Iniziamo un viaggio sulle relazioni complesse fra le culture politiche della prima repubblica e le istituzioni europee. Lo storico contemporaneista Andrea Ricciardi propone ai lettori di Democrazia futura un’intervista-dialogo con Valdo Spini su “Il PSI e il processo d’integrazione europea durante la segreteria Craxi” protagonista del semestre comunitario di presidenza italiana nel 1985 in occasione del quale venne convocata la Conferenza intergovernativa conclusasi nel febbraio 1986 con l’adozione dell’Atto Unico europeo.
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Ho da poco consegnato un saggio, in corso di pubblicazione, sul rapporto tra PSI ed europeismo durante la segreteria Craxi, dal Midas a Maastricht (1976-1993). Da qui nascono le domande che ho rivolto a Valdo Spini, un protagonista di quella stagione, vicesegretario dal 1981 al 1984, sul PSI e su alcuni dei suoi più prestigiosi dirigenti in rapporto all’evoluzione del processo d’integrazione europea vista dai vertici del socialismo italiano.
Andrea Ricciardi Analizzando il periodo 1976-93 della storia del PSI, sembra che l’interesse per il processo d’integrazione europea aumenti, ma che non sia un tema centrale rispetto ad altri, anche di politica internazionale. Cosa ne pensi? Era inevitabile perché altre questioni di politica estera sul tappeto erano obiettivamente più urgenti (per esempio la Guerra fredda e i problemi del Medioriente) o ritieni che il PSI, come il resto della politica italiana, fosse (non solo allora) troppo schiacciato sugli scenari interni?
Valdo Spini Bisogna tener conto che il 1979 è stato l’anno delle prime elezioni dirette del Parlamento europeo. Di fatto questo ha significato anche un forte impegno del PSI in senso europeista. Per esempio, assunta nel 1978 la responsabilità della Formazione Quadri del PSI, organizzai, col sostegno della segreteria del partito, cinque seminari di formazione, uno per ogni collegio elettorale europeo con la partecipazione di importanti dirigenti e coagulando intellettuali ed esperti di rilievo. In quegli anni la figura principale della politica europea del PSI era Mario Zagari, antico e coerente europeista, mentre il PSI aveva perso progressivamente contatto con Altiero Spinelli, indubbiamente una personalità molto importante che pure era stato indicato dal nostro partito come Commissario europeo, ma che fu eletto come indipendente nelle liste del PCI. Se vuoi un ricordo personale, posso testimoniare che Riccardo Lombardi pose la questione di Spinelli in Direzione, ma che gli fu risposto da parte di Bettino Craxi che si pensava a Spinelli come candidato sindaco di Roma, ipotesi che l’interessato declinò. Voglio ricordare altresì che nel 1979 il PSI elesse al Parlamento europeo Jirí Pelikán, importante esponente della Primavera di Praga cecoslovacca. Questa elezione sollevò l’interesse anche dei principali mezzi d’informazione internazionali, sia europei sia statunitensi. Se, quindi, i temi della Guerra Fredda e del Medioriente erano importanti nell’agenda del PSI, non si può dire che la politica europea fosse da meno, anche perché in quegli anni la segreteria Craxi teneva molto a identificare il PSI con il socialismo europeo.
Andrea Ricciardi. In quegli anni vi furono cesure importanti, anche dentro il partito. Si può dire che il primo quinquennio della segreteria di Craxi fu caratterizzato da un dibattito interno molto articolato e aspro e che, con il Congresso di Palermo del 1981, il segretario si avviò verso un controllo pressoché totale del PSI. Quali furono secondo te, prima e dopo il 1981, i più importanti momenti in cui il partito affrontò la questione dell’Europa politica con costrutto e convinzione? E quando si mostrò meno “attento”, magari compiendo qualche errore?
