Il Presidente Movimento Europeo Italia Pier Virgilio Dastoli presenta una riflessione sul tema “Difesa europea e cantiere della pace: perché abbiamo bisogno di una Helsinki-2 e di una nuova Carta di Parigi” presentando alcune proposte “Per aprire il cantiere della pace europea”. Per Dastoli l’autonomia strategica dell’Unione europea “deve seguire la via di un multilateralismo globale che metta al centro le sfide del mondo di oggi senza perseguire il tragico obiettivo di sostituire ad una somma di nazionalismi statali l’isolazionismo continentale del nazionalismo europeo”. Di qui la proposta di una ” una Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione (e aggiungiamo sulla pace) in Europa (Helsinki-II) nella prospettiva di una nuova Carta di Parigi” secondo l’auspicio formulato da Sergio Mattarella. Infine in un post scriptum Dastoli denuncia il triplo ‘fiasco’ dell’incontro di Granada. E’ stata innanzitutto un “fiasco” la terza riunione della Comunità Politica Europea, immaginata inizialmente da Emmanuel Macron come succedaneo dell’Unione allargata, che non ha prodotto nessun risultato consistente ad eccezione della tradizionale foto […] Nulla di fatto anche relativamente al “tema dell’allargamento … perché dall’Andalusia, pronubo l’ineffabile Charles Michel, doveva essere lanciato informalmente il messaggio storico “si parte!” nel senso che i ventisette avrebbero dovuto sottoscrivere l’impegno a prendere (per quei Paesi per ora solo candidati come l’Ucraina e la Moldova) o riprendere (per quei Paesi i cui negoziati di adesione erano già iniziati) in mano i dossier dell’esame delle riforme interne e delle politiche di aiuto all’ingresso nell’Unione europea”… L’ultimo “fiasco”, che ha fatto tornare a Roma – come si dice – Giorgia Meloni con le pive nel sacco poiché si è dovuta accontentare di una intesa con l’irrilevante primo ministro britannico Rishi Sunak, è quello delle politiche migratorie in cui gli ipotetici accordi raggiunti fra gli ambasciatori sono stati bloccati non solo dai sovranisti di Visegrad ma anche da Olaf Scholz con cui la Presidente del Consiglio italiano aveva sbandierato mentendo un accordo storico e anche da Emmanuel Macron che non è andato al là dei sorrisi diplomatici di circostanza delle passeggiate romane”.
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Fra gli obiettivi mostruosi del Terzo Reich vi era quello di trasformare l’Europa in una fortezza (Festung Europa) a dominazione nazi-fascista, un obiettivo che era stato denunciato con la forza drammatica della ragione da Stefan Zweig nel suo diario Un mondo di ieri pubblicato alla vigilia del suo suicidio in Brasile il 23 febbraio 1942 come testimonianza personale di chi aveva creduto all’idea di un mondo cosmopolita[1].
Mentre il tema del ruolo o meglio del non-ruolo dell’Unione europea (e delle Nazioni Unite) di fronte alla guerra contro l’Ucraina è stato nuovamente stigmatizzato da Romano Prodi[2], noi riteniamo che valga la pena di rileggere, insieme al Manifesto di Ventotene del 1941, il Diario di Stefan Zweig perché non è un caso che questi due testi siano stati concepiti nello stesso periodo di tempo marcato dall’occupazione nazista di quasi tutto il continente europeo e che l’austriaco Zweig e i confinati di Ventotene abbiano pensato a distanza di migliaia di chilometri ad un nuovo ordine internazionale partendo dal continente europeo.
Alcune ipotesi per la pace
Per aprire il cantiere della pace europea – nel rispetto degli interessi vitali dell’Ucraina, paese aggredito, e nella inequivoca condanna della Russia, paese aggressore – l’Unione europea dovrebbe riflettere su alcune ipotesi essenziali.
