Marco Severini analizza in chiave storica per Democrazia futura “I 200 giorni del governo Meloni” osservando come Malgrado l’accesso della prima donna a Palazzo Chigi e l’elezione di Elly Schlein al vertice del Partito Democratico rimane in Italia un marcato divario di genere”. Per la prima volta, la storia politica italiana è dunque in mano a due donne di mezza età, la più grande alla presidenza del Consiglio dei ministri e la più piccola alla guida del principale partito di opposizione. Riusciranno a scalfire e magari a cambiare l’impalcatura maschile e maschilista del sistema politico italiano?
Triplice domanda
Nell’ottobre 2022, all’indicazione di Giorgia Meloni alla guida del paese da parte della coalizione vincitrice di centrodestra, dopo 67 governi repubblicani presieduti da 30 uomini (perché «raddoppiare è stata quasi la regola», fino ai due governi Conte), la vice direttrice del Corriere della Sera Barbara Stefanelli si è posta tre domande, coinvolgendo i lettori.
In primis, Stefanelli si è chiesta, rispondendo affermativamente, se avere una donna premier potrà comportare «un’apertura di spazi di riconoscimento al femminile», aiutando a scuotere la cultura dominante di un’Italia dove
«neppure una donna su due ha un lavoro retribuito e dove i pregiudizi inconsapevoli – i più insidiosi perché spesso sfuggenti – tengono in ostaggio i destini delle ragazze?».
In secundis, si è domandata perché è stato uno schieramento di centrodestra a realizzare questo «cambio di passo» anziché la sinistra «che riempie i programmi di sincere aspirazioni all’equità», rispondendosi, sulla scia di un’intervista a Hillary Clinton rilasciata tempo prima allo stesso quotidiano, che guardando alle leader femminili nel mondo nessuna si è «intestata» qualche rivoluzione o ha realizzato riforme in favore delle donne tali da scuotere il sistema patriarcale cosicché, mentre in casa progressista le candidate migliori sono state fatte sventolare «come bandiere a mezz’asta, finché non si sono lacerate», dall’altra parte, una formazione politica in ascesa come Fratelli d’Italia (che alle politiche del 2022 ha sestuplicato i consensi) non ci ha pensato due volte a candidare la sua co-fondatrice – «preparata, pronta» – e a vincere l’ultima tornata elettorale.
Infine, più aperta e possibilista si è rivelata la risposta alla terza domanda, «forse la più importante», relativa al dubbio se la stagione apertasi con la Meloni rappresenti o meno «una minaccia per i diritti, tra cui quelli delle donne», sottolineando che l’identità non garantisce automaticamente «politiche, investimenti, sensibilità al femminile» e auspicando che il richiamo alle «responsabilità» fatto dalle neo-premier costituisca una garanzia per le conquiste delle donne «che in Italia sono state faticose e ancora vanno rafforzate»[1].
Il 12 marzo 2023 Elly Schlein, trentasettenne, nata a Lugano nel 1985 da due professori universitari, in possesso di tre cittadinanze (svizzera, statunitense e italiana), è diventata la nuova segretaria del Pd dopo essersi imposta alle primarie con il 53 per cento dei voti, la prima donna, nonché la più giovane, alla guida del partito fondato nel 2007: nel curriculum della neo-segretaria ci sono l’appartenenza a diverse formazioni di centro-sinistra e di sinistra, l’impegno europarlamentare per l’Italia nell’VIII legislatura continentale (2014-19), l’elezione a consigliera regionale all’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna e l’incarico, in questa stessa regione e fino al 24 ottobre 2022, di vicepresidente della Giunta regionale guidata da Stefano Bonaccini, sfidante sconfitto alle primarie[2].
Per la prima volta, la storia politica italiana è dunque in mano a due donne di mezza età, la più grande alla presidenza del Consiglio dei ministri e la più piccola alla guida del principale partito di opposizione. Riusciranno a scalfire e magari a cambiare l’impalcatura maschile e maschilista del sistema politico italiano?
