Dopo aver esaminato nelle prime due parti le due partite a scacchi – quella militare e quella diplomatica – la domanda è se sia finito il primo tempo dell’escalation militare e se stia iniziando davvero in queste ora “L’ora del confronto?”, come recita l’occhiello “Deboli segnali provenienti dal Cremlino spingono Zelensky a cercare un accordo con Mosca”.
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La giornata di martedì 15 marzo la ventesima del conflitto potrebbe aver delineato se non una svolta perlomeno l’inizio di un confronto diplomatico vero. Certo l’esercito russo non ha smesso di proseguire la sua azione di accerchiamento ma non ha nemmeno accelerato l’azione per la conquista di Kiev, pur essendo iniziato l’attacco via mare delle navi che stazionano di fronte alla baia di Odessa, il che potrebbe lasciar presagire quanto meno una fine si spera imminente dell’escalation militare che potrebbe aver conosciuto in questi ultimi giorni il proprio culmine.
Deboli segnali provenienti da Mosca ci inducono ad ipotizzare il prevalere in seno al Cremlino del “partito” dei negoziatori che continuano a credere sia capitanato dal suo naturale capo della diplomazia, il ministro degli esteri Sergej Lavrov che come detto è stato costretto sinora a fare la voce grossa per riguadagnare probabilmente la fiducia del Presidente Putin e spostare a suo favore i delicati equilibri interni al potere moscovita.
Da un lato sul fronte interno russo sta emergendo finalmente coraggiosamente una parte dell’opinione pubblica ostile all’intervento militare episodi. Interventi come la lettera aperta firmata domenica 13 marzo non da coraggiosi quanto isolati oppositori considerati “estremisti” scesi in piazza a Mosca e San Pietroburgo e sistematicamente arrestati ma da parte di 4 mila fra insegnanti, accademici, studenti, laureati e personale della prestigiosa Università statale ‘Lomonosov’ di Mosca, la più antica della Russia, sembrerebbe aver colto nel segno. “Condanniamo categoricamente la guerra che il nostro Paese ha scatenato in Ucraina”, si afferma nel documento fatto girare sul web, nonostante le minacce delle autorità. “La guerra è violenza, crudeltà, morte, perdita di persone care, impotenza e paura che non possono essere giustificate da nessun obiettivo […]. La guerra è l’atto più crudele di disumanizzazione“, si legge ancora nella lettera. Nello stesso tempo il cartello del “russi contro la guerra” esposto coraggiosamente da una giornalista della prima rete pubblica russa in diretta – esposto improvvisamente dietro all’anchorwoman presentatrice del telegiornale – che invitava i propri colleghi a denunciare la loro condizione di supini sudditi propagandisti e quindi il bavaglio imposto loro dal potere, un episodio durato solo pochi secondi e prontamente cancellato dalla regia, potrebbe aver scalfito quel sostegno a Vladimir Putin che sino a pochi giorni fa pareva irresistibile. Prova ne sia che dopo essere stata arrestata la giornalista è stata rilasciata e si è preferito usare un guanto di velluto anziché il pugno di ferro forse con il timore di un effetto di contagio.
Dall’altro lato sul fronte esterno e nella fattispecie in Ucraina, dopo la politica del grosso bastone praticata bombardando il centro di addestramento militare a pochi chilometri da Leopoli, potrebbero giungere segnali di distensione da parte russa nell’aver consentito non solo il prosieguo dell’uscita dei profughi nei corridoi umanitari verso occidente e nel fatto di non aver mai colpito sinora la rete ferroviaria ma anche nell’avere consentito ai primi ministri di Polonia, Repubblica Ceca e Slovenia di rendersi a Kiev ad incontrare il governo ucraino come se si trattasse in qualche modo di una “normale” visita diplomatica fornendo sicuramente garanzie a questi tre governi sulla loro incolumità.
