeus Mozart, artisti come Paul Gauguin o Balthasar Kłossowski de Rola detto Balthus, e quant’altri vengano considerati non in linea con lo spirito del nostro tempo. Ci troviamo dunque di fronte a una nuova sempre più grave forma di censura che, questa volta, non nasce dalla cultura reazionaria o conservatrice ma paradossalmente da quella radicale di sinistra e dai movimenti di liberazione delle minoranze oppresse”. Sestieri, riprendendo alcune osservazioni del direttore del supplemento letterario de Le Mondeprosegue: “Non è più tempo di sfumature evidentemente, […] oggi si ragiona sempre più in termini binari, quelli dei computer su cui i millennials si sono formati: Sì/No, e dunque Bene/Male […]. In Italia, di tutto questo arriva un’eco ovattata, come sempre il nostro essere fuori dal centro di quanto accade nel mondo, da una parte ci protegge da certi eccessi ma dall’altra ci impedisce di capire “prima” quello che “dopo” si abbatterà inevitabilmente anche su di noi”. Prima che sia troppo tardi occorre pertanto apire gli occhi e denunciare questa “macchina infernale” che si è spinta “dall’attacco al canone occidentale all’ostracismo nei confronti di Philip Roth”. Sestieri prosegue descrivendo “La variante islamista dei cancellatori e il facile capro espiatorio dei suprematisti trumpisti”. Il rischio di questa cancellazione del nostro passato soprattutto nelle nuove generazioni e nei cosiddetti nativi digitali è di arrivare ad un “suicidio non assistito dell’Occidente” . Sestieri cita un editoriale di Ernesto Galli della Loggia per il quale è risultata “determinante l’ignoranza sempre più profonda della Storia che si è creata a partire dalla seconda metà del Novecento, anche e soprattutto nelle élites, quando il tradizionale impianto storico-umanista fu sostituito da quello a base giuridico-economico” prima di concludere – facendo proprio il presupposto su cui è nata la nostra rivista: “Trionfa insomma quello che, con un brutto neologismo, chiamiamo Presentismo, tutto viene vissuto come se fosse a noi coevo, e diventa sempre più difficile se non addirittura impossibile capire che quanto riteniamo acquisito e addirittura scontato “oggi”, non lo era affatto ieri, figuriamoci qualche decennio o qualche secolo fa […]. Mai come ora, forse, il passato è stato una terra straniera.  

Il fenomeno della Cancel Culture è in qualche modo la conseguenza e al tempo stesso il braccio armato del politically correct che si è da tempo largamente imposto nelle nostre democrazie occidentali.

Ormai infatti non ci si limita più a criticare i comportamenti e le opinioni ritenute scorrette ma si punta direttamente alla rimozione dai posti di lavoro dei loro autori: professori, artisti, giornalisti, scrittori e filosofi che siano.

E al tempo stesso, si mette in discussione il pantheon della nostra cultura antecedente l’Oggi, abbattendo statue e simboli, chiedendo che siano rimossi dai corsi scolastici autori e opere, da Omero a Philip Roth, passando per William Shakespeare e Dante Alighieri. Persino sommi musicisti come Wolfgang Amadeus Mozart, artisti come Paul Gauguin o Balthasar Kłossowski de Rola detto Balthus, e quant’altri vengano considerati non in linea con lo spirito del nostro tempo.

Un movimento nato e diffuso da tempo negli Stati Uniti ma che dilaga ormai anche in Europa e persino in Francia, da sempre patria del libero pensiero.

Ci troviamo dunque di fronte a una nuova sempre più grave forma di censura che, questa volta, non nasce dalla cultura reazionaria o conservatrice ma paradossalmente da quella radicale di sinistra e dai movimenti di liberazione delle minoranze oppresse.

Giorno dopo giorno si succedono così sempre nuovi casi, ormai a volte addirittura al limite della farsa. 

Proveremo a ricordarne alcuni tra i più significativi e, al tempo stesso, a domandarci come e perché siamo sprofondati in questo slittamento regressivo e apparentemente non più controllabile.