Esse devono partire certo dalla inviolabilità delle frontiere ma devono comprendere i diritti delle persone che appartengono a delle minoranze (art. 2 TUE), il rispetto dello Stato di diritto, la lotta alla corruzione e la prevalenza della democrazia sovranazionale sul diritto nazionale, modalità veramente europee e non bilaterali per il suo allargamento ai paesi candidati come suggerito recentemente da Jean-Louis Bourlanges alla Assemblea nazionale francese.
Esse devono prevedere la messa in opera degli strumenti europei necessari a garantire “l’aiuto e l’assistenza con tutti i mezzi a qualunque Stato membro sia oggetto di una aggressione armata sul suo territorio” superando la logica del Trattato di Lisbona secondo cui la NATO è “il fondamento della difesa europea e l’istanza della sua messa in opera” (art. 42.7 TUE) in modo tale che la sicurezza dei suoi membri sia assicurata dalla stessa Unione europea conformemente all’art. 51 della Carta dell’ONU.
Nella logica dell’apertura di questo cantiere, sarebbe molto utile che i ministri degli esteri dell’Unione europea o gli stessi Capi di Stato e di governo possano usufruire a porte rigorosamente chiuse, senza delegazioni e forse in una composizione più ristretta rispetto al quadro dei Ventisette dei risultati dei dialoghi avviati con Stati Uniti d’America, Ucraina, Russia e Cina dal cardinale Matteo Zuppi e che lo stesso avvenga con il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres.
L’autonomia strategica europea
Nel riesaminare per l’ennesima volta il tema della difesa europea e il suo ruolo strategico di fronte all’aggressione russa dell’Ucraina, è per noi evidente che il suo obiettivo non può essere quello di trasformare l’Unione europea o la Comunità politica europea in una fortezza.
In un pianeta profondamene instabile e con un ordine internazionale in transizione, appare evidente che l’autonomia strategica debba seguire la via di un multilateralismo globale che metta al centro le sfide del mondo di oggi senza perseguire il tragico obiettivo di sostituire ad una somma di nazionalismi statali l’isolazionismo continentale del nazionalismo europeo (Europeans first).
L’autonomia strategica dell’Unione europea, con l’obiettivo di un multipolarismo globale, deve porre al centro le nuove sfide planetarie che riguardano certamente le questioni della sicurezza (l’Europa che protegge) a cui deve tuttavia associarsi la dimensione della sicurezza ambientale e dunque la lotta al cambiamento climatico insieme all’indispensabile indipendenza esterna dalle fonti di energie, gli effetti dirompenti sui sistemi democratici delle nuove tecnologie della società digitale, la cybersecurity e last but not least la competitività europea su cui dovrà concentrarsi il rapporto affidato dalla Commissione europea a Mario Draghi.
L’autonomia strategica dell’Unione europea riguarda anche la dimensione esterna dell’Unione economica e monetaria di fronte alla offensiva dei BRICS in tutte le sedi internazionali dove si discutono le questioni legate al governo della finanza essendo necessario e urgente riaprire il dibattito sulla riforma del sistema di cooperazione rimasta in sospeso dopo la crisi del 2007-2008 e porre sul tavolo il tema del ruolo internazionale dell’euro.
L’autonomia strategica dell’Unione europea riguarda il governo della sfida planetaria dei flussi migratori sapendo che la politica di accoglienza e di ospitalità appartiene nel caso europeo alle organizzazioni regionali a dimensione sovranazionale ma che la lotta alla cause delle migrazioni e cioè ai push factors (la fame, le guerre, i disastri ambientali, il land grabbing, la violenza dei regimi autoritari, i conflitti religiosi) appartiene in primo luogo alla responsabilità delle organizzazioni internazionali a cominciare dalle Nazioni Unite che devono far rispettare le convenzioni internazionali come quelle di Ginevra sui rifugiati e di Amburgo sul soccorso in mare.