Le battaglie delle femministe non sono servite solo a portare più donne in politica ma anche a chiedersi le complesse ragioni della loro storica lontananza, tra le oggettive difficoltà a farsi strada, la percezione di un obiettivo invalicabile, «oppure indifferenza, autoesclusione o disinteresse delle donne stesse»[3], senza dimenticare il fatto che non poche politiche hanno emulato e percorso sentieri e atteggiamenti maschili (e maschilisti) invece di individuarne e affrontarne uno proprio.
A giudicare dal primo incontro tra le due esponenti politiche, che hanno relegato per la prima volta gli uomini al ruolo di comprimari[4], le differenze sono emerse pressoché in toto, sfociando nel gelo sulla trattativa per le riforme: di questo incontro rimarranno nelle cronache le sottolineature armocromiste, la provocazione a sfondo monarchico e le complesse diversità di fondo; neanche gli ultimi minuti segreti e riservati, con tanto di passaggio al “tu”, hanno ridisegnato la temperatura artica di questo colloquio[5]. Insomma, lo scontro sulle riforme si preannuncia come tema caldissimo[6].
Divario di genere
Facciamo un salto indietro. Il ventunesimo secolo si è aperto per le parlamentari italiane con una presenza in continuo rialzo fino alle consultazioni politiche del settembre 2022: il dato del 1996 (10,6 per cento di donne in Parlamento, discendente) è aumentato di quasi un punto in percentuale (11,5 per cento) nel 2001 e ha toccato un record che è parso storico nel 2006 (XV legislatura) quando si sono avute 108 deputate (17,1 per cento) e 42 senatrici (14 per cento), il massimo fino a quel momento raggiunto nella storia italiana[7].
Il dato del 2006 è stato però superato nelle tre legislature successive: nella XVI legislatura (2008-13) si sono avute il 21 per cento di donne tra i deputati e il 18 per cento tra i senatori, nella XVII legislatura (2013-18), il 31 per cento alla Camera e quasi il 29 al Senato e nella XVIII legislatura (2018-22); con l’entrata in vigore della legge 3 novembre 2017, n. 165, che ha introdotto specifiche disposizioni per il riequilibrio di genere, la percentuale di donne elette ha raggiunto il 35 per cento, superando per la prima volta il numero di 300 donne elette in Parlamento[8]; nella XIX legislatura, dopo ventisei anni di crescita, il valore invece è calato, assestandosi al 34,47 per cento per le elette di Palazzo Madama e al 32,25 per cento per quelle di Montecitorio[9].
Tra 2013 e 2022 per la prima volta nella storia nazionale, per due legislature consecutive, un ramo del Parlamento è stato guidato da una donna (prima Laura Boldrini e poi Maria Elisabetta Alberti Casellati).
Ma le parlamentari sono ancora troppo poche. Nel 2018 l’Italia era tredicesima in Europa per percentuale di donne ministro, e sotto la media europea del 30,40 per cento: al primo posto si trova la Spagna, con oltre il 60 per cento di donne ministro e, considerando le posizioni chiave nei governi europei (capo politico, ministro degli Esteri, ministro dell’Economia e/o delle Finanze) le donne sono solo 14: 3 sono capi di Stato, 4 ministri degli Esteri e 7 titolari di un ministero economico[10].
La classifica mondiale del divario di genere stilata ogni anno dal World Economic Forum vede l’Italia poco più in alto di metà classifica, al 63° posto su 146 Stati, superata da una ventina di paesi europei; poco meglio vanno le cose nella specifica classifica dedicata al political enpowerment dove l’Italia è 40a; 36a per numero di donne in Parlamento, 33a per numero di ministri donne, ma ultima in compagnia di quasi tutti per assenza totale di leader donne in tutta la storia, fino a Giorgia Meloni[11].
La presenza per la prima volta di una donna alla guida del governo italiano costituisce un’occasione troppo ghiotta per verificare la situazione delle donne nel nostro Paese.
