Arte

Democrazia Futura. Gianfranco Ferroni o del realismo anamorfico

di Roberto Cresti, ricercatore e docente di storia delle arti del Novecento all’Università di Macerata |

L’artista in copertina e nelle pagine di questo quinto fascicolo di Democrazia Futura è Gianfranco Ferroni, uno dei maggiori pittori italiani dell’ultimo Novecento.

Roberto Cresti

Anche per questo questo sesto fascicolo (il primo del 2022), la copertina, la quarta di copertina e le pagine interne rimaste bianche sono illustrate attraverso monografie di artisti contemporanei. La selezione delle opere curata da Roberto Cresti (46) che riproducono esclusivamente opere artistiche pubblicate – alla stregua del resto dei testi degli autori di questo numero – a titolo puramente amichevole con il loro esplicito consenso o con quello degli eredi – questa volta è ricaduta su Gianfranco Ferroni  (Livorno, 1927-Bergamo, 2001), uno dei maggiori pittori italiani dell’ultimo Novecento  di cui il professor Cresti ci presenta un profilo seguito dalla bibliografia e da un’informativa sulla Galleria Ceribelli di Bergamo di cui viene sottolineata la sintonia intellettuale con la ricerca dello stesso Ferroni e la tutela  dell’opera e della memoria a 21 anni dalla scomparsa del pittore livornese.

Gianfranco Ferroni

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La pittura di Gianfranco Ferroni (Livorno, 1927-Bergamo, 2001), uno dei maggiori pittori italiani dell’ultimo Novecento, riflette e riformula simultaneamente fin dagli anni Cinquanta, il legame con il reale in senso esistenziale, come una risposta interiore, la quale toglie all’immagine ogni luce diurna legata al verosimile, e anche quando rappresenta soggetti e oggetti riconoscibili lo fa con un inquadramento interdetto, ove pare di rivedere i ‘rinvii’ fra arte e materia di Alberto Giacometti e di certo informale segnico (con qualche influenza di Roberto Sebastain Matta) o quelli del cubismo realista-espressionista di Francis Bacon o para-tecnologico di Graham Sutherland.

Ferroni ha, prima di tutto, vissuto l’incongruenza fra l’immagine e il dipinto, elaborando nel ‘quadro’ chiaroscuri figurativi come in un luogo di ambigue strutture geometriche. C’è qualcosa, alle origini, della periferia milanese nominata da Elio Pagliarani nel poemetto La ragazza Carla[1], ma per difetto, per scarnificazione e appunto per oscuramento dello spazio fenomenico esterno, con sottrazioni progressive di materia pittorica, fino a far coincidere, dai primi anni Settanta, dopo un lungo confronto con un universo di oggetti poveri e di scarto, le strutture geometriche di fondo col dato retinico, attraverso un ripresa della poetica metafisica calata negli angoli più vicini e inarrivabili della vita quotidiana.

Il confronto fra il suo Angolo cucina – notte (1978) [tav. 1] e la Torre rossa (1912) [tav. 2] di Giorgio De Chirico palesa un inserimento della Metafisica nella realtà, ossia un realismo “anamorfico” (gr. ἀναμόρφωσις, “rigenerazione”, “riforma”), che fu proprio del gruppo di pittori nominatosi nel 1979 la Metacosa (oltre a Ferroni, Giuseppe Bartolini, Giuseppe Biagi, Bernardino Luino, Sandro Luporini, Lino Mannocci, Giorgio Tonelli,)[2], ove lo spazio non ha profondità oltre l’immagine, e la notte, visibile dalla finestra aperta, appare di una oscurità “murata”. L’interno della stanza, inoltre, è irrevocabilmente stretto dalla cornice del dipinto, e, per la sua verosimiglianza senza esterno, costituisce una traduzione formale della dinamica di avvicinamento alla «linea» o al «punto zero» di cui trattano Ernst Jünger e Martin Heidegger nel loro celebre scambio epistolare conosciuto come Oltre la linea[3], che affronta il tema del dominio dello «spazio tecnico» dell’industria sul mondo contemporaneo. Una tema che Ferroni riflette ‘riducendo’ appunto la realtà a ‘quadro’ come a uno spazio inaccessibile e del tutto autoreferenziale.

