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Democrazia Futura. Franco Venturini (1946-2022): figlio d’arte della diplomazia, prestato al giornalismo

Giampiero Gramaglia

Con Franco Venturini, scomparso il 31 marzo 2022, all’età di 75 anni, avevo condiviso, soprattutto negli Anni Ottanta, ma poi ancora fino al 2010, decine di G7/8, Vertici europei, Consigli atlantici, riunioni dei Ministri degli Esteri dell’Unione europea e, a Bruxelles, Lussemburgo e altrove in Europa e nel Mondo. Ne era nato un rapporto di colleganza e d’amicizia intriso di reciproco rispetto.

Franco, nato a Venezia il 26 luglio 1946, figlio di un diplomatico di carriera, capace di parlare cinque lingue, era un collega che raccontava e interpretava i fatti senza mai sovrapporsi ad essi, preciso nelle parole e nei concetti: un maestro di professione, attento e acuto, e un modello di garbo e di misura nei rapporti con i colleghi e con le fonti.

Dopo gli studi in francese e l’Università alla Sapienza, aveva cominciato l’attività giornalistica all’inizio degli Anni Settanta presso la redazione romana de Il Gazzettino di Venezia ed era poi passato al Tempo di Roma, dov’era direttore Gianni Letta e dove divenne capo degli Esteri e inviato. In quel periodo, seguì, tra l’altro, la caduta dei colonnelli in Grecia, la rivoluzione dei garofani in Portogallo, la vicenda di Solidarnosc in Polonia.

Franco Venturini

Nel 1986 venne assunto al Corriere della Sera, su cui scriverà per oltre 35 anni, fino alla morte. Corrispondente da Mosca negli anni della perestrojka di Michail Gorbaciov, poi analista ed editorialista sempre di politica internazionale, cronista della diplomazia internazionale dei grandi vertici e costantemente in contatto con la realtà russa, come con l’evoluzione dell’integrazione europea e delle relazioni transatlantiche, con i loro progressi e le loro crisi. Nel suo percorso, ha intervistato alcuni dei Grandi del Mondo.

L’intervento di Franco Venturini al dibattito su Le democrazie in biblico

Le soddisfazioni professionali e personali, così come i riconoscimenti e i premi, non gli sono mancati.

L’ultimo evento pubblico cui Franco Venturini è intervenuto, in modalità virtuale, è stata l’apertura, il 23 febbraio 2022, presso il Coris della Sapienza, dell’edizione 2022 del corso Bejour – Becoming a Journalist in Europe -, con una tavola rotonda tra accademici, giornalisti e funzionari europei centrata sul valore dell’informazione in una democrazia partecipativa: “Democrazie in bilico: contagi anti-democratici dagli Usa all’Europa”. Qui di seguito vari estratti dei suoi interventi quel giorno, vigilia dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia[1] 

“La Russia e l’ Ucraina si collocano su due binari molto diversi. La Russia, nella crisi attuale, fa delle richieste agli Stati Uniti e in secondo luogo agli europei, ma l’ Ucraina non la considera proprio, come ha spiegato Vladimir Putin nel suo discorso di lunedì 21 febbraio. L’Ucraina secondo lui è semplicemente il frutto degli errori del comunismo bolscevico, che articolò la Russia in repubbliche invece di mettere sotto la stella comunista l’Impero degli Zar e che concesse forme di autonomia divenute con il passare degli anni eccessive, tant’è che Iosif Stalin, per contrastare questo fenomeno, aveva impostato forme d’industrializzazione abbastanza comiche. Un esempio che si cita spesso è quello di una fabbrica di lampadine che produceva il gambo della lampadina in Siberia e il resto della lampadina in Ucraina, per tenere comunque l’”impero” il più possibile insieme.

Il disprezzo che Putin ha mostrato nei confronti dell’Ucraina dandole un contorno storico molto discutibile fa sì che per la Russia l’Ucraina non sia un interlocutore, quasi neppure un’entità statale certamente non un’entità sovrana. Infatti, Putin la considera una semplice creatura degli Stati Uniti e dell’allargamento verso Est della Nato dopo la caduta del muro e la dissoluzione dell’Urss nel 1991.

Putin non è nuovo a spiegazioni storiche di tal fatta. Una volta, pubblicò sul Financial Times un articolo molto argomentato nel quale sosteneva che le democrazie occidentali e liberali avevano perso la loro forza propulsiva – proprio come Enrico Berlinguer diceva che la rivoluzione d’ ottobre aveva perso la sua – ed erano ormai condannate a un declino irrimediabile. Mentre gli Stati dove il potere centrale è più forte avrebbero invece avuto il futuro dalla loro.

Questa impostazione di Putin e della Russia, condita dà spiegazioni storiche opinabili, spiega perché il nazionalismo russo la consideri inalienabile: non c’è solo la paura di vedere la Nato che installi missili così vicini a Mosca che Mosca non avrebbe neppure tempo di approntare le difese; ma c’è anche una rivincita storica che pretende la rinuncia all’adesione alla Nato e il riconoscimento dell’annessione della Crimea alla Russia.

Partendo da queste premesse, qualcuno potrebbe chiedermi “che cosa succede adesso”. Non lo so e bisognerebbe avere la palla di cristallo. Ci sono ipotesi diverse: con il riconoscimento del Donetsk e del Lugansk, Putin potrebbe avere fatto solo la prima mossa e se le sue richieste non fossero accolte potrebbe andare avanti con l’invasione fino a Kiev; oppure, ma è molto più difficile, potrebbe scegliere la via del negoziato diplomatico.

Putin ha detto che la via diplomatica per la Russia non è chiusa, ma non lo è alle sue condizioni; ed io vedo male che la Nato, dove sostanzialmente comandano gli Stati Uniti, possa negoziare su tali basi.

Per adesso gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno utilizzato nemmeno il 20 per cento delle sanzioni che avevano preparato. Se Putin andrà avanti, come loro si aspettano, scatteranno sanzioni più pesanti come quelle finanziarie che praticamente escluderebbero la Russia, fatto salvo l’ appoggio cinese, dal mercato degli affari ancora oggi controllato dall’Occidente.

Sui seguiti della vicenda, nessuno ha certezze, neppure il presidente degli Stati Uniti d’America Joe BidenLo spiraglio cui guardano gli europei, quello della trattativa diplomatica, è diventato molto più stretto ed è più nelle mani di Putin che nelle mani di Biden o degli europei.

L’Ucraina nell’Unione europea? Si parla molto di nuovi allargamenti, non solo e non tanto per l’Ucraina quanto per i cinque Paesi dei Balcani occidentali. Io penso che l’Europa ne uscirebbe balcanizzata: non sarebbero i Balcani a diventare europei, quanto piuttosto il contrario. E, dunque, non sono favorevole, come nel 2004 non ero favorevole ad allargamenti che, secondo me, non erano stati adeguatamente preparati.


[1] La trascrizione è dalla registrazione dell’evento fatta da Radio Radicale che può essere ascoltato al seguente link: https://www.radioradicale.it/scheda/661114/democrazie-in-bilico-contagi-antidemocratici-dagli-usa-alleuropa.

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