Approfondimento

Democrazia Futura. I turbamenti dei produttori indipendenti

di Erik Lambert, consulente tv e tlc, direttore di The Silver Lining Project |

Le vere questioni di cui non si parla, ovvero Il dibattito assente nella riforma del Testo Unico. Il focus di approfondimento promosso da Democrazia futura si avvia a conclusione, con un'analisi di Erik Lambert, consulente tv e tlc, direttore di The Silver Lining Project.

Erik Lambert

Il focus di approfondimento promosso da Democrazia futura si avvia a conclusione con un’analisi di Erik Lambert, consulente tv e tlc, direttore di The Silver Lining Project, relativa a “Le vere questioni di cui non si parla, ovvero Il dibattito assente nella riforma del Testo Unico”. Nel suo pezzo dal titolo “I turbamenti dei produttori indipendenti”, parlando del vecchio Tusmar, Lambert scrive: “Nel testo precedente, un produttore era considerato indipendente a condizione che non fosse controllato da un emittente soggetta alla legislazione italiana e, come opzione, che possedesse i diritti secondari o che non lavorasse quasi esclusivamente per una sola emittente. Il progetto del governo sottoposto alle Camere il 6 e 7 agosto, eliminava questa seconda condizione e definiva il produttore indipendente come il titolare dei diritti secondari (sempre a condizione di non essere controllato da un emittente). In aggiunta, però, ampliava la nozione di controllo per estendere il divieto di controllo anche alle emittenti non soggette alla legge italiana ma che offrono servizi alla popolazione italiana”. […] La professione ha protestato, e dopo i rilievi sollevati dal Parlamento, è stata ripristinata una formulazione molto vicina a quella iniziale. Nella fretta di cui sopra, ci si è perfino dimenticati di introdurre il divieto di controllo da parte di emittenti non stabilite in Italia, un dettaglio che potrebbe consentire l’accesso agli aiuti dello Stato italiani a produttori legati a piattaforme internazionali”. Nel nuovo Tusma l’Art. 3 comma t: recita questa definizione di “produttori indipendenti”: “gli operatori della comunicazione europei che svolgono attività di produzioni audiovisive e che non sono controllati da, ovvero collegati a, fornitori di servizi media audiovisivi soggetti alla giurisdizione italiana e, alternativamente: 1) per un periodo di tre anni non destinano più del 90 per cento della propria produzione ad un solo fornitore di servizi media audiovisivi;  ovvero 2) sono titolari di diritti secondari […]Tanto rumore per nulla”, quindi, visto che alla fine si è tornati quasi al testo in vigore? – si chiede Lambert – rispondendo: “Non esattamente: anche qui si è persa una grande occasione, perché i cambiamenti sono più che necessari, nel mercato della produzione, in particolare, dopo l’ingresso in forze delle grandi piattaforme internazionali e di gruppi extra Unione europea che stanno facendo shopping di compagnie di produzioni “indipendenti” per accedere ai mercati ed alle risorse pubbliche nazionali di cui l’Europa è ricca. Come già notato, il divieto di controllo limitato alle aziende italiane rimane un “buco” normativo evidente in un mercato che non è più nazionale, nemmeno europeo ma semplicemente globale”. Lambert si chiede poi se “I diritti secondari riservati ai produttori indipendenti nel nuovo mercato globale hanno ancora senso?” Poiché “non corrisponde più alla situazione in cui si trovano oggi i produttori italiani ed europei che intavolano trattative con le grandi piattaforme internazionali (e, per estensione, anche con i broadcaster nazionali e i loro consorzi paneuropei). In questo nuovo scenario, la nozione di diritti secondari è fortemente limitata, visto che le piattaforme internazionali hanno bisogno di diritti globali come uso primario. Inoltre, queste piattaforme con sede negli Stati Uniti, sono tentate di applicare le abitudini contrattuali che conoscono in patria, che spesso si traducono in un trasferimento di quasi tutti i diritti, inclusi quelli di proprietà intellettuale, al committente”. Ne conclude che “Il “curioso incidente” della modifica-che-poi-non-ha-modificato-più-di-tanto questa definizione nel nuovo TUSMA non fa che evidenziare l’urgente necessità di ripensare il ruolo dei produttori indipendenti, e il sostegno che lo Stato può dare loro, per tenere conto dei cambiamenti in corso e di quelli che stanno già avvenendo in tutto il mondo, incluso in Italia dove molte delle maggiori compagnie italiane di produzione “indipendenti”, di fatto non sono più in mano italiane”.