C’è una profonda questione di genere in Italia e non so fino a che punto l’elezione della prima premier e della prima segretaria del principale partito di opposizione italiano, occorse tra 2022 e 2023, potranno cambiare le carte in tavola.
La questione di genere occupa stabilmente le cronache nazionali e se le donne continuano a essere discriminate e marginalizzate, il maschilismo e il patriarcalismo hanno ripreso ad allargare la loro presa. Viviamo in una società e in un mondo clamorosamente maschili e maschilisti che, in maniera a volte oscura a volte evidente, vanificano le battaglie condotte dalle donne nel lungo processo di emancipazione.
Nei primi giorni del 2022, scrittrici, intellettuali e un appello in cui affermavano «con chiarezza» che era arrivato «il tempo di eleggere una donna»[12].
Non si può che sottoscrivere, dissentendo al contempo da chi, per dimostrare che le posizioni apicali sono tuttora occupate dagli uomini, ha dato luogo a un’interpretazione schematica e manichea. Scarso fino al 2018, l’accesso delle donne al potere è cresciuto vistosamente nell’ultimo triennio in Europa, facendo sì che esse abbiano occupato tutte le posizioni di vertice del potere politico-economico; Christine Lagarde al vertice della Bce e Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione europea (luglio 2019), Kristalina Georgieva alla direzione del Fmi (ottobre 2019) e Roberta Metsola nuova presidente del Parlamento europeo (gennaio 2022) al posto del compianto David Sassoli; ma guardando agli ultimi cinquant’anni, le donne che ce l’hanno fatta sono tutte di destra, dove la carriera politica è caratterizzata anche «da un po’ di meritocrazia», mentre nel mondo della sinistra domina la cooptazione[13].
Personalmente non ho colto negli ultimi tempi alcun concreto segnale di indebolimento del maschilismo imperante. C’è da chiedersi quante delle sopra citate appellanti si ricordino che alle ultime elezioni presidenziali, nel gennaio 2015, la donna più votata è stata Luciana Castellina – romana, classe 1929, sposata per un lustro (1953-58) con il dirigente comunista Alfredo Reichlin e madre di Lucrezia e Pietro – esponente di estrema sinistra, con 37 preferenze al primo scrutinio[14].
L’8 marzo 2023 il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha dedicato la Giornata internazionale della donna alle donne dei paesi in cui o diritti sono una chimera, come l’Iran e l’Afghanistan, sottolineando che in Italia c’è ancora «molta strada da fare per raggiungere la parità di genere», anche se «enormi progressi» sono stati compiuti; queste parole sono state pronunciate davanti alla prima premier della storia italiana e a Silvana Sciarra e Margherita Cassano, rispettivamente le prime donne a presiedere la Corte costituzionale e la Corte di Cassazione. Gli stereotipi contro le donne sono determinati, a detta del Presidente della Repubblica, «da un unico elemento»,
la paura nei confronti della donna, del suo essere differente nel corpo e nella sensibilità, della sua intelligenza, della sua voce, della sua indipendenza», sottolineando che fin dai miti dell’antichità è stata considerata come elemento di allarme, di ostacolo all’immobilismo di valori tramandati[15].
La realtà fotografata dai numeri è impietosa: dal 1977 a oggi, ovvero in 45 anni, il tasso di occupazione femminile è salito di appena 17 punti percentuali (dal 33 per cento al 50 per cento) per far capire che no, la parità di genere non è stata raggiunta. E, dati alla mano, non ci siamo neanche vicini. La Spagna, la Grecia, la stessa Malta fanno meglio di noi, per non parlare di Francia, Inghilterra e Germania. Linda Laura Sabbatini, Chair Women20 e direttrice del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica dell’Istat, autentica «signora dei numeri» e tra le maggiori esperte di statistiche sociali a livello mondiale, ha sottolineato come lo stesso Pnrr rischi di essere un’occasione persa.
