Guido Barlozzetti trae alcune postille al webinar promosso da Key4biz e Democrazia futura il 20 giugno scorso in occasione dell’uscita del suo libro La meteora? Mario Draghi. L’anomalia di un’immagine. “Non è un libro di cronaca politica, né di retroscena, ma sull’immagine del potere […] – dichiara subito nella premessa l’autore aggiungendo: “Assume quindi a proprio oggetto l’immagine di Mario Draghi come un campo di significazione complesso di cui cerca di ritrovare le diverse forze che lo attraversano e che via via lo costituiscono, nell’inter-relazione inevitabile con lo sguardo di fronte a cui quel campo prende forma. E lo fa all’incrocio tra la simultaneità e la diacronia, e cioè tra l’identità di un concetto che orienta la ricerca e il suo progressivo divenire nel tempo […]. Dico da questo punto di vista di un’analisi tutta contenutistica, che riguarda sia la quotidianità del discorso dell’informazione sia anche chi stabilisce una distanza rispetto all’attualità in modo da creare le condizioni per uno sguardo più ampio e complesso. Per fare un esempio che aiuta a capire, è come se – aggiunge Barlozzetti – guardando un film parlassimo soltanto dei temi affrontati dalla storia e facessimo un semplice résumé della trama, prescindendo dal fatto che un film esiste per quello che si presenta sullo schermo allo sguardo dello spettatore, risultato vivo, lì davanti a lui, delle scelte di sceneggiatura, di regia e di montaggio, gli attori, i luoghi, la musica, il tempo del racconto che non necessariamente è una banale successione di scene. Insomma di linguaggio si tratta e l’immagine è un campo di linguaggio” conclude Barlozzetti.
Voglio anzitutto ringraziare Infocivica e Democrazia Futura per il webinar che hanno ritenuto di voler organizzare con Key4biz a partire da La meteora? Mario Draghi. L’anomalia di un’immagine.
Ho ovviamente ascoltato e seguito con attenzione gli interventi, i rilievi, anche critici, come giusto che sia, che ne sono usciti.
Non tocca ovviamente a me fare un bilancio, semmai esprimere alcune considerazioni che per un verso vorrebbero ribadire le motivazioni per cui il libro è stato scritto, per l’altro aggiungere una coda in considerazione del tempo che è passato ormai dalla conclusione dell’esperienza di governo di Draghi.
Che cosa mi sono proposto di approfondire con questo libro: l’immagine come campo di linguaggio
Non è un libro di cronaca politica, né di retroscena, ma sull’immagine del potere.
Il libro assume punto di vista che rimanda alla semiotica testuale ed è scritto da qualcuno che si mette come spettatore-analista di fronte all’immagine di un altro, a ciò che l’altro fa vedere e dice di sé.
Assume quindi a proprio oggetto l’immagine di Mario Draghi come un campo di significazione complesso di cui cerca di ritrovare le diverse forze che lo attraversano e che via via lo costituiscono, nell’inter-relazione inevitabile con lo sguardo di fronte a cui quel campo prende forma. E lo fa all’incrocio tra la simultaneità e la diacronia, e cioè tra l’identità di un concetto che orienta la ricerca e il suo progressivo divenire nel tempo.
Non so se questo aspetto sia stato colto fino in fondo, se non lo è stato ovviamente dipende anche da quello che ho scritto, però voglio rivendicare questa centralità attribuita all’immagine – e all’anomalia che mi è sembrato di rintracciarvi – proprio per marcarne la differenza rispetto ad approcci, tutti i legittimi per carità, oltre che dominanti, che mi pare vadano in una direzione diversa.
Dico da questo punto di vista di un’analisi tutta contenutistica, che riguarda sia la quotidianità del discorso dell’informazione sia anche chi stabilisce una distanza rispetto all’attualità in modo da creare le condizioni per uno sguardo più ampio e complesso.
Per fare un esempio che aiuta a capire, è come se guardando un film parlassimo soltanto dei temi affrontati dalla storia e facessimo un semplice résumé della trama, prescindendo dal fatto che un film esiste per quello che si presenta sullo schermo allo sguardo dello spettatore, risultato vivo, lì davanti a lui, delle scelte di sceneggiatura, di regia e di montaggio, gli attori, i luoghi, la musica, il tempo del racconto che non necessariamente è una banale successione di scene.