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Tradizionalmente, le grandi operazioni come i colpi bassi politici o finanziari accadevano intorno al 15 agosto, ma dalla crisi del Papeete in poi (avvenuta il 3 agosto 2019), c’è la tendenza ad anticipare di qualche settimana. Il piano del governo per “adattare” il TUSMA (1) e recepire le recenti disposizioni europee, direttiva e decisione della Corte di Giustizia, è stato trasmesso al Parlamento dopo un’audizione ultra-rapida – e in videoconferenza! – il 3 agosto 2021 (2) per “acquisire l’orientamento degli operatori economici e dei detentori di interessi”. Dopo questa audizione, un testo complesso è stato presentato il giorno dopo dal ministro competente (MISE) e approvato dal Consiglio dei ministri nemmeno 48 ore dopo, il 5 agosto, un tempo davvero molto breve per poter  recepire qualsiasi suggerimento.

Una procedura insolita che ha prodotto diverse anomalie (come rimarcato da altri interventi di questo speciale),  fra cui uno “strano incidente” intorno alla definizione di produttore indipendente, inizialmente modificato e poi riportato allo stato originario. Nel testo precedente, un produttore era considerato indipendente a condizione che non fosse controllato da un’emittente soggetta alla legislazione italiana e, come opzione, che possedesse i diritti secondari o che non lavorasse quasi esclusivamente per una sola emittente (3).

Il progetto del governo sottoposto alle Camere il 6 e 7 agosto, eliminava questa seconda condizione (4) e definiva il produttore indipendente come il titolare dei diritti secondari (sempre a condizione di non essere controllato da un’emittente). In aggiunta, però, ampliava la nozione di controllo per  estendere il divieto di controllo anche alle emittenti non soggette alla legge italiana ma che offrono servizi alla popolazione italiana.

L’industria si è chiesta quale fosse la ragione del primo cambiamento? A un osservatore esterno non sembrano esserci che tre risposte possibili: o un errore del redattore; o la volontà di rafforzare il ruolo dei “diritti secondari” nella definizione di produttore indipendente; o un tentativo di limitare certi accordi di collaborazione a lungo termine tra produttori indipendenti dal capitale (ma di successo) e l’emittente a cui sono storicamente legati, forse per indurli a cambiare emittente… senza dimenticare che il “produttore indipendente” ha accesso a fondi specifici ed è un beneficiario privilegiato degli obblighi di produzione a cui le emittenti sono soggette.

La professione ha protestato, e dopo i rilievi sollevati dal Parlamento, è stata ripristinata una formulazione molto vicina a quella iniziale. Nella fretta di cui sopra, ci si è perfino dimenticati di introdurre il divieto di controllo da parte di emittenti non stabilite in Italia, un dettaglio che  potrebbe consentire l’accesso agli aiuti dello Stato italiani a produttori legati a piattaforme internazionali.

Ecco infatti il testo finale (o almeno quello approvato al Consiglio dei Ministri del 4 novembre 2021 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 dicembre 2021) che all’art. 3 comma t) recita questa definizione di “produttori indipendenti”: “gli operatori della comunicazione europei che svolgono attività di produzioni audiovisive e che non sono controllati da, ovvero collegati a, fornitori di servizi media audiovisivi soggetti alla giurisdizione italiana e, alternativamente:

1. per un periodo di tre anni non destinano più del 90 per cento della propria produzione ad un solo fornitore di servizi media audiovisivi;

ovvero

2. sono titolari di diritti secondari;”

Tanto rumore per nulla

Come è possibile spiegare questo strano incidente?

La direttiva europea non contiene alcuna definizione di produttore indipendente o di produzione indipendente, lasciandola agli Stati membri. Quindi, in assenza di ciò, non c’era bisogno di modificare la definizione italiana nel recepimento di una direttiva che non tratta l’argomento. Tuttavia, l’Europa si era già interessata alla questione nel 1989 e riteneva che “l’obbligo di trasmettere, ove possibile, una certa proporzione di produzioni indipendenti, realizzate da produttori che non dipendono dalle emittenti televisive, stimolerà nuove funzioni”, avrebbe stimolato la  produzione televisiva, in particolare attraverso la costituzione di piccole e medie imprese, che avrebbero offerto “nuove opportunità e nuovi sbocchi per talenti creativi nonché per le professioni e i lavoratori del settore culturale” (5).