È perciò davvero interessante, da un lato, che il termine tedesco impiegato da Heidegger per definire la tecnica nel suo insieme sia «Gestell»[4], “supporto”, “impianto”, “montatura”, “struttura di sostegno” “cavalletto”; dall’altro, che Ferroni, una volta fatta propria la visione retinica in pittura, abbia adottato dei “supporti” come contenuti: cornici, letti, cavalletti, tele, tavoli o ombre degli stessi, dipingendoli con precisione, come si trattasse dei prodotti di «un laboratorio d’orologeria» (una metafora che utilizzava nelle conversazioni con gli amici)[5]. Egli ha così espresso ogni volta in forma diversa, ma continua, il ‘dolore’, che è il motivo dominante di tutta la sua opera, e che risulta anche un effetto interiore del lavoro meccanico, generato dalle ‘riduzioni’ che la strumentazione tecnica impone all’«essere umano».

Vedere attraverso la tecnica è vedere la tecnica, come, in pittura, è vedere attraverso la pittura, ma solo fino ad essa, oltre non si può procedere (come si coglie in particolare nella sua produzione grafica, che porta alle estreme conseguenze la lezione delle nature morte di Giorgio Morandi).

Ferroni ha superato così la visione retinica, non oltrepassandola, ma adottando una ‘riduzione’ della realtà visibile al ‘lavoro’ del quadro, in cui l’immagine sembra spesso allungarsi da uno spazio alle spalle dello spettatore.

Il «dolore», infatti, afferma Heidegger, (che cita il gr. ἄλγος, “dolore” riconducendolo a ἀλέγω, intensivo, di λέγω, “raccolgo”)[6] è ciò che induce al raccoglimento in sé: è il frutto più intimo del lavoro, e si riproduce, ogni volta, poiché il lavoro priva l’«essere umano» (in primis il ‘lavoratore’) della sua totalità nel mondo, ma ogni volta ribadisce il suo punto di origine, che è l’Io, indotto a riconquistare, ogni volta, quella totalità[7].

Novello Sisifo ‘camusiano’, Ferroni è stato il pittore di tale «dolore» e i suoi autoritratti [tav. 3] ne sono l’esito antropomorfo[8], come una individuazione di sé fino al lucido possesso dell’incertezza che identifica l’Io alle spalle dell’immagine e di chi l’osserva[9], con il contestuale affinamento della tecnica rappresentativa, che diventa sempre più indifferente al suo contenuto: «nel dolore si comprova la forma»[10], dichiara Jünger.

Le primitive istanze esistenziali sono divenute così formali e il fianco del letto in una corsia d’ospedale, ove non si sa se si sia giunti troppo presto o troppo tardi per far visita al malato [tav. 4], è divenuto il letto-cavalletto d’una malattia immortale [tav. 5], che ha laicizzato il «dolore», finché il ‘crocifisso’ (metafora dell’«essere umano» nel mondo) è divenuto il Gestell, il cavalletto del pittore, e il panno, che lo copre [tav. 6], la ‘sindone’, per sineddoche, dell’intero dipinto, come in attesa d’una apparizione[11]: il che ha rivoluzionato di 180° ogni rinvio a una ‘trascendenza’ metafisica entro la ‘rescendenza’ radicale della Metacosa.

tav. 1 Gianfranco Ferroni, Angolo cucina – notte, 1978
tav. 2 Giorgio De Chirico, Torre rossa, 1912
tav. 3 Gianfranco Ferroni, Autoritratto in piedi, 1979
tav. 4 Gianfranco Ferroni, Comodino di corsia, 1979
tav. 5 Gianfranco Ferroni, Interno con lettino, 1979
tav. 6 Gianfranco Ferroni, Lenzuolo sul cavalletto, 1983

Bibliografia di Gianfranco Ferroni

Giorgio Mascherpa, L’opera grafica di Gianfranco Ferroni. Testo di Giovanni Testori, Milano, Longnesi, 1984, 182 p. Contiene 169 tavv.b.n., bros., sovr., 22,5×28,5 cm. Edizione di 1.500 ess .num. Catalogo ragionato