Insomma di linguaggio si tratta e l’immagine è un campo di linguaggio
Non voglio essere frainteso, questo livello del discorso e del dibattito è fondamentale e però credo vada fatto lo sforzo di richiamare l’attenzione su elementi che spesso alla fine vengono ridotti a marginali, a colore e come tali addirittura colpevolizzati, quando invece sappiamo quanto l’immagine sia ormai parte strutturale e intrinseca della politica che si dà come marketing di sé stessa e strategia di consenso.
E qui ci sarebbe da ricordare quanto questo processo non debba essere inteso soltanto in modo univoco e cioè da qualcuno che emette a qualcuno che riceve, la comunicazione ha fatto abbastanza passi avanti per farci capire quanto complesso e bidirezionale sia il rapporto. In questo senso, lo dico con una battuta, ho fatto di me stesso la cavia nei confronti dell’immagine di Mario Draghi.
Ma, a rovescio, potrei dire di aver usato questa immagine con l’ambizione di ritrovarvi i tratti di quella con cui si presenta il Potere. Lo scrivo con la maiuscola per dargli la connotazione simbolico-antropologica che lo contraddistingue, oltre le contingenze, anche quelle di un governo che è durato poco più di un anno e mezzo.
Una meteora con qualche lampo di cometa
Cosa rimane di Draghi a un anno dalla caduta del suo governo? È una meteora definitivamente caduta o emette lampi baluginanti da cometa, magari residuale? Intanto, è evidente la continuità della linea del silenzio e dell’assenza.
Il silenzio
Draghi non si fa vedere, non è nella quotidianità dell’informazione, nel discorso della politica. Non scende nel dibattito e non entra sul terreno della polemica. Era esterno alla politica quando è diventato Presidente del Consiglio, continua ad esserlo una volta uscito da Palazzo Chigi. Ribadisce in questo la connotazione strutturale della sua immagine: esterna al circuito della politica, riserva semmai della Repubblica, neo-Cincinnato, la certezza-strategia consolidata che tanto più la sua immagine si rafforzi, quanto più venga sostenuta dalla percezione di questa assenza e nell’estraneità rispetto all’agone vociante partitico e governativo. Draghi non c’è e però c’è grazie al peso di un’invisibilità che almeno in parte rimanda al topos del Convitato di pietra, quello che prima o poi risale sulla scena nell’ora in cui si faranno i conti decisivi. Con tutta l’incertezza del caso e dell’attualità, perché nulla autorizza a pensare che ciò accada, ma intanto ora, adesso, questo è il gioco. Non assoluto perché, come vedremo, delle manifestazioni ci sono, ma contesto/ambiente che le contiene e ne genera la rilevanza.
L’immagine rubata
È significativa, nel vuoto anche delle immagini che lo riguardano, quella che gli è stata rubata in un aeroporto, un’immagine rubata, appunto, di lui che sta mangiando al tavolo di un bar in attesa di un volo, confuso tra mille e mille passeggeri di un non luogo, anonimo, invisibile anche in questa immagine. Che alla fine è quella che più ci dice di lui, proprio nella casualità che la contraddistingue di uno scatto, che non ha dietro di sé nessun calcolo, nessuna premeditazione, nessuna strategia.
Uno, nessuno e centomila, la vita quotidiana e reale di un Protagonista che non sa nemmeno di essere catturato da uno degli infiniti occhi che riempiono ogni spazio-tempo della giornata.
Un potente che appare allo stesso modo in cui potrebbe farsi vedere chiunque, in un gesto di ovvio e banale di ogni giorno, senza nessun segno che dica della sua “diversità” e ne protegga la privatezza, un collaboratore, una scorta… Se non fosse per l’occasionalità della circostanza, verrebbe da pensare a una consapevole strategia di comunicazione che gioca la carta della normalità.
Guardarsi da fuori
Questa tendenza alla sottrazione di sé la ritroviamo anche nel botta e risposta tra lui e Ferruccio de Bortoli in occasione della presentazione di un libro alla fondazione Corriere della Sera.
