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Democrazia Futura. I dubbi in merito ai rischi di scoppio di una terza guerra mondiale

Bruno Somalvico

Antonio Armellini, Massimo De Angelis, Giulio Ferlazzo Ciano, Giampiero Gramaglia e Michele Mezza rispondono a otto quesiti e ad “Alcuni interrogativi legittimi sulla pace in Ucraina e sui nuovi equilibri geopolitici mondiali.  I dubbi in merito ai rischi di scoppio di una terza guerra mondiale” posti da Bruno Somalvico in occasione del seminario su “La pace in Ucraina, a quali condizioni e con quale impatto sugli equilibri politici mondiali” con Lucio Caracciolo.

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Le risposte di Antonio Armellini, Riccardo Cristiano, Pier Virgilio Dastoli, Massimo De Angelis, Giulio Ferlazzo Ciano, Giampiero Gramaglia, Michele Mezza, Giorgio Pacifici e Stefano Silvestri

1) L’iniziativa di pace del presidente cinese Xi Jinping, il quale, dopo avere fatto visita a Vladimir Putin e telefonato a Volodymyr Zelens’kyj, ha ricevuto Antony Blinken, è un punto di svolta nella ricerca d’una soluzione negoziale al conflitto ucraino?

Antonio Armellini. Le cose si sono mosse molto rapidamente sulla scena diplomatica dopo le prime mosse di Xi: la Cina ha certamente mostrato – e al tempo stesso dimostrato – la sua volontà/capacità di svolgere un ruolo globale, sempre dal punto di vista dei propri interessi (Taiwan) di sicurezza. Ha contribuito ad aprire la via ad altri interventi di mediazione, ma il punto di svolta mi sembra ancora lontano

Massimo De Angelis. È necessaria una premessa. È sempre molto più facile trovare una via negoziale in una guerra se ciascuno dei contendenti è disposto a riconoscere un nocciolo di verità alla posizione dell’altro. Tutto è assai più difficile se si ritiene che la verità sia tutta da una parte e la menzogna dall’altra. Se si divide il campo e il mondo tra Bene e Male. Che è quanto, talvolta del tutto a torto, sono abituati a fare gli Stati Uniti d’America. Nel caso del conflitto russo-ucraino era evidente che si trattava di discernere bene, se non altro perché i due Paesi avevano convissuto in uno stesso Stato sino a pochi decenni fa. A parte i patti non scritti con Michail Gorbaciov, lo stesso statuto denuclearizzato e neutrale dell’Ucraina, le stesse trattative di Minsk indicavano anche alla lontana che c’era parecchio da discutere. Che è quanto l’amministrazione statunitense, specie con i viaggi folkloristici della Harris, ha voluto sprezzantemente negare mentre è apparso sempre più evidente che avesse armato e addestrato sino ai denti e alle caviglie i soldati ucraini con l’obiettivo di fermare l’orso russo sul “bagnasciuga”. L’obiettivo americano in questa guerra è chiaro spostando e est i confini dell’Impero. Inchiodare i russi e insieme riportare all’ordine gli europei, rompendo le intese economiche tra Unione europea e Russia per riaffermare definitivamente la egemonia anglosassone sull’Europa continentale e dedicarsi quindi con meno preoccupazioni e più centralità al braccio di ferro futuro con la Cina. Fatte queste premesse è chiaro che la guerra andrà ancora avanti e comunque che la pace non sarà stabile (ciò che confliggerebbe con l’interesse statunitense). Un cessate il fuoco dopo altri 200 mila morti morti? Forse. In controluce si intravvede un doppio interesse cinese: la Russia non deve perdere, deve essere arrestata l’escalation: soprattutto quella atomica. A specchio la posizione americana. La guerra deve finire o comunque essere indirizzata a una soluzione prima del red carpet delle elezioni presidenziali USA 2024 (cioè entro inizio 2024). In cambio del non uso dell’atomica può esservi il no all’invio dei famosi jet. Il tutto per arrivare a un compromesso per sfinimento che lasci Unione europea e Russia assai più deboli, Polonia, Ucraina e Paesi Baltici più centrali a Bruxelles, una Unione europea sempre più sottomessa agli Stati Uniti e una Russia sempre più junior partner, ancorché braccio armato della Cina. Il tutto in un ritorno ai blocchi e alla separazione del mercato mondiale come ai tempi di Stalin (le cui dottrine i comunisti cinesi sono sempre stati più restii a dismettere rispetto ai loro amici revisionisti di Mosca). È proprio quest’ultimo dato, la separazione del mercato e le sue conseguenze, a costituire l’incognita principale del futuro a medio lungo termine