Di alcuni monumenti possiamo contemplare le rovine, di altri non restano che le macerie”, ha scritto Marc Augé (1), il teorico dei non-luoghi.

Così sia dunque per le testimonianze del nostro passato che da tempo sono sotto la scure di un’ondata di neo-iconoclastia. Eravamo abituati a pensare che la furia distruttrice fosse roba da Talebani, come per i Buddha di Bamiyan, o da Isis, come per le meraviglie di Palmira abbattute insieme al loro storico sovraintendente, ma non è più così.

Persone che credono di essere progressiste e di combattere in nome del Bene, continuano ad abbattere i simboli di una storia che leggono solo come bianca e prevaricatrice.

Si è partiti da Cristoforo Colombo, non più profeta del nuovo mondo ma padre degli stermini degli indigeni, e si è arrivati a prendersela persino con Abraham Lincoln che, per convincere i membri più renitenti del Congresso a varare la lotta contro il Sud razzista, avrebbe pronunciato qualche frase oggi considerata ambigua. Vai a spiegare agli odierni partigiani del politically correct l’arte del compromesso in politica… 

Ragionare in termini binari

Non è più tempo di sfumature evidentemente, (come ricorda Jean Birnbaum, direttore del supplemento letterario di Le Monde, e autore de Le Courage de la nuance(2), oggi si ragiona sempre più in termini binari, quelli dei computer su cui i millennials si sono formati: Sì/No, e dunque Bene/Male. Dopo secoli di filosofia del dubbio sembra sia in atto un micidiale tsunami di semplificazione mentale che ci riporta indietro nel tempo, alle fedi e alle convinzioni dure e pure.

Il passato”, scrive Birnbaum, “non è fisso, lo guardiamo in modo diverso a seconda del momento in cui ci guardiamo indietro. Ma il problema della Cancel culture è che non si accontenta di ‘spostare’ la nostra visione del passato, ma pretende di annullarla. Compreso il passato recente… Ma non c’è nessun futuro possibile, nessun presente degno di questo nome, se si cancella il passato” (3).

Ancora più devastante può essere questo fenomeno quando non rivolge la sua scure sulle statue e i simboli di un passato di cui l’Occidente dovrebbe solo provare vergogna, ma finisce per aggredire anche le persone che non accettano o addirittura contrastano questa tendenza. Sono decine ormai, forse centinaia, i professori e i dirigenti universitari, gli intellettuali, i giornalisti, i manager, i direttori di musei, gallerie e istituzioni culturali in genere che sono stati dimessi o si sono dovuti piegare a una qualche forma di imbarazzante pubblica autocritica. In Italia, di tutto questo arriva un’eco ovattata, come sempre il nostro essere fuori dal centro di quanto accade nel mondo, da una parte ci protegge da certi eccessi ma dall’altra ci impedisce di capire “prima” quello che “dopo” si abbatterà inevitabilmente anche su di noi. Mentre negli Stati Uniti, anche per il clima d’odio e di rivalsa che ha generato la sciagurata presidenza di Donald Trump, le reazioni alla Cancel culture e agli estremismi del politically correct appaiono sostanzialmente deboli e impacciate, in Gran Bretagna e in Francia ci sono state delle forme di contestazione più decise. Un ampio gruppo di artisti, intellettuali e scrittori British, seguiti anche da  qualche americano come Noam Chomsky e Michael Walzer, (tra loro, Martin Amis, Margaret Atwood, Salman Rushdie, Jeffrey Eugenides, Ian Baruma e Joanne Kathleen Rowling), già prima dell’elezione di Joe Biden, hanno firmato un appello contro “l’ondata censoria che rischia di sommergere non solo in America università e giornali, contro il ricatto morale di chi consiglia il silenzio e l’omertà sulle nuove e violente forme di intolleranza per non dare armi e pretesti a Trump, e contro la nuova ideologia manichea e brutalmente estremista che nel nome del Bene distrugge ogni opinione differente, ogni dissenso”. E in Francia ha avuto un impatto notevole l’appello “Giù le mani dalla mia storia” del filosofo Alain Finkielkraut e di altri numerosi intellettuali, che ha raccolto oltre venticinquemila adesioni.

