L'approfondimento

Democrazia Futura. Il populismo grillino alla resa dei conti

di Roberto Amen, giornalista, scrittore e conduttore televisivo, già vicedirettore di Rai Parlamento |

Perché è fallito il tentativo di scardinare il bipolarismo all’italiana

Roberto Amen
Roberto amen

L’approfondimento sul quadro politico nell’estate 2021 si conclude con un pezzo di Roberto Amen “Il populismo grillino alla resa dei conti” in cui il giornalista spiega – come recita l’occhiello – “Perché è fallito il tentativo di scardinare il bipolarismo all’italiana”. L’articolo prende spunto da quello che Amen definisce “L’inciampo di Grillo” in occasione de “l’intemerata difesa del figlio nella vicenda giudiziaria dei presunti stupri in casa del comico” che “ha guastato una lunga intesa decennale con il pubblico e ha appannato quel che rimaneva della sua collaudata credibilità ‘mediatica’” contribuendo “a sperperare un grande patrimonio di consensi accumulato in anni di picconate al potere”.  Nel paragrafo su “Il declino del populismo e i suoi riflessi su Lega e Movimento 5 Stelle, partiti di lotta e di governo” Amen evidenzia come “Lega e M5S hanno incarnato e, diciamolo pure, deliberatamente coltivato due forme di populismo. Solo che nello scontro, quello grillino ha avuto meno successo di quello leghista, che poteva contare su un propellente supplettivo, quello del sovranismo”. Riferendosi alla prima stagione del movimento ai tempi di Gianroberto Casaleggio, Amen osserva come la stessa  “democrazia diretta non è un’evoluzione di quella parlamentare ma semmai una sua degenerazione, ancor più grave se gestita da un’azienda privata. Senza contare che la Casaleggio & Associati era più vicina ad una logica di quell’aziendalismo del nord che ha alimentato il sogno leghista, che del ribellismo di classi sociali disorientate, che abbracciavano l’antipolitica”. Mentre oggi al contrario “la cooptazione di Giuseppe Conte come leader del Movimento [segna]  Quanto di più antropologicamente lontano si possa immaginare dal movimentismo “scravattato” degli inizi”.


Ci sono espressioni dialettali che rendono in una sola parola dei concetti molto più complessi della loro semplice traduzione in lingua italiana. Nella lingua di Beppe Grillo, il genovese, una di queste espressioni è riferita a un atteggiamento prudente e riflessivo che il fondatore del Movimento 5 Stelle non sembra davvero aver fatto proprio, a dispetto della maggioranza dei suoi concittadini generalmente ispirati ad una sana e connaturata accortezza.

Manimàn nei dizionari genovese-italiano, viene tradotto con “non si sa mai” o “non si può mai sapere”. Se dico una certa cosa o faccio una certa azione, “potrebbe capitare che…”. Manco a dirlo Grillo ha sempre avuto una scarsa propensione per la cautela e la circospezione, con una serie di affermazioni che fatalmente gli si sono ritorte contro.

L’inciampo di Beppe Grillo: come sperperare un capitale di consenso accumulato in anni di picconate al potere

L’elenco di tali azzardi è parecchio lungo ma ha raggiunto il suo culmine con l’intemerata difesa del figlio nella vicenda giudiziaria dei presunti stupri in casa del comico, a Porto Cervo. Dove si è affacciata all’orizzonte una serie tale di errori, da sembrare animata da una pulsione autolesionista. È stato devastante quel soliloquio isterico, sopra le righe, che conteneva l’idea perfidamente strisciante che, se quelle ragazze, quella sera erano lì e una di loro il giorno dopo era andata a lezione di kite surf, beh allora in qualche modo se l’erano cercata. Un vecchio arnese del più bieco maschilismo. E poi il tono, in quella circostanza urticante, che non poteva essere lo stesso con cui si scagliava contro il potere dei partiti, della politica e delle istituzioni, nei suoi affollati spettacoli-comizi. In quella sede non c’era un nemico da insultare e dileggiare con il facile e scontato consenso della platea plaudente. La qual cosa ha fatto apparire il tutto come lo sfogo, sia pure comprensibile, di un padre che sta soffrendo. Si è trattato comunque di un inciampo dai tratti ingenui che ha guastato una lunga intesa decennale con il pubblico ed ha appannato quel che rimaneva della sua collaudata credibilità “mediatica”.  