Nella revisione della Direttiva SMAV del 1997, è stato aggiunto (sempre nei “consideranda”) che per promuovere la produzione di opere europee, è essenziale che la Comunità europea, tenendo conto della capacità audiovisiva di ogni Stato membro e della necessità di proteggere le lingue meno diffuse dell’Unione europea, promuova le attività dei produttori indipendenti”; ed inoltre che gli Stati membri, nel definire la nozione di “produttore indipendente”, avrebbero dovuto tener conto di criteri come “la proprietà della società di produzione, l’entità dei programmi forniti alla stessa emittente e la proprietà dei diritti di sfruttamento secondari” (6).

“Tanto rumore per nulla”, quindi, visto che alla fine si è tornati quasi al testo in vigore?

Non esattamente: anche qui si è persa una grande occasione, perchè i cambiamenti sono più che necessari, nel mercato della produzione, in particolare, dopo l’ingresso in forze delle grandi piattaforme internazionali e di gruppi extra Unione europea che stanno facendo shopping di compagnie di produzioni “indipendenti” per accedere ai mercati ed alle risorse pubbliche nazionali di cui l’Europa è ricca.

Come già notato, il divieto di controllo limitato alle aziende italiane rimane un “buco” normativo evidente in un mercato che non è più nazionale, nemmeno  europeo ma semplicemente globale. Per questo motivo, ricondurre la definizione di “produttore indipendente” solo alla detenzione dei diritti secondari è un’altra [prova di] debolezza.

Vale la pena di ricordare, peraltro, che non c’è una definizione giuridica di questi diritti secondari nella legislazione primaria. Solo il decreto del Ministero per i Beni e per le Attività Culturali (Mibact) del 15 marzo 2018 (7) nell’articolo 2.5 ne dà un’interpretazione simile a quella generalmente accettata (8):

“(e) “diritti primari”: i diritti relativi allo sfruttamento di un’opera audiovisiva in Italia sulle reti di comunicazione elettronica, come individuati contrattualmente dalle parti;

f) “diritti secondari”: i diritti diversi da quelli primari come indicati alla lettera e), nonche’ i diritti relativi allo sfruttamento della produzione audiovisiva all’estero”.

I diritti secondari riservati ai produttori indipendenti nel nuovo mercato globale hanno ancora senso?

L’importanza della disponibilità di diritti secondari per i produttori indipendenti era stata fortemente difesa alla fine del secolo scorso, poiché permetteva al produttore di costruirsi un patrimonio (il famoso catalogo) che durava nel tempo (oltre la prima trasmissione), e lo spingeva a uscire dal suo territorio per costruirsi una nuova clientela cui vendere questi diritti secondari,  fornendo un incentivo a progettare prodotti più adatti a un mercato più ampio di quello abituale. Per poter fare questo, i produttori dovevano essere liberati da contratti che trasferivano troppi diritti esclusivi di trasmissione, per un periodo troppo lungo, ai committenti delle opere, cioè principalmente le reti televisive nazionali.

Tuttavia, questa visione dei diritti dei produttori – se era valida nell’epoca dei mercati nazionali, dove vigeva una concorrenza limitata; non corrisponde più alla situazione in cui si trovano oggi i produttori italiani ed europei che intavolano trattative con le grandi piattaforme internazionali (e, per estensione, anche con i broadcaster nazionali e i loro consorzi paneuropei).

In questo nuovo scenario, la nozione di diritti secondari è fortemente limitata, visto che le piattaforme internazionali hanno bisogno di diritti globali come uso primario. Inoltre, queste piattaforme con sede negli Stati Uniti, sono tentate di applicare le abitudini contrattuali che conoscono in patria, che spesso si traducono in un trasferimento di quasi tutti i diritti, inclusi quelli di proprietà intellettuale, al committente. Questo va direttamente contro il principio ed auspicio europeo di “liberare” il produttore indipendente per sviluppare prodotti per il mercato europeo e mondiale: nel linguaggio della professione, ciò si traduce nel “non ridursi al solo ruolo di produttore esecutivo”.

