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Democrazia Futura. Gaza fra speranza di proroghe alla tregua e nuovi esodi e ostilità

Giampiero Gramaglia

La guerra fra Hamas e Israele – iniziata esattamente due mesi fa ha alternato negli ultimi dieci giorni fasi positive di scambio di ostaggi e di intensa attività diplomatica per arrivare ad un cessate-il-fuoco con la ripresa degli attacchi israeliani nella Striscia di Gaza e nuovi esodi interni che hanno caratterizzato gli ultimi giorni nonostante la proroga della tregua sino a venerdi mattina 1° dicembre. Proseguono le corrispondenze di guerra di Giampiero Gramaglia. Democrazia futura ha raccolto quelle degli ultimi dieci giorni, scritte rispettivamente il 27, 28 e 30 novembre e il 5 dicembre, nel testo qui di seguito intitolato “Gaza fra speranza di proroghe alla tregua e nuovi esodi e ostilità”.

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7. Biden si prodiga per Abigail, bimba ostaggio di 4 anni liberata a Gaza[1]

Quanto vale Abigail, 4 anni, bambina israeliana di nazionalità anche statunitense, al borsino dei voti di Usa 2024? Probabilmente poco, forse nulla, perché, quando si andrà alle urne, pochi, e forse nessuno, penserà a lei riempiendo la scheda. E magari – è solo una speranza – non ci sarà neppure più motivo di pensare alla guerra, anzi alle guerre, quella in Medio Oriente tra Israele e Hamas e quella in Ucraina dopo l’invasione della Russia. L’auspicio è che i conflitti, di qui ad allora, si siano spenti.

Ma il presidente statunitense Joe Biden s’è molto speso per la liberazione di Abigail Edan, i cui genitori sono stati uccisi il 7 ottobre 2023 nei raid terroristici di Hamas in territorio israeliano. E, dopo il rilascio della piccola, ha telefonato ai membri della sua famiglia negli Usa e in Israele.

Biden dice:

“L’intesa – giorni di tregua e detenuti palestinesi rilasciati in cambio della liberazione di ostaggi liberati, ndr – funziona… Spero nel rilascio di altri ostaggi… Il mio obiettivo è estendere la tregua”,

Ci sono trattative in atto per dare un seguito all’accordo, sempre mediate in particolare da Qatar ed Egitto, ma il premier israeliano Benjamin Netanyahu insiste che, finita la tregua, la guerra riprenderà fino allo smantellamento di Hamas.

Sulla definizione degli assetti a Gaza dopo il conflitto, il presidente americano nota:

“Penso che nessuno nella Regione voglia più Hamas a Gaza”,

il che, però, lascia aperte le porte a tutte le soluzioni, un’occupazione temporanea israeliana – invisa ai più -, un’amministrazione temporanea internazionale, il ritorno della Striscia sotto l’Autorità nazionale palestinese, o altro.

Abigail e la solitudine di Biden sul fronte tra Israele e Hamas

Certo è che il presidente Biden e l’Amministrazione democratica sono stati – e sono – lasciati soli, sul fronte mediorientale, dall’opposizione repubblicana: che tolgano loro le castagne dal fuoco – è l’atteggiamento prevalente -, in un’America dove, nelle Università e nelle piazze, il conflitto ha fatto emergere pulsioni pro-palestinesi e venature anti-israeliane del tutto inconsuete.

Ma ci sono pure episodi di segno contrario, come i tre studenti di origini palestinesi feriti da colpi di arma da fuoco nel Vermont: anche a loro, Biden testimonia solidarietà, con una telefonata.

Finora, la vicinanza degli Stati Uniti d’America a Israele non era mai stata in discussione, anche se Biden è più critico nei confronti di Netanyahu di quanto non lo fosse Donald Trump, che aveva anche cancellato dall’agenda diplomatica degli Stati Uniti il percorso dei due Stati, tornato oggi attuale, anche se è tutt’altro che imminente.

Biden ha poi chiamato anche Netanyahu, con cui ha discusso – indicano le fonti della Casa Bianca – “della situazione a Gaza”, “della pausa nei combattimenti e dell’aumento dell’ulteriore necessaria assistenza umanitaria” nella Striscia.