Giulio Ferlazzo Ciano. Si potrebbe rispondere con maggiore completezza a questa domanda se si conoscesse nel dettaglio cosa si siano detti, Xi Jinping e Blinken, oltre a ciò che è stato riferito alla stampa. In ogni caso bisogna tenere a mente che la Cina ha i suoi imperativi strategici (Taiwan e proiezione verso la cosiddetta “prima catena di isole”) che sono idealmente più affini alle logiche revisioniste dei confini, in voga negli ambienti moscoviti, che agli utopici desideri occidentali di un’imbalsamazione perpetua dello status quo post seconda guerra mondiale, con l’unica eccezione degli smembramenti di Stati, sempre permessi, cosa che alla Cina non deve fare molto piacere: oltre a Taiwan, apparentemente impossibile da riunire, aleggiano i fantasmi di Tibet e Turkestan orientale (Xinjiang) indipendenti. Un’eventuale svolta nella ricerca di una soluzione negoziale si potrebbe avere presumibilmente solo se le due potenze trovassero un accordo provvisorio nel teatro del Pacifico, per stabilire un modus vivendi che valga almeno per qualche anno, utile ad entrambi a prendere tempo e a rinviare eventuali rese dei conti. A quel punto, forse, chi comanda a Pechino potrebbe far pesare più efficacemente la sua volontà di pace anche presso chi comanda (se ancora comanda) a Mosca.

Giampiero Gramaglia. Il fatto che la Cina si sia mossa, dopo oltre un anno di traccheggio, è positivo, anche se il documento messo in tavola da Pechino non è – ancora? – un’ipotesi di compromesso. E il fatto che, dopo uno iato di 4 mesi, imposto da un incidente di percorso puerile – il pallone sonda / spia cinese sui cieli nord-americani -, Cina e Stati Uniti d’America riprendano a dialogare è pure positivo. Certo, fa un po’ specie che Kiev e l’Occidente, che volevano che Pechino dicesse la sua, poi la zittiscano perché non ha detto esattamente quello che loro volevano sentire dire. In ogni caso, il Papa, Xi, Lula, gli africani, i percorsi della pace sono oggi molto più battuti di prima, quando c’era solo il presidente turco Racep Tayyip Erdoğan a cercare di mediare.

Michele Mezza. Non mi pare ancora venuto quel tempo. Vedo i cinesi troppo tentati dal far cuocere entrambi i contendenti nel brodo della guerra. E soprattutto la strategia di Pechino, come è noto, è tutta calibrata sul nodo di Taiwan che diventa più abbordabile con un Occidente preso dai combattimenti in Ucraina e una leadership americana contrastata al suo interno da opzioni mai cosi contrapposte in politica estera.

2) La discesa in campo del leader cinese segnala la volontà politica di porre fine al conflitto costringendo Russia e Usa, Ucraina e Unione Europea “a più miti consigli”, al fine di evitare il baratro, o è condizionata da altre contropartite nell’Asia-Pacifico da negoziare con gli Stati Uniti, in primis Taiwan?

Antonio Armellini. Come ho accennato, la Cina ha colto questa occasione per affermare – e farsi riconoscere – un ruolo di protagonista condizionante non solo rispetto agli equilibri politici dell’Indo Pacifico, ma a livello globale, perché globale è la sua proiezione di sicurezza. Ciò detto, il prisma attraverso cui guardare le sue mosse rimane sempre Taiwan e la visione che ne consegue del suo concetto di integrità territoriale.

Massimo De Angelis. Come detto credo che l’impegno della Cina sia quello di evitare l’ulteriore escalation senza però consentire la sconfitta della Russia. Questo anche in vista della partita di Taiwan che presto si aprirà e nella quale la Cina stessa avrà bisogno della partnership, politica e miliare della Russia più di quanto ne abbia già avuto bisogno in tutti questi anni in Africa.