Osservando il comportamento del governo ucraino sembra anche qui delinearsi una posizione più morbida. Non che il governo di Kiev voglia rinunciare all’appello ad una eroica resistenza contro l’invasore, alla richiesta di un sostegno ancora maggiore da parte dell’Occidente non solo umanitario ma sia pure indiretto attraverso armi e addestramento da parte di quelli che considera come i suoi “naturali” alleati.
Su questo terreno la volontà di resistenza all’invasore si è rafforzata e comunque nelle zone rimaste ancora sotto il controllo del governo legittimo di Kiev essa non è mai venuta meno, come confermato nel discorso odierno al Congresso americano. Al contrario gli ucraini non fanno anch’essi che puntare sul piano propagandistico al logoramento delle truppe di occupazione russe. E sanno che il tempo gioca a loro favore e che le ritorsioni economiche prese dai Paesi occidentali verso Mosca potrebbero costare molto caro al regime di Putin in caso del prolungarsi di una lunga guerriglia come avvenuto per i sovietici in Afghanistan e prima ancora per gli Stati Uniti in Vietnam.
Ciò detto, probabilmente anche su pressione degli stessi suoi alleati occidentali Europa e Stati Uniti la dichiarazione del presidente Volodymyr Zelensky che l’Ucraina rinuncia definitivamente a chiedere il proprio ingresso nella Nato segna anche in questo caso un punto di svolta che può facilitare questa volta il proseguimento dei negoziati ad alto livello, fra i ministri degli esteri probabilmente ma senza escludere anche al più alto livello un incontro fra lo stesso Zelensky e Putin che potrebbe svolgersi in Turchia intorno all’idea di un modello di neutralità dell’Ucraina simile a quello della Svezia o dell’Austria.
Per questa ragione si moltiplicano gli annunci dei tentativi di mediazione, l’ultimo dei quali proveniente dalla Svizzera, che a Ginevra è anche – come noto – un’importante sede diplomatica e ospita numerose organizzazioni delle Nazioni Unite. Prende corpo soprattutto il prosieguo del tentativo di mediazione della Turchia un paese della Nato che come tale ha concorso agli aiuti militari occidentali al popolo ucraino ma non ha preso sanzioni contro la Russia. La Turchia troverebbe probabilmente una preziosa sponda in Israele, che a sua volta vorrebbe promuovere un negoziato di pace in una città simbolo come Gerusalemme.
Dietro a queste manovre per favorire la fine del massacro russo perpetrato in Ucraina denunciato da Papa Francesco, vedremo nelle prossime ore come proseguiranno i pourparler fra le grandi potenze del Pacifico, Cina e Stati Uniti, che effetti produrrà l’azione diplomatica del Consiglio e della Commissione dell’Unione europea che non hanno sostenuto almeno direttamente la visita dei premier polacco, ceco e sloveno a Kiev, e cercheremo anche di capire l’effetto prodotto dall’ l’arrivo in Europa del presidente statunitense Joe Biden con la sua duplice partecipazione il 24 marzo al vertice di Bruxelles della Nato e al Consiglio dell’Unione europea nella capitale belga.
Una cosa ci sembra certa e conferma quanto sosteniamo sin dall’inizio dell’intervento bellico della Russia. Un accordo locale in Ucraina per essere duraturo richiede una nuova Grande conferenza internazionale per sancire i nuovi equilibri geopolitici in uno scacchiere multipolare.
Quella nuova Conferenza che è mancata dopo la caduta del muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica. Se preferite una nuova Yalta, senza la quale il rischio del proliferare di conflitti piccoli e grandi nei prossimi decenni è grande, troppo grande per l’umanità.
Per questo ribadiamo la necessità che – nonostante le gravi responsabilità della Russia che si è macchiata di sangue – essa non esca umiliata da questa partita diplomatica. Dal conflitto ucraino si esca senza vincitori né vinti per evitare il riprodursi di una nuova Conferenza di Versailles che anziché alla pace portò due decenni dopo ad un secondo terribile conflitto planetario.