“I due leader – dice una nota – hanno convenuto che il lavoro non è ancora finito e che bisogna sforzarsi di garantire il rilascio di tutti gli ostaggi”.

Abigail non era l’ultima cittadina statunitense ostaggio: ve ne sono altri otto  o nve, secondo la Casa Bianca.

Della telefonata con Biden, ha anche parlato Netanyahu, prima di iniziare una riunione del gabinetto di sicurezza.

”Ho detto al presidente Biden che c’è un progetto di intesa, che prevede la liberazione di 10 ostaggi per ogni giorno di tregua ulteriore. Tutto ciò è certamente positivo… Ma gli ho anche detto che, finito quel piano, riprenderemo a batterci con tutta la forza per conseguire gli obiettivi della guerra”.

Poco prima, Netanyahu aveva esaminato di persona gli obiettivi israeliani con i comandanti militari durante un sopralluogo a Gaza. Il timore è che Hamas approfitti della tregua per riorganizzare le difese e, alla ripresa delle ostilità, opponga una resistenza di tipo diverso; oppure, che abbia rarefatto la propria presenza sul territorio, raggiungendo nuovi luoghi sicuri.

Di certo, la pausa nei combattimenti è stata sostanzialmente rispettata e, a parte qualche intoppo e qualche ritardo, gli scambi tra ostaggi e detenuti sono avvenuti come pattuito.

Onu e Unione Europea fuori dai giochi

8. La tregua prorogata di due giorni con la mediazione di Qatar ed Egitto[2]

inquanta giorni di guerra nella Striscia di Gaza, con quasi 15 mila vittime, dopo le incursioni terroristiche di Hamas in Israele che il 7 ottobre avevano fatto 1200 vittime. Poi, una tregua: quattro giorni, per lo scambio di una cinquantina di ostaggi israeliani – oltre a una ventina tra thailandesi e filippini – con 150 detenuti palestinesi e aiuti umanitari, viveri, medicinali, energia. Il 27 novembre vi è stata un’estensione della tregua di due giorni: significa altre decine di donne e bambini ostaggi liberati, sempre in cambio di palestinesi scarcerati e aiuti umanitari.

Accordi ottenuti con la mediazione di Qatar ed Egitto, con il concorso degli Stati Uniti che fanno pressioni su Israele. Invece, le grandi organizzazioni internazionali, l’Onu principalmente e l’Unione europea, restano ai margini: faticano a formulare una posizione, non riescono a recitare un ruolo – l’Unione europea, almeno, fornisce aiuti -.

La tregua, in vigore dalle 7 del mattino di venerdì 24 novembre, ha sostanzialmente tenuto e i patti sono stati sostanzialmente rispettati, anche se il secondo giorno, c’era stato qualche intoppo, che aveva innescato ritardi e allarmi – tutto rapidamente rientrato -.

I combattimenti e i bombardamenti sono stati effettivamente sospesi, il conto degli ostaggi liberati e dei detenuti rilasciati fin qui torna e il flusso degli aiuti è continuo. […].

Diplomazia in movimento

Lavoro da fare, per la diplomazia, ne resta molto. Il presidente statunitense Joe Biden ringrazia il premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’emiro del Qatar Tamim Bin Hamad Al-Thani e il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi “per avere raggiunto l’accordo per una proroga”; e dice:

“Stiamo sfruttando la pausa nei combattimenti per aumentare la quantità di aiuti umanitari inviati a Gaza e continuiamo gli sforzi per costruire un futuro di pace e dignità al popolo palestinese … Non ci fermeremo finché tutti gli ostaggi dei terroristi di Hamas non saranno liberati…”.

Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken sarà in Israele e in Cisgiordania questa settimana, dopo aver partecipato al summit della Nato in Belgio e a quello dell’Osce in Macedonia del Nord.

Blinken – si legge in una nota del Dipartimento di Stato – discuterà del diritto di Israele a difendersi in linea con il diritto umanitario internazionale, nonché dei continui sforzi per garantire il rilascio degli ostaggi, proteggere i civili nelle operazioni israeliane a Gaza e accelerare gli aiuti umanitari”.

Fonti del Qatar esprimono

“la speranza di tramutare la tregua in un cessate-il-fuoco”, per “fermare lo spargimento di sangue”.