Giulio Ferlazzo Ciano. Si direbbe che gli europei siano così terrorizzati dalla guerra da arrivare al punto di credere che un leader di una superpotenza non certo conosciuta per le pose pacifiste, e per di più con ambizioni egemoniche a livello globale, possa fare da mediatore disinteressato in un conflitto alla periferia orientale del Vecchio Continente. Che illusione! E che delusione: evidentemente le opinioni pubbliche europee sono a tal punto prese dal panico da essere disposte ad affidarsi a qualsiasi apprendista stregone, per di più dimenticando che viviamo in un mondo sottoposto a spietate logiche di potenza, secondo le quali anche una mediazione di pace potrebbe avere un prezzo. Le contropartite in Asia-Pacifico potrebbero in effetti avere un peso rilevante per determinare questo prezzo. Emmanuel Macron, nella sua visita in Cina (5-7 aprile 2023), è sembrato anche volerlo fissare: l’Europa chiuderebbe un occhio su Taiwan e la Cina aiuterebbe l’Europa a porre termine al conflitto in Ucraina. Ma non è detto che ciò possa bastare. Più l’Europa implora la pace, più il prezzo è inevitabile che si alzi. Quando si è nervosi e nel panico si ragiona male.

Giampiero Gramaglia. La Cina è sicuramente preoccupata dei rischi che il conflitto in Ucraina pone alla stabilità internazionale, che le sta a cuore se non altro perché è funzionale alla sua crescita economica. E la Cina è sicuramente interessata ad acquisire, se possibile, crediti diplomatici presso i suoi interlocutori. Ma lo scenario pacifico è per lei prioritario, rispetto a quello europeo. Quando si proclama alfiere dell’integrità territoriale, Pechino parla dell’Ucraina, di cui – del resto – non precisa mai quali siano i confini intangibili, ma ha in mente Taiwan, che – a suo avviso – è parte integrante del territorio cinese.

Michele Mezza. Come ho gia accennato Taiwan rimane l’obbiettivo epocale per il vertice cinese e tutto va rapportato alle opportunità per stringere il cerchio attorno all’isola, evitando, se possibile il conflitto diretto. Anche il recente incontro con fra Xi Jinping e Antony Blinken mi sembra che abbia confermato uno stallo sostanziale che le successive dichiarazioni di sostegno al Cremlino da parte cinese in occasione della crisi con il gruppo di Evgenij Prigožin hanno ulteriormente irrigidito. Come sempre poi i cinesi sono sottili e spregiudicati per tenere coperta la trama di fondo del loro comportamento diffondendo falsi bersagli.

3) I servizi segreti ucraini sono all’origine del sabotaggio del NordStream e dei voli dei droni sopra Mosca? E chi li manovra? E chi sono i responsabili dell’attentato alla diga di Nova Kachovka?

Antonio Armellini. Difficile dare una risposta precisa e sono più d’una le parti che possono averne tratto vantaggio. Ciò detto, l’Ucraina non nasconde più che tanto di essere alla radice di molti degli attacchi portati sul suolo sovietico, come la vicenda recente dei droni sul ponte con la Crimea serve a dimostrare

Massimo De Angelis. È ormai di dominio pubblico che siano stati gli ucraini a sabotare il Nord Stream anche se il mandante va cercato negli Stati Uniti che da molti anni minacciavano ritorsioni alla Germania per aver realizzato quel condotto. Il movente insomma è ben chiaro. Più complesso valutare l’altro sabotaggio visto che i danni si suddividono tra i contendenti. Ancor più difficile dire chi colpirà Zaporizha. Certo fa impressione che gli ucraini dichiarino sempre più spesso, quasi fatalisticamente, che l’incidente avverrà. Chiunque dovesse sabotare la centrale produrrebbe una radicalizzazione dagli effetti difficilmente prevedibili e ancor più difficilmente controllabili. L’apocalisse sarebbe davvero vicina. Mi pare a oggi il pericolo maggiore.

Giulio Ferlazzo Ciano. Questa è una domanda da rivolgere agli storici di domani o agli analisti di oggi competenti in questo genere di materie. Chi scrive per il momento preferisce astenersi.

Giampiero Gramaglia. Non ho idea di chi abbia sabotato il gasdotto NordStream, anche se le indicazioni più recenti di fonte statunitense fanno pensare agli ucraini più che ai russi come non ho idea di chi abbia sabotato la diga di Nova Kakhovka, dove invece le indicazioni più recenti, sempre di fonte americana, fanno pensare ai russi più che agli ucraini. Quanto ai droni su Mosca, la loro paternità è stata riconosciuta da Kiev. Incursioni in territorio nemico e sabotaggi sono da mettere in conto in un conflitto; e la legge del ‘cui prodest’ non è sempre sufficiente ad attribuire correttamente le responsabilità.