Ora analisti e i sondaggisti valutano il peso elettorale del M5S, sempre più al ribasso.  

Viene da chiedersi come mai Grillo e gran parte del Movimento, siano riusciti a sperperare un grande patrimonio di consensi accumulato in anni di picconate al potere. Chi, almeno per una volta e per un attimo non ha preso quelle picconate con favore, magari più per spirito di rivalsa contro il potere e le caste, che per una ponderata visione politica.  

Il declino del populismo e i suoi riflessi su Lega e Movimento 5 Stelle, partiti di lotta e di governo

Che il declino del populismo abbia giocato un ruolo importante, non ci sono dubbi, lo dimostra l’immagine speculare della situazione in cui versa la Lega. Forse anche il populismo necessita di una impalcatura ideologica meno fragile di quella offerta da Lega e M5S.

Certo che l’acceso di entrambi nell’esecutivo del primo governo Conte aveva avuto come conseguenza il dover essere partiti di lotta e di governo. Circostanza che nel Movimento, prima forza politica e parlamentare uscita dalle elezioni legislative del marzo 2018 con oltre il 32 per cento dei voti, ha provocato una perdita di consensi inaspettata.

Nella Lega, più strutturata, ad entrare in crisi non sembra essere il consenso quanto piuttosto la leadership di Matteo Salvini messa sempre più in discussione da concorrenti interni governisti come Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia. Chi indica gli “extracomunitari” e gli “stranieri”, come nemici del paese, ha più possibilità di far presa rispetto a chi si scaglia contro i “ladri” e i “parassiti”.  La paura del diverso vince contro la repulsione nei confronti della casta ladrona.  

Lega e M5S hanno incarnato e, diciamolo pure, deliberatamente coltivato due forme di populismo. Solo che nello scontro, quello grillino ha avuto meno successo di quello leghista, che poteva contare su un propellente supplettivo, quello del sovranismo.

A voler ricorrere ad una analisi meno politologica e più comportamentale, le azioni politiche dell’ultimo Grillo presentano aspetti di incoerenza che vanno al di là della sua intrinseca natura, mutante e polivalente, fino ad ora giustificata e accettata benevolmente come un tratto artistico del personaggio.

Dimenticare Grillo dopo Casaleggio basterà  all’”avvocato del popolo” Giuseppe Conte per salvare la scialuppa destinata dopo le amministrative ad essere priva di sindaci e amministratori rilevanti e con una ridotta squadra di governo?

L’aver di fatto rinnegato tutte le parole d’ordine del movimento, finisce per ricadere tutto quasi interamente sulle sue spalle, dopo la morte di Gianroberto Casaleggio.

In tanti diranno…”ma io l’avevo detto che con – uno vale uno – non si andava da nessuna parte”, che la democrazia diretta non è un’evoluzione di quella parlamentare ma semmai una sua degenerazione, ancor più grave se gestita da un’azienda privata. Senza contare che la Casaleggio & Associati era più vicina ad una logica di quell’aziendalismo del nord che ha alimentato il sogno leghista, che del ribellismo di classi sociali disorientate, che abbracciavano l’antipolitica.

Ma ad impersonare la rapida mutazione genetica dei 5 stelle, è stata la cooptazione di Giuseppe Conte come leader del Movimento. Quanto di più antropologicamente lontano si possa immaginare dal movimentismo “scravattato” degli inizi. Eppure nel credito un po’ “azzimato” del professore presso gli italiani, si gioca il futuro del Movimento, la sua capacità di rimanere a galla, difficilmente conservando l’attuale dote di voti. 

E ancora più irta di incognite è l’altra carta di sopravvivenza, quella legata all’alleanza con un Pd, a sua volta alla ricerca di sé stesso, titubante sull’ipotesi di creazione di quella “sinistra larga” che suggerisce Pierluigi Bersani. Certo un’ipotesi quest’ultima che reindirizzerebbe il sistema verso il bipolarismo.

Di sicuro la tornata elettorale nelle grandi città darà la misura della necessità di intraprendere una delle due strade o tutte e due contemporaneamente.