“Sono un ex – dice – e quindi non ho nulla da chiedere”, ammette di aver fatto parte “del potere e dei potenti (…). Ora non più, ecco perché non faccio molta fatica a staccarmi dalla situazione in cui mi trovo e a guardarmi da fuori”.
È paradossale, Draghi non più Protagonista – Primus inter pares e super partes – ma analista di sé stesso. Una meteora al quadrato, non più nel posto di comando, l’uscita dalle stanze del potere permette di guardarsi, quello che non accade a chi il potere lo detiene. All’altro estremo, l’ossessione autoreferenziale del governante totalitario che diventa lo specchio di sé stesso.
Una intervista
I rapporti con la stampa? Anche qui nessuna novità, semplicemente non esistono, con la differenza che Draghi da ex premier non deve indire conferenze stampa e soggiacere alla loro necessità. Rilascia una sola intervista, al Corriere della Sera, il 24 dicembre 2022, come accaduto durante il suo governo.
La prima cosa che sottolinea è la distanza, il distacco, il non voler essere coinvolto, La prosecuzione di un understatement che questa volta lo vede fuori dalla scena. Riprende anche un’immagine di sé con cui durante il governo ha alleggerito la pesantezza istituzionale apprendo al calore di un ruolo familiare:
“Faccio il nonno, ho quattro nipoti. E mi godo il diritto dei nonni di poter scegliere che cosa fare. Anche per questo ho chiarito che non sono interessato a incarichi politici o istituzionali, né in Italia né all’estero”.
Dunque, il presente è quello di chi si ricontestualizza nella Famiglia e rinuncia a ruoli pubblici. Draghi si presenta nel ruolo dell’anziano premuroso, che assicura una cortina protettiva che esclude e separa, e al tempo stesso alimenta un’immagine di affetti e sentimenti (sullo sfondo c’è quella immagine di banchiere-senza-cuore, che evidentemente sente come un’ombra negativa, rispetto alla quale in più occasioni si è espresso con significativa ironia).
L’Agenda Draghi lasciata in eredità al governo che lo ha sostituito
Nell’intervista, ricorda di aver fatto “un mestiere nuovo” e che avrebbe proseguito volentieri il lavoro intrapreso, interrotto dalla Caduta del governo.
Rivendica i risultati raggiunti, la diminuzione record del debito pubblico, le politiche sulle famiglie che hanno ridotto la disuguaglianza, la diminuzione del tasso di disoccupazione… insomma, la bontà di quell’agenda che ormai gli è indissolubilmente legata e che forse ha lasciato in eredità al governo che lo ha sostituito.
Rivendica anche i risultati nella politica energetica con la riduzione dalla dipendenza dalla Russia e la scelta di attuare il Green pass e l’obbligo vaccinale, limitando la libertà individuale in nome del diritto alla salute:
“Questi sono i risultati dell’agenda politica e economica del governo che sono stato chiamato a presiedere”
Riflette anche sulla sua Caduta e l’attribuisce al riemergere delle pulsioni partitiche di contro allo spirito comunitario su cui era nata la maggioranza.
Ribadisce anche e riconferma la posizione di pieno sostegno all’Ucraina, pur nella consapevolezza dei legami con la Russia, contro l’ambiguità che magari qualcuno si sarebbe aspettato.
Glissa sulle critiche che gli sono state rivolte sul PNRR: il governo aveva raggiunto quello che doveva e se avesse avuto tempo avrebbe completato tutti gli obiettivi. E per evitare strascichi polemici si dice convinto che il governo Meloni farà lo stesso.
Equilibrio e distanza dunque, insieme alla sottolineatura di alcuni punti fermi.
Draghi parla sempre da una posizione di superiore lateralità e le sue parole non escono mai dal cerchio di una misura, lasciando però la sensazione, proprio per la loro nettezza, di essere sottilmente attraversate da un’alterità, come dire a buon intenditor…
Le vetrine
Silenzio dunque, apparizioni fugaci, nessun contatto diretto con la stampa, una sola intervista in cui parla da ex presidente del consiglio.