Michele Mezza. Siamo nel regno delle ombre, dove nulla è quello che sembra, se non che un Paese che viene invaso ha sempre come massima ambizione di invadere l’invasore. Dunque mi sembra plausibile e anche normale che guastatori ucraini, direttamente comandati dal vertice del governo, abbiano attuato azioni diversive per alleggerire la pressione della Russa. Così come mi sembra perfettamente coerente con una logica militare, alla viglia della fin troppo sbandierata controffensiva di Kiev che Mosca abbia deciso di buttare fra le gambe di Zelens’kyj la rottura della diga

4) Dopo il freddo diniego di Volodymyr Zelens’kyj di una mediazione papale in occasione dell’incontro con Francesco e l’avvio di una controffensiva ucraina che si sta rivelando più cruenta che efficace, che margini ci sono per la missione di pace affidata al presidente della Conferenza Episcopale italiana cardinale Matteo Zuppi?

Antonio Armellini. La missione del Cardinale Zuppi è difficile e il Vaticano sembra puntare ad un approccio per così dire incrementale, concentrandosi in questa fase sulla questione dei bambini deportati a forza in Russia, più che sulle vie di una mediazione di cui non si vedono le premesse. Biden è un Presidente cattolico e questo può dare al Vaticano qualche strumento tattico – o meglio di contatto – in più. Il dato di fondo resta, a mio avviso, che di negoziato si potrà seriamente parlare solo quando entrambe le parti si saranno convinte che dalla prosecuzione dello scontro armato non potranno trarre ulteriori vantaggi e rischieranno invece di vedere aumentate le perdite. La controffensiva va avanti così così, la “Ukrainian fatigue” potrebbe essere dietro l’angolo (stando a un recente sondaggio statunitense, un po’ meno del 50 per cento della popolazione appoggia l’azione in Ucraina e la percentuale scende sotto il 30 per cento fra gli elettori repubblicani) e con un Trump Presidente le cose prenderebbero un verso molto diverso. Il supporto europeo rimane solido, ma le perplessità tedesche e quelle del mondo cattolico non vanno sottovalutate. E così Burns va a Mosca e Kiyv e incoraggia forse entrambi a non lasciar cadere le occasioni che potrebbero presentarsi. Senza limitarsi a prospettare scenari d tipo coreano, che sarebbero per gli equilibri europei di lungo termine esiziali.

Massimo De Angelis. Credo che possano esservi importanti profili umanitari nella missione di Zuppi che è appena iniziata. E non vanno per nulla trascurati. Inoltre, e ancor più, quella missione può promuovere una purificazione intellettuale: sgombrare il campo da quel teorema della divisione tra Bene e Male che è il cuore della posizione dell’Occidente e che rende di per sé impossibile la pace. Non è un caso che la freddezza americana occidentale verso l’iniziativa vaticana sia stata grande e persino sorprendente. E non mi stupirei se questa accelerasse la diffusione già in corso da tempo, di una cristianofobia in Occidente e specie in Europa, che si associa, questo il fatto nuovo, non si contrappone all’islamofobia e a una ripresa dell’antisemitismo in nome di un sovranismo individualistico a sfondo nichilista.

Giulio Ferlazzo Ciano. Sfortunatamente questa non è la crisi di Beagle e neppure una guerra civile come quella in Mozambico. La mediazione vaticana è pertanto difficilissima, tanto più che si svolge tra due Paesi in netta maggioranza cristiano ortodossi. Il dato potrebbe avere più senso di quanto si pensi. L’identità nazionale, soprattutto in Russia, passa anche attraverso l’identificazione del Russkij Mir nell’ortodossia e pertanto una mediazione vaticana, se potrebbe trovare qualche sponda a Kiev (in Ucraina peraltro esiste una Chiesa uniate legata a Roma), a Mosca potrebbe essere vista con sospetto, come l’ennesima intromissione dell’Occidente. Confidiamo nelle grandi capacità ed esperienza dei mediatori vaticani, ma la missione del cardinale Zuppi forse avrà più che altro un valore simbolico.

