Democrazia futura propone oggi un commento del Presidente del Consiglio Italiano del Movimento europeo Pier Virgilio Dastoli sul Forum intergovernativo alla presenza di 44 Paesi, organizzato sulla scia dell’idea lanciata dal presidente francese Macron di una Comunità Politica europea per condividere alcune politiche di interesse comune soprattutto per i Paesi candidati ad entrare nell’Unione europea. Per Dastoli si è trattato di un’occasione mancata, dove non sono state ripianati né gli storici conflitti né le recenti divergenze sulle questioni geopolitiche e nemmeno su quelle energetiche.
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Il fascino di uno spazio di dialogo a trentasei per condividere alcune policies di interesse comune
L’idea iniziale di Emmanuel Macron di una “Comunità politica europea”, lanciata sorpresa a Strasburgo il 9 maggio alla conclusione della Conferenza sul futuro dell’Europa, aveva un suo fascino: poiché ci dobbiamo preparare ad annettere in una “comunità di valori” i Balcani occidentali che attendono di entrare da anni sulle porte dell’Unione europea (Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia) e i nuovi candidati dell’Europa orientale fuori dall’area di influenza russa (Georgia, Moldova e Ucraina), creiamo uno spazio di dialogo a trentasei per condividere alcune policies di interesse comune – sicurezza, energia, trasporti, libera circolazione delle persone, investimenti e infrastrutture – ma non le politics e cioè il metodo di decisione, come laboratorio nella prospettiva di un’Unione europea allargata.
Non era affatto chiaro dal discorso di Emmanuel Macron come si sarebbe potuta conciliare la cooperazione in settori di competenza degli Stati (l’energia e la sicurezza) con lo sviluppo di politiche in cui l’Unione europea ha competenze condivise o in cui servono risorse finanziarie consistenti.
Non era chiaro il 9 maggio, né Emmanuel Macron ha colto l’occasione degli eventi successivi (Il Consiglio europeo del 20 e 21 giugno e il discorso davanti ai suoi ambasciatori il 1° settembre) per dissipare le pesanti nebbie sulla sua idea della Comunità politica europea.
Nel frattempo, le diplomazie nazionali hanno lavorato di fino per sabotare il carattere volontaristicamente innovativo dell’idea macroniana e la riunione di Praga si è trasformata in un Forum più simile ad una specie di G20 europeo che a un laboratorio per gettare le basi dell’Unione europea allargata.
Come sappiamo, si sono ritrovati a Praga quarantadue leader nazionali e cioè i 27, i candidati o candidati alla candidatura (Albania, Bosnia Erzegovina, Georgia, Kosovo, Moldova, Montenegro, Macedonia del Nord, Serbia, Turchia e Ucraina), gli Stati terzi che partecipano all’area di libera circolazione di Schengen (Islanda, Norvegia, Svizzera e Lichtenstein), due Stati a cavallo fra l’Asia e l’Europa (Armenia e Azerbaigian) e il Regno Unito mentre si sono collegati online il leader ucraino per evidenti ragioni di sicurezza e la leader danese bloccata a Copenaghen per le imminenti elezioni legislative.
Se avessero invitato i mini-stati (Andorra, Monaco e San Marino), avremmo avuto la composizione del Consiglio d’Europa ma si è così voluto distinguere nella cosiddetta foto di famiglia il forum della CPE da quello dell’organizzazione di Strasburgo, una “famiglia” da cui è stato escluso “per ragioni geografiche” Israele che pure avrebbe accettato di partecipare.
La composizione della Comunità Politica Europea (CPE), molto vicina a quella del Consiglio d’Europa, rischia di accentuare la delegittimazione dell’organizzazione di Strasburgo e in particolare dell’azione svolta dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo in una situazione in cui pende ancora non risolta l’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, e la cui capacità di intervento è stata indebolita dall’auto-estromissione della Russia e dalla sospensione della partecipazione della Turchia dalle principali reti di cooperazione giudiziaria paneuropee.
Un’occasione mancata per lanciare l’idea di una comunità di valori condivisi con scarse convergenze strategiche sulle questioni geopolitiche e poca solidarietà su quelle energetiche
Più che una foto di famiglia si dovrebbe parlare di “foto di famiglie” o una foto di gruppo con poche signore (sette su quarantaquattro) se si considerano le rivalità fra Armenia e Azerbaigian, fra Armenia e Turchia, fra Grecia e Turchia, fra Svezia insieme alla Finlandia e la Turchia, fra Kosovo e Serbia, fra Bosnia Erzegovina e Serbia per non parlare delle tensioni fra Unione europea e Regno Unito dopo la Brexit e delle divisioni profonde sui rapporti con la Russia di Vladimir Putin.
Nell’idea di Emmanuel Macron la riunione di Praga avrebbe dovuto gettare le basi di una “comunità di valori” condivisi (democrazia, stato di diritto, giustizia, diritti fondamentali, trasparenza e lotta alla corruzione) ma la condivisione di questi valori è fortemente discutibile e discussa se si considera lo stato della democrazia almeno in Turchia e in Azerbaigian se vogliamo ignorare l’Ungheria e la Polonia o il livello elevato di corruzione e di protezione dei diritti delle minoranze in Ucraina.
Non è stata dunque la riunione preliminare di una “comunità di valori” ma non è stata nemmeno la riunione preliminare di una “comunità strategica”, se ci si fonda sulla questione geopolitica e militare più urgente e cioè la risposta all’invasione russa dell’Ucraina e le idee divergenti sulle vie d’uscita alla guerra, né una “comunità solidale”, se si considera che non c’è stata nessuna convergenza di vedute sulle questioni energetiche che pure avrebbe facilitato un primo passo verso un’ipotetica intesa a ventisette rinviata dal Consiglio europeo “informale” del 7 ottobre a quello “formale” del 20-21 ottobre 2022 (l’ultimo da capo del governo italiano di Mario Draghi).
Da CPE a Forum “E44”: l’ennesimo meccanismo totalmente intergovernativo
Qualcuno avrebbe potuto cogliere l’occasione per lanciare l’idea di una “Helsinki-2” evocata (vox clamans in deserto) da Sergio Mattarella davanti alla assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa o suggerire delle iniziative di coinvolgimento delle opinioni pubbliche nazionali usando gli strumenti innovativi della democrazia partecipativa che sono stati applicati nella Conferenza sul futuro dell’Europa.
Sarebbe stato uno sforzo sovrumano di immaginazione a cui sottoporre i diplomatici dei quarantaquattro a Bruxelles ben felici di riprendere totalmente nelle loro mani un meccanismo totalmente intergovernativo relegando – l’uno ben lontano dall’altra – il presidente del Consiglio europeo Charles Michel (senza la poltrona accanto a Recep Tayyip Erdogan) e Ursula von der Leyen (senza sofà) su due virtuali strapuntini nella foto di gruppo.
Il prossimo Forum – che qualcuno ha battezzato sarcasticamente “E44” – si riunirà fra sei mesi nella capitale moldava a Chisinau dove le sedi più adatte sarebbero o il Circo di Stato o il complesso memoriale Eterninate dedicato ai caduti nella guerra di Transnistria, nella speranza che in questi sei mesi si aprano spiragli di pace nella guerra e che ci sia una nebbia meno fitta sul futuro dell’Europa sapendo che saremo a pochi mesi dalle elezioni europee e che nel 2019 il 49.4 per cento delle cittadine e dei cittadini europei decise di disertare le urne con una conferma dello stato ancora embrionale della democrazia europea.