Rischiamo di intraprendere un processo che non avrà fine, che non può avere fine”, scrivono, “Dobbiamo rileggere la storia nel suo contesto e non proiettare le nostre attuali ossessioni nel passato”.

Eppure, l’ondata non sembra arrestarsi, anzi si fa di giorno in giorno sempre più violenta.

Ancora Frienkelkraut in un’intervista al Foglio sostiene che

L’antirazzismo ha cambiato natura, è passato dal battersi per l’uguale dignità delle persone a una sorta di richiesta di penitenza, si è trasformato in un razzismo anti-bianco, così la sola maniera di sfuggire alla condanna del proprio privilegio è, appunto, quella di pentirsi” (4).

Una macchina infernale: dall’attacco al Canone occidentale all’ostracismo nei confronti di Philip Roth

Simboli di un passato visto ormai come un incubo da abbattere. E persone che quel passato condividono, da destituire o convertire. 

Ancora più profonda e dunque più pericolosa è però la frattura che i Cancellatori infliggono al complesso di quella che finora abbiamo considerato come la nostra stessa cultura, quel Canone occidentale che aveva formalizzato nel suo libro del 1994 il grande critico letterario americano Harold Bloom (5). Tutto questo, da Omero a Roth, viene ora rimesso in discussione, quando non ostracizzato. 

Partiamo dalla fine, da Philip Roth, visto che di lui e del caso che si è scatenato intorno a lui, si è parlato molto anche nel nostro paese. Un autore straordinario che fino a poco tempo fa tutti amavamo si è trasformato infatti ultimamente in un bersaglio del neo-moralismo trionfante, e le accuse di molestie sessuali (guarda tu, proprio ora, dopo anni e anni) piovute su Black Bailey, celebre autore della sua biografia autorizzata e avviata a diventare un best seller mondiale, hanno spinto la sua casa editrice la W.W. Norton fondata nel 1923 da William Warder Norton a ritirare il volume dalle librerie e a mandarlo al macero! 

Fateci leggere la vita di Roth!”, implorava dalle colonne de La Repubblica (6) Natalia Aspesi, intellettuale femminista della prima leva, soltanto pochi giorni prima. Inascoltata. Tuttavia anche lei mai avrebbe potuto immaginare che proprio l’editore di quel libro, il suo padre in sostanza, pur di non avere grane con il mood del momento, (“Bisogna seguire questa onda massiccia vendicativa e triste, per non avere fastidi”, scriveva la Aspesi nel suo articolo),  l’avrebbe pugnalato a morte.

Sembra in effetti di stare dentro un dramma dell’assurdo alla Eugène Ionesco

Cancellare la cultura, un ossimoro

E del resto, la locuzione stessa Cancel culture costituisce di per sé un paradosso, un evidente ossimoro, perché la cultura vive e si alimenta di memoria, non certo di rimozione.

In un’intervista al quotidiano La Stampa (7), un’editrice come Elisabetta Sgarbi,  condanna duramente la decisione dell’editore americano sulla base della tradizione della nostra cultura liberale, per la quale il comportamento discutibile o anche penalmente rilevante di un’artista non può comunque compromettere il valore della sua opera. 

Anche qualora un autore fosse colpevole di un crimine”, sostiene la Sgarbi,” la sua opera andrebbe giudicata alla luce di quello che è. E gli editori dovrebbero sempre avere il diritto e il dovere, se l’opera lo merita, di pubblicarla.”

Non da meno della W.W. Norton, tuttavia, e sempre negli Stati Uniti, si è comportato Dan-el-Padilla Peralta, studioso di storia romana alla Princeton University. Proprio lui che a quella cultura classica ha dedicato la vita ha di colpo statuito che i classici hanno sviluppato una “white culture” colpevole di aver creato colonialismo, razzismo, nazismo e fascismo, e ha così coerentemente chiesto la chiusura dei dipartimenti “Classics”.

In pratica, ha chiesto la chiusura di sé stesso.