Giampiero Gramaglia. Dopo il viaggio del cardinal Zuppi a Mosca e malgrado l’incontro con il patriarca Kirill, è ancora prematuro dichiarare la missione papale fallita o riuscita. Certo, la partenza non era stata granché: la doccia fredda del presidente Zelens’kyj dopo l’incontro con Papa Francesco e il perimetro umanitario in cui gli ucraini confinano l’azione vaticana – scambi di prigionieri, corridoi umanitari, ricongiungimento di bambini ucraini alle loro famiglie – non facevano ben sperare, Ma tutte le iniziative di pace sono, al momento, impastoiate perché né Mosca né Kiev sono convinte di dovere negoziare.

Michele Mezza. Direi da profano, a digiuno di fonti particolarmente significative, meno di zero. Piuttosto vorrei segnalare che si semplifica troppo quando si parla di pace da concordare con Zelen’skyj e Putin. Ormai la guerra ha fatto entrare in gioco nuovi soggetti e diversi protagonisti che rivendicano un ruolo nell’eventuale armistizio. In Ucraina la cosiddetta Net-war, come richiamo nel mio omonimo libro, ossia una strategia fondata sulla distribuzione delle informazioni attraverso i corpi diversi della società civile rende inevitabile una net peace, ossia un processo di pacificazione che coinvolga direttamente questi corpi, come i sindaci, le città, le università i centri tecnologici che hanno concorso, soprattutto nella prima fase a reggere l’urto dell’invasione. E per i russi abbiamo visto con l’impennata della Wagner come anche lì il fronte sia variegato e articolato, con un ruolo geopolitico di gruppi collaterali alle istituzioni centrali.

5) I conflitti non sono solo in Ucraina ma tornano ad investire i Balcani. C’è chi non manca di fare un parallelismo vedendo il Kosovo come l’Ucraina dei Serbi. Sergio Romano si chiedeva tempo fa sul Corriere della Sera se questi conflitti preludano allo scoppio della Terza Guerra Mondiale, notando le similitudini fra vecchi e nuovi imperi.

Antonio Armellini. La follia potrebbe sempre prevalere, ma è ragionevole pensare che ciò non accadrà. La Prima guerra Mondiale partì da una piccola scintilla, in un mondo assai meno interconnesso. L’Ucraina è una scintilla di ben diverso peso, geopolitico e territoriale, il mondo è totalmente interconnesso e l’effetto sarebbe assai più difficilmente controllabile. Oggi soprattutto c’è l’arma atomica, che si conferma il deterrente ultimo contro un conflitto generale, da cui tutti uscirebbero distrutti. Non a caso il tema viene sollevato strumentalmente da Putin – e dalle intemerate volutamente alla Stranamore di Medvedev – ma come elemento tattico-negoziale di pressione, più che come anticipazione strategica. O almeno così spero e ardisco presumere. Anche Sergio Romano qualche volta pone la sua proverbiale lucidità al servizio del catastrofismo

Massimo De Angelis. La connessione tra il conflitto Serbia-Kosovo e quello Russia-Ucraina mi pare lampante. Del resto il primo fu la prima vera affermazione del modello unipolare americano voluto da Bill Clinton e il secondo penso l’ultimo. Sempre sotto l’egida democratica e la scellerata dottrina Brzezinski.

Giulio Ferlazzo Ciano. Bisogna sperare che l’equilibrio attuale nei Balcani, pur precario, continui a reggere. I recenti scontri in Cossovo sono stati causati da azioni pretestuose da entrambe le parti (dei serbi e degli albanesi), tuttavia possono essere superati, di fronte a una mediazione autorevole e alla garanzia della piena inclusione dei Balcani nello spazio europeo. Si deve solo sperare che non ci siano attori locali pronti a soffiare sul fuoco: la stessa Serbia guidata da Aleksandar Vučić, ad esempio, che pur ha dato prove di ragionevolezza, ma un’incognita potrebbe derivare anche dalla Bulgaria, in crisi politica da almeno due anni, ove è in crescita esponenziale il consenso per un partito nazionalista filo-russo. In quanto a quali odierni conflitti preludano allo scoppio di una terza guerra mondiale, anche in questo caso si tratta di scenari da lasciare agli storici di domani.