Tutto ciò pone la questione della riforma delle organizzazioni globali internazionali come l’Organizzazione delle Nazioni Unite ricordato da Romano Prodi e l’Organizzazione Mondiale del Commercio dove l’Unione europea deve porre come priorità il rispetto dello Stato di diritto che è un valore imprescindibile al suo interno e nelle relazioni con i paesi terzi.
La disunione europea
Venendo agli affari di casa nostra e con Eduardo De Filippo si potrebbe parlare nel discorso sullo stato dell’Unione di Ursula von der Leyen di “colore delle parole” e di “temperatura dei silenzi” a proposito dei rapporti con gli Stati Uniti e della difesa europea, due questioni totalmente assenti nel testo del 13 settembre.
Peggiori del colore delle parole e della temperatura dei silenzi di Ursula von der Leyen sulla difesa europea sono state le decisioni francesi in materia militare. «Armée: un budget pour temps de guerre», così aveva intitolato Le Monde il 22 gennaio 2023 la presentazione che Emmanuel Macron aveva fatto del progetto di “Legge sulla programmazione militare” (LPM) per il periodo 2024-2030 con un ammontare totale di 413 miliardi di euro.
La priorità del nuovo modello della difesa francese è data alla dissuasione e in particolare alla deterrenza nucleare ispirandosi alla decisione del generale Charles de Gaulle nel 1960 di dotare la Francia dell’arma nucleare, alla intelligence e infine al cyber e cioè alla capacità della Francia di avere autonomamente mezzi e risorse adeguate alla cybersicurezza.
Nello stesso numero di Le Monde, il ministro della difesa francese Sébastien Lecornu declinava con maggiore precisione le scelte strategiche della Francia sottolineando che il nuovo bilancio militare deve permettere a Parigi di “restare una potenza mondiale…al servizio di una strategia per garantire la protezione del paese”.
In questo quadro si inserisce la dissuasione nucleare (“noi siamo una potenza di cui gli interessi vitali sono protetti dalla dissuasione nucleare”) per preparare la terza generazione marina (i sottomarini) e terra-aria (i missili) al fine di garantire alla Francia di rimanere nel gruppo di testa delle tre maggiori potenze nucleari nel mondo con Stati Uniti e Cina difendendo il diritto di veto nel Consiglio di sicurezza.
Insieme alla dissuasione nucleare lo sforzo della Francia sarebbe dunque legato alla risposta alle nuove sfide: il cyber, il settore spaziale, i servizi di intelligence, la difesa terra-aria e i nuovi droni con particolare riferimento al rafforzamento delle “capacità sovrane contro gli attacchi cibernetici” accelerando la digitalizzazione delle forze armate francesi e fondandosi sul principio di “acquistare francese come garanzia della sovranità della Francia”.
La decisione francese è arrivata alla vigilia delle celebrazioni del Trattato dell’Eliseo e a un anno dall’annuncio del cancelliere Olaf Scholz di un investimento una tantum di cento miliardi di Euro “per modernizzare la Bundeswehr” con un approccio che ha ignorato totalmente l’obiettivo di una maggiore integrazione europea nella difesa e ha messo solo l’accento sulla sola solidarietà atlantica come risposta alla aggressione della Russia contro l’Ucraina.
Tutto ciò sta avvenendo al di fuori ed anzi in contrasto col l’obiettivo di una difesa comune europea “come parte integrante della politica estera e della sicurezza” o almeno di un embrione di cooperazione europea nel settore degli acquisti di materiali, delle materie rare, dell’accesso al digitale, di una comune intelligence e del ruolo della transizione energetica nel settore della difesa rendendo praticamente senza alcun effetto operativo la cosiddetta “bussola strategica” adottata frettolosamente nella primavera 2022 al solo scopo di nascondere la disunione europea nello sconvolgimento geopolitico provocato dalla guerra in Ucraina.