Forse perché, come scrive Brendan O’ Neil, direttore del magazine libertario Spiked,

Gli intellettuali occidentali amano ormai ossessionarsi con storie malvage, come schiavitù e colonialismo, perché aumentano così il senso di uno scopo morale”

“Siamo migliori dei nostri perfidi  antenati”. La cancellazione”, continua O’ Neil, “è una minaccia per chiunque si rifiuti di conformarsi alle nuove ideologie. Le élite woke (da woken- svegliato- termine usato per indicare la consapevolezza dei diritti sociali, razziali e di gender) sono ormai dominanti nella vita pubblica, culturale e dei media…” (8). 

Come ci spiega, ancora su La Repubblica (9), Maurizio Bettini,  filologo classico, latinista e autore del fortunato A che servono i Greci e i Romani? (10), l’ultima tentazione del movimento è dunque quella di cancellare i classici, o magari di riscriverli riveduti e corretti secondo le auree regole del politically correct.

In un pezzo dedicato a Charles Baudelaire che oggi “sarebbe vittima della cancel culture e delle leghe della virtù”, Giulio Meotti su Il Foglio (11)cita diversi esempi di come libri e autori che hanno finora fatto parte della nostra comune formazione culturale siano ormai improponibili.

Persino Peter Pan è stato interdetto all’infanzia dalla Public Library di Toronto, la Blossoms Books olandese ha espunto Maometto dall’Inferno di Dante, “Via col vento”, dopo un periodo di sospensione, è stato rimesso in circolo con delle didascalie esplicative, solo tre esempi su centinaia di casi che si potrebbero citare.

Lo zelo senza limiti dei Cancellatori

A volte, come ci racconta Pier Luigi Battista sull’Huffington Post (12), lo zelo dei Cancellatori non ha davvero limiti e va oltre persino il grottesco, nonché la massima biblica per cui le colpe dei padri non dovrebbero ricadere sui figli.

Lizzie Dunford, direttrice della casa-museo di Jane Austen, ha deciso di prendere orgogliosamente e con virtuosa indignazione le distanze dalla medesima Austen. Perché la famiglia della grande scrittrice (nata nel 1775)  è sospettata di complicità attiva con il colonialismo e la tratta degli schiavi, essendo stato il padre amministratore di una piantagione di zucchero di Antigua…”

Purtroppo gli eccessi progressivi del movimento non si limitano a questi spunti da comica finale ma stanno calando ovunque una cappa di censura sempre più pesante quale solo pochi anni fa non avremmo potuto immaginare.

E, come scrive la redazione del blog L’Intellettuale dissidente,

Per quanto s’illudano di marciare in direzione opposta, le mille e più varianti del politically correct -di cui l’attuale demolizione universale è solo l’ultima (per ora) espressione- non fanno che marciare verso un autentico mondo totalitario.”

Sempre per restare in Gran Bretagna, mi sembra molto significativo quel che denuncia un altro editore, Dan Franklin che ha pubblicato autori come Ian McEwan e Salman Rushdie:

Oggi, non potrei stampare Lolita. Se mi venisse offerta ora, non riuscirei mai a farla passare, e un comitato editoriale di trentenni direbbe: Se pubblichi questo libro ci dimettiamo in blocco.” 

La variante islamista dei cancellatori e il facile capro espiatorio dei suprematisti trumpisti

Viene allora da sorridere freddo pensando al best seller Leggere Lolita a Teheran (13), memoir di Azar Nafisi che, durante il regime di Ruhollah Khomeyni, teneva per un gruppo di ragazze dei rischiosi corsi privati di letteratura occidentale, con la coscienza che “Tutte le grandi opere di narrativa, per quanto cupa sia la realtà che descrivono, hanno in sé il nocciolo della rivolta” e che “ Noi dovevamo creare a tutti i costi le nostre contro-realtà che permettessero a quelle ragazze di conservare la propria individualità in un Paese che le voleva tutte omologate, spettri coperti da veli neri”.

Non è un caso dunque che proprio un’altra scrittrice iraniana esule in occidente (questa volta non in Usa come la Nafisi, ma a Parigi), Abnousse Shalmani, firma di punta de L’Express, in una lunga intervista pubblicata da Il Foglio (il giornale che, qui da noi, ha dedicato più spazio all’analisi della Cancel culture), si dimostri molto dura contro il movimento, compresa la sua frazione neo-femminista.