Giampiero Gramaglia. Speriamo proprio di no. La storia – si dice – procede per cicli, ma anche “non si ripete”. E credo che, rispetto a un secolo fa, ci sia molta più consapevolezza del carattere catastrofico di una nuova Guerra Mondiale: la capacità distruttiva dell’arma nucleare è, di per sé, un elemento di deterrenza fortissimo. Ciò detto, la fiducia nel buon senso è un ancoraggio inadeguato alla sicurezza internazionale: dopo la fine della Guerra Fredda, non è stata ancora definita un’architettura di sicurezza globale che contemperi e in qualche misura soddisfi priorità ed esigenze di tutti i protagonisti della geo-politica planetaria, che sono molto più numerosi, e molto più interdipendenti, di quanto non lo fossero un secolo fa o prima della Seconda Guerra Mondiale o anche durante la Guerra Fredda

Michele Mezza. Trovo del tutto inadeguati certi forzati parallelismi. All’orizzonte vedo leadership rese fragili da una disarticolazione dello spazio pubblico con l’irruzione sulla scena di interessi e poteri privati che scompongono la struttura e l’azione degli Stati. Diciamo che vedo più plausibilmente all’orizzonte la prospettiva di grandi conflitti politici in cui forze trasversali si combattono usando occasionalmente gli Stati come emblemi o paraventi.

6) L’irrompere sulla scena del conflitto della Cina segna un’inversione di tendenza rispetto allo scenario della ‘lunga guerra’? Che impatto sta producendo negli equilibri europei? Quali sarebbero i rischi per il Vecchio Continente nel caso di un successo diplomatico conseguito dalla Cina nella soluzione del conflitto fra Russia e Ucraina? A quali ingerenze rischieremmo noi europei di essere esposti in caso di “assistenza” politica e diplomatica di Pechino in una mediazione fra russi e ucraini?

Antonio Armellini. Se la Cina si rivelasse un mediatore autorevole e convinto, sarebbe un fatto positivo; non potrebbe certamente farlo da sola e, agendo in concerto con altri – in primis americani – darebbe segno di voler essere un protagonista cooperativo di assetti di. sicurezza da definire insieme. All’Europa converrebbe assecondare una evoluzione del genere, anche perché quando il conflitto finirà bisognerà capire quale sarà il ruolo della Russia nel nuovo contesto politico e di sicurezza europeo che si dovrà delineare. E nel quale ci dovrebbe essere un interesse europeo – ma soprattutto italiano – ad avere con la Russia una relazione di convivenza civile, anche se non di condivisone degli ideali di democrazia e diritto che con Helsinki si era pensato divenissero terreno comune e condiviso. Ma una Russia non democratica ed europea sarebbe largamente meglio per noi di una Russia infeudata alla Cina

Massimo De Angelis. Mi pare siano tutte domande riservate semmai al futuro e che forse non si porranno mai a questo modo. Come detto il pericolo, ma forse meglio dire il destino dell’Unione europea, è quello della irrilevanza (non è del resto una novità) e di una rinnovata e più marcata sudditanza verso gli Stati Uniti d’America. Del resto è ovvio: un soggetto come l’Europa aveva più margini di manovra e di spazi in un mondo multipolare e “disteso”, assai di meno in un mondo diviso in due blocchi e armato sino ai denti come si annuncia quello prossimo. Mi pare che i leader europei farebbero bene a guardare in faccia questa nuova realtà, e chi lo farà sarà destinato ad avere un maggior ruolo.

Giulio Ferlazzo Ciano. Alle prime due domande racchiuse in questo unico quesito si è forse risposto in precedenza. Per quanto riguarda le ultime due è bene rifarsi al concetto precedente espresso di “prezzo della mediazione”. Ci si dovrebbe ricordare che ogni intervento di sostegno militare o di mediazione da parte di una potenza straniera (tanto più se una superpotenza) in uno scenario distante dalla sua area geografica di influenza, costituisce un’occasione utile ad estendere quella medesima area. È il gioco più vecchio del mondo. Da sempre, da quando esistono civiltà, imperi ed entità statuali, e non ha mai mancato di rafforzare status egemonici e creare schiere di vassalli, più o meno autonomi rispetto agli egemoni. La storia plurimillenaria della Cina, il cui corso politico inaugurato dall’ottobre 1949 rappresenta forse l’ultima dinastia imperiale (tinta di rosso) che essa abbia avuto, dovrebbe fare ulteriormente riflettere su quale potrebbe essere il prezzo da pagare nei decenni a venire in cambio dell’eventuale mediazione cinese che conduca a un accordo di pace in Ucraina. Nella migliore delle ipotesi avremmo schiere di europei che inizierebbero a guardare con interesse al modello politico cinese: una forza tranquilla, anche se un po’ autoritaria, basata su leggi rigorose, ordine e amor patrio, in grado di imporre la pace a una potenza nucleare come la Russia. Nel peggiore degli scenari avremmo prima o poi anche le prime basi militari cinesi nel Mediterraneo (i cinesi sono già a Gibuti, all’ingresso del Mar Rosso, e se si dovesse creare un vuoto in Siria, chi potrebbe candidarsi a prendere il posto della Russia nel porto di Tartus/Tortosa? Per non considerare gli ottimi rapporti tra Cina ed Algeria, per esempio, o gli ingenti investimenti cinesi nel porto del Pireo) e, visto che i cinesi si dimostrerebbero così bravi a mediare (come hanno peraltro già fatto tra Arabia Saudita e Iran), in futuro potrebbero anche avere voce in capitolo per trovare una soluzione al conflitto in Terra Santa, sostituendosi progressivamente agli Stati Uniti d’America, meglio accettati rispetto a quest’ultimi anche dalla controparte arabo-palestinese. Insomma, si aprono potenziali praterie alla Cina se volesse accreditarsi nello spazio euro-mediterraneo come potenza mediatrice (leggi: egemone). C’è solo da sperare che i detentori del potere a Pechino tengano di più a Taiwan. E c’è solo da sperare che i governanti europei conoscano la storia e le sue costanti.