L’impotenza dell’Onu e dell’Unione europea, paralizzate da loro regole

Il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres definisce il prolungamento della tregua “un raggio di speranza e di umanità in mezzo all’oscurità della guerra”:

“Spero che ci permetterà di aumentare ulteriormente gli aiuti umanitari alla popolazione di Gaza che sta soffrendo così tanto, sapendo che anche con questo tempo aggiuntivo sarà impossibile soddisfarne tutti gli immensi bisogni”.

Guterres parlava dopo l’ennesima riunione inconcludente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ieri, al Palazzo di Vetro a New York: un consulto a porte chiuse, che preparava l’incontro pubblico di alto livello sul conflitto tra Israele e Hamas convocato per domani dalla presidenza di turno cinese.

Vittima’ del diritto di veto esercitato dai cinque Grandi membri permanenti – Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia -, così come l’Unione europea è ‘vittima’ del vincolo dell’unanimità in politica estera, l’Onu sulla guerra non ha finora prodotto nulla, né in termini di mozioni approvate, né in termini d’azioni intraprese.

Il 24 ottobre 2023, un’affermazione di Guterres, secondo cui

 “gli attacchi di Hamas non sono avvenuti nel vuoto” e “il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione”,

aveva anzi scatenato un putiferio diplomatico: Israele ne aveva persino chiesto le dimissioni.

L’atto principale delle Nazioni Unite è stato, il 27 ottobre, una risoluzione dell’Assemblea generale, che non è però vincolante, che chiedeva una tregua umanitaria. L’Assemblea s’è spaccata, perché il testo non includeva la condanna degli attacchi terroristici di Hamas il 7 ottobre: 121 voti favorevoli, 44 astenuti (tra cui l’Italia) e 14 contrari, tra cui Israele e Stati Uniti.

Contemporaneamente, a Bruxelles, il Vertice europeo, più cauto, chiedeva “tregue” e lanciava l’idea di una conferenza di pace internazionale sulla questione palestinese.

Il 27 novembre 2023, all’Onu, il Qatar s’è mostrato ottimista su un’ulteriore proroga della tregua, che potrebbe fare da prologo a un accordo che ponga fine al conflitto.

Gli altri fronti. La guerra a bassa intensità in CisGiordania e al confine fra Israele e Libano

Se è tregua nella Striscia di Gaza, la guerra continua a bassa intensità su altri fronti, in CisGiordania o al confine tra Libano e Israele, e il rischio di allargamento del conflitto non è ancora sventato. Nel Golfo Persico e nel Golfo di Aden si registrano sequestri di imbarcazioni, le cui proprietà, a torto o a ragione, sono collegate a Israele. L’ultimo caso segnalato è quello della petroliera Central Park della Zodiac Maritime.

L’esercito israeliano ha nel frattempo comunicato che i cinque comandanti militari di Hamas uccisi a Gaza nei giorni scorsi

“erano tutti figure chiave … al centro delle attività terroristiche condotte contro Israele e avevano avuto un ruolo determinante nelle stragi del 7 ottobre”.

Il riferimento era ad Ahmed Randour (o Ghandour), Aiman Siam, Wael Rajeb, Farsan Khalifa e Rafat Salman.

Di fronte alla Casa Bianca, attivisti di sinistra, tra cui l’attrice Cynthia Nixon, la Miranda della serie Sex and the City, fanno uno sciopero della fame per indurre Biden a chiedere un cessate-il-foco definitivo. Zohran Mamadani, deputato democratico di New York, osserva:

“In sette settimane, Israele ha ucciso, su una piccola striscia di terra, più civili di quanti ne siano stati uccisi in 20 anni di guerra in Afghanistan”.

Cynthia Nixon è

“stufa e stanca delle persone che spiegano che le vittime civili sono un normale effetto collaterale della guerra. Non c’è nulla di normale in queste morti”.

9. Tregua ancora prolungata, pace resta lontana, Cina si muove[3]

a tregua nella Striscia di Gaza, che doveva finire martedì 28 novembre in mattinata, e che era già stata prolungata fino al 30 novembre, durerà un giorno in più, almeno fino a domani 1° dicembre 2023: in tutto, sarà stata una settimana senza combattimenti né bombardamenti nella Striscia. Bilancio: un centinaio gli ostaggi liberati, contando thailandesi e filippini; oltre 200 i palestinesi rilasciati dalle carceri israeliane; e centinaia di autotreni di aiuti umanitari, viveri, medicinali, carburante.

