I riflessi di quelli che nell’occhiello chiama “Due appuntamenti per tirare le somme sul peso netto di Giorgia Meloni” consentono a Salvatore Sechi di qualificare “Da Kiev a Cagliari, una premier in discesa”. “Questo risultato elettorale getta un fascio di luce meridiana sulla stessa premier. Conferma la sua nota incapacità di scegliere candidati muniti di qualche professionalità, se non di un vero e proprio prestigio […]. Ma la gravità dei risultati elettorali della Sardegna – aggiunge Sechi – non la si può cogliere se non si tiene conto che essi completano lo scacco di Kiev. Meloni ha presieduto la riunione del G7, facendola tenere nella capitale dell’Ucraina. Ad onta degli incontri e delle frequentazioni internazionali, che sono diventate il suo asso nella manica, ha dovuto registrare una vera e propria umiliazione. All’evento da lei patrocinato e diretto erano assenti, infatti, il Cancelliere di un paese-chiave come la Germania (che sta coordinando gli aiuti militari per la difesa del paese aggredito e invaso da Putin) e il capo di Stato di un Paese come la Francia”.
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Su Giorgia Meloni bisogna cominciare a fare la tara, a verificare quale sia il suo peso netto sul terreno politico. Due appuntamenti, uno interno e l’altro internazionale, si sono incaricati di tirare le somme.
Quello interno ha per teatro la Sardegna. È stata lei a imporre come candidato alla presidenza della Regione il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu. È stato un parto cesareo, perché Lega e Forza Italia hanno contrastato questa scelta.
Truzzu non gode di nessun prestigio come amministratore, e non riesce a spuntare qualche credito neanche nei rating de Il Sole-24 Ore.
Il quotidiano della Confindustria è stato assai generoso perché non ha spinto la sua analisi comparativa fino a confrontare la professionalità di Truzzu con quella dell’ex governatore sardo-leghista Christian Solinas. Scelto e sostenuto da Matteo Salvini, ha battuto ogni record di inefficienza, confusione, faciloneria sia nel non saper spendere i miliardi detenuti nelle casse regionali sia nelle contraddizioni e nell’infinito disordine che hanno caratterizzato la sua fallimentare gestione.
La decisione perentoria e irrevocabile di Giorgia Meloni si spiega solo col desiderio di sancire l’egemonia di Fratelli d’Italia negli enti amministrativi (come i Comuni e le Regioni) rispetto agli alleati.
In secondo luogo Truzzu è un perfetto Signor Nessuno. Si fa chiamare Trux, richiamando l’emblema che ha sul braccio, cioè un tatuaggio di orgogliosa matrice fascistoide. Esso rende bene quanto c’è di credibile, per non osare dire di vero, nei proclami a mezza bocca di superamento della fascinazione mussoliniana da parte della premier.
Il suo partito ha inventato la favola che il sindaco amerebbe il basso profilo. Sarebbe questa la ragione per cui ha evitato di accettare qualsiasi faccia a faccia, anche negli schermi televisivi, con gli altri candidati e in particolare con la sua maggiore antagonista, l’esponente della coalizione di centro-sinistra, la pentastellata Alessandra Todde.
A Cagliari, che detiene un terzo degli elettori (400 mila su 1.500 mila), il candidato voluto da Giorgia Meloni ha subito non una sconfitta, ma l’incalzare di onde molto simili ad un naufragio. La capitale della Sardegna ha preferito votare per il centro-sinistra anche se a rappresentarlo è stata chi in città è una sconosciuta come Alessandra Todde.
La sua candidatura è stata un’invenzione della segretaria del Partito Democratico Elly Schlein. Si è preoccupata di soddisfare la richiesta di visibilità istituzionale di Giuseppe Conte, Presidente del Movimento Cinque Stelle, per carpirne l’alleanza sul piano nazionale.
Questo risultato elettorale getta un fascio di luce meridiana sulla stessa premier. Conferma la sua nota incapacità di scegliere candidati muniti di qualche professionalità, se non di un vero e proprio prestigio.
Il che significa che Giorgia Meloni resta prigioniera del suo mondo familiare e politico legato al passato. Non alla soi-disant lontana parentela con Antonio Gramsci, ma allo squallore del fascismo provinciale e di quartiere. Benito Mussolini infatti, seppe circondarsi di personaggi come Alfredo Rocco, Arrigo Serpieri, Giovanni Gentile, Alberto de’ Stefani, e addirittura di antifascisti come Alberto Beneduce e Piero Calamandrei.
Lo scacco di Kiev, in sordina il vertice di apertura della presidenza italiana di turno del G7
Ma la gravità dei risultati elettorali della Sardegna non la si può cogliere se non si tiene conto che essi completano lo scacco di Kiev.
Meloni ha presieduto la riunione del G7, facendola tenere nella capitale dell’Ucraina. Ad onta degli incontri e delle frequentazioni internazionali, che sono diventate il suo asso nella manica, ha dovuto registrare una vera e propria umiliazione.
All’evento da lei patrocinato e diretto erano assenti, infatti, il Cancelliere di un paese-chiave come la Germania (che sta coordinando gli aiuti militari per la difesa del paese aggredito e invaso da Putin) e il capo di Stato di un Paese come la Francia.
Il presidente Emmanuel Macron ha preferito sabato 24 febbraio non mancare un appuntamento con gli agricoltori in rivolta, e il giorno successivo ha evitato di partecipare a un intervento televisivo al quale era presente anche il presidente degli Stati Uniti Joe Biden.
Né si può passare sotto silenzio lo schiaffo sferrato a Giorgia Meloni dallo stesso Zelen’skyj. Pur avendo sottoscritto un accordo di assistenza e collaborazione per dieci anni (esautorando così il nostro Parlamento), non ha avuto scrupolo a ricordare alla nostra premier che in Italia i sostenitori di Vladimir Putin sono ancora molti e attivi.
Non si riferiva al blog dell’intellettuale comunista bolognese Fausto Anderlini, in cui il filo rosso da Lenin a Putin è orgogliosamente rivendicato, ma alle ripetute dichiarazioni del vice-premier, ministro e segretario della Lega Matteo Salvini. Ha ribadito spudoratamente che intende attendere da un (improbabile) team di giudici e di medici la conferma che Aleksej Naval’nyj è stato assassinato dall’ultimo zar in servizio al Cremlino.
Conclusioni
Il quasi 50 per cento dei sardi che non sono andati a votare guardano a questo spettacolo per trarne la convinzione di aver fatto bene a starsene a casa.
Non si può dire abbiano torto. Infatti, non è mai entrato nei dibattiti dei candidati a governatori dell’isola una lista di priorità nei programmi, dei loro costi, dei tempi e delle alleanze in cui e con cui realizzarli. La politica è una rettorica che con la realtà ha un rapporto fragile, generico. La sfiora, vorrebbe evocarlo, ma la tratta come una convenzione deperibile.
Questa cultura sfuggente, micro-burocratica, spiega perché nell’isola non esista un servizio di assistenza sanitario (ormai privatizzato) degno di questo nome, i trasporti siano insufficienti e carissimi, la condizione di isola equivalga ad una condanna all’isolamento e al sottosviluppo appena velati dalla patina di un turismo ‘mordi e fuggi’.
Il governo regionale del salviniano Christian Solinas è stato il trionfo del peggio che il centro-destra potesse offrire. Ma alla sua sostituta Alessandra Todde non sarà facile uscire dalla litania dei luoghi comuni e dello scaricabarile, con una patetica imitazione di Renato Soru e Francesco Pigliaru.