Giampiero Gramaglia. E che cosa dovremmo fare, noi europei? sabotare uno sforzo di pace cinese perché Pechino non s’appunti sul petto la medaglia della mediazione? Magari, sarebbe meglio se partecipassimo con qualche creatività diplomatica alla ricerca d’una via d’uscita dal conflitto, senza far venire meno appoggio e solidarietà al popolo aggredito e invaso. E sarebbe pure meglio se impostassimo con Pechino un dialogo fra pari, non demograficamente, ma economicamente: un dialogo davvero fra Cina e Unione europea. Ma i leader dei Paesi dell’Unione preferiscono presentarsi da Xi Jinping uno a uno in processione, invece di andarci tutti insieme, magari delegando, se riuscissero a fare squadra, Ursula von der Leyen e Charles Michel, per discutere di economia e commercio, tecnologia e sicurezza, energia e clima.

Michele Mezza. La Cina è un pianeta dove sono in atto profondi processi di riorganizzazione socio economica. Il cambio di direzione e velocità delle tendenze alla globalizzazione pongono problemi seri alla leadership cinesi che deve ritrovare un dinamismo che rischia di perdere per il raffreddarsi del rapporto con le diverse realtà occidentali. Accanto alla Cina, protesa a risolvere il nodo di Taiwan, crescono nuove potenze come l’India, grande centro tecnologico e principale variabile nell’eco sostenibilità del pianeta, oppure gli Stati corsari arabi, come l’Arabia saudita e i produttori di petrolio che devono allocare ingenti capitali. Non mi pare che in questo scenario Pechino possa giocare a fare la grande potenza che sposta equilibri e riorganizza da sola le gerarchie internazionali.

7) La marcia dei legionari della Wagner di Prigožin su Mosca può essere definita un tentativo di colpo di stato? Evgenij Prigožin come mercenario funzionale alle presenze militari russe in varie aree del mondo, come mai ha cambiato improvvisamente il proprio atteggiamento verso il Cremlino, entrando senza resistenze a Rostov sul Don e procedendo senza ostacoli verso Mosca ma poi fermandosi a soli 200 chilometri dalla capitale? Perché Putin, che all’inizio annuncia che i mercenari al suo seguito saranno puniti, poi cambia idea dopo la mediazione del suo più fedele scudiero bielorusso? Ma che cosa ottiene da tutto ciò Evgenij Prigožin non essendo riuscito a cacciare il ministro russo della difesa? E come ne esce Putin? Entrambi forse non si sentono sicuri? Qual è la ratio di tutto ciò e che effetti produrrà nel conflitto russo-ucraino?