«Le misure previste devono essere accompagnate da investimenti mirati che al momento non vedo. Il gender procurement – cioè il riconoscimento di una premialità negli appalti per le imprese che sostengono politiche di genere – va nella giusta direzione, ma dobbiamo fare di più. Penso alle politiche di welfare, agli investimenti per i nidi pubblici e per la cura degli anziani»[16].
La stessa Sabbatini ha recentemente ribadito:
La parità di genere non sta diventando realtà. Siamo disperatamente lenti. Lenti soprattutto nel capire la gravità della situazione. E guardate, non si tratta di vittimismo, né di voler sottolineare a tutti i costi gli aspetti negativi. Dobbiamo fare i conti con la dura realtà, per essere più forti nella volontà e nella capacità di modificarla radicalmente[17].
Sindrome, problemi e traguardo
Interessante è l’opinione di chi ha visto questi esordi di Giorgia Meloni caratterizzati da «una certa coazione» a ripetere quanto fatto da Matteo Renzi:
Sarà la giovane età, sarà l’inesperienza con cui entrambi sono arrivati a Palazzo Chigi, fatto sta che la tendenza a seguire schemi simili si sta facendo preoccupante. Talvolta sono i fatti a determinarla: l’allora leader del Pd dovette fronteggiare la chiusura del Brennero da parte dell’Austria per i migranti che non riusciva a trattenere. La leader di Fratelli d’Italia è alle prese con la Francia per lo stesso problema. In altri casi è l’indole mediatica che li accomuna: il video con cui Giorgia Meloni ha condotto gli spettatori attraverso le stanze di Palazzo Chigi fin dentro la sala del Consiglio dei ministri avrebbe potuto benissimo girarlo Lucio Presta, amico e manager televisivo di Renzi. Ma ci sono casi di vera e propria imitazione. Anche Meloni ha per esempio voluto i suoi «80 euro», sebbene non siano proprio 80 e siano coperti per ora solo fino alla fine dell’anno; come fu per Renzi, li considera un’arma per vincere le Europee del prossimo anno[18].
Appare però preoccupante il discorso sulle riforme costituzionali, non tanto perché negli ultimi anni chi ha provato a toccare la Costituzione ha imboccato un tunnel politico di non ritorno, ma soprattutto perché l’idea di presidenzialismo alla francese per cui la premier cerca sponde e appoggi nei palazzi parlamentari ha scarse possibilità di essere condivisa dall’area politica di opposizione, nella realtà molto più conservatrice di quanto esprimano i rispettivi leader.
Da qui potrebbe scaturire una soluzione di compromesso tra due realtà, maggioranza e opposizione, che su temi così spinosi faticano a trovare una quadra, tipo quella di patrocinare una soluzione inedita come l’elezione popolare del premier: con due conseguenze «di sistema» estremamente pericolose come «lo svuotamento di poteri del Quirinale», cui resterebbe solo il cerimoniale, e
«l’annichilimento del Parlamento», che diventerebbe una sorta di «consiglio comunale alla mercé del premier eletto»[19].
L’agenda attuale della premier incrocia questioni antiche e nuove. La protesta degli studenti contro il caro-alloggi in questa primavera 2023[20] ha ricordato il fatto che ogni anno 100 mila giovani lasciano la penisola alla ricerca di migliori sbocchi occupazionali; a Milano, il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, contestato da un piccolo gruppo di studenti nel corso della visita all’accampamento allestito in mattinata davanti all’Università Statale[21], che si è aggiunto a quello formatosi al Politecnico del capoluogo lombardo, ha sottolineato come
«un ragazzo che rifiuta di lavorare sottopagato a 1.000 euro fa bene, non può accettare quelle condizioni. Il lavoro deve essere una condizione che permette a chi lo fa di vivere dignitosamente e non di essere sfruttato, non di dovere ringraziare perché ti fanno lavorare»[22].