Cataloghi di mostre

Arte – Nuovi percorsi, Gianfranco Ferroni, Opera grafica, Livorno, Casa della cultura, 24 giugno-15 luglio 1989, Bergamo, Pierluigi Lubrina Editore, 1989, 96 p. ISBN 88-7766-059-7

Gianfranco Ferroni. Disegni, 1959-1990, con testi di G. Giuffrè, Marco Goldin, Conegliano, Galleria comunale d’arte moderna in Palazzo Sarcinelli, Milano, Longanesi, 1990, 138 p. Contiene 98 tavv.col., bros., 20×24 cm.

Gianfranco Ferroni. Incisioni 1957-1991, con testi di Giovanni Testori, Marco Goldin, Lecco, Galleria Bellinzona-Bergamo, Galleria Ceribelli, Lecco-Bergamo, Bellinzona-Ceribelli editori, 1991, 270 p.

Gianfranco Ferroni Antologica, testo di Maurizio Fagiolo dell’Arco, catalogo della mostra alla Galleria Comunale d’Arte Moderna, Bologna, 13 nov.1994-15 gen.1995, Torino, Allemandi, 1994, 160 p. Contiene 25 ill.b.n. e con 121 tavv.di cui 94 col. (e 2 su doppia pag.ripiegata), bros., 21×30,5 cm.

Gianfranco Ferroni, a cura di Domenico Pertocoli, testi di Gino di Maggio e Gabriele Mazzotta, Flavio Caroli, e Maria Grazia Recanati, catalogo della mostra a Palazzo Reale, Milano, 17 giu.-7 set.1997. Mazzotta/Mudima, Milano, Mazzotta, 1997, 120 p. Contiene 13 ill.b.n. e con 65 tavv.col. e 40 b.n., bros., 23×27 cm

Maria Grazia Recanati, Ferroni, con un saggio critico dio Roberto Tassi, Galleria Ceribelli – Bergamo, 1Cerrribelli editore, 1997, 415 p. ISBN 88-87074-00-3

Arte moderna, AA.VV., Giorgio Mondadori, 2000, 376+104 p. Contiene numerose tavole f.t

Ferroni, Palazzo Reale, SKIRA, 2007, 144 p. dalla biografia curata da Chiara Gatti. ISBN 9788861303393

AA.VV., Gianfranco Ferroni, in memoriam, Galleria Ceribelli, 23 maggio 2011/23 luglio 2011,  Bergamo, Lubrina editore, 2011, 196 p.  ISBN 978-88-7766-428-0

Gerd Lindner, Rosaria Fabrizio, Dopo de Chirico. La pittura metafisica italiana contemporanea, Bad Frankenhausen, Panorama Museum, 20 ottobre 2012- 3 febbraio 2013, 232 p.

Sitografia

https://www.galleriaceribelli.com/it/gianfranco-ferroni/

https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/rifiuti-di-gianfranco-ferroni-altra-faccia-pop-art

www.artribune.com/arti-visive/arte-contemporanea/2018/08/gianfranco-ferroni-pittore-mostra-seravezza/

https://www.collezionegiuseppeiannaccone.it/en/collection/contemporary-art/artists/55c4c4b056e510273f9a76f1

La Galleria Ceribelli a Bergamo[12]

A partire dai primissimi anni di attività, la filosofia della Galleria è sempre stata quella di affiancare mostre di grandi maestri dell’arte antica e contemporanea a nuove proposte di giovani meritevoli, tramite una continua e attenta ricerca nel mondo dell’arte, da offrire con continuità alla città di Bergamo.

La storia della Galleria Ceribelli nasce dalla passione del fondatore Arialdo Ceribelli, studioso, collezionista ed esperto conoscitore della grafica originale e in generale dell’arte figurativa del Novecento. Responsabile per oltre vent’anni, dal 1965 al 1990, delle ricerche iconografiche presso la storica casa editrice Minerva Italica attiva dal 1952 a Bergamo, marchio di riferimento nel panorama della didattica, Arialdo Ceribelli ha avviato la sua attività autonoma come curatore di mostre e di cataloghi ragionati di grandi incisori antichi e moderni.