Valdo Spini Sono stato membro del Bureau dell’Unione dei partiti socialisti europei. Dal 1980 al 1987 fu presieduto da Joop den Uyl, ministro e capo del governo olandese, un fedele alleato di Willy Brandt. Ricordo che nel 1984 si formulò un manifesto elettorale per le seconde elezioni dirette del Parlamento europeo. Quello che ci distingueva rispetto agli altri partiti socialisti o laburisti era la nostra adesione al progetto Spinelli, cioè alla proposta di un nuovo Trattato che egli era riuscito a fare approvare dallo stesso Parlamento europeo. Pur non riuscendo a far introdurre l’adesione al progetto Spinelli nel manifesto elettorale, a causa dell’opposizione in particolare dei laburisti britannici, ottenemmo però che in calce al manifesto stesso ci fosse la scritta: Il PSI e il PSDI per parte loro sostengono il Progetto Spinelli. In quell’occasione il PSDI era rappresentato da Mauro Ferri, con il quale le posizioni erano del tutto convergenti. L’altro problema all’interno del socialismo europeo era quello degli euromissili. La posizione ufficiale dell’SPD era molto diversa dalla nostra (non così quella del cancelliere Helmut Schmidt). In quel periodo cominciò, o forse sarebbe meglio dire s’intensificò, un collegamento tra SPD e PCI, che costituiva un po’ la croce di Craxi e del PSI quando a Roma arrivavano Brandt o qualche altro dirigente dell’SPD. Di converso, un aiuto alla posizione socialista venne dal PS francese, François Mitterrand era allora presidente della Repubblica. Lionel Jospin venne a Roma ed elaborò un comunicato congiunto con noi. La Francia non era direttamente interessata alla trattativa sugli euromissili ma, detenendo una sua autonoma force de frappe nucleare, non era certamente favorevole al potenziamento dei missili sovietici a medio raggio.
Andrea Ricciardi. Spesso nel PSI fu invocata la “lezione” di Eugenio Colorni. Tuttavia, contestualizzando il suo pensiero e la sua azione, si ha la sensazione che le sue proposte fossero da collocare all’interno della Seconda guerra mondiale e che, dopo il 1945 e durante la Guerra fredda, anche successivamente all’abbandono del frontismo e alla nascita della CEE, non fossero più realmente attuali. Cosa ne pensi? Gli Stati Uniti d’Europa, tenendo conto del peso “storico” dei grandi Stati-nazione in Europa Occidentale, si potevano conciliare con un’Europa socialista, come fu sostenuto da chi credeva in una posizione di neutralità tra i blocchi?
Valdo Spini Credo che la morte di Eugenio Colorni, ucciso dai fascisti a Roma durante la Resistenza pochi giorni prima della liberazione della città, abbia molto ritardato una presa di coscienza socialista sull’argomento. Si deve ricordare che, al confino di Ventotene, Sandro Pertini aveva inizialmente aderito al Manifesto federalista ma che, poi, era stato consigliato dal partito di ritirare la firma. Sul ritardo del PSI influiva indubbiamente la politica di unità di azione col PCI, allora contrario alla politica europeista. L’astensione del PSI sul MEC nel 1957, motivata da un bellissimo discorso parlamentare di Riccardo Lombardi, fu uno dei primi concreti segnali di autonomia socialista.
Andrea Ricciardi Come descriveresti gli sforzi fatti, a partire dagli ultimi anni Settanta, per la promozione dell’Europa politica da parte di sei esponenti del PSI: Antonio Giolitti, Craxi, Gaetano Arfè, il già citato Zagari, Giorgio Ruffolo e Michele Achilli? Per cosa si caratterizzò ognuno di loro?
Valdo Spini Hai scelto indubbiamente i nomi giusti: Giolitti fu un impegnato Commissario europeo; Craxi, da presidente del Consiglio, al tempo della presidenza della Commissione da parte di Jacques Delors, mise in minoranza Margaret Thatcher nel Consiglio Europeo di Milano del giugno 1985; Gaetano Arfè esercitò con serietà la funzione di deputato europeo; Zagari e Ruffolo, ambedue deputati europei, avevano fatto parte addirittura della corrente Iniziativa Socialista che, nel 1947, aveva aderito alla scissione di Saragat proprio perché ne condivideva l’approccio sui temi della politica estera ed europea in particolare; Achilli, che era a sua volta particolarmente attivo in politica estera, lavorò molto per il collegamento fra le sinistre socialiste dei partiti socialisti e laburisti europei. Ma mi permetterei di aggiungere al tuo elenco proprio Riccardo Lombardi che, nella fase finale della sua vita, non aveva smesso di interessarsi attivamente all’Europa. Quando, per esempio, organizzammo con Francesco Forte un convegno sul tema dell’ECU, che si pensava potesse diventare l’anticamera di una vera e propria moneta europea, ricordo molto bene che Lombardi ci tenne a presenziare e a esprimermi personalmente il suo compiacimento. Era il periodo della mia vicesegreteria del partito, tra il 1981 e il 1984.