Il ruolo planetario e la sopranazionalità
Di fronte alla possibile esplosione di ulteriori conflitti armati sul continente europeo e nel mondo, si pone con urgente drammaticità la questione del ruolo planetario che può essere svolto dall’Unione europea nell’ambito della sua autonomia strategica per costruire e mantenere la pace mettendo a disposizione gli strumenti militari e civili di cui l’Unione europea dispone o che potrebbero essere dispiegati in tempi rapidi rafforzando nello stesso tempo lo strumento europeo per la pace (European Peace Facility).
Affinché tutto questo avvenga nel rispetto del Trattato e di decisioni che siano fondate su un sostegno democratico incontestabile, il Parlamento europeo dovrebbe dedicare a questa questione il dibattito pubblico previsto dall’art. 35 del Trattato sull’Unione europea invitando a partecipare i membri delle commissioni affari esteri e della difesa dei parlamenti nazionali al fine di controllare i progressi realizzati dall’Unione europea sulla via della difesa e della sicurezza comuni.
La stessa questione si pone per quanto riguarda la protezione di tutte le frontiere dell’Unione europea verso la Federazione Russa ai confini della Finlandia, dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania e, un domani, della Georgia così come del controllo nel Mar Nero avviando se necessario una cooperazione strutturata permanente per assicurare la difesa di quei confini anche dal punto di vista della lotta alla criminalità organizzata, del governo dei flussi migratori e commerciali.
Sarà evidentemente necessario far evolvere la “bussola strategica” adottata dal Consiglio europeo verso una dimensione sovranazionale/federale con il potere di comando militare e di decisione politica attribuito all’Unione europea anche attraverso l’integrazione dell’Eurocorpo – rafforzato da unità non solo di terra ma anche della marina e dell’aviazione – nella stessa “bussola strategica”.
Dal Trattato di Lisbona alla Comunità federale
È un tema che dovrà essere al centro del passaggio dal Trattato di Lisbona, ormai vetusto, ad una Comunità di natura federale di cui sarà chiamato a farsi carico il prossimo Parlamento europeo aprendo una procedura costituente per superare l’immobilismo dei governi che continueranno a cercare di risolvere i problemi dell’efficacia del sistema europeo mantenendo intatta la sua natura confederale.
Last but not least e sul suo fianco dei Balcani occidentali, si pone la questione dell’integrità territoriale e della inviolabilità della Bosnia Erzegovina (lasciando per ora ma solo provvisoriamente da parte il Kosovo) di fronte alla minaccia di secessione della regione serbo-bosniaca che coincide non casualmente con la fine del mandato dei Caschi Blu e con l’annuncio del diritto di veto della Russia nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, un diritto fondato sulla forza e non sulla legalità che si accompagna alla crescente vendita di armamenti della Federazione Russa alla Serbia.
Anche nei Balcani occidentali si pone dunque la questione del ruolo della “bussola strategica” dell’Unione europea se dovranno essere fatti concreti e ulteriori passi in avanti sulla via di una vera difesa europea comune partendo dalle strutture già esistenti nel quadro delle prospettive di allargamento verso quella regione che non debbono essere schiacciate dall’accelerazione del dialogo con i paesi dell’Europa orientale in tempo di guerra e avviando contemporaneamente a soluzione la divisione de facto di Cipro fra la zona turco-cipriota su cui il governo di Nicosia non esercita un effettivo controllo e la parte principale nonostante il fatto che tutta l’isola sia territorio dell’Unione europea.
Zona grigia europea e Europa a geometria variabile
La ‘zona grigia’ europea, che si è andata consolidando al centro, all’Est e a Sud-Est dell’Unione europea e che comprende ormai un quarto del suo territorio e della sua popolazione con paesi apertamente e attualmente ostili alla dimensione sovranazionale (Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria al suo interno e la Serbia fra i paesi candidati) o paesi incerti fra la sovranità nazionale e quella europea condivisa (Bulgaria, Romania e a Austria) o con il nazionalismo ucraino radicalizzato dalla guerra per non parlare della lontananza geopolitica da Bruxelles della regione baltica e della Scandinavia e il disallineamento crescente fra il governo Meloni e l’Unione europea, mette nuovamente all’ordine del giorno la prospettiva dell’Europa a più velocità o a geometria variabile o a cerchi concentrici su cui si conclude il recente rapporto degli esperti franco-tedesco e a cui non potrà sfuggire il lavoro costituente del prossimo Parlamento europeo.