L’inaugurazione nel 1993 della galleria d’arte moderna e antica in via San Tomaso a Bergamo, a pochi metri dall’Accademia Carrara e dagli spazi della GAMeC, ha coinciso con una importante esposizione – la prima in Italia – dedicata alle incisioni di Lucian Freud, maestro inglese di cui Ceribelli ha curato, nel 1995, con Craig Hartley, il catalogo generale delle acqueforti, The Etchings of Lucian Freud: A Catalogue Raisonné 1946-1995, pubblicato da Alcon Edizioni, Marlborough e Ceribelli.

Fin da questi esordi significativi, il programma della galleria si è distinto per un respiro internazionale e un costante riferimento al mondo britannico con cui ha mantenuto un legame costante negli anni, seguendo il mercato delle stampe d’arte sulla piazza londinese e, contemporaneamente, invitando autori anglosassoni a dialogare o ad alternarsi con i nomi della sua scuderia italiana. Fra questi spiccano i protagonisti del movimento della Metacosa nato nel 1979: Gianfranco Ferroni, Lino Mannocci, Giuseppe Biagi, Giuseppe Bartolini, Giorgio Tonelli, Bernardino Luino e Sandro Luporini.

La sintonia della Galleria con la ricerca di Gianfranco Ferroni

L’amicizia profonda, la stima e la sintonia intellettuale con Ferroni hanno segnato, in particolare, tutto il percorso della galleria che ne ha promosso la ricerca e ne tutela tutt’oggi l’opera e la memoria. Al 2002 risale il catalogo delle incisioni curato con Franco Marcoaldi, edito da Lubrina; nello stesso anno la galleria ha prodotto il film La notte che si sposta. Gianfranco Ferroni, con la regia di Elisabetta Sgarbi, presentato alla 59a Mostra d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.

Nel 2006 è stato ultimato il catalogo ragionato delle litografie, curato con Chiara Gatti e con un testo di Marco Vallora.

L’anno seguente, la galleria Ceribelli ha collaborato alla realizzazione della retrospettiva dedicata al maestro livornese allestita al Palazzo Reale di Milano e alla GAMeC di Bergamo, con scritti a catalogo (Skira) di Vittorio Sgarbi, Luca Ronconi, Alberto Boatto, Silvio Lacasella, Valerio Magrelli, Franco Marcoaldi, Casimiro Porro, Marco Vallora.

Oggi prosegue in quest’opera di valorizzazione con un circuito di mostre già presentate agli Uffizi di Firenze (2015), a cura di Vincenzo Farinella con un testo di Antonio Natali, a Casa Raffaello e al Palazzo Ducale di Urbino (2016) e al Palazzo Mediceo di Seravezza (2018).

Anche dal rapporto di grande stima e familiarità con Lino Mannocci, conosciuto già nel 1968, sono nate nel tempo mostre e pubblicazioni curate a quattro mani con il pittore italiano, londinese d’adozione, fra cui: la rassegna Gli Amici Pittori di Londra (My Painter Friends in London) tenutasi nel 2007 in galleria a Bergamo, seguita nel 2008 dalla mostra Genius Loci, nel 2010 Another Country presso la Estorick Collection di Londra, e nel 2015, Vital Signs alla Clifford Chance di Londra, presentata poi alla Fondazione Bottari Lattes a Monforte d’Alba. Con tale Fondazione la galleria Ceribelli ha siglato una collaborazione duratura, caratterizzata da mostre di fotografia, come la più recente retrospettiva riservata all’amico e celebre fotografo Mario Dondero allestita nel 2018 e supportata dall’Associazione Giulia Falletti di Barolo.

In vent’anni fervidi di attività, la galleria Ceribelli si è concentrata sempre sullo studio della stampa d’arte e la ricerca dei suoi maestri, partecipando altresì a eventi fieristici internazionali come il Salon du Dessin et de l’Estampe di Parigi, la London Original Print Fair della Royal Academy, il Fotofever di Parigi e il Wopart di Lugano.