La parità di retribuzione e la lotta alle violenze contro le donne”, dichiara, “sono questioni su cui stiamo facendo progressi ogni giorno. E invece le neo-femministe trasformano ogni donna in una vittima perpetua, in una minorenne incapace di scelta, di libertà, ma sistematicamente soggetta all’influenza maschile. Sono esausta a sentirmi dire giorno e notte che sono debole, sottomessa, nei guai in quanto donna. Niente è più sbagliato. Io sono invece per un femminismo liberale e individualista che celebri la libertà, la scelta, l’alterità”.

E sul fenomeno della tabula rasa sul passato sostiene:

Distruggere le statue non trasformerà il passato, lo renderà meno comprensibile. Ogni erezione di una statua, di un monumento, contribuisce a comprendere il passato, il come, il perché. Ma soprattutto distruggere evita di pensare ai paradossi, alla complessità della realtà. E’ il regno dell’idiocrazia.”

Per concludere sarcasticamente che

Khomeini andrebbe fiero della Cancel culture che impazza nel libero occidente”.

Donald Trump, d’accordo, e il suo inaccettabile sostegno ai suprematisti bianchi, la sua programmatica ignoranza delle violenze della polizia e delle disuguaglianze sempre più crescenti, il suo atteggiamento volgare e sessista. D’accordo. Ma Trump e Harvey Weinstein non spiegano del tutto l’insorgere e il dilagare di un rifiuto globale di quello che siamo stati, nel male, ma anche nel bene. E la scomparsa di quel principio di tolleranza che era stato la pietra angolare del pensiero moderno e post moderno in occidente.

Da dove nasce questo delirio suicida del politicamente corretto che sta devastando l’immagine di sé dell’Occidente”, si è chiesto Ernesto Galli della Loggia in un editoriale de Il Corriere della Sera, “contribuendo a paralizzarlo sulla scena del mondo?”.

Le risposte che dà alla sua domanda sono molteplici. Ma determinante è per Galli della Loggia l’ignoranza sempre più profonda della Storia che si è creata a partire dalla seconda metà del Novecento, anche e soprattutto nelle élites, quando il tradizionale impianto storico-umanista fu sostituito da quello a base giuridico-economico (14).

Nativi digitali e cancellazione del nostro passato: un suicidio non assistito dell’Occidente

Abbiamo così”, scrive lo storico romano nel suo editoriale, “cominciato a perdere la dimensione del passato e a dimenticare che l’universo dei valori è anch’esso un universo storico, vale a dire soggetto a modifiche con il passare del tempo… Questa mancanza di senso storico si è rivelata assolutamente decisiva nella costruzione del paradigma della ‘Vittima’, a sua volta basilare sia per la nascita che per la costruzione del politicamente corretto. Questo infatti è sentito quale il giusto riconoscimento risarcitorio per i torti subiti in passato da chiunque appartenga oggi a un gruppo sessuale, sociale, etnico o nazionale, oggetto di un simile torto.”

Quello di Galli della Loggia mi sembra, questa volta, un punto di vista condivisibile, soprattutto quando aggiunge che, al di là della perdita del senso storico, la tendenza attuale alla giuridicizzazione di ogni aspetto dell’esistenza, con la sua produzione incessante di diritti,

vale a radicare l’idea assolutamente centrale nella costruzione del politicamente corretto che qualsiasi azione o comportamento, desiderio o modo di vita di ogni individuo debba necessariamente tendere a rivestire la forma di un “diritto”… Obbligo del risarcimento storico e dimensione del diritto si saldano così in un dispositivo ideologico che ha dalla sua l’invincibile forza che spira dall’aria dei tempi”. 