C’è poi l’addensamento delle cariche pubbliche da parte della premier che ha già fatto parlare di epurazione[23], con l’inevitabile caduta di stile di qualche esponente tweet-dipendente: già nel giugno del 2020, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano, Fabio Fazio aveva rendicontato 123 attacchi subiti da Matteo Salvini – attuale ministro delle Infrastrutture – soltanto nel corso della stagione televisiva 2018-2019; al pallottoliere complessivo va ora aggiunto il tweet “Belli ciao” con cui ha silurato il duo Fazio-Littizzetto[24] che, bontà loro, si sono già accordati con Warner Bros. Discovery (accordo quadriennale con Nove, il canale a vocazione generalista del gruppo); il conduttore, dopo quarant’anni a Viale Mazzini, ha commentato:
«il mio lavoro continuerà altrove, d’altronde non tutti i protagonisti sono adatti per tutte le narrazioni»[25].
Tra le questioni di lungo periodo s’impone il calo progressivo dell’affluenza alle urne – e più in generale l’endemica disaffezione dei connazionali verso la politica –, calo ormai irreversibile per le consultazioni politiche dal 1979, che ha trovato riscontro anche nelle elezioni amministrative in corso di spoglio le quali, concernendo 595 Comuni (di cui 13 capoluogo), hanno assegnato al centro-sinistra Brescia e al centro-destra Imperia, rilevando un testa a testa ad Ancona e Vicenza: l’affluenza definitiva di questa tornata è stata del 59,03 per cento, in calo del 2,19 per cento (alle precedenti elezioni si era attestata al 61,22 per cento)[26].
Un bilancio a tinte fosche
I problemi nell’agenda nazionale e internazionale rimangono rilevanti, ma la premier ha tagliato il traguardo dei primi 100 giorni esprimendo ottimismo dalla sua rubrica social e sottolineando come l’Italia si «trovi in una situazione più solida di quanto alcuni vogliono far credere»: lo spread – che, ha rimarcato, «è stato considerato il grande metro di giudizio per valutare lo stato dell’economia italiana» – è sceso, in questi 100 giorni, da 236 a 175 punti base; Meloni ha poi guardato alla Borsa che ha registrato un aumento del 20 per cento, mentre la Banca d’Italia stima che nel secondo semestre 2023 l’economia italiana «sarà in netta ripresa e che quella ripresa si stabilizzerà nel 2024 e nel 2025»; la prima donna giunta a Palazzo Chigi ha poi affermato che non punta a spot ma a soluzioni concrete:
«abbiamo lavorato in questi giorni e in queste settimane su molte altre cose, delle quali però non voglio parlare fino a quando non saranno definitive e strutturali. Sia chiaro, le risposte strutturali, quelle che non sono spot, richiedono lavoro e precisione»;
l’accordo con la Libia contro l’immigrazione irregolare, i viaggi in alcune capitali europee prima del Consiglio europeo straordinario, l’annuncio di riforme strutturali – garantendo che il ministro Carlo Nordio è impegnato
«su una riforma molto seria e ampia della giustizia che possa garantire tempi certi e massimo delle garanzie per chi è sotto processo e sotto indagine, ma anche il massimo delle garanzie che quando vieni condannato sconti la pena»[27].
Da destra si è plaudito ai primi 100 giorni del governo Meloni, riconoscendogli una politica estera «coraggiosa», una strategia di indipendenza energetica «seria», una volontà di «relazionarsi con l’Unione europea, sulla gestione del debito e sull’implementazione del Pnrr, senza oltrepassare la linea rossa dell’irresponsabilità» e una politica industriale, «da Ita a Priolo passando per Ilva e rete unica, affrontata con sorprendente piglio mercatista», con alcuni dossier gestiti «con un pragmatismo che supera persino quello draghiano»; al contempo però si è rivelato come i guai per la nuova maggioranza nascano quando essa cerca di nascondere le proprie incoerenze «sotto una cortina fumogena» e quando questo capita succede che la premier si ritrovi «travolta» dalle sue stesse «bandierine», come «l’occhiolino spesso strizzato verso gli evasori, il luddismo tecnologico spacciato per evoluzione del conservatorismo, la trasformazione delle banche centrali in nemiche del popolo, l’evocazione della speculazione come spia del complotto dei poteri forti, la xenofobia utilizzata come motore delle politiche sull’immigrazione»[28].