I Cataloghi ragionati della Galleria Ceribelli

Legati al mondo dell’incisione sono i suoi cataloghi ragionati. Oltre a quelli di Lucian Freud e Gonfranco Ferroni, il Salvator Rosa. Acqueforti 1615-1673 curato con Olimpia Theodoli nel 1992, presentato in occasione della mostra al Castello Comunale di Barolo, e il Manet. Incisioni, del 2004, dalla cartella di Alfred Strölin.

Fra le mostre di grafica, si segnala la collaborazione con il Gabinetto delle Stampe e il Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo, dove la galleria ha contribuito, con prestiti e consulenze, alle antologiche di Max Klinger Inconscio, mito e passioni alle origini del destino (2018) e Albrecht Dürer. Il privilegio dell’inquietudine (2019) entrambe curate da Patrizia Foglia e Diego Galizzi.


[1] I Novissimi. Poesie per gli anni ’60 (1965), a cura di Alfredo Giuliani, Einaudi, Torino 1977, 240 p. [il poemetto si trova alle pp. 45-67]. [«Di là dal ponte della ferrovia / una traversa di viale Ripamonti / c’è la casa di Carla, di sua madre, e di Angelo e Nerina // Il ponte sta lì buono e sotto passano / treni carri vagoni frenatori e mandrie dei macelli / e sopra passa il tram, la filovia di fianco, la gente che / cammina / i camion con la frutta di Romagna», La ragazza Carla, p. 45]. L’ambiente milanese, dove è ambientato il poemetto di Pagliarani, fu quello in cui Ferroni trascorse gran parte della vita. Anche Bergamo, grazie all’aiuto del gallerista e editore Arialdo Ceribelli, fu un altro luogo importante e artisticamente fecondo.

[2] La Metacosa, a cura di Arialdo Ceribelli, Bergamo Ceribelli Editore, 2020, 299 p.

[3]  Ernest Jünger-Martin Heidegger, Oltre la linea, a cura di Franco Volpi, Milano, Adelphi, 1989, 167 p. Il saggio di Jünger Ueber di Linie risale al 1951 [Frankfurt am Main, Klostermann, 44 p.]. Nel volume di Adelphi troviamo anche il saggio di Heidegger Zur Seinsfrage (La questione dell’essere), [Frankfurt am Main, Klostermann, 1956 43 p.]

[4] Ivi, p. 132.

[5] Bernadino Luino, in Ugo Avvanzini et al., Gianfranco Ferroni. In memoriam, Bergamo, Lubrina Bramani Editore, 2011,196 p. [il passo citato si trova alla p. 123].

[6] Ernst Jünger-Martin Heidegger, Oltre la linea, cit., p. 137.

[7] L’attenzione di Gianfranco Ferroni per il mondo del lavoro industriale appare fin dagli anni Cinquanta nello scritto dedicato a una visita compiuta alle acciaierie di Piombino, in cui si pone la questione del rapporto fra l’uomo e la macchina: Gianfranco Ferroni-Antonio Gnoli, La luce dell’ateo, Milano, Bompiani, 2009, 188 p. [si vedano in particolare le pp. 30-36].

[8] Gianfranco Ferroni, Autoritratti, Bergamo, Lubrina Bramani Editore, 2011, 212 p.

[9] In questo indirizzo si colloca il confronto col realismo di Antonio Lopéz García, nelle cui opere l’invariabilità dello «spazio tecnico» o del “sostegno” appare attraverso i paesaggi urbani “pietrificati” della Spagna franchista, a partire dai quali il pittore sembra cercare il luogo della propria nascita. Una poetica questa che si è diffusa nella cultura spagnola (si pensi ai film di Pedro Almodovar Volver [2006] o Dolor y Gloria [2019]), ma che è comune a molti artisti fra il XX e il XXI secolo.

[10] Ernst Jünger-Martin Heidegger, Oltre la linea, cit. p. 136.

[11] Gianfranco Ferroni-Antonio Gnoli, La luce dell’ateo, cit., pp. 150-151.

[12] Nota informativa estratta dal sito della Galleria Ceribelli. Cfr. https://www.galleriaceribelli.com/

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