Si negozia perché la guerra non ricominci: Qatar ed Egitto mediano, mentre il direttore della Cia William Burns è stato in segreto a Doha per incontrare il capo del Mossad David Barnea. Israele e Hamas valutano se prolungare la pausa nei combattimenti o se riprendere ad ammazzarsi. La pace è ancora lontana. La situazione resta drammatica, come prova l’attentato di giovedì 30 novembre a Gerusalemme: una ragazza è stata uccisa – il bilancio è poi salito a tre morti, ndr -, sei persone sono rimaste ferite, in un attacco con armi da fuoco a una fermata dell’autobus all’ingresso della città; i due attentatori sono stati ammazzati. Nel 2022, un altro attacco terroristico alla stessa fermata dell’autobus aveva provocato la morte di due israeliani.

Il segretario di Stato statunitense Antony Blinken, dopo essere stato a Bruxelles per il Consiglio atlantico ed a Skopje per il vertice dell’Osce, ha ripreso la sua diplomazia itinerante in Medio Oriente: è arrivato in Israele per la sesta volta dagli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre che fecero 1200 vittime e che hanno innescato la guerra. Per la diplomazia, lavoro da fare ne resta molto. Israele insiste: l’obiettivo è eliminare i terroristi, Hamas e i suoi accoliti. All’alba del 1° dicembre 2023, si stima che vi saranno ancora oltre 150 ostaggi nelle mani di Hamas e delle altre sigle combattenti palestinesi

Cronaca di una tregua

La tregua è stata il primo concreto risultato positivo raggiunto in oltre 50 giorni di conflitto: ha dato un po’ di respiro alle persone asserragliate nella Striscia, prive di cibo, medicine, energia.

La pausa nella carneficina, in vigore dalle 7 del mattino di venerdì 24 novembre, quattro giorni ora divenuti sette, ha sostanzialmente tenuto e i patti sono stati sostanzialmente rispettati: dieci ostaggi, donne e bambini, liberati ogni giorno, in cambio di 30 detenuti palestinesi, donne e ragazzi, rilasciati, secondo un rituale ben definito e ormai rodato – solo il secondo giorno, qualche intoppo aveva innescato allarmi poi rientrati – e di aiuti umanitari, viveri, medicinali, carburante. I combattimenti e i bombardamenti sono stati effettivamente sospesi, il conto degli ostaggi liberati e dei detenuti rilasciati fin qui torna e il flusso degli aiuti è continuo. [—]. Nell’ultimo gruppo di ostaggi liberati, anche un’altra cittadina americana, Liat Beinin Atzili, il cui marito resta prigioniero.

La Cina esce allo scoperto

Di buon auspicio il venire allo scoperto della Cina, che chiede una “tregua umanitaria duratura e prolungata” nel conflitto tra Israele e Hamas: le parti dovrebbero attuarla

“con effetto immediato nell’ambito di un cessate-il-fuoco globale e della fine dei combattimenti”.

Nel medio termine, Pechino incoraggia la soluzione dei due Stati e negoziati diretti fra israeliani e palestinesi. In un documento intitolato Posizione della Cina sulla risoluzione del conflitto israelo-palestinese, Pechino, che fino a oggi gestisce la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, esorta le Nazioni Unite a inviare un “messaggio chiaro” a Israele contro il “trasferimento forzato della popolazione civile palestinese” e a “chiedere il rilascio di tutti i civili e tutti gli ostaggi tenuti prigionieri”. Inoltre, l’Onu deve “chiedere che le parti in conflitto esercitino moderazione per evitare che la crisi si allarghi”. A lungo termine, invece, “qualsiasi accordo sul futuro di Gaza deve rispettare la volontà e la scelta indipendente del popolo palestinese”.