E tuttavia, così come si accennava prima a una sorta di inconscia acquisizione della logica binaria nei nativi digitali, credo sia il caso di aggiungere che la predisposizione contemporanea alla quasi esclusiva navigazione su Internet non può non portare a una ulteriore perdita della frequentazione del passato, e dunque a una sempre più diffusa incapacità di contestualizzare azioni e comportamenti in relazione al loro perimetro storico. Trionfa insomma quello che, con un brutto neologismo, chiamiamo Presentismo, tutto viene vissuto come se fosse a noi coevo, e diventa sempre più difficile se non addirittura impossibile capire che quanto riteniamo acquisito e addirittura scontato “oggi”, non lo era affatto ieri, figuriamoci qualche decennio o qualche secolo fa.

L’incomunicabilità dei nostri giorni, allora, non è più soltanto quella riferita al linguaggio e ai rapporti interpersonali ma anche alla dimensione stessa del tempo, a quanto ci separa da quello che non siamo più capaci di comprendere e riconoscere come nostro.

Mai come ora, forse, il passato è stato una terra straniera. 

Note al testo

(1) Alessandro Zuccari, “L’ostinazione delle rovine”, Il Foglio, 14 novembre 2020.

(2) Jean Birnbaum, Le courage de la nuance, Paris, Editions du Seuil, 2021, 137 p.

(3) Jean Birnbaum, Intervista a Giulio Meotti, “Dalla cancel culture alla paura dell’islamismo, tutto è vetrificato”, Il Foglio, 17 aprile 2021. Cfr https://www.ilfoglio.it/cultura/2021/04/17/news/-dalla-cancel-culture-alla-paura-dell-islamismo-tutto-e-vetrificato–2195255/.

(4) Alain Finkielkraut, dichiarazione a Giulio Meotti, “Contro il momento giacobino”, Il Foglio, 9 luglio 2020. Cfr.   https://www.ilfoglio.it/cultura/2020/07/09/news/contro-il-momento-giacobino-322058/.

(5) Harold Bloom, The Western canon: the books and school of the ages, New York-London, Harcourt Brace & Company, 1994, 578 p. Traduzione italiana: Il Canone occidentale, I libri e le Scuole delle età, Milano, Bompiani, 1996, 578 p. Poi con introduzione di Andrea Cortellessa: Milano, BUR, 2012, XXVIII-588 p.

(6) Natalia Aspesi, “Fateci leggere la vita di Roth, La Repubblica, 24 aprile 2021.

7) Elisabetta Sgarbi, “Assurdo giudicare l’arte con principi morali, La Stampa, 29 aprile 2021.

(8) Giulio Meotti, “Contro il momento giacobino”, Il Foglio, 9 luglio 2020, loc. cit alla nota 4.

(9) Maurizio Bettini, “Se l’ultima tentazione è cancellare i classici”, La Repubblica, 16 aprile 2021

(10) Maurizio Bettini, A che cosa servono i Greci e i Romani? L’Italia e la cultura umanistica, Torino, Einaudi, 2017, 160 p.

(11) Giulio Meotti, Oggi Baudelaire sarebbe vittima della Cancel Culture e delle leghe della virtù,

Il Foglio, 3 aprile 2021. Cfr. https://www.ilfoglio.it/cultura/2021/04/03/news/-oggi-baudelaire-sarebbe-vittima-della-cancel-culture-e-delle-leghe-della-virtu–2109020/

(12) Pierluigi Battista, “Philip  Roth e Jane. Austen: due stupide censure al prezzo di una”, Huffington Post, 26 aprile 2021. Cfr. https://www.huffingtonpost.it/entry/philip-roth-e-jane-austen-due-stupide-censure-al-prezzo-di-una_it_60864a55e4b09cce6c130ae8

(13) Azar Nafisi, Reading Lolita in Tehran a memoir in books, London New York, Ramdon House, 2003, 347 p. Traduzione italiana: Leggere Lolita a Teheran, Milano, Adelphi, 2004, 379 p.

(14) Ernesto Galli della Loggia, “Il nostro delirio suicida, processare il passato”, Il Corriere della Sera, 3 aprile 2021. Cfr. https://www.corriere.it/opinioni/21_aprile_03/nostro-delirio-suicida-processare-passato-7bf88592-94b0-11eb-baed-430cc8195593.shtml. Titolo originale sull’edizione stampata: “Un avviso di garanzia al passato”.

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