Le discussioni contrattuali riguardano sempre più non solo questi diritti di trasmissione primari e secondari, ma anche e soprattutto altre forme di proprietà intellettuale, spesso chiamate “diritti derivati”. Anche in questo caso, il suddetto decreto Mibact del 15 marzo 2018 ne fornisce una descrizione esaustiva nel suo allegato Tabella C. Tra tutti questi diritti, spiccano quelli che potrebbero contribuire in modo significativo alla creazione di un valore patrimoniale per il produttore: i cosidetti diritti d’elaborazione creativa, come il diritto di “novelization” (trasformare il soggetto di un’opera audiovisiva in un libro), il diritto di fare prequel, sequel, remake, spin-off e sidequel.

Oltre a questi diritti creativi, che oggi più che mai sono il cuore dell’attività di un produttore, le discussioni contrattuali riguardano anche i diritti derivati dall’opera veri e proprii, come il merchandising o il montaggio (il diritto di rieditare l’opera per distribuirla in episodi più brevi, per esempio) eccetera

Uno sconvolgimento che ormai riguarda anche le condizioni di esercizio dei diritti conservati dal produttore. Per esempio, “l’hold-back” – il periodo di congelamento dei diritti di sfruttamento conservati dopo l’uso primario da parte dell’emittente – o le condizioni per riprendere e offrire a un’altra emittente un soggetto sviluppato coi soldi di un’emittente che però alla fine rifiuti di avviarne la produzione; o la partecipazione economica al successo di un’opera, o infine il diritto del produttore ad avere accesso ai dati completi sulla visione delle opere.

Il Codice di buone pratiche proposto dal Club dei Produttori Europei

Tutto questo fa naturalmente parte delle discussioni e della libertà contrattuale.

Ma questa libertà è spesso limitata dalla disproporzione di dimensioni, capacità economiche e giuridiche tra le grandi piattaforme, i gruppi globali e i produttori. Tanto che lo European Producers Club (Club dei Produttori Europei), nel marzo 2021, ha sentito la necessità di pubblicare un “Code of Fair Practices – Codice di buone pratiche” (9) che vorrebbe vedere applicato a queste discussioni. Cosa richiede il codice? Eccone i quattro punti principali:

1. Remunerazione equa e proporzionata e partecipazione economica dei produttori al successo dell’opera, in base ai risultati dello sfruttamento.

2. Contributo dei produttori e diritto a partecipare a future opere derivate (la cui precondizione è che la proprietà intellettuale sottostante rimanga nella società di produzione).

3. Trasparenza e responsabilità: informazioni regolari e complete sullo sfruttamento delle opere.

4. Inclusione dei benefici pubblici e incentivi fiscali nella quota di contributo finanziario del produttore indipendente, visto che lui solo – in base alle normative vigenti nell’Unione Europea – può far domanda per accedervi.

Altri problemi sono emersi, come la questione dei mandati esclusivi in Francia: le piattaforme concedono diritti secondari o derivati ai produttori, ma allo stesso tempo chiedono di essere gli agenti dei produttori per lo sfruttamento di questi diritti (10). A questo si aggiunge una differenza di trattamento, sul riconoscimento di premi extra alla produzione, tra europei e americani. Come denuncia Martin Moszkowicz, amministratore delegato della tedesca Constantin Film: “Negli Stati Uniti, risolvono questo problema [di prendere tutti i diritti] pagando ai produttori un ‘premio’ oltre al compenso del produttore – che potrebbe essere il 10 per cento o il 15 per cento, forse più. Le piattaforme hanno portato il loro modello americano in Europa ma hanno dimenticato di portare anche il premium. Improvvisamente, come produttore, ti viene offerto un compenso del 7-10 per cento al massimo” (11).

Come si può vedere, la relazione tra produttori ed emittenti oggi va ben oltre la semplice divisione tra diritti primari e secondari, e quindi anche la “nuova” definizione di “produttore indipendente” inserita nel TUSMA 2021 nasce già vecchia e sembra anch’essa rivolta a risolvere problemi del passato analogico, in un mondo che è ormai sta andando da un’altra parte.

