Gianluca Veronesi esamina per Democrazia futura la secca sconfitta del PD, un partito passato – secondo l’autore – dalla gregarietà di Nicola Zingaretti verso Giuseppe Conte alla recente sudditanza di Enrico Letta verso Mario Draghi. Passando da una fascinazione all’altra “Il PD ha perso o si è perso?” Anziché andare subito ad un congresso rifondativo che si trasformerebbe solo in una “conta a chi ambisce a stare con Conte e chi con Calenda”, Veronesi lancia un invito a inventarsi “nuovi modi di fare opposizione”: “Attraversi il deserto senza fretta!”.
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Può un partito – che si definisce a vocazione maggioritaria e che avrebbe l’ambizione di essere il front man di un campo largo – passare da una fascinazione all’altra?
Si va da una gregarietà verso Giuseppe Conte -“punto di riferimento del progressismo” ai tempi di Luca Zingaretti – ad una sorta di recente sudditanza verso Mario Draghi.
Adottare, in un governo di emergenza nazionale, l’agenda del miglior tecnico del nostro paese non significa abbandonare (avendola?) la propria, caso mai mediarla.
Il PD ha una lunga storia alle spalle, è dotato di dirigenti tra i più qualificati, con un elettorato mediamente colto, per ciò ha la presunzione di essere indispensabile.
Ritengono di essere predestinati, per il bene della nazione, a portare il loro contributo solo nel ruolo di ministri. Sono affetti da governismo acuto.
Naturalmente è legittimo ed anche utile ricoprire il ruolo di ministro perché significa essere nella posizione di poter cambiare le cose (si chiama riformismo).
Allora mi chiedo: perché avendo partecipato a tutti gli esecutivi degli ultimi dieci anni (con l’eccezione dell’anno del “Conte1”) non hanno messo mano a modificare una legge elettorale così demenziale.
Perché – essendo nella stanza dei bottoni – non hanno riformato le norme del reddito di cittadinanza, mantenendo assolutamente la contribuzione ai nuclei familiari bisognosi e non protetti ma abolendo tutto il comparto relativo alla ricerca del lavoro.
Si è capito che nessuno è ansioso di accettare una “modesta” offerta che annulla in un colpo solo un comodo contributo mensile e i lavoretti in nero.
Tanto è vero che hanno abolito – per conclamata inutilità – i mitici “navigator” (Luigi Di Maio pecca di tempismo ma non di fantasia) con il risultato che è venuto meno l’architrave del modello e tutto il sistema gira a vuoto.
Se l’avessero fatto, le elezioni sarebbero risultate meno “drogate” e più eque in quanto i 5Stelle non avrebbero potuto approfittare così sfacciatamente di quella rendita di posizione.
Con una ulteriore e nefasta conseguenza: si è creata una netta differenziazione nel voto tra nord e sud Italia e il nostro mezzogiorno non aveva certo bisogno di una ennesima ghettizzazione alla insegna dell’assistenzialismo.
Tutto ciò ha prodotto anche il risultato che la Lega può definitivamente abbandonare il sogno di diventare un partito nazionale.
Certo che fa impressione vedere Giuseppe Conte guardare dall’alto in basso Luigi Di Maio e Matteo Salvini, i suoi ex vice presidenti del Consiglio che lo ignoravano quando non lo umiliavano, al punto di sembrare egli il vice dei suoi vice. Uno è morto, l’altro è mortificato.
Altro che congresso rifondativo. Nel PD si aprirà la conta a chi ambisce stare con Conte e chi con Calenda.
Con una avvertenza: nessuno dei due sarà ansioso e lusingato dalla loro attenzione. La psicologia dei politici è basica e primordiale. Quindi vendicativa.
Scaricheranno la frustrazione di essere stati snobbati per anni dai sussiegosi esponenti Democratici.
Non capisco che fretta c’è! Se hai dei valori e la determinazione per farli trionfare, mettiti a lavorare e i risultati arriveranno.
La vittoria della destra è troppo netta e c’è troppo potere da dividere perché gli alleati di Giorgia Meloni provino a fare qualche sgambetto.
L’attraversamento del deserto sarà lungo, bisogna anche inventare nuovi modi di fare opposizione perché quelli novecenteschi non funzionano più.
Le alleanze nasceranno spontaneamente combattendo gli stessi avversari e si scoprirà che il mondo è molto complicato, che c’è tanta sofferenza e tanta ingiustizia ma che applicando la propria intelligenza e la propria generosità si possono ridurre.