E quindi a cosa è servito il grillismo? A costruire una variante populista di sinistra, alternativa al sovranismo, o cos’altro?

Ma sarebbe un errore archiviare quel che resta del populismo pensando che sia stato solo un fuoco di paglia, incidente di percorso che gli stessi partiti che ne hanno portato il vessillo, hanno frettolosamente abbandonato confidando nella smemoratezza di una opinione pubblica sempre più mutevole e al fondo, sempre più stanca e disillusa. Al punto da far crescere il partito dell’astensionismo, almeno nei sondaggi, in maniera sempre più rilevante.

Sarebbe invece più proficuo riflettere sulla natura sempre più complessa dei problemi che si prospettano davanti.

Ce la dovrebbero rammentare in maniera assai concreta le scelte che inevitabilmente la politica sarà chiamata a fare per impiegare i soldi del Recovery fund, per cui noi italiani verremo giudicati con rigore dai partner europei a cui non si potranno opporre scuse: sarà l’esame più severo e senza appello della nostra (almeno in parte) recuperata credibilità internazionale, grazie a Mario Draghi e non certi ai partiti che sostengono il suo governo. Saremo di fronte ad una giuria che, dal momento che stavolta “paga di tasca propria”, sarà poco propensa a concedere sconti. 

Ma la complessità della politica dovrà essere in grado di adattarsi a quella del mondo se vuole ancora avere la pretesa di orientarlo e non di subirlo senza capire dove ci porta, senza comprenderne le dinamiche nuove e le interconnessioni.

La necessità per i partiti di ricostruire una classe dirigente all’altezza delle sfide di una società complessa : i limiti della democrazia diretta e della disintermediazione nella versione grillina

Abbiamo necessità di una classe politica che non può continuare a blandire una interpretazione rozza e semplicistica della società, alimentandola di slogan sotto i quali non si percepisca nulla di meditato ma solo appelli alle pance. Di quelli che vanno in direzione opposta alla complessità verso una semplificazione incompatibile con l’intelligenza media delle persone.

Se ci renderemo conto che non possiamo coprire con l’asfalto della semplificazione le strade che portano ad un futuro sempre più complesso e che a questo dobbiamo adattare le nostre potenzialità intellettive se vogliamo affrontarlo con strumenti adeguati. Se non abbandoneremo il presentismo emergenziale non saremo all’altezza della nostra stessa natura umana.

Democrazia diretta e disintermediazione, di cui Grillo è stato un fautore, come sogno per il futuro sembrano sempre più chimere destinate a fallire. L’evoluzione degli strumenti democratici ha bisogno di fare i conti con la complessità di istanze sempre più specifiche, sempre più profilate su gruppi eterogenei, su categorie nuove ma anche sulle promesse di un futuro tecnologicamente più avanzato. Un futuro che rischia di sopravanzare ogni capacità di gestione, se non adeguatamente compreso in tutte le sue implicazioni.

Le promesse di un progresso che va verso traguardi inimmaginabili con la connessione dell’elemento biologico con quello digitale, la imprevedibile capacità di calcolo promessa dai computer quantici, le tecniche di manipolazione genetica, vanno comprese e i loro esiti previsti, da persone all’altezza, capaci di elaborare modelli di convivenza sempre più sofisticati e avanzati, altro che uno vale uno, altro che l’impersonalità dell’Uomo-Massa e dello Stato-Macchina, solo in apparenza imparziale ed equanime.

Un modesto suggerimento al mio concittadino Beppe Grillo: rinunci alla “sindrome di Crono”

Caro Beppe, se vuoi ancora lasciare il segno attrezzati per inoculare questi agenti della complessità nella tua creatura se vuoi mantenerla in vita e prepararla al futuro. Magari ritornando ai tuoi spettacoli-comizio, il modello comunicativo che ti è più congeniale, ma stavolta con obiettivi più alti.

Rinuncia alla “sindrome di Crono”, quella del creatore che odia persino l’idea che la sua creatura si distacchi da lui. O del padre che odia i figli per la sola ragione, biologica, che gli sopravviveranno.

E quando ti viene in mente qualcosa, usa la regola del manimàn e chiediti che conseguenze potrà avere su di te e sul tuo popolo.

Ammesso che ancora ti appartenga.

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