Si è spesso detto che stiamo vivendo un’epoca d’oro della produzione audiovisiva: la produzione è guidata da una domanda moltiplicata dalla crescita delle grandi piattaforme internazionali over-the-top (OTT), in competizione tra loro per conquistare nuovi mercati e pronte a sostenere pesanti perdite finanziate da capitali ancora a basso costo. Secondo Ampere Analysis, Netflix già oggi è diventato il primo committente di contenuti sceneggiati in Europa, mentre Amazon, Disney+ e altri stanno rafforzando la loro presenza.

Questi OTT stanno cercando in tutto il mondo produzioni non solo per i mercati locali, ma anche, e soprattutto opere capaci di trovare un pubblico internazionale, il cosiddetto “local for global”, di cui l’esempio di successo più recente è il coreano “Squid Game”.

Ma, come sottolinea Moszkowicz, non tutto è per il meglio: “Dall’esterno, potrebbe sembrare che ci sia esplosione della produzione, ma i produttori non sono necessariamente molto felici. I margini sono molto ridotti, e consentono quindi di sopravvivere ma non  di prosperare”(12). A questo si aggiungerà fra breve un’evoluzione inevitabile: il consolidamento degli attori internazionali, la fine dei capitali a buon mercato e la ricerca della redditività, e un probabile ritorno in forze negli Stati Uniti, di nuovo in cerca di prodotti più “global for global”.

È quindi imperativo che i produttori italiani ed europei siano in grado di approfittare di questo periodo d’oro per prepararsi ai tempi più magri che verranno. Il mantenimento della proprietà intellettuale gioca un ruolo fondamentale in questo. Il governo italiano, come dimostrano le definizioni utilizzate nel citato decreto del 15 marzo 2018, sembrava consapevole di questa importanza. Purtroppo, quel testo si applica solo per regolare l’accesso al credito d’imposta, e trasporlo “sic et simpliciter“ nel nuovo TUSMA avrebbe potuto produrre effetti perversi.

Il “curioso incidente” della modifica-che-poi-non-ha-modificato-più-di-tanto questa definizione nel nuovo TUSMA non fa che evidenziare l’urgente necessità di ripensare il ruolo dei produttori indipendenti, e il sostegno che lo Stato può dare loro, per tenere conto dei cambiamenti in corso e di quelli che stanno già avvenendo in tutto il mondo, incluso in Italia dove molte delle maggiori compagnie italiane di produzione “indipendenti”, di fatto non sono più in mano italiane.

Negli ultimi anni grande società di produzione sono state acquistate da capitali esteri, principalmente europei, come Palomar (produttore del Commissario Montealbano) da Mediawan (Francia), Cattleya (Suburra) da ITV (Regno Unito), Wildside (L’Amica Geniale) da Freemantle (Germania), Cross Productions (Rocco Schiavone) da Beta Film (Germania), Fabula Pictures (Baby) da Federation Entertainment (Francia), Picomedia (Le Commedie di Eduardo De Filippo) da Asacha Media Group (Francia).

Anche se di proprietà estera, queste società di produzione (persino Cattleya che è ormai direttamente controllata dall’emittente inglese ITV), da una parte continuano a beneficiare dei privilegi dei produttori indipendenti, ma  dall’altra mantengono impieghi qualificati nel settore e contribuiscono a diffondere la creatività e la civilizzazione italiana nel mondo. Obiettivi di rilevanza nazionale che dovrebbero interessare il legislatore, e che potrebbero offrire opportunità a molte piccole e medie imprese. Quel che non è chiaro, è se le regole per le imprese nazionali e per quelle ormai sotto controllo estero (specie se extracomunitario) possano essere le stesse per entrambe le categorie.

Il nuovo testo infine innalza gli obblighi di investimento in favore dei produttori indipendenti anche per le piattaforme, ma anche su questa norma ci sono molti dubbi. Questi obblighi che erano necessari quando le emittenti nazionali facevano tutto “in house” e garantivano un volume certo di commesse, non è detto che si traducano automaticamente in un allargamento del nuovo mercato delle piattaforme, come suggerisce un recente studio sulla materia (13).