Andrea Ricciardi M’interessa qualcosa in più delle iniziative e delle proposte in cui tu fosti protagonista. Quali furono i successi e quali le delusioni? Chi, tra i vertici delle altre forze politiche, era più attento alla formazione dell’Europa politica nella DC, nei cosiddetti partiti laici “minori” e nel PCI, che pure (lo hai ricordato prima) arrivò all’europeismo con un po’ di ritardo?
Valdo Spini Furono tante le missioni in Europa che mi vennero affidate in quegli anni, alcune anche prima che diventassi deputato. Nel 1978, a Rotterdam, nella Conferenza Internazionale socialista sul Cile; a Gerusalemme e a Tel Aviv, per il congresso del Partito laburista israeliano con Yitzhak Rabin e Shimon Peres; a Lisbona nella riunione contro l’Apartheid. Ma vorrei richiamare qui nuovamente l’iniziativa su “L’ECU: una moneta per l’Europa”. Per il suo carattere visionario, il convegno sull’ECU, a cui partecipò anche il Commissario europeo competente dell’epoca François Xavier Ortoli, fu all’avanguardia. La delusione? È che certamente questo non contò nulla nella mia riconferma alla vicesegreteria del PSI. Nel settembre di quell’anno non venni confermato anche se la mia “esecuzione” fu rinviata di una settimana a causa della morte di Riccardo Lombardi. Potei quindi ricordarlo in uno dei due editoriali che uscirono su l’Avanti! (l’altro fu di Claudio Martelli), anche se non mi lasciarono parlare ai suoi funerali. Per quanto riguarda gli altri esponenti politici, ricordo soprattutto Giorgio Napolitano per il suo attivo europeismo, in parte ereditato da Giorgio Amendola. Napolitano fece tanto, tantissimo, per accreditare la politica europeista del PCI, che non a caso fece eleggere al Parlamento europeo lo stesso segretario Enrico Berlinguer. Nella DC c’era la tradizione degasperiana che, poi, si manifestò nei ministri degli Esteri Emilio Colombo e Giulio Andreotti. Se vuoi un aneddoto, quando Helmut Schmidt dovette lasciare il cancellierato a Helmut Kohl, quasi nessuno della politica italiana prendeva sul serio quest’ultimo. Ricordo che quando con Craxi e Martelli si andò a parlare con Amintore Fanfani in vista della formazione del suo quinto governo, nel 1982, l’anziano statista democristiano ci disse: “attenti, questo è un omino molto bravo”. A parte l’espressione “omino”, Kohl era fisicamente un omone, la profezia doveva rivelarsi corretta. Voglio dire che Fanfani, venendo da quella tradizione, mostrò un certo intuito.
Andrea Ricciardi In conclusione una parentesi sulla nascita del PSE, cosa ricordi di quel momento?
Valdo Spini L’Unione dei partiti socialisti europei fu la progenitrice del Partito dei socialisti europei (PSE), fondato all’Aja nel dicembre del 1992, con la partecipazione sia del PSI sia del PDS di Achille Occhetto. Ero sottosegretario agli Esteri, ma facevo parte della delegazione socialista guidata da Craxi, già come uno dei candidati in pectore alla sua successione (febbraio 1993). Purtroppo, vi fu in quell’occasione una quasi totale incomunicabilità fra Craxi e Occhetto. Indubbiamente si trattò di un’occasione perduta per la sinistra italiana. Oggi però è vitale per la stessa identità del PD, che al PSE aderisce, riproporre un collegamento ideale e politico fra tradizione socialista europea e tradizione socialista italiana. È uno dei punti di riferimento importanti per il rilancio del centro-sinistra in Italia. Tanto più se si pensa alla posta in gioco delle elezioni europee di questo difficile 2024: riusciranno le destre a eliminare i socialisti dalla maggioranza che regge le istituzioni europee? Credo di no, ma penso altresì che questo tema dovrebbe interessare particolarmente noi italiani.