La visibilità la affida a vetrine talmente prestigiose e che dunque gli consentono di parlare al livello in cui sente di dover stare e cioè quello di un protagonista senza partito, se non quello di una sorta di Internazionale della cultura politico-economica di cui sente di far parte.
Ecco allora il discorso che pronuncia al MIT’s Samberg Conference Center il 7 giugno 2023. La scelta del luogo – il Mit – non è affatto neutra, vuol dire prestigio accademico, rapporto con l’America in cui ha vissuto, studiato e lavorato.
È interessante notare il profilo che assume a giustificazione e sostegno di quello che sta per dire, “le esperienze di banchiere centrale e di primo ministro italiano”. Dunque, Draghi si accredita con un profilo che tiene insieme l’eccellenza di un ruolo economico finanziario e quella politica di chi ha governato.
Sono sottolineature importanti che consentono anche di riarticolare quella definizione di “tecnico” che spesso gli è stata attribuita. Il discorso si costruisce infatti proprio nell’interrelazione dei due livelli, sia nello scenario che Draghi va a descrivere, sia dal punto di vista che assume nel descriverlo.
Annuncia che saranno due i temi che affronterà, “la guerra in Ucraina e il ritorno dell’inflazione”. Due emergenze che riconduce a “un cambiamento di paradigma che negli ultimi due decenni e mezzo ha silenziosamente spostato la geopolitica globale dalla competizione al conflitto”, che coincide con la fine della “visione consensuale della globalizzazione”.
Nel discorso la competenza del banchiere e la consapevolezza politica si intrecciano continuamente.
Anche quella che sembra la tecnicalità con cui affronta il tema dell’inflazione e dei possibili rimedi si va a contestualizzare in una visione politica. In particolare quando esprime la convinzione che nessuno Stato sia in condizione di affrontare nella sua singolarità problemi così grandi e dunque la necessità di compiere finalmente il passaggio dall’unione monetaria a quella politica indispensabile per valorizzare anche la complessiva potenza economica che l’Europa è in grado di esprimere e per fondarne la rilevanza militare e diplomatica.
Profeta di un’Europa finalmente unita
Draghi si presenta come profeta di un’Europa finalmente unita: le sfide possono essere affrontate solo con l’unità politica dell’Europa – difendere i valori fondanti, accogliere i paesi balcanici e dell’Europa orientale, la transizione climatica e la sicurezza energetica, “tutto questo senza indebolire la protezione sociale che rende l’UE unica”.
Questa linea maestra si riconferma nel discorso che tiene al National Bureau of Economics Research il 13 luglio per la lecture Martin Feldstein.
È un testimonial dell’unità europea e al tempo stesso un censore che richiama alla responsabilità. Una lunga analisi che pone al centro il tema della stabilizzazione dei bilanci nazionali, il modo in cui affrontare choc simmetrici e asimmetrici, il rapporto tra discrezionalità e automatismo delle regole e i riflessi su quello tra centro e periferia, i differenziali nelle politiche fiscali e i riflessi sul debito, l’allargamento della periferia senza che ciò pregiudichi la forza del centro…
Fino alla sintesi finale:
“Il punto di partenza di qualsiasi futura modifica del Trattato deve essere il riconoscimento del numero crescente di obiettivi condivisi e della necessità di finanziarli insieme, il che a sua volta richiede una diversa forma di rappresentanza e un processo decisionale centralizzato. Quindi, un passaggio a regole più automatiche diventerebbe più realistico. Credo che gli europei siano più pronti rispetto a vent’anni fa a intraprendere questa strada, perché oggi hanno davvero solo tre opzioni: paralisi, uscita o integrazione”.
Insomma, l’ultima immagine che Draghi ci dà di sé è quella di un problematico paladino di un’Europa che deve camminare verso una sostanziale unità. Mette in fila problemi irrisolti, contraddizioni e consapevolezza dei limiti ma non per questo rinuncia a una sorta di appello in cui si toccano etica e politica, convenienza nel quadro geopolitico e valori.
Ricordando Martin Feldstein sottolinea come
“Le ricerche di Marty hanno sempre unito idee perspicaci con solide prove empiriche e rilevanza politica”.
Parlando di lui sta parlando di sé stesso.