E’ compito del legislatore lavorare per preparare il futuro, senza rimanere intrappolati nelle battaglie  di un mondo audiovisivo “analogico” che sta scomparendo. 

E questo vale tanto per la produzione indipendente quanto per il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo o la regolamentazione delle piattaforme digitali.

Note al Testo

(1) Decreto Legislativo 8 novembre 2021, n. 208. Attuazione della direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, recante modifica della direttiva 2010/13/UE, relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri, concernente il testo unico per la fornitura di servizi di media audiovisivi in considerazione dell’evoluzione delle realtà del mercato. (21G00231) (GU Serie Generale n. 293 del 10 dicembre 2021 – Suppl. Ordinario n. 44) note. Entrata in vigore del provvedimento: 25 dicembre 2021. Consultabile on line al seguente link:

https://www.google.com/url?q=https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/12/10/21G00231/s&source=gmail&ust=1639472997517000&usg=AOvVaw0M3D3QuM02kK1jqHDeGYis.

(2) Annuncio del Ministero per lo Sviluppo Economico – MISE del 21 luglio 2021:

     Audizione pubblica sul riordino del Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici Digitali (TUSMAR) in attuazione della direttiva (UE) 2018/1808 – Audizione pubblica: 3 agosto 2021 – Termine invio contributi e prenotazioni: 29 luglio 2021- https://www.mise.gov.it/images/stories/documenti/Audizione_Pubblica_riordino_TUSMAR.pdf

(3) Testo unico della radiotelevisione (Dlgs 177/2005), aggiornato con le modifiche, da ultimo, apportate dal D.L. 28 giugno 2019, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 2019, n. 81:

      Art. 2 Definizioni

      1. Ai fini del presente testo unico si intende per:

      p) “produttori indipendenti”, gli operatori della comunicazione europea che svolgono attività di produzioni audiovisive e che non sono controllati da, ovvero collegati a, fornitori di servizi media audiovisivi soggetti alla giurisdizione italiana e, alternativamente:

      1) per un periodo di tre anni non destinano più del 90 per cento della propria produzione ad un solo fornitore di servizi media audiovisivi; ovvero 2) sono titolari di diritti secondari;(4) Testo adottato dal Consiglio dei Ministri il 5 agosto 2021:

      Art. 4 Definizioni1

      1. Ai fini del presente testo unico si intende per:

      q) “produttori indipendenti”: gli operatori della comunicazione europea che svolgono attività di produzioni audiovisive che, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile, non sono controllati da o collegati a fornitori di servizi media audiovisivi soggetti alla giurisdizione italiana o che hanno la responsabilità editoriale di offerte rivolte ai consumatori in Italia, anche se stabiliti in altro Stato membro, e che, in caso di produzione di opere cinematografiche. audiovisive di finzione e di animazione e documentari, sono titolari di diritti secondari;

(5) DIRETTIVA DEL CONSIGLIO 89/552/CEE del 3 ottobre 1989, considerandum senza numerazione.

(6) DIRETTIVA 97/36/CE del 30 giugno 1997.

(7) Decreto del 15 marzo 2018, Disposizioni applicative in materia di credito di imposta per le imprese di produzione cinematografica ed audiovisiva, di cui all’articolo 15, della legge 14 novembre 2016, n. 220.

(8) cf. IRIS Plus 2019-1 La promotion de la production audiovisuelle indépendante en Europe Observatoire Européen de l’Audiovisuel, Strasbourg, maggio 2019.

(9) https://www.europeanproducersclub.org/our-code-of-fair-practices

(10) Vedere l’appello del 19 giugno 2021 di 79 produttori e distributori, sul Journal du Dimanche, https://www.lejdd.fr/Culture/encourageons-la-creation-audiovisuelle-independante-par-79-producteurs-et-distributeurs-4052946.

(11) https://www.screendaily.com/features/how-europes-indie-producers-are-fighting-to-retain-ip-and-revenues-amid-streaming-boom/5162865.article

(12) op. cit.

(13) Obblighi d’investimento in opere europee dei servizi a richiesta, 20 ott; 2020, ITMedia www.itmedia-consulting.com/en/highlights/1583-obblighi-d-investimento-in-opere-europee-dei-servizi-a-richiesta-il-rapporto-itmedia-consulting.html.

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