In realtà, finora di traguardi effettivi se ne sono visti pochi, secondo la regola delle cose e il poco tempo trascorso, le gaffes di ministri e suoi compagni di viaggio si sono infittite al pari di dichiarazioni-spot che servono per lo più a spostare altrove l’interesse della comunità nazionale; come il rilancio, espresso in occasione della 94a adunata generale degli Alpini a Udine, della proposta di una «mini naja volontaria» del presidente del Senato Ignazio La Russa che, co-fondatore assieme a lei e all’“armiere” Guido Crosetto del partito di maggioranza, ha inaugurato il suo mandato di seconda carica dello Stato proponendo una festa per il Regno d’Italia!
In un mondo violento e dilaniato dalle guerre e dai conflitti (il Regno sopra citato ne ha non poche sulla coscienza) – non solo la guerra scatenata dall’imperialismo putiniano contro l’Ucraina, giunta al quindicesimo mese –, la necessità di di una legge che «consenta, a chi lo vuole, di partecipare alla vita delle forze armate», così da contrastare l’invecchiamento di tante «associazioni d’arma»[29], come ha detto l’inquilino di Palazzo Madama, è forse l’ultima cosa di cui gli italiani hanno bisogno.
Gli italiani sono sempre più disorientati e individualisti, appiattiti di fronte alla trimurti profitto-calcio-consumismo, irretiti da retoriche e conformismi di vario tipo, incapaci nella sostanza di puntare ad altro che non sia la tutela della propria comfort-zone, eredità sbiadita e sgangherata delle secolari tradizioni di campanilismo e provincialismo.
Lo spropositato tempo dedicato da tutti i media nazionali all’incoronazione del nuovo sovrano britannico mi ha fatto nuovamente pensare alla clamorosa assenza di un’educazione repubblicana e democratica nel nostro sistema formativo. Un vuoto probabilmente non casuale.
I nostri connazionali avrebbero invece bisogno di una radicale riforma educativa per tutte le età, i ceti sociali e i generi, così da contrastare la cappa obsolescente che gravita su chi legge almeno un libro l’anno (solo il 54 per cento della popolazione, secondo gli ultimi dati), su chi fa figli, su chi resta nella penisola per contrastare il decadimento dei tempi e degli esseri umani e su chi dedica attraverso il volontariato una parte consistente della propria quotidianità (oltre 5 milioni, meno del 10 per cento della popolazione) agli altri, in particolare ai bisognosi, ai diseredati e agli ultimi.
Mi sembra impossibile trovare una riforma più urgente e importante di questa. E proprio per questo non rientra in alcuna agenda politica.
[1] Barbara Stefanelli, “Un’altra storia”, Il Corriere della Sera, 22 ottobre 2022.
[2] Maria Teresa Meli, “Pd, prima da leader per Schlein”, Il Corriere della Sera, 12 marzo 2023, p. 10.
[3] Carla Mazzuca Poggiolini, «Donne e politica», in Cinquant’anni non sono bastati Le carriere delle donne a partire dalla sentenza n. 33/1960 della Corte costituzionale, a cura A.M. Isastia, R. Oliva, Trieste, Scienza Express edizioni, 2016, 352 p.[ilpasso è a p. 155].
[4] Flavia Perina, «Meloni-Schlein, scontro identitario», La Stampa, 10 maggio 2022.
[5] Tommaso Ciriaco, “Voglio i voti del popolo”. “E perché non un re?”. Il gelo tra Meloni e Schlein poi 20 minuti a tu per tu», La Repubblica, 10 maggio 2023; «Schlein vs Meloni, incontro-scontro a colpi di armocromia: ecco il significato (anche politico) dei loro look», Il Fatto Quotidiano, 10 maggio 2023.