La Cina è storicamente solidale con la causa palestinese e favorevole alla soluzione dei due Stati, Israele e Palestina, capaci di convivere in pace. Il presidente Xi Jinping, che di recente ha più volte sollecitato una “conferenza di pace internazionale” per porre termine ai combattimenti, ha mandato un messaggio alla riunione speciale del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sotto presidenza cinese, nella Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese.  Xi esorta il Consiglio di Sicurezza a

“fare ogni sforzo utile per facilitare un cessate-il-fuoco, garantire la sicurezza dei civili e fermare il disastro umanitario”.

Nel febbraio 2023, la Cina aveva preso un’iniziativa simile sul conflitto in Ucraina, pubblicando “un documento di posizione” in cui chiedeva l’avvio di colloqui di pace immediati: un passo accolto con profondo scetticismo dagli Stati Uniti e dai loro alleati, perché lo schema di dodici punti proposto appariva sbilanciato a favore di Mosca.

A due mesi esatti dall’attacco di Hamas

10. Il sud della Striscia di Gaza sotto attacco[4]

Le truppe e i carri armati di Israele sono entrati nel Sud della Striscia di Gaza, portandovi morte e devastazione: dopo avere preso il controllo di gran parte del Nord, l’esercito israeliano ora avanza nell’ultima porzione della Striscia rimasta nelle mani di Hamas. La notte fra lunedì 4 e martedì 5 dicembre, il volume di fuoco è stato il più intenso, dalla ripresa delle ostilità. L’operazione potrebbe concludere il conflitto, che è giunto al sessantesimo giorno, se dovesse raggiungere gli obiettivi: decapitare l’organizzazione palestinese, eliminandone i capi, ed eradicarla dal territorio.

Con volantini, la popolazione civile è stata di nuovo invitata a sfollare, verso Rafah questa volta: soldati distribuiscono ai civili piantine della Striscia suddivisa in centinaia di zone, alcune che saranno toccate da bombardamenti e combattimenti, altre invece sicure. I residenti devono lasciare le “aree di guerra”. L’Onu calcola che 1,8 milioni di persone a Gaza, circa l’80 per cento della popolazione, hanno già dovuto abbandonare le proprie case e sono profughi dentro la Striscia.

I combattimenti sono ripresi all’alba di venerdì primo dicembre, dopo una tregua di sette giorni che ha permesso la liberazione di un centinaio di ostaggi e il rilascio di oltre 200 detenuti palestinesi, donne e minori. Almeno 137 ostaggi restano nelle mani di Hamas e di altre sigle combattenti palestinesi – 115 uomini, 20 donne e due bambini, secondo i conti di Israele contestati da Hamas, che dice di non avere più né donne né bambini -: Israele si ripromette di liberarli e di eliminare Hamas, “anche se per farlo ci vorranno anni”. Per il Financial Times, la campagna di Israele contro i fondamentalisti andrà avanti un anno o più.

La nuova fase delle ostilità ha già fatto centinaia di morti fra i civili palestinesi – dati del Ministero della Sanità della Striscia -. In totale, le vittime palestinesi di quasi due mesi di conflitto avvicinano le 16 mila, con oltre 40 mila feriti. La guerra è stata innescata dagli attacchi terroristici di Hamas in territorio israeliano che fecero, il 7 ottobre, 1200 vittime.

Israele dice di aver ucciso, sabato 2 dicembre, un comandante di Hamas protagonista dei raids del 7 ottobre: Wisam Farhat della brigata Shajaiyeh. L’escalation di morte e violenza provoca sussulti terroristici in varie parti del mondo: domenica 3 dicembre, l’Isis ha attaccato una comunità cattolica nelle Filippine – quattro deceduti, oltre 40 feriti -; il giorno prima c’era stato un attacco letale a un turista tedesco di 24 anni a Parigi, nei pressi della Torre Eiffel.

Diplomazia e rivelazioni

La diplomazia continua a tessere le fila per una ripresa dei negoziati – formalmente sospesi la notte tra il 30 novembre e il 1°dicembre -. La Cop 28 in corso a Dubai offre un’ulteriore opportunità negoziale, con un intreccio d’incontri cui ha anche partecipato la premier italiana Giorgia Meloni. E il presidente russo Vladimir Putin s’appresta a recarsi a Riad e Dubai.