La Conferenza per la sicurezza, la cooperazione e la pace in Europa
Tutte queste questioni dovrebbero far parte delle priorità strategiche che l’Unione europea dovrebbe mettere sul tavolo di una Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa (Helsinki-II) nella prospettiva di una nuova Carta di Parigi, insieme al rilancio della cooperazione fra l’Unione europea e i paesi del Medio Oriente e del Nord Africa (MENA) ed al partenariato con l’Unione africana (Ua) e far parte dell’agenda della Comunità geopolitica europea nella prospettiva di un processo di integrazione europea differenziata i cui contorni dovranno emergere durante la fase costituente da avviare con la prossima legislatura europea.
Sappiamo che la strada di una Conferenza sulla sicurezza e sulla cooperazione (e aggiungiamo: sulla pace) in Europa è lastricata di ostacoli, resa impervia dalle spaventose distruzioni provocate da oltre diciannove mesi di bombardamenti, dalle decine di migliaia di morti in particolare nella popolazione civile fra donne e bambini, dalle torture e dagli stupri, dai milioni di sfollati e di rifugiati in Ucraina, in Russia dove sono stati evacuati con la forza, nei paesi vicini dell’Europa.
Quel che sta avvenendo nella guerra provocata dall’aggressione della Russia all’Ucraina e la escalation militare di cui ha dato una dimostrazione inequivoca degli interessi di Washington nel conflitto la cosiddetta “dottrina Austin” a Ramstein del segretario alla difesa ed ex-generale statunitense Lloyd James Austin, indica con chiarezza che gli interessi europei sull’assetto del continente sono complementari rispetto a quelli dell’alleato statunitense.
“Prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità ad un quadro di sicurezza e di cooperazione (sul continente, n.d.r.) sull’esempio della Conferenza di Helsinki del 1975”
– come ha affermato il capo dello Stato Sergio Mattarella – è responsabilità primaria dell’Unione europea e della sua “autonomia strategica” a monte della sua “bussola (militare) strategica” e nel quadro di un’unica politica estera e della sicurezza di cui può far parte a valle una difesa comune.
Post scriptum. Il triplo ‘fiasco’ di Granada
Nelle intenzioni dei molti personaggi che avevano programmato il loro viaggio a Granada per partecipare o animare i numerosi incontri europei il “momento” dell’Andalusia avrebbe dovuto essere ricordato nelle cronache – se non nella Storia – delle vicende europee come altri vertici che hanno segnato in passato dei passaggi epocali nel processo di integrazione europea.
Così non è stato perché il “momento” dell’Andalusia nel Palazzo dei Congressi piuttosto che nella grandiosità araba della Alhambra è stato caratterizzato da un triplo “fiasco” che le conferenze stampa finali dei leader non hanno potuto nascondere.
E’ stata innanzitutto un “fiasco” la terza riunione della Comunità Politica Europea, immaginata inizialmente da Emmanuel Macron come succedaneo dell’Unione allargata, che non ha prodotto nessun risultato consistente ad eccezione della tradizionale foto – che difficilmente si potrebbe chiamare di “famiglia” – in cui oltre alla scarsa presenza femminile spicca come sappiamo l’assenza del leader turco Erdogan inutilmente corteggiato dagli europei che egli ha schiaffeggiato prima di annunciare una malattia diplomatica dichiarando “non mi aspetto più nulla dall’Unione europea” e del leader azero Ilham Aliyev che molti attendevano per affrontare con lui la crisi del Nagorno-Karabakh.
