A quasi due mesi dalla scomparsa, Filippo Pogliani rievoca per la rubrica “Memorie nostre” di Democrazia Futura la figura del suo maestro, il filosofo triestino Fulvio Papi, a lungo docente di filosofia teoretica e di epistemologia all’Università di Pavia.
_________________
Nella primavera del 1974 fui invitato a casa da Renato Fabietti, mio professore di Storia e Filosofia al Liceo Carducci di Milano. Fabietti era già parecchio noto per il manuale “Elementi di Storia” scritto insieme ad Augusto Camera.
Il gratissimo invito era legato a identificare la scelta migliore per l’università, visto che ero molto incline a percorrere la strada nell’area umanistica. Fabietti mi spiegò che la scelta migliore per me sarebbe stata quella di iscrivermi non alla Statale di Milano ma a Pavia, dove peraltro anche suo figlio Ugo (che successivamente sarà stato uno dei più importanti antropologi italiani) stava finendo gli studi con Fulvio Papi, professore di Filosofia teoretica ed Epistemologia.
C’è da dire che la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pavia era considerata come uno spazio di nicchia che aveva allora un rapporto studenti/docenti migliore di Oxford, ossia un docente ogni undici studenti, ed era famosa per l’eccellenza di alcuni nomi che vi insegnavano: Maria Corti, Cesare Segre, Dante Isella, Mario Vegetti, Franco Alessio, Egle Becchi, Giulio Chiodi. Poi c’era Fulvio Papi, che è stato il mio maestro. Fulvio Papi è scomparso il 21 novembre 2022 all’età di 92 anni. Nato a Trieste, ha studiato a Milano come allievo di Antonio Banfi insieme a Carlo Sini, Remo Cantoni, Giulio Preti, Rossana Rossanda.
Aveva fin da giovane mostrato un’importante cifra personale di impegno politico e civile: socialista lombardiano, si dimise alla vicedirezione dell’Avanti! nel 1963 perché aveva colto segnali preoccupanti nel partito socialista e iniziò la sua carriera accademica che durò ben 35 anni. In Papi la filosofia, nel percorso dei suoi studi, da quelli su Giordano Bruno e Karl Marx, agli studi sulle topologie della ragione, alla teorizzazione della filosofia come scrittura della contingenza e l’apertura a ventaglio della filosofia sui linguaggi creativi (poesia, letteratura, arte, architettura) non è mai stata pensata come mera produzione di visioni del mondo, bensì quale costante e puntuale considerazione (critica) dei suoi strumenti di significazione, del suo peculiare della parola e della sua pratica del pensiero.
Il suo impianto teoretico è sorretto da una passione responsabile e da una sensibilità teoretica peculiare, cioè dalla passione per la verità e insieme dalla sensibilità per la sua radice temporale e contingente e per i suoi giochi plurali. È come se in Papi ci fosse una qualità filosofica espressa attraverso grandi temi come l’idealità del pensiero e insieme la sua finitezza, la volontà di pensiero e insieme il sentimento di una frattura nel linguaggio. Questo vuol dire ricercare un’articolazione coerente del pensare sul fare e un’attenzione per i problemi della polis, il “fare filosofico”.
Il bisogno di legare il contenuto concettuale del pensiero filosofico con il contesto portò alla redazione del manuale per i licei “Filosofie e società” (Vegetti, Fabietti, Alessio e Papi) che ebbe una notevole diffusione. Bisogna ricordare ancora la sua continua passione nell’organizzazione di istituti culturali come Corrente o Casa della Cultura di Milano.
Ma un elemento estremamente importante è stata anche la creazione della “sua” scuola filosofica di Pavia fin dagli anni Settanta che è stata una fucina straordinaria di elaborazione teoretica e di discussione concettuale, la cui espressione fu la redazione della rivista “Materiali filosofici”.
Il fare filosofico tipico di Papi lo portava a identificare insieme ai suoi allievi i percorsi più impegnativi (innovativi per quei tempi!) e i temi fondanti: Michel Foucault, Louis Althusser e lo strutturalismo marxiano, l’estetica di Friedrich Nietzsche, l’antropologia culturale, la linguistica, la filosofia della storia e la epistemologia, il teatro di Antonin Artaud, la teologia, la sociologia. Alcuni dei suoi allievi (quali Luisa Bonesio e Ugo Fabietti, per esempio) hanno avuto una notorietà internazionale di alto livello nelle aree di Estetica e Antropologia. Le riunioni della rivista che si svolgevano nella sua casa a Lambrate erano uno spazio di discussione straordinario, per me studente, che mi portava successivamente a rielaborare e a studiare e capire anche meglio. E come studente facevo gli esami con lui di Filosofia teoretica (I-II e III) e di Epistemologia e non faceva nessuno sconto. L’esame durava circa tre ore e mi ricordo ancora il programma di Teoretica II: tutto Marx (tutto, dai Manoscritti del ’44 al Capitale), tutto Georg Wilhelm Friedrich Hegel (dalla Fenomenologia all’Estetica), le tre critiche di Immanuel Kant e una decina di testi di altri autori.
Papi apriva un testo tra quelli che ho menzionato e chiedeva di leggere un passo e commentarlo e discuterlo insieme. Poi passava a un altro testo e continuava fino a che non era soddisfatto. Nel 1985, gli chiesi una presentazione al mio libro L’ideologia e la sua critica. Dopo Marx e Althusser[1]. Con la sua usuale gentilezza mi mandò il testo che dice tantissimo del suo modo di pensare e fare filosofico.
“Questo libro è nato in un clima di riflessione filosofica che ha impegnato, per quanto potevamo, i miei allievi e me stesso. (…) Forse la gioia più grande dell’essere insegnanti all’Università è vedere i propri allievi percorrere i sentieri che erano stati indovinati ma che una qualsiasi mancanza, la fede, il coraggio, o la forza, aveva lasciato senza percorso. Questa piccola confessione credo valga a testimoniare l’affetto, oltre che la stima filosofica, con cui inauguro le pagine di Filippo Pogliani.”
Grazie, Maestro!
[1] Filippo Pogliani, L’ideologia e la sua. Critica. Dopo Marx e Althusser, Milano, Franco Angeli, 1985, 152 p.