Antonio Armellini. Il gioco intorno alla Wagner è ancora tutto da dipanare e non ci sono aio avviso spiegazioni certe. Prigožin avrebbe potuto tentare di rovesciare il tavolo per affermare un ruolo primario in quello che avrebbe dovuto essere un riassetto degli equilibri interni russi. O avrebbe potuto giocare un ruolo coperto di sponda con alcuni oligarchi, se non magari con lo Zar stesso. Sembra avere fallito, ma da quanto sembra di capire dovrebbe avere ancora più di una carta da giocare. Resta la sensazione che sia andato “fuori tema” ma di quanto, e con chi, a me non è ancora chiaro 

Massimo De Angelis. È una vicenda ancora poco chiara e quindi a maggior ragione è bene attenersi ai fatti. Evgenij Prigožin ha sempre tuonato contro i vertici militari. Entrato in Russia ha “chiamato a rapporto” Shoigu e Gerasimov minacciando altrimenti di andarli a prendere a Mosca, cosa che ha cercato di fare visto che i due non lo hanno raggiunto a Rostov. Si è però trattato di una mossa velleitaria che non ha però trovato seguito. Tutto ciò fa intravvedere uno scontro all’interno del sistema militare russo che, certo, non è mai buon segno per il sistema politico. Dubito però che fosse Putin l’obiettivo di Prigožin, dubito che tra i due la rottura sia totale e definitiva ed escludo che la Fsb, architrave del sistema, abbia preso le distanze da Putin. Non credo infine che la vicenda avrà ripercussioni sull’andamento della guerra anche se potrebbe preludere a una nuova marcia verso Kiev della Wagner (al posto dei ceceni) a partire dalla Bielorussia.

Giulio Ferlazzo Ciano. È sembrato – almeno alla prima impressione – di vedere una riedizione aggiornata al XXI secolo, e dai tempi estremamente accelerati, delle rivolte cosacche guidate da Sten’ka Razin ed Emel’jan Pugačëv, tra XVII e XVIII secolo. Colpo di Stato? Tale almeno è sembrato sotto tutti gli aspetti. Per tutte le altre domande non possiamo che aspettare di conoscere vicende e dettagli finora ignoti, oltre a seguirne l’evoluzione nei prossimi giorni, settimane, finanche mesi. Di certo c’è che la vicenda assume contorni enigmatici, così come incerti sono gli effetti che l’evento provocherà sul teatro delle operazioni. A conclusione di queste non risposte sarà utile ricordare che Razin e Pugačëv fecero una brutta fine.

Giampiero Gramaglia. Tutte domande lecite, nessuna risposta certa, mille ipotesi verosimili o fantasiose. Prigozhin ne esce sconfitto, Putin ne esce ammaccato, nell’orgoglio e nel potere. Il capo dei Wagner ha motivo di sentirsi insicuro: un morto che cammina, lo definisce Ian Bremer, presidente dell’Eurasia Group. Il presidente russo, dal canto suo, l’ha scampata bella (per ora); e noi con lui. Ma se la minaccia Prigozhin è svanita, ammesso che fosse reale e che sia davvero svanita, quanti altri Tigellino nutriti ad ambizione e rancore albergano nei corridoi del Cremlino? Dai tempi di Nerone, Tigellino è per antonomasia l’uomo di fiducia rozzo e crudele che tradisce e “pugnala alle spalle” – l’espressione è di Putin, sabato 24 giugno, quando la Russia pareva sull’orlo di una guerra civile – il capo che ha ciecamente servito fino ad un attimo prima. Sul fronte russo-ucraino, il contraccolpo di quanto avvenuto dovrebbe favorire gli ucraini, mentre i russi potrebbero accusare un calo di determinazione e di concentrazione.

Michele Mezza. Con una battuta potremmo dire che qualche serie televisiva fra qualche anno ci svelerà cosa sia realmente successo sul confuso confine russo ucraino in queste settimane e cosa si sia giocato nelle stanze del Cremlino. E’ evidente che anche a Mosca persino il più apparentemente compatto e totalitario regime, quale quello di Putin si stia scomponendo per piani paralleli, liberando interessi e strategia che con coincidono con quella centrale. La Wagner è una massoneria politico economica che ancora non ha mostrato tutti i suoi confini e contenuti. Ora dobbiamo capire con lo spostamento in Bielorussia quali siano le sue mire e quali quelle dell’apparato militare industriale russo rimasto accanto a Putin. Parallelamente dobbiamo capire cosa accade negli Stati Uniti a dove la leadership non è sicuramente più uniforme e stabile. Siamo ad un giro di boa dove si sta avverando l’ultima profezia di Carl Schmitt per cui il potere di uno Stato poggia sul dominio sulle onde elettromagnetiche che nel 1984, il fatidico anno in cui fu enunciata indicava il dominio tecnologico che non coincide mai con uno stato ma sempre con sue singole componenti.

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