Difficile capire dall’esito della terza riunione della CPE quale potrà essere in futuro l’utilità di questi vertici con l’equivoco quasi esistenziale fra i Paesi che non intendono prendere in considerazione prospettive diverse dall’adesione all’Unione europea (i Balcani occidentali con l’eccezione probabilmente della Serbia pro-putiniana, Ucraina, Moldova e Georgia) puntando esclusivamente sui negoziati bilaterali con Bruxelles, Paesi che non intendono per ora abbandonare la “splendida” solitudine della loro apparente sovranità assoluta come il Regno Unito e i Paesi dell’Unione europea fra i quali il tema dell’allargamento fino a trentasei membri provoca una terribile cacofonia a cui ha contribuito recentemente il rapporto franco-tedesco o meglio germano-francese con l’ipotesi immaginifica di quattro cerchi concentrici.
Proprio il tema dell’allargamento è stato il frutto del secondo “fiasco” perché dall’Andalusia, pronubo l’ineffabile Charles Michel, doveva essere lanciato informalmente il messaggio storico “si parte!” nel senso che i ventisette avrebbero dovuto sottoscrivere l’impegno a prendere (per quei Paesi per ora solo candidati come l’Ucraina e la Moldova) o riprendere (per quei Paesi i cui negoziati di adesione erano già iniziati) in mano i dossier dell’esame delle riforme interne e delle politiche di aiuto all’ingresso nell’Unione europea.
Vi è stato un nulla di fatto e non è detto che si esca dall’impasse al Consiglio europeo formale di dicembre quando i Capi di Stato e di governo avranno sul tavolo i rapporti della Commissione europea Paese per Paese sapendo che Ursula von der Leyen e la sua équipe ormai al capolinea non avranno la saggezza e l’immaginazione di una precedente Commissione europea che aveva proposto il metodo della “regata” e non del ‘big bang’ al tempo del grande allargamento all’Europa centrale.
Peccato che Emmanuel Macron non sia arrivato al Palazzo dei Congressi di Granada con il rapporto su un “nuovo metodo per l’allargamento” che Jean-Louis Bourlanges ha presentato alla Assemblea nazionale francese e che dovrebbe essere preso a nostro avviso in seria considerazione dal Parlamento europeo e dai parlamenti nazionali, esclusi l’uno e gli altri in base al Trattato dai negoziati di adesione.
L’ultimo “fiasco”, che ha fatto tornare a Roma – come si dice – Giorgia Meloni con le pive nel sacco poiché si è dovuta accontentare di una intesa con l’irrilevante primo ministro britannico Rishi Sunak, è quello delle politiche migratorie in cui gli ipotetici accordi raggiunti fra gli ambasciatori sono stati bloccati non solo dai sovranisti di Visegrad ma anche da Olaf Scholz con cui la Presidente del Consiglio italiano aveva sbandierato mentendo un accordo storico e anche da Emmanuel Macron che non è andato al là dei sorrisi diplomatici di circostanza delle passeggiate romane.
Di politiche migratorie e di una nuova narrazione discuteremo come Movimento europeo nel brain storming al Consiglio nazionale delle Ricerche il 16 ottobre quando rilanceremo la proposta di una Conferenza internazionale che intendiamo proporre durante il semestre belga del Consiglio dell’Unione europea prima della fine di questa legislatura.
[1]Stefan Zweig, Die Welt von Gestern. Erinnerungen eines Europäers, Stockholm, Bermann-Fischer Verlag AB, 1942. Traduzione italiana di Giorgio Picconi, Il mondo di ieri: ricordi di un europeo, Roma, De Carlo, 1945, 347 p. Poi, a partire dal 1946, disponibile nella traduzione di Lavinia Mazzucchetti per Mondadori: ultima edizione negli Oscar: 2017, XVI-371 p.
[2] In un intervento al Festival Francescano tenutosi a Bologna il 24 settembre 2023.