[6] Monica Guerzoni, Adriana Logroscino, «Lo scontro sulle riforme», Il Corriere della Sera, 8 maggio 2023.
[7] Giulia Galeotti, Storia del voto alle donne in Italia. Alle radici del difficile rapporto tra donne e politica, Roma, Biblink, 2006, 320 p. [si veda p. 303].
[8] Senato della Repubblica, Ufficio Valutazione Impatto, Parità vo cercando 1948-2018. Settanta anni di elezioni in Italia: a che punto siamo con il potere delle donne?, 2018, p. 8.
[9] “La quota di donne elette cala per la prima volta dalla XIII legislatura”, 27 ottobre 2022, in www.openpolis.it
[10] «Donne in politica: i numeri», 2 dicembre 2018, www.agit.it.
[11] «Donne in politica, da Tina Anselmi e Nilde Iotti alla vittoria di Giorgia Meloni», La Repubblica, 26 settembre 2022.
[12] «Da Maraini a Littizzetto, l’appello per eleggere una donna», Il Corriere della Sera, 3 gennaio 2022.
[13] Luca Ricolfi, «Che cosa esclude le donne», La Repubblica, 22 gennaio 2022.
[14] «Da Maraini a Littizzetto, l’appello per eleggere una donna», Il Corriere della Sera, 3 gennaio 2022.
[15] Alessandra Arachi, «Ancora molta strada da fare», Il Corriere della Sera, 9 marzo 2023.
[16] Silvia Pagliuca, «Parità di genere, l’emergenza che blocca l’Italia», il Sole 24 Ore, 5 giugno 2022.
[17] Linda Laura Sabbatini, «La parità di genere non c’è», La Repubblica, 5 giugno 2022.
[18] Antonio Polito, «La sindrome di Renzi da cui dovrebbe guardarsi Meloni», Il Corriere della Sera, 11 maggio 2023.
[19] Antonio Polito, «La sindrome di Renzi da cui dovrebbe guardarsi Meloni», Il Corriere della Sera, 11 maggio 2023
[20] Secondo un sondaggio EMG comunicato il 15 maggio 2023, l’affitto di una stanza per studente costa 628 euro al mese a Milano, 467 a Bologna e 452 a Roma.
[21] Sara Bernacchia, «Caro affitti, Landini incontra alla Statale di Milano studenti in tenda, ma alcuni lo contestano», in la Repubblica», 13 maggio 2023.
[22] Giampiero Rossi, «Landini e i mille euro ai giovani: «Chi rifiuta di lavorare sottopagato fa bene», II Corriere della Sera (Milano), 14 maggio 2023.
[23] Silvia Fumarola, «Da Fazio a Damilano, in Rai star a rischio epurazione. Amadeus “dimezzato”», La Repubblica, 9 maggio 2023.
[24] “Belli ciao”. Il post di Salvini contro Fazio e Littizzetto. Anche Gasparri fa l’ironico», HuffPost, 15 maggio 2023.
[25] Silvia Fumarola, «Fabio Fazio lascia la Rai: la nuova casa sarà Discovery», La Repubblica, 14 maggio 2023.
[26] «Elezioni comunali 2023: i risultati in diretta. Brescia al centrosinistra, Schlein si congratula con Castelletti. Scajola verso la riconferma a Imperia», La Repubblica, 15 maggio 2023.
[27] «Meloni: in 100 giorni di governo lo spread è sceso da 236 a 175 punti base», Il Sole 24 Ore, 29 gennaio 2023.
[28] Claudio Cerasa, «Cento di questi cento giorni. Un giudizio sul governo Meloni. Con quel che manca per essere promettente», Il Foglio, 26 gennaio 2023.
[29] Giusi Fasano, «Meloni: ripristinare la leva? Possibile su base volontaria», Il Corriere della Sera, 14 maggio 2023.