Secondo la Cnn, il segretario di Stato Antony Blinken e quello alla Difesa Lloyd Austin hanno entrambi sollecitato il premier israeliano Benjamin Netanyahu a risparmiare quante più possibili vite civili. Di fronte alle rassicurazioni di Netanyahu, smentite dai fatti, Blinken ha gelidamente osservato:

“Le intenzioni contano, ma contano pure i risultati”.

E Austin ha pragmaticamente osservato:

“Se spingete i civili nelle braccia del nemico, trasformate una vittoria tattica in una sconfitta strategica”.

Anche Papa Francesco ha ammonito Netanyahu a non commettere “atti di terrore” nella Striscia. Della telefonata, avvenuta giorni fa, non era stata data notizia: Israele non l’aveva apprezzata, vedendovi una conferma di una posizione filo-palestinese della Santa Sede.

Il New York Times ha intanto ottenuto documenti che provano che l’intelligence israeliana conosceva da oltre un anno i piani di Hamas messi in atto il 7 ottobre, ma li aveva considerati “irrealistici” e troppo difficili da realizzare. Una rivelazione che alimenta le polemiche sull’operato del premier Netanyahu, che l’alleato rivale Benny Gantz – secondo Politico – si appresta a scalzare.

I movimenti sul terreno

Il 1°dicembre in mattinata, la ripresa delle ostilità era stata segnata da scambi d’accuse su chi avesse per primo violato la tregua, mentre i mediatori internazionali ostentavano la speranza di una ripresa delle trattative, che però non s’è finora vista – contatti sotto traccia a parte -. La ripresa delle ostilità “complica gli sforzi di mediazione ed esaspera la catastrofe umanitaria”, constata una fonte del Qatar citata dalla Cnn.

I bombardamenti su Gaza, da terra, dal cielo e dal mare, sono ripresi 30 minuti dopo la fine della tregua. Fra i primi obiettivi colpiti, un grande edificio a Khan Younis, con decine di vittime. In Israele, le sirene hanno suonato per segnalare lanci di razzi – una cinquantina quelli effettivamente sparati –I media statunitensi parlano di un piano per inondare i tunnel di Gaza, rendendoli inutilizzabili.

La tregua, inizialmente prevista di quattro giorni, ma durata una settimana, ha consentito, oltre a scambi di ostaggi e prigionieri, la consegna accelerata di aiuti umanitari a Gaza, viveri, medicinali, combustibili. Ma, ora, l’emergenza umanitaria è tornata a essere acuta.

Oltre che provare a ricucire una tregua, la diplomazia s’interroga su quello che sarà l’assetto della Striscia di Gaza dopo la fine della guerra.

Gli Stati Uniti valutano quale sia l’opzione migliore “fra scelte tutte cattive”, scrive l’Associated Press: le preferenze dell’Amministrazione Biden vanno alla gestione della Striscia da parte di una “rivitalizzata” Autorità nazionale palestinese: la soluzione non piace per nulla a Israele e piace poco ai palestinesi, ma potrebbe anche rivelarsi l’unica opzione vitale.

La ripresa delle ostilità coinvolge la Cisgiordania, dove gli Stati Uniti chiedono a Israele di frenare le violenze dei militari e dei coloni e intendono negare il visto ai coloni estremisti; e pure il confine con il Libano, dove va avanti lo scambio di colpi – occasionalmente letale – con Hezbollah. I fremiti di guerra arrivano al Mar Rosso, dove missili sparati dai ribelli Huthi dello Yemen hanno colpito tre navi commerciali, mentre una nave da guerra statunitense ha abbattuto tre doni in un’operazione difensiva. Gli Huthi hanno rivendicato gli attacchi, spiegando di voler impedire la navigazione nel Mar Rosso a navi israeliane.


[1] The Watcher Post, 27 novembre 2023. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2023/11/27/abigail-biden-bimba-ostaggio/

[2] Scritto per The Watcher Post, 28 novembre 2023. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2023/11/28/guerra-israele-hamas-tregua/.

[3] Scritto per The Watcher Post, 30 novembre 2023. Cf-. https://www.giampierogramaglia.eu/2023/11/30/israele-hamas-tregua-pace/

[4] Uscito nel mio sito il 5 novembre 2023. Cf. https://www.giampierogramaglia.eu/2023/11/30/israele-hamas-tregua-pace/.

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